Titre: La nobiltà et l’eccellenza delle donne, co’ diffetti et mancamenti de gli huomini Auteur: Marinella, Lucrezia (1571-1653) Date de publication: 1600 Édition transcrite: (Venice: Giovanni Battista Ciotti, 1600) Source de l’édition: Google Books Transcription par: Marco Piana, Cassandra Marsillo et Tanya Ludovico, université McGill. Principes généraux de transcription: n/a. Statut: Complétée, pas encore corrigée, version 0, 2016. Ce travail fait partie du projet L’égalité et la supériorité dans les traités féministes de la Renaissance et de l’époque moderne, un projet financé par le Conseil de recherches en sciences humaines du Canada. LE TEXTE COMMMENCE APRÈS CETTE LIGNE [Page 1] LE NOBILTA ET ECCELLENZE DELLE DONNE: ET I DIFFETTI, E MANCAMENTI DE GLI HUOMINI. Discorso di Lucretia Marinella In due parti diuiso. CON PRIVILEGIO IN VENETIA Appresso Giouan Battista Ciotti Senese. MDC Con licentia de i superiori. [Page 2] BLANK [Page3] ALL’ECCELLENTISS. SIGNORE, IL SIGNOR LUCIO SCARANO, Medico et Filosofo Nobilissimo. Se colui uien ripudiato, et tenuto da ogn’uno ingrato, et discortese, che hauendo riceuuto da alcuno qualche segno di honore, non li rende contracambio, ouero almeno con infinite, et innumerabili gratie non si scusa della sua impotenza. Sarò io senza alcun dubbio fin’hora stata per l’ingratitudine degna di riprensione, già che da Vostra Signoria Eccellentissima in una sua Lettione fatta nella Libraria della Serenissima Signoria di Venetia fui con le sue lodi inalzata fino al Cielo nelle cose di Poesia; ma ella da ne ringratiata, ne con altro cortese segno punto fù riconosciuta. Hora desiderando di emendar il già commesso fallo, le dedico questa mia fatica della Nobiltà delle Donne, [Page 4] Per sgrauarmi in parte dell’obligo, ch’io tengo con lei: et se il dono è picciolo à rispetto delle lodi grandi da lei à me date; faccia ella, che in qualche parte lo pareggi à loro la singolare amicitia, ch’ella hebbe con l’Eccellentissimo Signor Giouanni mio Padre, et con quella, che hora tiene con l’Eccellentissimo Signor Curtio mio fratello, et insieme accetti il pronto animo della debitrice: et Dia la rendi felice. Di casa, il dì 9 d’Agosto 1600. Di V.S.Eccellentissima Come figliuola Lucretia Marinella [Page 5] TAUOLA DE CAPI PRINCIPALI Che nella prima parte si contengono. Della nobiltà de’ nomi con i quali è adornato il donnesco sesso. Cap. j carte I Delle cause, delle quali dipendono le donne. C. ij carte 4 Della natura, et essenza del sesso donnesco. Ca. iij carte 5 Delle nobili attioni, et uirtù elle donne, le quali quelle degli huomini di gran lunga trapassano, come con ragioni et essempi si proua. Cap iiij. 11 Delle donne scientiate, et di molte arti ornate. Cap. j. 13 Delle donne temperate, et continenti. Cap. ij. 16 Delle donne forti, et intrepide. Cap iij 20 Delle donne prudenti, et nel consiglio perite. Cap. iiij. 24 Delle donne giuste et leali. Cap v. 26 Delle donne magnifiche, et cortesi. Cap vj. 26 Delle donne nel guerreggiare, et nell’arte militare famose. Cap vij 29 Della sofferenza et tolleranza delle donne. Cap viij. 32 Delle donne del corpo forti, et della delicatezza disprezzatrici. Cap ix. 33 Dell’amor delle donne uerso i Padri, Mariti, Fratelli et Figliuoli. Cap x. 35 Dell’amor delle donne uerso la patria. Cap xj. 37 Risposta alle leggierissime, et uane ragioni addotte da gli huomini in proprio fauore. Cap. ultimo 41 TAVOLA DE’ CAPI PRINCIPALI CHE NELLA Seconda parte si contengono CHE gli huomini senza alcuna proposiione sono piu uitiosi delle donne, si come con ragion, et essempi si proua. Car. 46 De gli huomini auari, et desiderosi de danari. Cap j. Car. 48 De gli huomini inuidiosi. Cap ij. 51 De gli incontinenti, gioè golosi, ubbriachi, et sfrenati. Cap iij. 53 [Page 6] De gli iracondi, bizzarri, et bestiali. Cap iiij. 56 De superbi, et arroganti. Cap v. 58 De gli otiosi, negligenti, et sonnacchiosi. Cap vj. 56 De gli huomini tiranni, et usurpatori de stati. Cap vij. 60 De gli ambitiosi, et cupidi di gloria. Cap viij. 62 De uanagloriosi, et uantatori. Cap ix. 64 De gli huomini ingiusti, fieri et homicidiali. Cap x. 65 De gli huomini fraudolenti, ingannatori, perfidi, et spergiuri. Cap xj. 70 De gli ostinati, et pertinaci. Cap xij. 72 De gl’huomini ingrati, et discortesi. Cap xiij. 73 De gl’huomini incostanti, et uolubili. Cap xiiij. 74 De gl’huomini maligni, et che portano odio. Cap xv. 75 De gl’huomini ladri, assassini, corsari, et rapaci. Cap xvj. 75 De gl’huomini uili, paurosi et di poco animo. Cap xvij. 77 De gli bestemmiatori, et sprezzatori di Dio. Cap xviiij. 79 De gl’huomini incantatori, magi, et indouini. Cap xix. 81 De gl’huomini bugiardi, et mendaci. Cap xx 83 De gl’huomini gelosi. Cap xxj. 84 De gl’huomini ornati, politi, bellettati, et biondati. Cap xxij. 86 De gl’huomini heretici, et inuentori di nuoue sette. Cap xxiij. 89 De gl’huomini lagrimosi et teneri al pianto. Cap xxiiij. 89 De gl’huomini giucatori. Cap xxv. 90 Il fine della Tauola [Page 7] SONETTO DEL MOLTO ILLUSTRE SIGNOR IL SIG. ORATIO VISDOMINI. ALLA MOLTO MAGNIFICA SI. LA SIGNORA LUCRETIA MARINELLA. POCO è il mostrar, ch’a noi risplende il Sole. Ch’arde il foco, il Ciel gira, e bagnan l’onde. Che di Febo al venir l’horror s’asconde, E che Flora habbia in sen rose, e uiole. Meno è scoprir, che l’eccellenza inuuole, La donna à l’huom con sue uirtù profonde, Ch’uopo non è mostrar quel, che diffonde, Luce per se d’alte bellezze sole. Sai tu, che saria l’huom priuo di questo, Di Natura, e del ciel gran merauiglia, Donna, gran don di dio, luce del mondo? Una bestia seluaggia, et un molesto, Peso alla terra, ch’al mal sol s’appiglia. Forsenato, crudel, uile, et immondo. [Page 8] DEL MAGNIFICO SIGNOR ANTONIO SABELLI Alla Medesima. TU che con uerità scopri, e riueli, Del crudel sesso maschio i uitii horrendi, Con dotte prose, e chiare e illustri rendi, Le nobil donne, e le lor glorie sueli. E fra’l suo horror, chi in parte copri, e celi, Lo donnesco splendor fai, ch’arda, e splendi. Facile impresa, e più fatica prendi, a far, ch’alquanto il uitio d’huom si celi. Facile il tutto è à te, che di Colomba Già cantasti la moste, e’l uoler giusto, Con dolce stil, che’l mondo egual non ode. Del Serafico Heroe per te rimbomba, (Vergine Gloriosa) il nome augusto, Tal che in rime, et in prose eterna hai lode. [Page 9 / 1R] DELLA NOBILTA ET ECCELLENZA DELLE DONNE ET DE GRAVISSIMI Diffetti de gli Huomini. DISCORSO DI LUCRETIA MARINELLA. DIVISO IN DUE PARTI. DIVISIONE DI TUTTO Il Discorso. SOLGIONO tutti coloro, che di alcuna materia, ò uer soggetto trattano essere spinti, et mossi da qualche determinato fine: percioche molti sono, che desiderosi, che la uerità di quello, che scriuono, sia da tutti conosciuta, si affaticano, uigilando dies noctesque serenas. Et ogni diligenza usano non solamente nella inuentione della materia, manchora di renderla con polito modo di dire chiara, et aperta ai diligenti lettori. Alcuni altri sprezzando la uerità delle cose, ma solo spronati da uiuacità, et prontezza d’ingegno cercano con ogni studio possibile di far credere al mondo, che il uero sia falso, il bene male, et il brutto sia bello, et amabile, et con ragioni apparenti ben spesso ottengono il tanto da loro desiato fine. Non pochi si ritrouano, che mossi dall’inuidia, che portano alle nobili attioni d’alcuno con la mordace penna cercano d’offuscarle, et anco d’annullarle, lequali nondimeno ben spesso ad onta loro piu sormontano, et al Cielo piu s’inalzano. Et finalmente non mancano scrittori, che stimolati da odio, ò da fero sdegno con copiose menzogne uanno detrahendo l’altrui fama, et honore. Sono i primi per [Page 10 / 1V] Loro sessi degni di lode. I secondi non sono in tutto da essere uituperati, gia che di cosi nobili ingegni ornati sono. Ma ben degni di biasmo reputano tutti gli huomini coloro, che ò da inuidia, ò da particolare odio si muouono. Io in questo mio discorso uoglio seguire i primi, come quella, che è desiderosa, che questa uerità risplenda appresso a ogn’uno, la quale è, che il sesso femminile sia più nobile, et eccellente di quello de gli huomini; et spero cosi manifestarla con ragioni, et esempi, che ogni huomo, ancor che pertinace, sarà sforzato con la propria bocca à confermarla. Si auicinnò alla cognitione di questa uerità Platone quel grande nel Dialogo settimo della Republica, et in molti altri libri; n’ quali mostra, che le donne sono di cosi alto ualore, et ingegno come i maschi. S’auicinò dissi; percio che non penetrò tanto oltre, che conoscesse le donne esser piu de gli huomini eccellenti, et nobili. Odio me, è uer sdegno non moue, et manco inuidia; o anzi da me ne sta lontanissima; percioche io non ho desiderato, ne desidero, ne mai desiderarò, anchor, ch’io uiuessi piu tempo di Nestore, di essere maschio; ma credo ben io, che ò sdegno, ò odio, ò inuidia mouesse Aristotile in diuersi libri a dir male, et à uituperare il sesso Donnesco; si come anco biasmò in molti luoghi il suo maestr Platone. Et similmente io penso, che si sia mosso à scriuere un libro intitolato i Donneschi diffetti Giuseppe Passi Rauennati Academico informe. Se inuidia, ò sdegno lo habbia mosso, io non lo saprei ben dire; ma Dio li perdoni. Diuiderò questo mio discorso in due parti principali: nella prima trattarò le nobiltà, et eccellenze delle donne, la qual sarà diuisa in quinque principali capi; ma il quarto contenerà sotto di se undeci capi particolari. Nella seconda parte spiegarò i Diffetti, et le brutture de gli Huomini, la qual sarà da me diuisa in uinticinque capi, et incominciando dalle Eccellenze delle donne, mostrarò, che quelle trapassano i maschi nella nobiltà de Nomi, delle cause, della propra natura, et delle operazioni. Et finalmente risponderò alle leggierissime ragioni, che tutto giorno sono da i poco prudenti, et poco saggi huomini addotte. [Page11 / 2R] Della Nobiltà de’ Nomi, con i quali è adornato il Donnesco sesso. Cap. I. Non è dubbio alcuno, che i proprii nomi, con i quali si chiamano le cose, dimostrano, et fanno manifesta la natura, et essenza di quelle; se però à dotti Filosofi noi uogliamo alcuna fede prestare, i quali constantemente affermano, che i nomi ci guidano nella cognitione della cosa nominata. Onde è di mestieri, anzi è necessario il credere, che non à caso, come alcuni poco scientiati, et nell’arti poco periti credono; ma che con somma prudenza sieno in nomi proprii da gli huomini ritrouati, et poscia con grandissima ragione posti. Ma gli antichi Egittii, et i saui Chaldei non credeuano gia, che da gli huomini fossero ritrouati i nomi, con i quali si chiamano le ragioneuoli creature, ma che dal Cielo dipendessero, il quale non solamente piegasse l’animo di colui, che’l nome imponea, ma che con uno certa uiolenza lo sforzasse à nomar una tal particolar donna, ò huomo con un tal determinato nome: inguisa che non seli potesse in alcun modo un altro porre. Et da lor fatta con lunghissima esperienza una osseruazione, cio’ è tra nomi, et l’operationi delle cose nominate, fabricorno una nuoua arte, ò scienza chiamata Nomandia per mezzo della quale si presumevano di avere una sicura, et certa cognitione della natura, et operatione non solamente de gli huomini in particolare, ma di ciò, che nel mondo si ritrovava: la qual scienza fù presso i Theologi Hebrei molto stimata, et pregiata. Di quanta forza fossero i nomi, et siano lo dimostra Iamblico nel libro intitolato demysterijs Agyptiorum [sic], che afferma, che i nomi scuoprono, et dimostrano non solamente l’essenza, et potenza delle cose nominate; ma anchor di Dio; onde senza alcun dubbio noi affermaremo quella cosa esser piu nobile, et singulare, laquale sarà ornata di piu degno, et honorato nome. Il che lasciò etiandio scritto il ueridico Paolo nelle Epistole à Romani ragionando nel nostro trionfante Signore con queste parole. Egli è tanto migliore de gli Angeli, quanto egli ha conseguito un nome piu eccellente di loro. Ma chi dubiterà giamai che il donnesco sesso non sia ornato di piu degni, et chiari nomi del sesso de maschi? Niuno à giuditio mio, se noi andaremo considerando la forza de’ nomi, con i quali egli si noma. Sono i nomi che rendono degno di honore questo sesso cinque di numero, tratto da diuerse lingue, ciò è Donna, demina, Eua, Isciah, et Mulier, nomi tutti nobili, et pregiati. Et per incominciare dal primo. E cosa nota ad ogn’uno, che questo nomi di Donna deriua da Domina uoce latina, che significa Signora, et Patrona, nome pur d’Impero, e di potenza regia, il quale non solamente appresso di noi è in uso: ma etiandio fù da gli antichi usato. Chiamauano gli [Page 12 / 2V] Spartani, come scriue Plutarco nella uita di Licurgo, le donne con una uoce, che significaua signore. Et epitetto nel suo Enchiridio à cap. 55. lasciò scritte queste parole. Mulieres à tertio decimo anno Dominae uocantur. Et Claudio Cesare conoscendo l’eccellenza delle donne chiamaua la moglie signora. il che fece anco Adriano Imperatore, et fino al tempo di Homero si honoraua questo sesso con si illustr nome. Onde nel libro terzo dell’Odissea parlando della moglie di Nestore nel latino cauato dal greco si legge. Cui Domina uxor lectum strauit. et nel settimo ragionando di Alcuno. Quem suis ipsa manibus Domina construerat. è tanto pieno di nobiltà questo nome di Donna, che non solamente i Duchi, ma i Regi piu grandi se lo usurpano, et attribuiscono. Onde si dice Don Cesare da este Duca di Modena. Don Vincenzo Gonzaga, et Don Filippo d’Austria Re di Spagna. et etiandio li Poeti considerando l’eccellenza di questo nome lo adattarno à Dei, et à qualunque cosa, che significa dominio, et signoria. Onde il Petrar. ragionando d’Amore disse. Per inganni, e per forza è fatto Donno. Et Dante. Ch’ebbe i nemici del suo Donno in mano. et torquato Tasso parlando del sonno nel canto decimo quarto, d stanza 64. Quel serpe à poco, à poco, e si fa Donno. Sopra i sensi di lui possente, e forte. Et non contenti di hauer fatto questo gran nome mascolino, ne hanno fabricati, e uerbi, et aduerbi tutti denotanti signoria, et dominio. Onde uolendo il Boccaccio nella sue Nouelle dir signorilmente; disse quasi Donnescamente la Reina impose ad Elisa, che seguiss. usò il Petrar. indonnare per signoreggiare dicendo. Fiamma d’Amore, che’n cor alto s’indonna. Et Dante. Per quella riuerentia, che s’indonna. Da tutte queste chiarissime auttorità de Scrittori addotte si uede apertamente, che questo nome di Donna (inuero come dice il Guarini segretario del gran Duca di Toschana Don del Cielo) denota signoria, et imperio. ma placido dominio a punto corrispondente alla natura della Dominante. che s’ella signoreggiasse à guisa di Tiranno, come fanno li poco cortesi maschi, forse starebbono mutoli l’insolenti dettrattori di questo nobil sesso. Sono alcuni, che credono, che il nome di Donna non si conuenga à tutto il sesso feminile, et n’escludono le uergini: della quale opinone è Giuseppe Passi lasciatosi per auentura troppo trasportare ò dall’inuidia, ò dall’odio, ch’egli porta al sesso feminile, parendoli che un tal nome sia troppo nobile per adattarlo à uttto il sesso: ma io con le auttorità de’ Poeti, et de Prosatori dimostrerò chiaramente, che questo nome di Donna, etiandio [Page 13 / 3R] alle Vergini conviene. diede l’Ariosto il nome di Donna ad Angelica nel primo can. pur Vergine dicendo. La donna il palafreno à dietro volta. Et parlando di Bradamante nel secondo canto dice. La donna amata fù da vn caualiero, Che d’Africa passò con Re Agramante. Et altroue ragionando pur di Bradamante. Cosi l’elmo leuandosi dal uiso Mostrò la donna aprirsi il paradiso. Et di Marfisa Voglio seguir la bellicosa donna, Laqual chiamò la Vergine Marfisa. Et il Trissino parlando di Sofia pur Vergine, la chiamò mille volte donna nel lib.3. dell’Italia liberata: & Torquato Tasso mentre ragiona della Vergine Soffronia, la chiama altera donna: & di Clorinda, che guerreggiaua con Tancredi dice nel Canto 13. stan. 53. La fortissima donna non diè crollo. et nella stanza 66. Passa la bella donna, e par che dorma. Et cosi d’Erminia. & il Caualiero Guarino nel suo Pastor fido introducendo Mirtillo à lamentarsi di Amarilli dice. La mia donna crudel piu dell’Inferno. et parlando di Dorinda. Gia che di donna in lupo si trasformi. Et in altri infiniti luoghi, fra Prosatori non ui è il Bocca. nelle novelle, nel Laberinto, nella amorosa fiammeta, & in ogni libro? Ma à che mi affatico io in prouar quello, che ad ogn’uno è noto, & palese? ne punto è contraria à questa opinione quella rima del Petrarca oue dice. La bella giouinetta, c’hora è donna. Percioche il Petrar. hebbe riguardo à l’età, & non à l’esser Vergine; perche nella età di trenta anni, ò quaranta non si dirà giouinetta, ma donna, &questo si conosce apertamente dalle rime antedenti, oue egli cosi scrive. Onde s’io ueggio in giovinil figura Incominciarsi il mondo à vestir d’herba Parmi uedere in quella etade acerba la bella giouinetta, c’hora è donna. Et questo basti quanto al nome di Donna. Il secondo nome dal latino deriuato è femina, il cui significato è cosi alto, & nobile, che pochi nomi à questo si possono agguagliare, ò uogliamo, che cosi si chiami à fetu, ò parto, come vuole Isidoro, ò ver che deriui da fos greco, che significa fuoco; percioche nel primo modo la femina dinota produttione, ò generatione, come lasciò scritto Platone nel Chratillo, che è attione dignissima fra tutte le [Page 14 / 3V] operationi de’ uiuenti, che dipende a punto solamente da’ perfetti uiuenti, come sono le donne: se adunque cosi è, come si uede continuamente, come ardirà alcuno di negare, che il nome di femina non sia singolare, & grande? gia che da lei dipende cosi nobile attione, ch’è il generare. Nel secondo modo significa il fuoco tra tutte le cose forsi di questo mondo inferiore, e la piu utile, e bella. Onde uolendo alcuno dimostrare l’agilità, & la prontezza nell’operare, & la nobiltà d’alcuna cosa l’assomiglia al fuoco; essendo egli il piu attiuo fra gli Elementi, & de’misti la perfettione. anzi che molte persone pensorno, che l’anima istessa fosse calore, ò fuoco. Due cose merauigliose si scoprono nel fuoco, il calore, & lo splendore, mirabili eccellenze, che portano tanta utilità à uiuenti. Chi produce, e feconda piu del calore? che cosa piu bella, & utile si troua al mondo della luce? ò che mirabil nome è questo di femina molto piu nobile di quello di Donna; percioche il primo significa signoria, & domini, & questo secondo causa producente, & fuoco, senza il cui calore non è la uita, & leuata la luce si può dire che languirebbe il mondo, ò almeno la natura. O che doti eccellenti, ò che doti rare di tal nome, & io fra me stupisco, come questo nome di femina non sia piu in uso, che quello di donna. ma questo è accaduto per una verta mala consuetudine di parlare: ancor che il Bocca. usi souente questo nome di femina con aggiunto honorato, dicendo femina nobile, & virtuosa, & l’Ariosto parlando di due donne, lequali erano state cagione della morte de duoi ribaldi figliuoli di Marganore dice. Due femine à quel termine l’han spinto. Vsò etiandio la uoce di femina senza tristo aggiunto di Guarini introducendo à parlare il Satiro dicendo. Maledetta Corisca, e quasi dissi Quante femine ha il mondo. E Torquato Tasso nel suo Torrismondo disse, le femine Noruegie. onde si uede che il nome di femina è con buono, & tristo aggiunto si come anco di donna. è il terzo nome Eua uoce antichissima, che dinota uita, dalla quale dipende l’essere di tutte le cose del mondo, & in particolare delle cose animate. anzi che molti uogliono, che il nome di uita solo alle cose animate si conuenga. la qual eccellenza quanto sia nobile, hora non mi estenderò à raccontarlo; dipendendo dalla uita l’essere, & tutte le operationi; & pero con ragione è attribuito questo nome al sesso femminile, si come quello: che dà l’essere, & la uita à maschi. che si puo dir piu? che dar l’essere, & la uita: & però questo nome trapassa gli antecenti, perciche il primodinota signoria, il secondo produttione, &fuoco; ma questo uita, et anima, suprema perfettione di tutte queste cose inferiori. Il quarto nome è Isciah, che significa fuoco, ma molto diverso dal fuoco primiero; perche questo nome dimostra un fuoco celeste, diuino, & incorruttibile, la cui natura è di perfetionare l’anima ne nostri corpi chiusa, di eccitarla, illustrarla, & in somma renderla partecipe di diuina perfettione, allontanandola da ogni bruttezza [Page 15 / 4R] terrena. si vede risplendere questo celeste fuoco nella bellezza del corpo del sesso donnesco, come al suo luogo prouaremo. che si puo dire di questo nome? se non che si come le celesti cose sono piu nobili delle terrene, cosi che questo superi di gran lunga tutti gli altri gia che si rende partecipe di diuina eccellenza. Onde si puo ben chiamare infelice quell’huomo, che si troua hauer priua la casa d’un tal guoco, che lo ecciti, & fuegli à contemplare il Cielo. Il quinto, & ultimo nome è Mulier, uoce latina, che significa molle, & delicato se al corpo il nome applichiamo, ma se all’animo mansueto, & benigno. Onde all’uno, & all’altro modo sempre risulta in lode della donna; percioche le carni morbide, & delicate argomentano, che l’ingegno in quel tale sta piu atto ad intendere, che non farebbe fra carni ruuide, & aspr. Questo insegna Aristotile dicendo Molles carne apti mente. se all’animo, che è piu lodata della mansuetudfine, & clemenza? ma cosi sono unite insieme queste due eccellenze, che importano questo nome Mnlier, che non si può per modo di dire ritrouar l’una senza l’altra, percio che non si vede sotto un molle, & delicato corpo ascosa anima d’horrida fera, ne sotto ruuide, & horride spoglie celarsi un animo benigno, & mansueto. concluderemo adunque da tutte queste cose il nome Mulier non esser molto inferiore à tutti gli altri narrati, ma ancor egli essere di non poco valore, & pregio. sono questi i nomi, con i quali è adornato questo honorato à giuditio mio, si come io ho chiaramente prouato i piu illustri, & singolari nomi, che da bocca humana si potessero esprimere. O che nomi rari, merauigliosi, e degni: gia che dinotano, & significano tutte quelle merauigliose eccellenze che nel mondo si ritrovano, & ritrovar si possono. ceda pur à uoi ogni altro nome, gia che denotate produttione, & generatione; fuoco, & splendor del mondo; anima, & uita; Raggio diuino, & celeste; delicatezza; & clemenza: & finalmente dominio, & signoria. Onde si potrebbe dire ordinando insieme tutti questi nomi, che la donna produca poco cortese maschio, li dia anima, & uita; lo illumini con lo splendor della diuina luce; lo conserui in questa terrena spoglia con il calore, & con la luce; lo renda al contrario delle fiere d’animo affabile, & cortese; & finalmente lo signoreggi con un dolce, & non punto tirannico impero. Dio immortale, che piu chiari nomi adunque si ritrouano al mondo di questi? Che sono tanto nobili, e degni, che con l’istessi à punto io ardisco di dire, che si chiami, & nomi da gli huomini la Divina Prouidenza, essendo detta Vita, producente, fuoco, clemenza, & signore. Et questo uoglio, che basti intorno alla dichiaratione de’ nomi attribuiti al sesso feminile; & alle cagioni me ne passo. [Page 16 / 4V] Delle cause, dalle quali dipendono le Donne Cap. II. DVE sono le cagioni, dalle quali la femina dipende, ma non solamente quella; ma etiandio ogni altra cosa, di che questo nosto mondo è adorno. una delle quali è chiamata causa efficiente, ò producente, & l’altra materiale. se della procreante io parlo, non è dubbio alcuni, che sola cagione, & origine producente è Dio; fossero di una medesima perfettione, percioche dipendono da una istessa causa; ma se piu à dentro andaremo considerando, noi uedremo apertamente, che sono state da una istessa causa generate, ò create, ma con diuersa Idea, però furno dall’eterno fabro prodotte; percioche quella medesima cortese mano creò gli angeli, i cieli, l’huomo, & la rozza, & opaca terra. tutte però cose in perfettione differenti, perche nobilissimi sono gli angeli, men nobili che gli huomini, nobili i Cieli, & ingobilissima per cosi dire la terra. & pur dipendono da uno istesso Creatore, le quali sono & meno pregiate, & piu eccellenti, secondo che da esso Creatore sono state formate, ò per parlar piu particolarmente, secondo che da men nobile, ò piu singolare Idea dipendono. Onde Dante uolendo dimostrare la diuersita de gli effetti della somma bontà disse nel suo Paradiso. La gloria di colui, che’l tutto moue Per l’uniuerso penetra, e risplende In una parte piu, e meno altroue Si scoprono adunque non solamente nelle cose gia dette diuersi gradi di perfettione, ma in tutto quello, che nel mondo si ritroua. come nella diuersita de gli animali, animanti, & misti. tra quali alcuni piu perfetti, & altri meno perfetto sono. tutti però dipendenti da una istessa causa. se adunque così è, come ueramente è; perche non potrà essere la donna piu nobile dell’huomo, auendo ella piu rara, & eccellente Idea del Maschio, come dalla natura sua manifestamente si puo conoscere? della qual nel capo seguente io lungamente trattarò. sono le Idee secondi i Platonici eterni esempi, & imagini delle cose, le quali come in proprio albergo sono nella mente della superna potenza auanti la lor creatione, & pero Leone Hebreo cio considerando chiamò le Idee precognitioni diuine delle cose prodotte; percioche Dio auanti, la creatione delle cose haueua l’imagini nella mente di quello, ch’egli uolea creare. ma io uoglio darui uno esempio, che s’auicini à questa natura dell’Idea, piu però che sia possibile chiaro. Fingiamo adunque, che un Pittore uoglia dipingere la bella Venere, ò che uno Architettore uoglia fabricare un bellissimo palazzio. non è dubbio alcuno, che auanti, che il Pittore incominci à dipingere, & à lineare, haurà [Page 17 / 5R] determinato nella sua mente la spetie della figura, che egli vuol dipingere. & poi incominciarà à porre in luce l’imagine, che nella mente formata hauea, & cosi anco il saggio architettore, quella cosa adunque ò imagine, che hanno nella lor mente, si addimanda Idea, ò essempio della Dea Venere, o del Palaggio, che si ritrova nella mente dell’Artefice inanzi la fabrica, ò la pittura. da questi essempi io credo, che notissimo sia ad ogn’uno, che cosa sia Idea, & anco credo, che farà chiarò ad ogn’uno, che piu nobile sarà l’Idea di un superbo, & ben proportionato Palaggio, che non sarebbe quella di un pouero, & sproportionato tugurio. & cosi di una leggiadrissiima Ninfa, che quella di un rustico, & difforme Satiro. hora applicando l’essempio al proposito mio dico, che piu nobili sono l’Idee, ò imagini, ò essempi delle donne auanti la loro creatione nella diuina mente, che non sono quelli de’maschi; come argomenta la beltà, & bontà loro. pur da ogn’uno conosciuta; percioche non si troua Philosopho, ò Poeta, che non attribuisca quella à loro, & non à maschi. & però affermo, che piu bella, & nobile Idea habbi una donna piu gratiosa, & ornata di beltà, che non ha una men bella, & men uezzosa; percioche anco d’alcuni particolari sono l’Idee, come racconta Marsilio Ficino, & molti sacri Dottori. & manifestamente lo dimostra Luigi Tansillo dottissimo Platonico in una sua canzone dicendo. Tra piu sante Idee, tra le piu belle Che in grembo à la diuina, e prima mente Riberberasse l’eterno lor fatore Splendea la uostra in Ciel non altramente, Che in bel seren la Luna tra le stelle. Dalle quali parole si comprende, ch’etiandio delle donne particolari ui sieno nella mente superna le Idee. cosi lasciò scritto anchora il Petrarca mentre vuol lodar Laura con tai parole. In qual parte del mondo, in qual Idea era l’essempio, onde natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch’ella volse Mostrar qua giù, quanto la su poeta. O come egli spiega dottissimamente la natura dell’Idea. & come ch’ella si troui auanti la cosa creata. manifestò similmente il Bocca. nell’amorosa visione con tai parole questo. Et da cui Idea pigliasse la misura Et cosi bel disegno, e chiara luce Sapria’l mal dir vinto da dubbia cura. Et questo basti intorno alla causa efficiente, ò producente. hora me ne trapasserò alla cagione materiale, della quale è la donna composta. & poco intorno à cio mi affaticherò; percioche essendo la donna fatta dalla costa dell’huomo, & l’huomo di fango, ò loto, sarà certamente piu del [Page 18 / 5V] Maschio eccellente. essendo la costa piu del fango senza comparatione nobile. aggiungiamo, ch’ella fù creata in Paradiso, & l’huomo fuora di quello. che ui pare, non sono le cagioni, dalle quali dipendono le donne piu nobili di quelle de gli huomini? et che questa donnesca natura sia uia piu pregiata, & nobile di quella de’maschi lo dimostra etiandio la sua produttione, percioche essendo la donna dopo l’huomo prodotta è cosa necessaria, che anco piu eccellente di lui ella sia: gia che, come dicono i piu saggi scrittori le soe ultimamente prodotte sono piu nobili delle primiere; parlo di quelle che sotto un medesimo ordine, ò ver spetie si contengono, anzi le prime sono generate per cagion delle ultime, & à quelle indrizzate, & però si potrebbe dire, che l’huomo fosse oltre altri fini dalla diuina Bontà prodotto per generar del corpo suo la donna, ricercando la nobiltà di un tal sesso materia piu degna, che non si ricercò all’huomo nella sua creatione. hor su me ne uoglio passare al terzo ragionamento. Della Natura, & essenza del Donnesco sesso. Cap. III. SONO le donne, si come anco gli huomini, composte di due parti, una delle quali è origine, & principio di tutte le piu nobili operationi, & si chiama da tutti anima: l’altre parte è il corpo caduco, & mortale, & ubbediente à li comandamenti di quella, si come quello che da lei dipende. Se noi la prima parte, ciò è l’anima della donna consideriamo, senza dubbio se con Filosofi noi uogliamo parlare, diremo, ch’è tanto nobile l’anima de’maschi, come quella delle donne; percioche l’una, e l’altra sono d’una medesima spetie & per consequenza della medesima sostanza, & natura: laqual cosa conoscendo Moderata fonte, oue ella mostra, che le donne sono tanto nobili, quanto gli huomini dice nel suo Floridoro. E perche se communne è la natura se non son le sostanze variate? Con quel che segue, uolendo ella mostrare, che si contengono sotto una medesima spetie. ma io gia non assentisco à questo opinione. ma dico, che non è inconueniente, che sotto una medesima spetie sieno anime quanto alla lor creatione piu nobili, & eccellenti dell’altre, come lasciò scritto il Maestro delle sentenze nel lib.2. alla distintione 32. la qual cosa essendo, si come è, io direi che l’anime delle donne fossero nella lor produttione uia piu nobili di quelle de gli huomini; si come da gli effetti, & dalla bellezza del corpo si può vedere. che le anime sieno tra lor diverse lo conoscono etiandio i Poeti inspirati dal furor diuino che loro fa riuelare i piu alti, & reconditi secreti della suprema Bontà, & della natura. la qual cosa mostrò Remigio Fiorentino ne’ suoi sonetti con tai parole. [Page 19 / 6R] Tra le belle alme, ch’à far uiue intese Son di natura le belle opre, e rare A dar vita à le membra e belle, e care De la mia donna la piu bella scese. Che le anime delle donne habbino una eccellenza, che non hanno quelle de gli huomini lo manifesta il Guarino in alcune sue stanze dicendo. Nelle uostre pure alme vn raggio splende Di quel sol, che nel Cielo arde i beati, Onde nasce l’ardor, che da voi scende Ne così in si bel foco ad arder nati. Questo è quel, che u’adorna, e quel ch’eccende, Le fauille d’amor ne’ lumi amati, E questa è la cagion di quei sospiri Ch’esala, gl’amorosi alti desiri. Ma non solamente il Guarino, & Remigio Fiorentino, ma tutti gli altri Poeti sono stati di questa uerità capaci. Come fù Bernardino Tomitano in un suo sonetto, nel quale egli fa manifesto, che dall’eterno Motore sono à noi alcuna uolta concesse creature di anima, & di corpo piu degne, dicendo. Quel che con infinito alto gouerno, E conj immensa prouidenza, & arte Sua mirabil virtute à noi comparte Santo, saggio, diuin Motore eterno Vi diede à questa età, perche l’interno Vostro valor Lucretia in mille carte Per noi rimbombi, e viua à parte, à parte Tutto quel, ch’è di uoi chiaro, e superno. Et anchor à noi lo fece manifesto il Padre angelo Grillo in questi verso. Ahi chi la piu bella alma Dalle piu belle membra à partir sforza. E in un sol lume ogni mio lume ammorza? Ahi del Ciel, di natura ultima possa Sarete adunque voi nud’ombra, & ossa. Possono adunque l’anime del donnesco sesso essere piu nobili, e piu pregiate nella lor creatione di quelle de gl’huomini, nondimeno se noi uorremo ragionare secondo l’opinione piu commune diremo, che tanto sono nobili le anime delle donne, come quelle de gl’huomini. la quale opinione è in tutto falsa, & questo si farà à tutti manifesto, se si considerarà con animo non punto appassionato l’altra parte, ch’è il corpo: percioche dalla eccellenza del corpo si conosce etiandio la nobiltà dell’anima. che il corpo delle donne sia piu nobile, & degno di quello de maschi ce lo dimostra la delicatezza, [Page 20 / 6V] & la propria complessione, ò temperata natura sua, & la belleza: anchor che la bellezza sia una gratia, ò splendore resultante dall’anima, & dal corpo: percioche la beltà senza dubbo è un raggio, & un lume dell’anima, che informa quel corpo, in cui ella si ritroua, si come lasciò scritto il saggio Plotino seguitando però in questo Platone con tali parole. Exemplar pulchritudinis naturali est ratio quaedam in anima pulchrior, à qua profluit pulchritudo. Et Marsilio Ficino nelle sue Epistole cosi dice. Pulchritudo corporis non un vmbra materiae, sed in luce, & gratua formae. Et che la cosa è la forma del corpo, se non l’anima? ma piu chiaramente ci hanno insegnato questa cosa il leggiadrissimi Poeti, che hanno mostrato, che l’anima fuori dal corpo, come fanno i raggi del Sole fuori di un purissimo uetro: & quuando è piu bella la donna, tanto affermano, che l’anima di lei rendi in quel tal corpo gratia, & leggiadria. mostrò questo il Petrarca in mille luoghi & spetialmente parlando de gl’occhi, anzi de’ duoi chiari soli di Madonna Laura dicendo. Gentil donna, i veggio Nel volger de’vostri occhi vn dolce lume, Che mi mostra la via ch’al Ciel conduce Et Francesco Ranieri in un suo sonetto. Se da’ begli occhi vostri in cui si mira Tutto il bel, che può far natura, & arte. Et in un altro dice. Alma leggiadra in sottil velo inuolta’, Che come in vetro chiuso auro splendeui. Et il Tasso ne’ suoi sonetti cosi manifesta questo. Alma leggiadra, il cui splendor traluce Qual sol per nubi dal suo vago velo. Oue quegli mostra, che l’alma risplende fuori per un leggiadro, e ben composto corpo, à quel modo, che fa il sol dalle nubi uelato. è adunque causa, & origine l’anima della beltà del corpo, si come habbiamo dimostrato. ma non solamente è l’anima cagione, ma se andiamo con l’ingegno piu oltre, uederemo che Dio, le Stelle il Cielo, la natura, amore, & gli Elementi sono di lei principio, & fonte. che dipenda dalla superna luce la bellezza nido delle gratie, & de gl’amori, dimostrano i Platonici affermando, ch’ella è una imagine della bellezza diuina dicendo. Pulchritudo externa est diuinae pulchritudinis imago. Et Dionisio Areopagita lasciò scritte queste parole. Per participationem causae primae ombia pulchra sunt pro suo cuique modo. Ma copiosamente à noi scoprì questo Leone Hebreo nel dialogo terzo dell’amore, affermando che la bellezza corporea è un’ombra, & imagine della bellezza incorporea, che risplende ne’ corpi: percioche se questa da i corpi causata fosse, ogni corpo sarebbe bello, che è cosa falsa. Adunque da [Page 21] superiore cagione nasce la beltà, & maestà del corpo. Onde disse Giovanni Guidiccioni. la bella e pura luce che in voi splende Quasi imagin di Dio nel sen mi desta. Onde come buon Platonico domandò la bellezza imagine di Dio, ma più chiaramente dostra Claudio Tolomei, ch’ella sia vna gran parte del la bellezza di Dio con queste parole. De la beltà, che dio larga possiede Si viuo raggio in voi donna riluce Che chi degno di quel vi guarda, uede Il uero fonte del’eterna luce. E fa manifesto, come ben disse Dionisio Areopagita che la somma bellezza si scuopre nelle creature, che ne sono degne, come le donne sono. questo ancor conferma Francesco maria Molza dicendo. Donna nel cui splendor chiaro, e diuino Di piacere a se stesso Dio propose, Alhor che gli Emisperi ambi dispose E quanto hanno d’ornato, e pellegrino. Fu ancho di questa opinione Celio Magno Segretario della Signoria di Vinegia in vn suo sonetto Non creò Dio bellezza, accio che spento Sia’l foco in noi, che per lei desta amore Et in vna Canzone lodando le bellezza dell’amata donna, ma in particolar de gli occhi dice. Son gli altri uostri honori Miracol di natura Questo par che da Dio proprio dicenda. Cosi etiandio disse Remigio Fiorentino ne suoi sonetti in questo modo. Donna l’imagin son di quel sereno, Di quel bel, di quel vago, e quel diuino, Che sol s’infonde in noi per sua bontade. Questo dimostra ancor Bernardo Rota dicendo. Se dell’occhio del Ciel l’alma gran luce Quale al rio, tale al buon gioua, e risplende, Donna gentil, s’in voi sola riluce Tutto il bel, che in se Dio vede, e possiede. Et il Guarino nel suo Pastor fido dice. O donna, ò don le Cielo, anzi pur di colui Che’l tuo leggiadro velo Fe d’ambo creator piu bel di lui. [Page 22] In somma non è scritto Platonico, ò Poeta, che non affermi, che da Dio dipendi la beltà, si come mostra il Petrar. nella canzone, che incomincia. Poi che per mio destino, con queste parole. Poi che Dio, e natura, & amor volse Locar compitamente ogni uirtute In quei bei lumi, on’io gioioso viuo. E adunque primiera, & principal cagione la bellezza diuina della beltà donnesca, doppo la quale ui concorrono le stelle, il Cielo, la natura, amore, e gli Elementi. come ben disse il Petrarca parlando di maddona Laura Le astelle, il Cielo, e gli Elementi à proua Tutte lor arti, & ogni estrema cura Poser nel viuo lume, in cui natura Si specchia, e’l sol ch’altroue par non troua. Che’l cielo questa bellezza produca, in mille luoghi lo dimostra: & similmente il Bembo dicendo. Mostrommi entro à lo spatio d’un bel volto, E sotto un ragionar cortese umile Per farmi ogn’altro caro essere à vile Amor quanto può darne il Ciel raccolto. Che le stelle di ciò sieno cagione, lasciò scritto il Petrarca in una sua canzone. Il dì che costei nacque eran le stelle, Che producon fra noi felici effetti In luochi altì, & eletti L’una uer l’altra con amor couerse. Et il Tansillo in una sua conzone, che incomincia. Amor che alberghi, e uiui entro al mio petto, scopre il medesimo dicendo. Ma quando mi conduce La mente à penetrar l’alta uirtude, Che la bella alma chiude Parmi allor, che la bocca, e gl’occhi, e’l riso E i membri in Paradiso Fatti per man de gl’angeli, e di Dio Sien la minor cagion dell’ardor mio Chi potria mai narrar l’alte infinite Gratie del Ciel, ch’è larga man ui denno Alma real tutti i migliot pianeti? Venere la beltà, Mercurio il senno, E le parole, ch’a l’inferno vdite Quei c’han pena maggior farien piu lieti. Che la Natura ui concorra lo dimostra il Petrarca in questo sonetto. [Page 23] In qual parte del Cielo in qual Idea Era l’essempio, onde Natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch’ella volse Mostrar qua giù quanto la su potea. Et finalmente, che Amore sia origine, & principio della bellezza lo manifesta l’istesso autore in questo sonetto dicendo. Onde tolse amor l’oro, e di qual uena Per far due treccie bionde; e’n quali spine Colse le rose, e’n qual piaggia le brine Tenere, e fresche; e die lor polso, e lena? Onde le perle, in ch’ei frange, & affrena Dolci parola honeste, & pellegrine? Onde tante bellezze, e si diuine Di quella fronte piu, che’l Cielo serena? Da quali angeli mosse, e da qual spera Quel celeste cantar, che mi disface Si che m’auanza homai da disfar poco? Di qual sol nacque l’alma luce, altera Di que’ belli occhi, ond’io ho guerra, e pace, Che mi cuocono il core in giaccio, e’n foco? A cagionar adunque questo riccho theforo, & pregio della bellezza si ricercano tutte le parti del mondo piu eccellenti, & nobili, come Dio, Stelle, Natura, Elementi, & Amore, che è un ministro, che piglia da i corpi misti, & da gli altri ogni forte di perfetione, & eccellenza. Onde il Tasso ne’ suoi sonetti conclude, che nella bellezza ui sia tutto il ben del mondo con tai parole. Bella Signora nel tuo vago volto Si uede lo splendor del Paradiso Si che qual’hora il mio pensier u’affiso Parmi uedere il ben tutto raccolto. Se le donne adunque sono piu belle de gli huomini, che il piu sono rozzi, & mal composti si uedono, chi negarà giamai, che quelle non sieno piu singolari de’maschi? niuno à giudicio mio. Onde si può dire, che la bellezza nella donna sia un meraviglioso spettacolo, & un miracolo riguardeuole, che mai non sia à pieno honorato, & inchinato da alcuno. ma uoglio che passiamo piu inanazi, & che mostriamo, che gli huomini sono obligati, & sforzati di amar le donne, & che le donne non sono tenute a riamarli, se non per semplice cortesia: & oltre a questo, uoglio, che dimostriamo, che la beltà delle donne sia cagione che gli huomini, che temperati sono, s’inalzino per mezzo di quella alla cognitione, & contemplatione della diuina Essenza. da queste cose tutte saranno pur uinti, & superati gli ostinati Tiranni delle donne, i quali ogni giorno piu insolentemente calpestano le dignità loro: che la piaceuolezza, & leggiadria de delicati [Page 24] uolti sforzi, & costringa à lor dispetto ad amar le donne, è cosa chiarissima, & però questo à me sara leggerissima impresa, percioche se il bello è di sua natura amabile ò uer degno di essere amato, come racconta Marsilio Ficino nel conuiuio di Platone con tai parole. Pulchritudo est quidam splendor humanus ad se rapiens animam, & amabilis sua natura. sarà necessitato l’huomo ad amar le cose belle: me che piu belle cose ornano il mondo delle donne? niuna in uero, niuna, come ben dicono tutti questi nostri contrarii, che affermano lampeggiar ne’ lor leggiadri uolti la gratia, e lo splendor del paradiso, & da questa beltà sono sforzati ad amar quelle, ma non gia elle sono tenute ad amar gli huomini: perche il men bello, ò il bruto non è per sua natura degno di essere amato. ma brutti sono tutti gli huomini à comparatione dico delle donne. non sono adunque quelli degni di essere rianimati da loro. se non per la sua cortese, & benigna natura; alle quali tal hora par discortesia à non amar qualche poco l’huomo amante. Cessino adunque le querele, i lamenti, i sospiri, & le esclamationi de gli huomini, che uogliono al dispetto del mondoessere riamati dalle donne chiamandole crudeli, ingrati, & empie: cosa da mouer le risa, delle quali cose si ueggono pieni tutti i libri Poetici. Che la beltà delle donne guidi alla cognitione di Dio, & delle superne intelligenza, & dimostri la uia di andare al Cielo, manifesta il Petrarca dicendo, che nel moto de gli occhi di madonna Laura uedeua un lume, che li mostraua la uia del Cielo, & poi soggiunge. E per lungo costume Dentro la doue sol con amor seggio Quasi visibilmente il cor traluce, Questa è la uista, ch’a l ben far m’induce E che mi scorge à glorioso fine: Questa sola dal uolgo m’allontana Et piu sotto. Io penso se la suso Onde il motore eterno delle stelle Degnò mostrar del suo lauoro in terra Son l’altr opre si belle, Aprasi la prigione, ou’io son chiuso. Dalle quali parole si comprende che diceva il Petrarca tra se, se questa unica bellezza, ch’io scopro ne sfavillanti, & gratiosi lumi di madonna Laura è tanto degna, & riguardeuole, che deue poi essere quella che è in Cielo? onde ciò considerando, egli desiaua la morte. Et in un suo sonetto ringratia la fortuna, ò Dio, che lo ha fatto deglio di ueder Laura, per mezzo della quale egli s’inuia al sommo bene dicendo. [Page 25] Da lei ci nien l’amoroso pensiero Che mentre il segui al sommo ben t’inuia Poco prezzando quel, ch’ognun’huom desia Da lei vien l’animosa leggiadria Che’al Ciel ti scorge per destro sentiero. Et in un altro. Lei ne ringratiò, e’l suo alto consiglio Che co’l bel viso, co’i soaui sdegni Fecemi ardendo pensar mia salute. Et poco dopo dice. Quel sol, che mi mostraua il camin destro Di gire al Ciel con gloriosi passi. Et Dante in una sua ballata, dice, che guardando il uiso à Madonna douenirà beato à guisa d’angelo, che in Dio mira. Poi che fatiar non posso gli occhi miei Di guardare à Madonna il suo bel uiso Mirerol tanto fiso, Ch’io diuerrò beato lei guardando A guisa d’angel, che di sua natura Stando su in altura Diuien beato sol vedendo Dio: Cosi essendo humana creatura Guardando la figura Di questa donna, che tene il cor mio Potria beato diuenir qui io. Et il Caro parlando con amore in una sua canzone dice. Chi ne guida qua giù, chi n’erge al Cielo Poi ch’ambi i nostri poli Atra nebbia c’inuoli Con queste scorte amor di zelo, in zelo. D’una in altra chiarezza Ne conduce à mirar l’eterno sole Cosi mortal bellezza Che da lui uiene, à lui par che ci deste: Cosi lume celeste Che di la su deriua, qui sì cole Hor chi s’inalza, e chi d’alto ci scorge Se’l nostro amato sol lume non porge. Et in un sonetto dice. Ben veggio come spira, e come luce Che con la rimembranza, e col desio [Page 26] De suoi begli ochi, e del suo dolce riso Il mio pensier tanto alto si conduce Che le s’appressa, e scorge nel bel viso La chiarezza de gli angeli, e di Dio. Et Bernardo Tasso fa vna canzone intiera dimostrando, che la bellezza è vna scala da girare al Cielo, & poi soggiunge. O nobil Dnnna, ò mio lucente sole Scala da gir al Ciel salda, e sicura, Sol de la vita mia dolce sostegno: Per altro non vi di è l’alma natura Rare virtù, bellezze vniche, e sole Se non per arricchire il mondo indegno E mostrarne vn disegno Della bellezza angelica, e diuina Et il Molza ne suoi sonetti mostra il simile, & il Guiccioni in vn suo bellissimo sonetto dice l’istesso. ma io ve ne porterò solamente tre rime E’l fa perche la mente oltre passando D’una in altra sembianza à Dio s’unisca Non gia per van desio com’altri crede. Et qual è quello, cosi rozzo Poeta, che non facci apertissimo, che la beltà è vna via, & vna strada, che ci guida à dritto camino a contemplar la diuina Sapienza? Se però sarà guardata, come bisogna, con dritto occhio lontano da pensiero lasciui; & vani. come lasciò scritto il Petrarca. Da volar sopra il Ciel gli hauea dat’ali Per le cose mortali Che son scala al fattor, chi ben l’estima. Ma non solamente io la chiamarei scala, ma io credo, chella sia l’aurea catena d’Homera, la quql può sempre alzar le menti in Dio, & ella per niuna cagione può essere tirata in terra; per cio che la bellezza non essendo cosa terrena, ma diuina, & celeste, sempre alza in Dio, da cui deriua; onde sono a nostro proposito questi versi del Petrarca D’una in l’altra bellezza M’alzò mirando la cagion primiera. Che cosi vuol dire, io ascendo di bellezza, in bellezza, cioè di anello in anello, & mi fermo nella cagione primiera. il primo anello di questa nostra dorata catena, che scendendo dal Cielo, rapisce’ dolcemente le anime nostre, sarà la corporal bellezza, la quale mirata, & considerata con la mente per lo mezo de gli occhi esteriori, gode, & in lei mediocremente si diletta. ma poi vinta da somma dolcezza salisce al secondo anello, & mira, & vagheggia con gli occhi interni l’anima, che adorna di celesti eccellenze, informa, il bel corpo. ma non si fermando in questa seconda bellezza, ò anello, auida, & desiderosa di più viua beltà, quasi amorosa fiamma salisce al terzo anello & s’inalza al cielo, & quiui contempla gli angelici spirti [Page 27] & a l’ultimo questa mente contemplante si affisa al gran Sole de gli angeli; e come a quello, che sostiene la catena: onde l’anima in lui godendo si fa felice, & beata. per hora non voglio dire altro di questa catena, ma forsi col tempo farò più lungo discorso. io vedo di hauere chiaramente mostrato, che la beltà d’un leggiadro volto, accompagnato da gratiosi sembianti guida ogn’huomo nella cognitione del suo fattore: ò che dono, ò che doti, ò che eccellenze sono queste delle donne; poi che con la lor bellezza ponno alzare le menti degli huomini in Dio. Chi potrà mai a pieno lodarti ricchissimo thesoro del mondo tutto? io confesso, che s’io hauessi tante lingue, quante foglie vestono gli arbori nella ridente primavera, ouero quanta arena è nella sterile e infeconda Libia, io non potrei incominciar a dar principio alle tue lodi; pericoche non solamentte la beltà inalza in Dio le fredde menti, ma rende il più ostinato, e crudo cuore humile, & mansueto. che piu? ò merauiglia, il rozzo orna di piacevoli costumi, il sciocco rende prudente; & saggio, & in somma tutti i Poeti hanno poetato mossi dalla beltà donnesca: onde il Petrarca nella Canzone, che incomincia, Quel antico mio dolce empio Signore, dimostra ch’ella fù cagione di ogni sua virtù dicendo Salito in qual che fama Solo per me che’l tuo intelletto alzai Ou’alzato per se non fora mai Percioche per lodar le diuine bellezze di madonna Laura compose il suo poema tanto dal mondo stimato. che se ella non l’hauesse con la sua bellezza spinto a tanto honore, sarebbe statim come dice amore nell’istessa Canzone. C’hor saria forse vn roco Mormorator de corti, vn huom del vulgo Et speron Speroni confessa, che i Poeti hanno dalle donne la voce, & l’intelletto dicendo Ch’io vi veda adunar la bella schiera Di tutte queste amate Diue Che danno a poetar cove e’ntelletto Et l’istesso hanno fatto gli altri poeti, i quali erano tenuti a lodar, & inchinar le Donnesca beltà: & però viuono, anchor che morti. in somma un bel volto ha vinto i più superbi, & orgogliosi Regi del mondo, & i più scientiati, e ornati di lettere, che habbino insegnato le cagioni delle cose. Onde il Tasso disse nel Torrismondo queste parole dimostrando la maestà, & grandezza di questo dono. Questa bellezza Proprio ben, propria dote, e proprio dono E’ dele donne ò figlia, e propria laude E agguagliamo, anzi vinciam con questa Ricchi, saggi, facondi, industri, e forti [Page 28] E vittorie, e trionfi, e spoglie, e Palme Le nostre sono, e son piu care, e belle E maggiori di quelle, onde si vanta L’huom che di sangue è tinto, e d’ira colmo. O come egli ha mostrato in queste poche parole le meravigliose operationi della bellezza, che ha domato non solo l’alterezza de gli huomini, ma anco de gli Dei. io vorrei pur alzarti, & lodarti, ma mi mancano le parole, & quanto più spiego l’ali de i miei troppo arditi pensieri, tanto più ve ne restano: onde io dirò col Petrarca. Tacer non posso, e temo non adopre Contrario effetto la mia lingua al core, Che vorria far honore A la sua donna, che dal Ciel n’ascolta Come poss’io, se non minsegna amore Con parole mortali agguagliar l’opre Diuine. Et ben posso dire, ch’io scemo sue lodi parlando. onde è meglio ch’io taccia, & ch’io l’inchini, & trà mè stessa stupida la vagheggi, & l’adori come dice il medesimo. L’adoro, e inchino come cosa tanta. Concluderemo adunque, che le donne essendo più belle, sieno più nobili de gli huomini per diuerse ragioni: prima perche in vn fiorito, & delicato volto si scorge la potenza del suo fattore, & quanto ha di bello il Paradiso. oltre ciò inalza le menti nella diuina Bontà. è ella per sua natura amabile, & allettatrice d’ogni cuore, ancor che rigido, & aspro. & finalmente è il bello ornato, & pieno di bontà essendo la bellezza vn raggio, & vno splendore della bontà, come dice Marsilio Ficino. Omne enim pulchrum est ponum. & cosi dice Speusippo & Plotino. & cosa chiara appresso d’ognuno, che vna pessima anima non habita in vn gratioso, & leggiadro corpo. & lo confermano etiandio gli scrittori sacri. onde la natura consocendo la perfettione del sesso femenile produce piu copia di donne, che di huomini, come quella che sempre ò per il piu genera in tutte le cose, quello che è megliore, & piu perfetto. & però mi pare, che Aristotile contra ogni ragione, & etiandio contra la propria opinione, laqual è, che la natura operi ò sempre, ò per il più cose piu perfette, uoglia che le donne sieno imperfette in comparatione de maschi: anzi io direi che producendo la natura minor numero di maschi, che di donne, che gli huomini siano men nobili delle donne, non desiderando la natura di generarne grande, & copiosa quantità. & questo basti della singular natura del sesso femenile. [Page 29] Delle Nobili attioni, & Virtù delle Donne, le quali quelle de gli huomini di gran lunga superano come con ragioni, & essempi si pruova. Cap. IIII Poco honore a me risulterà nel prouare con ragioni, & essempi, che’l donnesco sesso sia nelle sue attioni, & operationi piu singulare, & eccellente del maschio. dico, che poco honore acquisterò: pericoche il prouarlo sarà piu facile, che non sarebbe a manifestar, che’l sole è il piu lucido corpo del mondo, ò che la dilettosa primauera sia Madre delle frondi, & de’ fiori. tuttavia per seguirar l’ordine gia da me incominciato, & insieme per dar lume a certi non dirò huomini, ma piu tosto ombre d’huomini; acciocche lascino la pessima ostinatione loro, rauuedendosi del loro errore, porterò in questo capo per ciò prouare inuincibili ragioni, & ne gli altri me ne discenderò agli essempi delle donne dignissime di Poema chiarissimo, & d’Historia. Dico adunque che le operationi di tutta la spetie humana dipendono ò dall’anima, ò dal corpo, ò da tutti dui questi principii vniti insieme. & etiandio afferma, che quanto piu tutte queste cose saranno perfette, tanto piu nobili, & singolari dipenderanno da lor le attioni. credo, che tutte queste suppositioni sieno verissime. non è vero ò huomini? & chi lo potrebbe negare? adunque io sarò vincitrice: percioche le donne hanno piu nobili anime, & piu eccellenti corpi. onde piu nobile è tutto il composto; si come si vede nello splendore della bellezza. che in esse si contengono tutti questi doni, ho prouato chiaramente nel capitolo antecedente. adunque da loro risultaranno piu pregiate attioni che da gli huomini. ma è cosa necessaria, ch’io alquanto mi diffondi intorno alla natura del corpo; percioche dalla sua temperatura dipendono quasi tutti i vitii, & diffetti, lasciandosi la ragione ben spesso, benche patrona, abbagliare, & acciecare da sensi. & perche credete voi, che alcuni sieno instabili, altri mangiatori, & crapuloni, altri viui, & audaci, altri sfrenati, & dati in tutto alla concupiscenza, & a’ piaceri. io credo, si come affermano tutti gli scrittori, che raccontano i costumi delle genti, & come per esperienza si vede, che i paesi, oue nascono, & la temperatura de’ corpi ne sia origina, & cagione: percioche vn corpo temperato, come è quello delle donne, è molto atto alle operationi moderate dell’anima. cosa che non è nella calda temperatura, come dimostraremo al luogo suo. che le donne sieno di tal natura, argomentano le carni morbide, & delicate, & il colore candido col vermiglio misto, & per finirla tutta la compositione del corpo di gentilezza, e virtù è proprio albergo, ma se con queste doti, & merauiglie a loro dalla natura date s’essercitassero nelle scienze, & nell’arte militare, come fanno tutto il giorni i maschi, farebbono a loro incarcar le ciglia, & rimanere stupidi & ammirati. & però l’Ariosto conoscendo questo disse. [Page 30] Tanto il lor nome forgeria, che forse Viril fama a tal grado vnqua non sorse. Ma non accadea, che vimettesse quel forse; pericoche sicuramente sarebbono vincitrici in ogni honorata, & egreggia attione. mostra però l’istesso autore della prima stanza del canto. 37. che sono siuscite felicissime in quelle opere, alle quali si sono poste. dicendo Se come in acquistar qualch’altro dono che senza industria non può dar natura Affatichacate notte, e di si sono Con somma diligenza, e lunga cura Le valorosoe donne, e se con buono Successo, n’è vscit’opra non oscura. Et nel Canto 20. si legge Le donne son venute in eccellenza Di ciascun’arte, oue hanno posto cura, E qualunque a l’Historie habbia auuertenza Ne sente ancor la fama non oscura Et Moderata Fonte, che in qualche parte conobbe la eccellenza di vn tanto sesso lasciò scritto tali parole Sempre s’è visto, e vede pur ch’alcuna Donna u’habbia uoluto il pensier porre Ne la militia riuscir piu d’una E’l pregio, e’l grido a molti huomini torre: E cosi nelle lettere, e in ciascuna Impresa, che l’huom prattica, e discorre Le donne si buon frutto han fatto, e fanno Che gli huomini a inuidiar punto non hanno. Ma poche sono quelle, che dieno opera a gli studii, overo all’arte milare in questi nostri tempi; percioche gli huomini a guisa d’insolenti tiranni prohibiscono loro questo; temendo di non perdere le signorie, & di diuenir serui delle donne, & però vietano a quelle ben spesso ancho il saper leggere, & scrivere. Onde dice quel buon compagno d’Aristotile: debbono in tutto, e per tutto vbbedire a’ maschi, ne cercar quello, che si facci fuori di casa. Opinione sioccha, & sentenza cruda, & empia di huomo Tiranno, & pauroso. ma voglio che lo scusiamo; percioche essendo egli huomo, era cosa conueniente, che desiderasse la grandezza, & superiorità de gli huomini, & non delle donne. Ma Platone quel grande, huomo in vero giustissimo, & lontano dalla Signoria Sforzata, & violente, voleua, & ordinaua, che le donne si essercitassero nell’arte militare, nel caualcare, nel gioccare alla lotta, & in somma, che andassero a consigliare ne’ bisogni della Repubblica. & che questo sia il vero, cosi si legge nel libro delle leggi al Dialogo.7. Femineum genus eruditioni, & aliorum studiorum societate cum uirili [Page 31] uitili [sic] genere habere debet. & nel libro della Republica al settimo Dialogo cosi scrive. Feminae non minus, vt uiri in Repubblica uirtutum ornandae, ut quae praestantes natura sunt principatum gerant equaliter cum uiris. O quante ne sarebbono, che con piu prudenza, essempio di vita, & ingiustitia gouernarebbono gli imperii, & meglio, che non fanno molti, e molti huomini. Ma non solamente fù Platone di questa opinione il saggio; ma molti, & molti altri innanzi di lui, come Licurgo. onde gli dice nel libro delle leggi al Dialogo settomo. Feminis non minus quàm uiris decoram esse equestrem disciplinam, & gymnasticam ex veteribus narrationibus persuasus sum. Delle quali parole si vede, che inanzi la venuta di Platone in molti luoghi le donne si essercitauano dell’arte militare. & poco dopo afferma essere opinione scioccha quella de’ tempi suoi, laquale non permetteva alle donne le medesime cose. che quelli antichi lor imponeuano. & però dice. Stolidissimè omnium nuuc in regionibus nostris censeo fieri, quod non omni robore vno consensu mulieres, ac viri eadem studia tractent. O dio volesse, che a questi nostri tempi fosse lecito alle donne l’esercitarsi nelle armi, & nelle lettere. che si vederebbono cose merauigliose, & non piu vdite nel conseruare i regni, & nell’ampliarli. & chi sarebbe piu pronto di fare scudo con l’intrepido petto in diffesa della Patria delle donne? & con quanta prontezza, & ardore si vederebbono versare il sangue, & la vita insieme in diffesa de maschi. sono adunque, come ho prouato le donne piu nobile nelle operationi, che gli huomini non sono. & se non si adoprano questo , auuiene; perche non si essercitano, essendo ciò a loro da gli huomini vietato spinti da una loro ostinata ingoranza persuadendosi che le donne non sieno buone da imparare quelle cose, che imparano i maschi. io vorrei, che questi tali facessero vna esperienza tale, che essercitassero vn putto, & vna fanciulla d’una medesima, & ambiduoi di buona natura, & ingegno nelle lettere, & nelle armi che vederebbono in quanto minor tempo piu peritamente sarebbe instrutta la fanciulla del fanciullo. & anzi lo uincerebbe di gran lunga, laqual cosa lasciò scritto Moderata Fonte nel suo Floridoro, ma ben è vero, che ella si contentò, che diuenissero eguali dicendo. Se quando nasce una figliola al Padre, La ponesse col figlio a un opra eguale Non saria ne le imprese alte, e leggiadre Al frate inferior, ne disiguale; O la ponesse fra l’armate squadre Seco, ò a imparare qualche arte liberale; Ma perche in altri affar viene alleuata, Per l’education poco è stimata. [Page 32] Il non essercitarsi adunque è cagione, che non si vedono tutto il giorno i fatti memorabili, & Heroici delle donne: si come anco non si vedono quelli di molti huomini per questa istessa cagione. Horsu voglio discendere a gli essempi de’ quali voglio essere breue per diuerse cagioni. prima percioche ho fuggita la fatica di voler leggere tutte l’Historie, la secondo; perche in dui mesi, che tanti sono a punto come fa fede il ciotti, non ho potuto andare a parte, a parte osseuando i detti de’ famosi Historici. & finalmente percioche gli scrittori essendo huomini invidiosi delle belle opere delle donne, non hanno raccontate le loro egreggie attioni, ma lasciate sotto silenti, laqual cosa manifestò il diuino, & veridico Ariosto nel Canto. 37. in questo modo. E che per se medesime potuto Hauessin dar memoria a le lor lode Non mendicar da gli scrittori aiuto A i quali astio, & inuidia il cor si rose. Che’l ben, che ne pon dir spesso è taciuto, E’l mal quanto ne fan, per tutto s’ode: Tanto il lor nome sorgeria che forse Viril fama a tal grado vnqua non sorse. Non basta a molti di prestarsi l’opra, E fal l’un l’altro glorioso al mondo Ch’anco studian di far, che si discopra Ciò, che le donne hanno fra lor d’immondo: Non le vorrian lasciar venir discopra E quanto pon fan per cacciarle al fondo Dico gli antichi, quasi l’honor debbia D’esse, il loro oscurar, come il sol nebbia. Ma non hebbem, e non ha mano, ne lingua Formando in voce, ò descriuendo in carte, Quantunque il mal quanto può accresca, e impingua E minuendo il ben va con ogni arte Poter però, che non ne resti parte Ma non gia tal, ch’appresso al segno giunga Ne ch’anco se li accosti di gran lunga. E di fedeli, e caste, e saggie, e forti State ne son. non pur in Grecia, e in Roma, Ma in ogni parte, oue fra gl’Indi, e gli Orti De l’Hesperide il Sol spiega la chioma, De le quai sono i pregi o gli honor morti Si ch’a pena di mille una si noma E questo; pervhe hauuto hanno a lor tempi I scrittori bugiardi, inuidi, & empi. [Page 33] Che vi pare fratelli, ma iniqui fratelli, gia che non volete scoprir le opere buone del donnesco sesso tanto degno, & eccellente. & quel che è peggio, andate sempre ritrouando qualche noua inuentione per vituperarlo. Accio che resti conculato, & sepolto: & pur le vostre madri erano donne. & ardite di biasimarle? cosa inhumana. Che a guisa di nouelli Neroni vogliate dar morte alla materna fama: ma in darno vi affaticate: percioche la verità, che risplende in queste mie mal vergate carte le inalzerà a vostro mal grado fino al Cielo. Parlo hora di quelli huomini, che non conoscono la eccellenza delle donne; percioche non mancano, ne sono mancati (ben è vero= in gran quantità, scrittori, che priui d’inuidia hanno celebrato il sesso femenile con ogni lor potere, anzi che hanno riputato quegli huomini essere priui d’ingegno, & di humanità, che hanno offeso le donne, ò con mano, ò con lingua. Come fù Catone il grande, ilquale riputaua coloro, che offendeuano la moglie peggiori di quelli, che hauesser rubbato nel tempio, & offeso li Dei. & riputaua degno di assai maggior lode colui che si portaua da buon marito, che chi era grande in Senato. questo racconta Plutarco nella sua vita. Conosceua adunque egli, che l’huomo deue amar la donna piu della sua vita, & tenerla per la sua nobiltà fra le cose piu care, & honorate, & questo dimostra etiandio Orsato Giustiniano Senator Veneto in vn sonetto, ch’egli compose in lode della sua fidissima, castissima, & meritatamente da lui amata consorte. il quale è questo. Ben ha di ferro il petto, e’l cor di sasso. Chi puo’ lontan da fida sposa, e cara Menar uita giamai tranquilla, e chiara; O senz’alto dolor pur mouer passo. Prouolo in me, che mentre hor l’hore passo Lungi in me, che mentre hor l’hore passo Lungi da tè mia speme, unica, e rara; Pace non trouo: e m’è la uita amara; D’ogni ben rimanendo igniudo, a casso. Et in un altro sonetto, mostrò, come ella è un tranquillo porto nelle sue fortune dicendo. Benigno il Cielo a tuoi preghi risponda Cara moglie: e in fauor ti sien li Dei. Poi che nelle fortune ogn’hor mi fei Tranquillo porto, e dolce aura feconda. Si che questi tali hanno conosciuto le doti Illustri, & chiare delle donne., Ma bastino questi duoi per hora; percioche, s’io volesi raccontare tutti quelli, ch’hanno lodate quelle (& a ragione), lunghissimo tempo io consumarei. & non descenderei a gli essempi, i quali saranno da me diuisi in vndeci capi più, che sarà possibile, breui. [Page 34] Delle donne scientiate, & di molte arti ornate. Cap. Primo. Credono alcuni poco pratici dell’Historie, che non vi sieno state, & siano donne nelle scienze perite, et dotte. & questo appresso loro pare impossibile, ne si possono ciò dare ad intendere, anchor che lo vedano & odono tutto il giorno; persuadendosi che Giue habbia dato l’ingegno, & l’intelletto a maschi solamente, lasciandone le donne ancorche della medesima spetie priue. Ma se quelle hanno la medesima anima ragioneuola, che ha l’huomo, che di sopra ho mostrato chiaramente, & anco piu nobile; perche ancho piu perfettamente non possono imparare le medesime arti, & scieze le quali imparano gli huomini? anzi quelle poche, che alle dottrine attendono, diuengono tanto delle scienze ornate, che gli huomini le inuidiano, & le odiano come sogliono odiare i minori i maggiori; & per non perdere il tempo intorno a quello, che ne’ capi precedenti ho prouato, me ne discenderò a molti essempi, & la prima sarà Amficlea, laquale, Porfirio nella vita di Plotino, molto celebra. & dice, ch’ella essendo stata discepola di Plotino, fece nella filosofia merauigliosa riuscita. scrive ancho Decearcho, che due potentissime donne abbandonorno le ricchezze per poter meglio seguire la dottrina del dotto Platone. Nicaula Regina d’Egitto era dottissima, & per imparare vn dubbio d’alcune cose difficili, & oscure andò a ritrovare il Re Salomone, tanto in lei fù acceso il desio dell’intendere le cose secrete. Batista dignissima moglia del Duca d’Vrbino fù eccellentisima nel comporre orationi, & Epistole, & andò a Roma, & orò nella presenza di Papa Pio Secondo, non senza stupore, & e meraviglia d’ogn’uno, & costei col suo gran giudicio resse con somma lode lo stato molti anni. Ma che diremo di Aspasia, che fu tanto dotta ne gli studii filosofici, che fù degna maestra di quel gran Pericle, che parlando folgoraua, & tuonaua? Che di Assiotea, laqual discepola di esso Platone, e fece grandissimo profitto ne gli studii della filosofia. Ond’ella è posta fra le donne Illustri, & segnalate. Doue rime Cleubolina? che fù figliola di vno de’ sette sapienti della Grecia, che è sommamente lodata da Suida, da athenco, & da alcuni altri grandi Autori per le opere belle, ch’ella lasciò scritte. Doue Barsane? che fù moglie di Alessandro Macedone, che compose in lode di Nettuno bellissimi Hinni. Doue Cornelia moglie dell’Africano, & madre [Page 35] de Gracchi? che lascioò scritte Epistole piene di somma dottrina. Onde Quintiliano dice. Nam Gracchorum eloquentiae (inquit) multum contulisse accepimus Corneliam matrem, cuius doctissimus sermo in posteros quoque est epistolis traditus. Leontia giouinetta Greca fù molto chiara nelle filososfiche discipline, & non dubitò con sua gran laude di scriuere contra Theoophrasto filosofo lodatissimo. Dottissima fù Dafne figliuola di Tirescial, laqual compose molti libri di poesia, delli cui versi si seruì Homero nel suo dotto Poema, come afferma Diodoro Siculo. Damone figliola di Pitagora fece cosi gran frutto nella filosofia, che il suo proprio Padre le deidcò alcuni suoi commentarii, & doppo la morte di lui successe per publico lettore nella schuola. Dottissima etiandio fù Demofila nella poesia, laquale compose alcuni Poemi amorosi, & alcuni altri in lode della casta Diana. Ne merita silentio Femonoea, che fù tanto illusre, & famosa nelle lettere, che meritò che Eusebio Cesariense, Lucano, Statio Plinio, Strabone, 6 altri facessero di lei mentione ne’ libri loro; & antistene dice, che ella lasciò scritto quel gran detto, come di lui inuentrice, Nosce te ipsum: Zenobia Reina de Palmereni, come scriue Pollio trebellio fù dottissima in tutte le lingue, scrisse l’Epitome, & ridusse in compendio l’Historie delle cose Alessandrine. Hidelgao d’Alemagna non scrisse molto dottamente quattro libri delle cose naturali? Elena Flaua Augusta figliola di Celio Re di Bretagna non scrisse vn libro della diuina prouidentia? & vn altro della immportalità dell’anima, & molti altri libri ch’io per breuità tralasciò? Vna nobile Bresciana detta Laura scrisse molte eleganti epistole a Frate Geronimo savonarola. Ne voglio che rimanga a dietro Aganice, che Plutarco celebra monto nel libro delli precetti connubiali: perche haueua singular cognitione nella scienza d’Astronomia. Ma doue rimane Delbora? che hebbe tanta cognitione delle sacre lettere? Doue Caterina consorte di Enrico Ottauo Re d’Inghilterra? laqual compose vn libro di Meditationi sopra i Salmi. Doye Anita? che lasciò scritto nobilissimi poemi come scrive Tutiano nel libro contra le genti. Doue Aretafila? che fù moglie di Nicostrato Tiranno di Cirene, per cagione della sua eloquenza. Doue Brigida Santa? che lasciò scritto vn libro delle sue reuelationi. Doue Santa Caterina da Siena le cui lettere & dialogi dimostrano di quanto sapere fosse dotata, oltre che orò appresso Gregorio vndecimo, & Vrbano sesto sommi Pontefici facondissimamente. Doue Erinna Teia? la quel hebbe tanta dolcezza, & maestà ne’ suo versi, che di età di tredici anni fù pari al grande Homero, come scriue Plinio, Stobeo, & Eusebio. oda molto Santo Geronimo nelle sue Epistole Eustochio, & Fabiola per cognitione delle sacre lettere. Theana fù eccellentissima ne’ versi Lirici, & una altra Theana di Metaponto, ouero [Page 36] Cresa scrisse il commentario della uirtù della filosofia, & molti preclari Poemi. Hipatia Alessandrina, la moglie d’Isidoro filosofo fece alcuni commentarii d’Astronomia. Heptachia figliuola di Teone gran Geometra diuenne tanto grande e gli studii di filosofia, che successe à Pltoino, & nella istessa scola, & catedra lesse. & come scriue Suidia su dotta nella scienza d’Astronomia, & fece professione in pubblico di molte altre scientie, & haueua grandissima quantità di scolari alle sue lettioni. Lambe non fu inuentrice del uerso nominato Iambico? Diotima fù nelle filosofiche discipline tanto eprita, che Socrate non si arrossì a chiamarla maestra, & andua alle sue dotte lettioni come dice Platone nel Simp. Laura Veronese figliuola di Nicolò compose cose mirabili, fece uersi saphici, scrisse Epistole, & orationi in lingua Greca, & Latina; oue rimane la gloria della poesia cioè Sapho, Lesbia; laquale fiorì à i tempi di Alceo, & di Stesichore Poeti. costei scrisse xi. libri lirirci, oltre quel d’Epigramici, elegie & i Iambi. & fu inuentrice del uerso Saphico; prendendo il nome di lei & tanto dolcemente & si copiosamente cantò, che i Cieli ne presero stupore. Onde si può dire in gloria sua quei bellissim uersi delle Meditationi intitolate de Christi cruciatibus di Fabio Pulini Lettor Publico della Signoria di Venetia. Copia Nestorei, cui cedat gloria mellis Cedat, & ipse pater linus, concedat, & Orpheus Et qui Thebanas cantanto condidid arces. Parua loquor, caeli hunc, & sidera saepe loquentem Obstupuere, suum mira dulcedine captus Sol tenuit cursum, tenuerunt Flamina uenti, Nec uaga precipites agitarunt flumina cursus. Saepius immotis uolucris supe aere pennis. Substitit, Che diremo noi del grande ingegno, & della profonda memoria della Damigella Triultia? miracolo di natura, laqual recitmolte uolte orationi fatta da lei alla presenza di Pontefici in lingua Latina. imparò lettere Greche, & quando sentiua recitare vna oratione da alcuno, benche una sola uolta, la sappeva tutta a mente a parola, per parola. & leggendo una uolata, ò due un libro lo sappeua recitar tutto. Margherita sorella del Re di Francia moglie del Re di Nauarra fù dottissima nelle sacre lettere. Marta Proba Regina de’ Brittani in tutte l’arti liberali fù peritissima. Pinthi compose vn libro della temperanza delle donne. Polla argentaria moglie di Lucano fù eccellentissima nel comporre versi, & finì con somma elegantia i versi incominciati dal marito. Temistoclea insegnò molte cose ingegnosissime a Pitagora, suo fratello, come scrive Aristoxeno. Theselide donna Argiua [Page 37] fù molto dotta nella Poesia. Cassandra fedele etiandio dottissima era, disputò publicamente in Padoa, & scrisse uno elegante libro nell’ordine delle scienze. Et faceua bellissimi uersi Lirici. degno di gran merauiglia fu il profondo sapere di Lucretia da Este Duchessa d’Vrbino nella Filosofia, & nella Poesia. La qual cosa si può vedere in un sonetto, che à lei fece Giulio Camillo. Ben uoi, uoi sola con l’eccelsa mente Alle cagion passando in ogni cosa, Leuate alla natura i suoi secreti. E stando Apollo e le sue muse intente Al vostro fotto, stil, già gloriosa Auanzate i Filosofi, e i Poeti. Solipatra fù indovina, & adorna di molte scienze, onde credeuano le gente, che qualche Dio le fosse stato maestro. Anastagia discepola di Chrisostomo, scrisse molte Epistole degne di laude. Passilla nel comporre epigrammi pochi auanzorno, come testificano molti scrittori, che di lei honoratamente parlorno. Praxilla fù Poetessa di Scitione, la quale ne suoi uersi fa, che sia interogato Adonide nell’inferno quel,à che hauea lasxiato al mondo di bello, & di degno, egli rispose il sole, i cucumeri, & i pomi. Disse il sole, non perche li paresse bello, ma perche col suo dolce calore maturiua i pomi, & i cucumeri. Corinna Thebana fù una altra Corinna, laquale al tempo di Ouidio fù gran Poetessa. Non uoglio, che addietro rimagna Cornificia, la qual scrisse elegantissimi epigrammi, & altre belle opere. Ne Giouanna d’Anglia uoglio, che sotto silentio rimagna, che tanto dotta era nelle Sacre lettere, che non u’era in Roma alcuno homo, che l’agguagliasse. Ne rimanerà à dietro Lastrenia Mantinea, & Ariothea Phlisia, le quali uestite da huomo seguiuano Platone, & andauano ad udirlo come scriue Plutarco. Piena di Filosoficha dottrina era Thargelia, come l’istesso Autore nella uita di Pericle. Veronica da Gambara era dottissima nella Poesia, come si può uedere anchora ne’ suoi scritti, & ciò mostra l’Ariosto in questi uersi dicendo. Veronica da Gambara è con loro Si grata a phebo, e al Santo Aonio choro Et Vittoria Colonna fù dottissima, & compose molti sonetti bellissimi. Però dice l’Ariosto di lei. Questa una ha non pure se fatta immortale Col dolce stil di che’l miglior non odo, Ma puo qualunque di cui parli, ò scriua Trar del sepolcro, e far ch’eterno viua. Le Sibille furno donne dottissimi, & piene di spirto profetico, le quali [Page 38] fecero i libri, che si chiamauano Sibillini, ch’erano tenuti in sommo pregio, & riuerenza. La prima nacque in Persia, & è detta Persica, di lei ne racconta quel Nicanore, che scrisse l’historie di Alessandro Magno. La seconda fù di Libia, & è detta Libica da Euripide celebrata. La terza in Delfo, & è detta Delfica. La quarta fù da Cuma d’Italia, & è detta Cumana. La quinta fù Eritrea, che predisse la ruina di Troia, & Apollodoro di Eritre si vanta ch’ella fosse della sua Patria. La sesta fù da Samo, & perciò è detta Samia, & vogliono, che costei al tempo di romulo dosse. La settima Amaltea. L’ottaua fù l’Ellespondia, laqual nacque su quel di Troia al tempo di ciro. Di lei racconta eraclito Pontico. La nona fù di Frigia. La decima Tiburtina. Cosi chiamata per essere nata a Tiburo. et come dice Lattantio tutte queste donne profetarono molte cose. Ma spetialmente della incarnatione del Verbo eterno: ma lasciamo queste dotte Sibille, & raccontiamo di Isota Nouarella Veronese, laquale di filosofiche dottrine era adorna, faceua vita filosofica contentandosi di poco. Scrisse a Nicolao Pontefice, & a Pio. Sempre si conseruò vergine. Cassandra figliuola di Priamo fù illustre per dottrina & per il vaticinio molto chiara. Non voglio, che rimanga sotto silentio Claudia consorte di Statio Papinio, che per le sue molte scienze diede merauiglia all’età sua. Ne Istrinia Regina de’ Scithu, la qual era nella lingua Greca peritissima, & insegnà a Sile suo figliolo, come scriue Herodoto. Ne Elisabeta Abbatessa di Alemagna, laqual scrisse molte belle, & eleganti oration alle sorelle de’ suoi conuenti, & altre opere degne di laude. Ne Dama figliuola di Pitagora nella filosofia dotta. Ne Mirte Autedonia, laquale fù maestra di Pindaro Poeta chiarissumo. Ne Rossuita Monaca di Sassonia, che molti libri lasciò in prosa, & in verso. Hidria fù donna di tanto alto sapere, che non bastò l’animo ad ercole à far resistenza, & contradire alle sue dotte, & subite risposte. Onde il diuin Platone in vn suo Dialogo la celebra altamente. Hilda Erenica lasciò scritto molte pie Meditationi, & scrisse vn libro contra Agilberto Parisino Vescouo de Sassonii. Hildegarde Vergine che fu della Città di Magontia, molti libri compose. Onde Santo Bernardo, che ne’ suoi tempo viuea le scrisse molte Epistole. Caterina Vergine figliuola di Costo Re di Alessandria disputò con dottissimi filosofi, che la persuadeuano alla Idolatria. & ella con viuacissime ragioni lor tirò alla fede di Christo essendo perita nelle filosofiche scienze allequali attese & come dice Marco Filippi detto il Funesto nella vita di lei volendo mostrare quello ch’essendo pargoletta imparasse, lasciando da parte la tela, & l’ago. Ma le scienze, che tanto alto vanno E portan seco i sensi agri, e terrestri, Che poi rinchiusi nel corporeo uelo Sappiamo come stia la terra, e’l Cielo. [Page 39] Constantia moglie di Alessandro Sforza è celebrata fra le chiarissime donne, & essendo fanciulletta diede opera a buoni studii come alla filosofia, & Poesia. Costei è fatta chiara, & celebre da Politiano. Minerua figliuola di Gioue per niuna altra causa è posta fra il numero de Dei, se non per le buone arti, delle quali ella è stata inuentrice. Onde per la sua Dottrina fù chiamata Dea della sapientia, scientia, prudenza, studio, maturità, senno, legge, & d’ogni virtù, onde Athene madre de studii ha preso il nome da lei; perche Athene significa Minerua. Le noue Muse non sono elle altro che noue giouinette, come dice Diodoro Siculo in ogni sorte di discliplina eccellentissime, & specialmente nell’arte del cantare. Clio fù delle Satire inuentrice. euterpe trouò le tibie. Lalia è Dea delle commedie. Melpomene mise in vso le Tragedie. Polinnia è sopra i gesti bellici, & trouò la Thetorica. Inuentrice fù della Geometria erato. Tersicore è la Dea de Poemi. Calliope fù ritrouatrice delle lettere, & tutte queste giouinette furno dottissime nelle cose da loro inuentate. scriue Clemente alessandrino, che fù una Artemisia tanto dotta nella dialettica, che dialettica si nominaua. Et Amalasunta Regina, fu molto erudita nelle lettere Greche. Celebrano Clemente, & Didimo ambedui Alessandrini Anassandra; perche hebbe mirabile cognitione dell’arte della pittura. Di molte altre potrei dire, che mi Laura Terracina dottissima nell’arte della Poesia, & di geneura Veronese, laquale fu chiarissima nelle Epistole: & di Manto fgliola di Tiresia, & di molte altre,c he per breuità tralascio. Ma da queste poche, che ho scritte, poche a comparatione delle molte ch’io lascio, ciascun potrà conoscere, quanto profitto habbino fatto le donne ne gli studii, & in tutto quello in che si hanno essercitate. Delle Donne Temperate, & continenti. Capit. II. Sono chiamati quegli huomini continenti, & temperati, che si oppongono con la ragione a’ diletti, & a’ piaceri, & a’ piaceri de’ sensi, & in particolare si come habbiamo, da Aristotile, sel senso del gusto, & del tatto: & quali sieno i continenti ce lo insegna nell’Ethica al cap. 14. dicendo. Temperatus est, qui absentia voluptatem non dolet, & presentibus se abstinet: ma se per auuentura egli desidera tali piaceri, vsa vna certa mediocrità & si serue di tempo, e di modo, & di tutte le circostanze conuenienti. Et però lasciò scritto Aristotile nel medesimo luogo queste parole. Cupit mediocriter ea, & sicur decet, & ea tantummodo [Page 40] iucunda quae uel ad sanitatem, uel ad bonam habitudinem faciunt: recta enim ration sic praescribit. Et però diffinendo la temperantia disse, ch’ella è vna mediocrità intorno a’ piaceri del gusto, & del tatto. Diffinitione anche di Speusippo, ilquale dice. Temperantia est moderatio animi circa naturales concupiscentias. Ouero come dice Claudiano. Temperies, vt casta petas. Et Cicerone nel quarto delle Tuscolane. Temperantia sedat omnes appetitiones, & efficit, vt recte haec rationi pareant. Et però fù da lui chiamata moderatrice di tutti gli empiti della concupiscenza: & anchor che sia ad ogn’uno cosa notissima, che le donne sono continenti, & temperate; perche non si vede, è legge, che si vbbriachino, & stieno nelle Tauerne tutto il giorno, come fanno gli vitiosi maschi, ne meno che sfrenatamente si dieno ad altri piaceri, anzi in tutte le cose sono moderate, & piu tosto parchissime. Nondimento voglio porre dinanzi a gli occhi de’ lettori non pochi essempi, & il primo sarà quelle di Zenobia Reina de Palmereni, laquale dopo la morte del suo marito Odenato resse connmolta laude l’Imperio de l’Oriente: nelle guerre mostrò valore di nobilissimo Capitano, & di prode guerriero. Era ornata di una gran bellezza, era giouine, & pudicissima, & mai non piegò l’animo a lasciuie , & a vanità, & quello che le diede gran lode fu la costanza, & fermezza di animo. Fece molte guerre, & a l’ultimo con Aureliano, & per quanto alla virtù humana s’appartiene vincitrice, era Zenobia, & quelli di Aureliano andauano in fuga: Ma intanto che fuggiuano, lor apparue vn Dio, & lor diede animo. Onde essendo essi poi ritornati in battaglia, furno vincitori, & cosi non per il proprio valore vinsero la fortissima donna, ma per l’aiuto di quel Nume, che loro apparue. Mentre ella regnò, pochissimi haueuano ardire di prendere l’armi contra lei, & però il Petrarca dice di lei ragionando. Zenobia del suo honore assai piu scarsa Bella era nell’età fiorita, e fresca Quanto in piu giouentute, e’n bellezza Tanto par c’honestà sua laude accresca. Nel cor femmineo fù tanta fermezza, Che col bel viso, e con l’armata coma Fece temer chi per natura sprezza: Io parlo de l’Imperio alto di Roma. & cet. Non voglio, che il silentio inuoli la memoria di Soffronia nobilissima matrona Romana, laquale mentre, che Massentio era Imperator da lui fù molto sollicitata volendo godere di lei, & talmente era astretta, che s’ella di suo volere non consentiua a Massentio chiaramente vedeua, che le sarebbe stato fatto violenza. Costei raccontò al marito tutta la cosa, & perche consentiua il marito a questa dishonestà ò per paura, ò per viltà d’animo, ella conoscendo la volontà del marito, si adornò di gioie, et d’oro, & accompagnata [Page 41] da una fante entrò nella camera dello Imperatore; dove poi che con lungha oratione si scusò uerso Dio; perche ella inanzi il giorno ordinato da lui usciua di questa uita, prese un coltello e si uccise per non macchiare di alcuna macchia il corpo, ò l’animo suo pudico. E che diremo noi di Lucretia Romana chiarissimo essempio di honestà? la quale essendo uiolata da Sesto Tarquinio figliuolo del Re, & non potendo sopportar tanta infamia conuocò Spurio Lucretio Padre suo: & il marito: il padre menò seco Publio Valeria, & il marito Lucio Iunio Bruto, à cui Lucretia narrò tutto il fatto; & benche da i suoi fosse consolata, dimostrandole, che doue non hauea consentita la uolontà, non poteua essere peccato; nientedimeno col coltello, il quale per questo hauea occultato sotto la ueste si amazzò, dicendo che non uoleua che da lei alcuna Romana prendesse cattiuo essempio, & cosi finì la uita, la piu casta donna, che fosse al mondo, & però dice il Petrarca nel trionfo della castità. Ma d’alquante dirò, che’n su la cima Son di vera honestate, in frà le quali Lucretia da man destra era la prima. Monima Milesia fù tanto amica dell’honestà, che mai si uolse pieghare à voleri di Mitridate Re de gl’Armeni per gran copia d’oro, che li fosse offerto da lui. Essendo stata gettata à terra Thebe, il crudel Nicanore fù preso d’amore di una uergine Thebana, credendosi ch’ella douesse gloriarsi di un tale amante, & hauer di gratia à farli piacere; nondimeno poi che lungo tempo ebbe con preghi, & con minaggie tentato; & non hauendo operato nulla; dubitando la Vergine che non le fosse fatto oltraggio, si uccise per conseruarsi intatta. non merita silentio la castissima Penelope moglie d’Ulisse, da Homero nell’Odissea per tale hauuta, & come egli ne dice era molto da Proci molestata, perche tutti à gara la uoleuano per moglie, essa rifiutando ogn’un di loro uiueua casta, & pudica aspettando il suo marito Ulisse: & però Homero sempre quando la noma le dà questa aggiunto ò di casta, ò di prudente, ò di saggia, come la saggia Penelope; cotei l’aspettò uenti anni, non sapendo oue fosse, & però il Petrarcala pone nel triompho della castità dicendo. L’altra Penelope queste gli strali Et la pharetra, e l’arco hanno spezzato A quel proteruo, e spennacchiate l’ali. Et l’Ariosto considerando di quanto conto sia l’honestà dice. Sol perche casta visse Penelope non fù minor d’Ulisse. Grande fù la pudicitia di quelle cinquanta Vergini Spartane; perche; perche essendo elle per cagion d’alcune feste uenute alla Città de Messiniile tentorno d’amore, & le pudiche donzelle per fuggire la lor uiolenza, & preponendo l’honestà alla uita si amazzorno da lor medesime. Ma che diremo [Page 42] noi della Regina Didone, alla quale essendo stato ucciso dal fratello Pigmalione Sicheo suo carissimo marito? & uiuendo in continua doglia con grand’odio uerso il fratello, quando ella si avide, ch’egli cercaua anco di far morir lei, fingendo che le fosse cessato il dolore, & l’odio che hauea uerso il fratello, secretamente si mise in punto per douer fuggire, & per far la fuga più sicura, finse di uolere andare dal fratello, ma prima hauea fatto à molti principali huomini intendere il suo disegno, & furno molti quelli, che fuggirno con lei: percicoche odiauano il Tiranno, & doppo molto nauigare Didone giunse in Africa, doue edificò Cartagine, & con molta piaceuolezza attrasse à conuersar seco i paesani, & riempì in breue la Città di popolo: tante genti da ogni parte ui concorreuano, che gran piacere ne sentiua la regina co’ suoi. Onde Iarba Re di Mauritania, che uedeua cosi bene le cose de Tirii andare innanzi, & hauea gia hauuto nuiua della molta bellezza di Didone, fece uenire in Mauritania dieci de’ principali di Cartagine; &impose loro, che oprassero di sorte con la lor regina, che fosse sua moglie, altrimenti minacciaua loro una cruda guerra. costoro, che sapeuano quanto fosse lungi da questo pensiero Didone, erano dolenti, ma quando giunsero in Cartagine fecero intendere à lei come Iarba la uoleua, & chiedeua per moglie, altrimenti una crudele guerra aspettasse; quando ella udì questo, ne senti un graue affanno, & cominciò lagrimando à chiamare il suo caro Sicheo; & poi uolgendosi a i suoi disse, che andarebbe doue il suo destino, & quello della sua Città la chiama, tolto quattro mesi di tempo fece alzare una pora nell’ultima parte della città, come uolse placare l’anima di Sicheo prima, che andasse al nuouo sposo: quiui ella fece ammazzare molte vittime, & montata sopra la pira con una spada ignuda in mano, disse di uolere andare a trouare il marito, come promesso hauea, & cosi in presenza di tutto il popolo ammazzò se stessa, & fù mentre durò Cartagine adorata per Dea, & questa ueramente è stato un chiarissimo specchio di honestà, & di fedeltà: benche Vergilio finga, che si uccidesse per amore di Enea, la qual cosa è falsa; & il petrarca biasma una tal opinione dicendo. Taccia il vulgo ignorante, i dicò Dido Cui studio d’honestade à morte spinse, Non quel d’Enea, com’è publico grido. Ma doue rimane Verginia figliuola di Verginio Romano, ma plebeo? costui haueua promessa la figliuola à Itilio Lucillo; essendo egli in campo insieme con gli altri Romani: Claudio il quale era uno de’ dieci, che ministrauano quasi mezzo il dominio di Roma, tentò piu uolte con lusinghe & con doni di guidare Verginia à fare quanto à lui piaceua, le quali cose furno uane; perche ella non acconsentiua à suoi uoleri, essendo saggia, & casta, quanto imaginar si possi. hauendo ueduto il buon Appio Claudio che non potea fare cosa alcuna, si accordò con un suo liberto huomo audacissimo, che douesse rapire la fanciulla, mentre andaua per la uia, come fuggitiua [Page 43] serua, & cosi presa, la menasse al tribunale, ch’egli la giudicasse. Et fece il liberto quanto Appio Clandio li hauea comandato, & un giorno ritrouando Verginia la pigliò, & ella diffendendosi, & diffendendola le donne che erano seco, in questo mezo ui corse il popolo, & fra gli altri il marito; intesa adunque la difensione fù annuntiata al Giudice, il quale disse di uolere dar la sentenza il giorno dietro; intanto Verginio intesa la nouella, subito venne à Roma; ma non venne cosi presto, che prima Claudio non hauesse dato la sentenza, che Virginia fosse serua di quel liberto. laqual cosa sentendo il Padre della fanciulla, pregò Claudio, che lo lasciasse parlare alla figliuola, & alla nutrice in presenza del popolo. acconsentì il perverso Giudice alla domanda, & egli tirata da parte Verginia, disse. figliuola mia per questa sola uia che m’è concessa ti ritorno nella tua libertà, & preso un coltello alla presenza del Giudice le diede nel petto, il quale essa intrepida, & generosa offriua alla percossa volontariamente: & conosciuta la iniquità di Claudio fù preso, e messo in prigione, oue morì miseramente. Mi souiene di Orithia figliuola di Erichtheo Re di Atene, che fù una di quelle Amazoni, questa fù somamente lodata per sua castità; perche sempre si serbò uergine. Le figliuole di Aristotimo Tiranno di Edile piu tosto che essere uiolate, s’impiccorno; essempio ueramente di una uera honestà. Ma Iudit oue rimane, castissima, e bellissima donna? la qual tronchò il capo ad Oloferne Capitano di Nabucodonosor con il suo ualore, & però di lei dice il Petrarca nell’trionfo della castità. Iudit Hebrea la saggia, casta, e forte Mi souiene etiandio d’Isabella che si fece tagliar la testa hauendosi bagnata col succho di herbe, & questo fù uerissimo in Brasilla da Durazzo per conseruar la sua honestà; & l’Ariosto tolse l’essempio, ma in cortesia si potea imaginar la piu bella inuentione per conseruarsi castà contra il sfrenato Rodomonte di quella, che trouo questo essempio di castità dandoli ad intendere, che quel liquor d’herbe, bagnandosi tre uolte, indurasse cosi fortemente il corpo, che l’assicuraua dal fuoco, & dal ferro, & hauendo cotte le herbe bagnossi il candido collo, & il seno, & al feroce, & incauto Rodomonte porse il collo come dice l’Ariosto nel can. 29. accioche lo troncasse dal busto, con tai parole. Bagnossi, come disse, e lietà porse All’incauto pagano il collo igniudo, Incauto, e uinto anco dal uino forse Incontro à cui non ual elmo, ne scudo Quel’huom bestial le prestò fede, e scorse Sì con la mano, & si col ferro crudo, Che del bel capo già d’amore albergo Fe troncho rimanere il petto, e’l tergo. [Page 44] Quel fe tre salti e funne udita chiara Voce, ch’uscendo nominò Zerbino, Per cui seguire ella trouò si rara Via da fuggir di man del Saracino. Alma c’hauesti piu la fede cara, E’l nome quasi ignioto, e peregrino Al nostro tempo, e della castitade Che la tua uita, e la tua uerde etade. Cosa ueramente degna di eterna memoria. Sulpitia, come dice Tito Liuio fù castissima: era Patricia figliola di Sulpitio, & moglie di Quinto Flauio Flacco. eressè il tempio alla Dea Venere; accioche riuolgesse gli animi lasciui alle honestà, & virtù, & la chiamorno Verticordia, come dice Plinio; costei non fù di men famoso grido di castità che fosse Lucretia; & però dice il Petrarca. Cosi giungemo alla Città soprana Nel tempio pria; che dedicò Sulpitia Per spegner della mente fiamma insana Et che diremo noi della pudicissima Principessa di Tarento, laquale era stata promessa à Corsamonte, et essendo presa da Goti; Corsamonte per liberarla fù per inganno di Burgenzo ucciso, & ella, benche la pregasse Bellisario, non uolse piu marito, ma si fece chiudere in una picciola cameretta appreso la tomba di Corsamonte per conseruar la sua uerginità, come il Trissino nel libro 23. la fa rispondere à Bellisario, che le uoleua ritrouare un altro sposo di età conforme à quella di Corsamonte in questo modo. Deh lasciate Signor, ch’io mi rinchiuda In uno scuro, e lucido sacello, Oscuro al mondo, e lucido alla vita. Oue la mia verginità si serui Intatta, e purghi quei pensieri inulti Ch’eran già nel mio cor d’hauer marito. Diana fù tanta casta, che fu chiamata Dea della castità, & fuggendo gl’huomini, si essercitaua nelle caccie. Sempre era in compagnia di Vergini Ninfe, & essendo un giorno in un chiarissimo fiume, ò fonte con le altre Ninfe, souragiunse Ateone & mirò Diana, & ella tingendosi di honesto colore, come dice Ouidio nel terzo libro, delle Metamorphosi con questi versi. Qui color infectis aduersi solis ab ictu Nubibus esse solet, aut purpureae Aurorae Is fuit in vultu visae sine veste Dianae Lo spruzzò conl’acqua, & lo fece diventare un ceruo. Aretusa Ninpha figlia di Nereo, & di Doride compagna di Diana un giorno per rinfrescarsi, si bagnò nel fiume Alpheo, il quale corre per l’Arcadia, subito [Page 45] Alfeo Dio di quel fiume fù preso d’amore, & la uolse prendere, essa ch’era uergine casta lo fuggì, & corse tanto, che per il molto sudore, si liquefece, & trasformosi in un fonte. Come la fa dire Ouidio nel libro quinto. Occupat obsessos sudor mihi frigidus artus: Ceruleaeque cadunt toto de corpore guttae, Quaque pedem moui, manat locus: eque capillis Ros cadit: & citius, quam nunc tibi fata renarro, In latices mutor. I quali uersi tradotti in uolgar lingua da Fabio Maretti tali sono. Un gelido sudore in ogni parte Mie membra assediate intorno oppresse E par, che’l corpo mio tutto si stille E’n terra caggian le cerulee stile: E doue mossi il piè’l sito ho bagnato E / rugiada cadea dal crine sciolto E ratto piu, ch’io non ti narro il fatto In acque tutta mi disfaccio, e uolto. A questo mi souiene della Ninfa Siringa famosa fra le Amadriadi laquale per amore della tanto da lei amata honestà, & uerginità sprezzò i Satiri, & quanti Dei, che habitauano nelle selue. Pan Dio un giorno la uide, & la desiderò hauer per moglie: ella sprezzandolo fuggì, & pregò le caste sorelle, che la cangiasser in qualche nuoua forma per fuggire il Dio, & mutossi in canne Palustri, come dice Ouidio nel lib.I. Panaque, cum prensam sibi iam Siringa putaret: Corpore pro Nymphae calamos tenuisse pallustres. Daphne imitatrice di Diana sempre uisse casta, & godeua delle caccie, & domandò al padre gratia di conseruar perpetua uerginità, come dice Ouidio. Da mihi perpetua genitor carissime dixit, Virginitate frui: dedit hoc pater ante Dianae. Et Appollo essendosi inamorato di lei, la seguì, & fuggiua ella, laqual doppo molto correre giunse al fiume Peneo, & lo pregò a torle quella bellezza, & si trasformò in un Lauro, che sempre si mantiene uerde come dice il medesimo. Vix prece finita torpor grauis occupat artus, Mollia cinguntur tenui precordia libro In frondem crines, in ramos brachia crescunt Pes modo tam velox pigris radicibus heret Ora cacumen habent, remanet nitor unus in illa. Ma che diremo noi delle donzelle Lacedemonie? delle Spartane? delle Milesie, & delle Thebane? Che apprezzorno piu il fregio della santa pudicittà, che i regni, & la propria uita. che delle Tedesche? le quali disfor- [Page 46] mando le faccie, & molte annegandosi conseuorno le loro persone caste, & senza machia. Ma doue rimene Hersilia, & le altre Sabine? Questa essendo stata con le altre compagne rubata da’ Romani uisse castissima sicome tutte le altre con i lor mariti, fedelissime, come scriuono tutti i scrittori delle Romane Historie; però il Petrarca le pone nel trionpho della castità dicendo. Poi vidi Ersilia con le sue Sabine Schiera, che del suo nome empie ogni libro Non uoglio, che rimagna à dietro Claudia Vergine Vestale, della quale molto dubitauano, ch’ella non fosse, come era casta; per che andaua ornata; ma udite, come si scoprì la sua incorrotta castità. Essendo menata di Frigia à Roma la gran Madre Terra, come fù la naue nella foce del Tebro, oue era andata quasi tutta Roma ad incontrarla si fermò, ne fù possibile mouerla di quel luogo, ben che molti si sforzassero tirarla su per il fiume: all’hora Claudia prostrata su la riua del fiume, e stendendo le mani giunte uerso la Dea, tu sai disse alma Dea, che io son tenuta poco pudica dalla mia Città Roma, se cosi è ti prego mostrane segno, che condannata da te, che sai l’intimo del cor mio, mi confesserò degna della morte; ma se altramente sono, tu che casta sei, & pura, dando à questo popolo fede de l’integrità mia segui la mia pudica mano, & ciò detto diede di piglio ad una picciola fune, e tirò la naue à suo piacere, mostrando la Dea di seguirla uolontieri, con gran merauiglia di chi la uide: segno certissimo della sua pudicitia. Ma non cede à questa quell’altra Vergine uestale, quale, mentre nel tempio i giudici disputauano di lei, essendo stata accusata falsamente, se ne uenne al tempio con un Criuello pieno di acqua del Tebro senza caderne fuori pur una picciola goccia, & cosi cauò dalle menti de’ Giudici ogni sospetto, & però dice il Petrarca nel trionfo della castita di lei queste parole. Fra l’altre la Vestal uergine pia Che baldanzosamente corse al Tibro Et per purgarsi d’ogni colpa ria. Portò dal fiume al tempio acqua col cribro. O quanto cara fù la verginità a Mica Eliense, che essendo uenuta nelle mani di Lucio soldato d’Aristone, non uolle mai né per proferte, né per minaccie fare il suo piacere; benche il Padre proprio la pregasse molto, che compiacer li douesse; ella ferma nella sua casta uolontà ingenocchiata à i suoi piedi lo pregaua à non le lasciar far quello oltraggio, ma il giouine sfrenato la battè crudelmente nelle braccia paterne; & poi li tronchò il capo. Laura come dice il Petrarca era donna castissima, & oltre che in tutto il suo libro la celebra per tale, la pone nel Trionfo della castità dicendo. Passò qui cose gloriose, e magne Ch’io vidi, & dir non oso à la mia donna Vengo, & à l’altre sue minor compagne [Page 47] Ell’hauea in dosso il dì candida gonna, Lo scudo in man, che mal uide Medusa D’un bel Diaspro era iui vna Colonna Alla qual d’una in mezo Lethe infusa Catena di Diamanti, e di Topatio Che al mondo fra le donne hoggi non s’usa. Legare il vidi, & farne questo stratio Che bastò bene à mille altre uendette, Et io per me ne fui conteuto [contento], e satio. Et la fa uestita di biancho per mostrare la sua pura honestà. era etiandio Fiordiligi casta, & fedele moglie di Brandimarte, la quale, dopò [sic!] che le fu ucciso Brandimarte, fece farsi una cella nel sepolcro di lui, & sempre uisse pudicamente, come dice l’Ariosto nel canto 43. in questo modo. E uedendo le lagrime indefesse, Et ostinati uscir sempre i sospriri; Ne per far sempre dire offici, e messe Mai satisfar potendo à i suoi desiri; Di non partirsi quindi in cor si messe Fin che dal corpo l’anima non spiri, E nel sepolcro fe far vna cella E ui si chiuse, fe sua vita in quella. Et benche fosse pregata da Orlando, mai fù possibile leuarla di quel luogo. Ma doue rimane Rosmonda creduta figliuola del Re de Gothi? La regina de’quali la pregaua à ornarsi, accioche il Re Germondo di Suetia la pigliasse per moglie, mostrandole quanta gran cosa sia l’esser regina di genti magnanime: & ella disprezzando le grandezze di questa uita, & solamente amando la castità, cosi le risponde come dice il Tasso nel suo Torrismondo. Madro io no’l vò negar, ne l’alta mente Questo pensiero è gia risposto, e fisso Di viuer vita solitaria, e sciolta In casta libertade, e’l caro pregio Di mia virginità serbarmi integro Piu stimo, che acquistar corone, e scettri. Non uoglio, che Enone Ninfa casta, & pudica resti fuori di questa honorata compagnia. Essendo ella stata tolta per moglie da Paride figliuolo di Priamo, & poi lasciata da lui, sempre uisse pudica. Verginia figliuola di aulo patricio moglie di Lucio Volumnio Console huomo Plebeio eresse un tempio alla pudicitia, il qual tempio era fatto delle case, oue essa habitaua, & inuitando le matrone le confortaua, che la medesima gara, che fra gli huomini è della uirtù, fosse fra le matrone di castità, & pudicitia; & questa Verginia fù honesta quanto imaginar si possi, come dice Tito Livio. [Page 48] Delle donne forti, & intrepide. Cap. III. E’ LA fortezza una costanza di animo, che si oppone à tutte quelle cose, che sogliono apportare lo spauento di morte per fine di honore, ò di uirtù. cosi la descrisse Speusippo dicendo. est fortitudo animi costatia [constantia] adversus ea, quae terrere solent uirtutis gratia. Questa diffinitione diede anchora Arist. nel lib. 3. dell’Ethica al cap.6 non teme adunque il forte le cose terribili, & horribili, che ritrouar si possino, come è la morte; ma però non la desidera, dellaqual niuna cosa è al mondo più spauenteuole. Mors enim maximè omnium terribilis est rerum. Come nel medesimo luogo si legge. hauendo però sempre per proprio fine l’honore. Onde disse Aristo. Quae Mors in pulcherrinis rebus contingit, cuiusmodi sunt, quae in bello oppetuntur in maximo silicet & pulcherimo periculo, his consentiunt etiam honores, qui & à ciuitatibus, & à regibus instituti sunt. Elegge adunque di morire il forte; percioché la cosa ha fine honoreuole, & non facendo questo in uergogna, & in biasmo li risultarebbe. Onde soggiunge. Et ea de causa, uia honestum est eligit, & sustinet; uel quia id non facere turpe est. magis enim timet turpitudinem uir fortis, quam mortem. Et però si può con ragione dire, che l’huomo forte non può essere misero come dice Seneca. Quemcunque fortem uideris, miserum neges. Ma ueniamo à gli essempi di quelle donne, che disprezzando la propria uita hanno operato cose grandi, & marauigliose con non poca inuidia de gli huomini & non poca uergogna loro, & come dice Aristotile hanno eletto di mettersi ad ogni, pericolo; percioche il fine era honesto, & buono. saranno le prime fra le altre honorate donne quelle di Curzola essempio recente, & nuouo, le quali disprezzando la propria uita si opposero alla formidabile armata di Selim Imperatore de Turchi, che uoleua prendere Curzola. queste essendosi uestite tutte di ferro con gli elmi in testa, con picche dando fuoco alle artegliarie, & inuitando quelle, che uenute non erano al combattere con suon di Tamburi, & di trombe, fecero si che Vluzali Capitan de Turchi lasciò con poco suo honore la tentata impresa. che dite di queste fortissime, & intrepide donne, che ad onta del Capitano, de soldati, & de gli huomini, iquali come fuggiti, saluorno la patria? A queste gloriose donne, non cede Martia Bronchia, che armatasi con le armi del marito, ilquale pien di paura se ne era fuggito, combattendo alle mura di Pisa, & passando tra nemici tanto potè, che liberò la patria. Onde il popolo liberato le fece una statua in segno di honore. poneremo anchora [Page 49] fra questa intrepida Schiera di ben nate donne la Madre d’Ircano, la quale essendo stata presa da’nemici, & tormentata alla presenza dell’figliuolo da Tolomeo; accioche Ircano leuasse l’assedio, essa benche fosse vecchia, sopportaua i tormenti, & con voce altissima pregaua il figliuolo à combattere, & non lasciar l’impresa, segno veramente di un animo forte. Non lasciaremo sotto silentio la madre di Cleomene Re de’ Spartani, la quale essendo data à Tolomeo per ostaggio, mostrando di volere mantener la fede con lui, cioè di non far pace co i nemici senza il suo consenso, & perche hauea inteso la Madre di Cleomene, che i nemici li offeriuano la pace con honorate conditioni, gli scrisse, che à patto veruno non volesse perdere quella pace per saluare il corpo di una vecchia, essendo quella pace honesta, & vtile alla patria sua, non si può dire, che costei non fosse di vno inuitto, & forte animo, che per la salute della sua patria sprezzaua la propria vita. Grandi, & merauigliose furno le opere delle donne Argiue sotto la scorta di Telessilide contra Cleomene Re di Sparta, hauendo costui fatto morire vna gran quantità d’Argiui, andò con l’essercito sopra Argo per pigliar la Città, ma le donne hauendo deliberato di diffenderla, fatta lor capo Telessilide si appresentorno con le armi sopra le mura, della quale cose molto si merauigliò l’inimico; il quale hauendo dato piu uolte l’assalto in uano con gran perdita de’suoi, fù finalmente constretto à ritornare in dietro. le istesse donne cacciorno fuori Demarato Re, il quale hauea occupata vna parte di Argo chiamata Pamphilia, cosi fù per le donne conseruata la Città d’Argo nella sua libertà, basti di queste lequali offrendo la propria vita saluorno la patria, percioche lungamento ne trattarò nel capo dell’amor delle donne verso la patria, & veniamo à gli essempi di quelle ualorose donne, le quali per fuggir la seruitù de’ nemici si sono uolontariamente uccise, percioche non facendo in modo tale sarebbe stato à loro graue infamia come dice Aristotile. Quia id non facere turpe est; magis enim timet turpitudinem uir fortis, quam mortem. La prima sarà Monima Milesia moglie di Mitridate, la quale hauendo intesa la perdita della guerra, & la fuga di Mitridate suo marito, elesse di vccidersi, & leuandosi la corona della fronte se la cinse al collo, & s’impiccò: ma quel capestro non potendo per la sua debolezza sostenere la grauezza del corpo, si ruppe, & ella disse ò maledetto Diadema in cosi tristo offitio non mi hai ancho seruita, & sputouui sopra disprezzandolo, & sùbito chiamò Bacchide eunucho, & si fece ammazzare, come dice Plutarco: morte veramente generosa, & questo, che fù atto di fortezza, lo pone il Passi nel suo libro per atto di disperatione, la qual cosa non dice Plutarco, ne credo che da niuno per tale sia stato stimato, sapendosi che Magis timet turpitudinem uir fortis, quàm mortem. Et questa era la seruitù, & la potenza regia, che le soprastaua. Rossona, & Statira sorelle del sudetto Mitridate pigliorno il ueneno, & lodorno sommamente il fratello, che le hauea fatte auisate del pericolo, & cosi morirno per fuggir la seruitù del nemico. [Page 50] Non merita silenzio Zenobia Regina d’Armenia, la quale fuggendo col marito gl’ Armeni, & non potendo soffrir il tranaglio [travaglio] del correre, perche era grauida, pregò saldamente il marito Radamasio, che l’amazase per non restar captiua, ilquale dopò molte lagrime le diede col ferro nella gola, & getola nel fiume Arasse. Et Cleopatra figliuola di Ptolomeo Pitone Re dell’Egitto molto più temè la vergogna, che non amò la vita; che essendo certa di essere menata in trionfo da Cesare Augusto, & essendole tolta ogni commodità di potersi uccidere, fece portarsi de’ fichi con molte foglie, fra le quali era un Aspide, tolto i fichi, porse lietamente per fuggir l’imperio altrui il suo candidissimo petto à i morsi uenenosi del freddo Aspide, & cosi in poche hore finì la uita, & priuò di una grandissima allegrezza Cesare Augusto, che credeua di condurla seco à Roma in trionfo. Vn chiarissimo essempio di fortezza fù la moglie di Stratone principe di Sidonia, il quale essendo assediato, & uicino ad essere preso da’ nemici, essa non potendo sofferir tanta uergogna, & indegnità lo ammazzò, & con l’istesso ferro passò à se stessa il petto albergo di eterno ualore. Mi souiene etiandio della nobilissima donna nominata Dugna, la quale per fuggir la seruitù, & non uenir nelle mani de’soldati di Attila Re degl’Vnni, si annegò. Ma considerate un poco la generosa fortezza delle donne Phocesi, le quali si contentauano di morire arse nel fuoco, se Diaphano perdeua l’essercito; & haueuano apparecchiate le legna per non andare nelle mani dello inemico. ne uoglio lasciare l’essempio illustre della moglie di Phanto. Tolomeo dopò che hebbe fatto scorticare il corpo morto di Cleomene suo nemico, uolse che fossero fatte morire Cretesiclea madre di Cleomene, & i figliuoli, & insieme la moglie di Phanto, la quale era donna bellissima, & di animo forte, & ualorsos. costei hauea seguito il marito nell’esilio sopportando la fortuna nemica, & le fatiche, mentre gli altri ueniuano menate alla morte, e confortaua con dolcissime, & amoreuoli parole la madre di Cleomene, la qual lietamente andaua alla morte per fuggir la seruitù; ma come furno giunti al luogo oue sogliono far morire i malfattori, prima uccisero dinanzi à gl’occhi delle ardite donne i miseri bambini figliuoli di Cleomene, dopò i fanciulli, Cretesiclea fecero morire, & mentre moriua, la moglie di Phanto le acconciaua i panni intorno, sempre confortandola: rimase sola la moglie di Phanto, & essendo di petto forte, & intrepido senza trar sospiro, ò lagrima si accomodaua, come uoleua morire, ne comportò la castissima donna, che alcuno se le accostasse, fuorche colui, che la douea uccidere, & fece una morte degna di una tanta donna non senza stupore, & merauiglia del crudel Tiranno. Non merita silentio la moglie di Asdrubale, che hauendo inteso la graue perdita del marito, & per timor di seruitù si gettò in uno ardentissimo fuoco con tre fanciullini. Ma che dirò io di Sophonisba figliuola di Asdrubale, & moglie di Siface, la quale hauendo inteso che il marito era preso, & il campo rotto, determinò piu tosto uolere morire libera, che uiuere in seruitù, come il Trissino nella sua tragedia la fa dire. [Page 51] Sarà, ch’io lasci la regale stanza, E lo natiuo mio dolce terreno; E ch’io trapassi il mare, E mi conuenga stare In seruitù sotto il superbo freno, Di gente aspra, e proterua, Nemica natural del mio paese. Non fien di me, non sien tai cose intese; Piu tosto uo morir, che uiuer serua. Notate queste bellissime parole, che dice poco piu sotto, degne senza dubbio di un animo generoso, & forte. La vita nostra è come vn bel thesoro, Che spender non si deue in cosa vile Ne risparmiar nell’honorate imprese, Perche vna bella, & gloriosa morte Illustra tutta la passata vita. E come la ualorosa donna hebbe ueduto Masinissa, Re de Massusi li andò incontra, & la gratia, che à lui domandò, fù, che non la lasciasse andare in seruitù de’ Romani dicendo. E se ciascuna via pur ui fia chiusa Da tormi da l’arbitrio di costoro, Toglietemi dal cor col darmi morte. Questa per gratia estrema ui domando. Et quando Masinissa le mandò il ueneno non hauendola potuto diffendere, l’accettò uolentieri, & lo prese senza pianto, ò sospiro, & senza mutarsi di colore, come l’istesso Autore fa dire à una serua. Oue senza tardar prese il ueneno, E tutto lo beuè sicuramente Infino al fondo del lucente uaso. Ma quel che piu mi par merauiglioso, E, ch’ella fece tutte queste cose Senza gettarne lagrima, ò sospiro; E senza pur mutarsi di colore. Donna certamente degna di ogni lode, & finalmente se ne morì inuitta, & gloriosa. Ma che dirò di Sofronia, la quale mentre il soldano Aladino uoleua abbrusciare, & uccidere i miseri Christiani, pensò di volere con la sua morte diffendere l’altrui uita come dice il Tasso nel lib.2 stan. 17. A lei, ch’è generosa, quanto è honesta, Venne in pensier come saluar costoro. Moue fortezza il gran pensier; l’arresta Poi la vergogna, e’l virginal decoro; Vince fortezza: anzi s’accorda, e face S’è uergognosa, e la uergogna audace. [Page 52] E il Tasso quasi merauigliandosi di tanta fortezza dice, mentre s’era appresentata al Tiranno Aladino, & hauea scoperta se medesima inuolatrice della imagine. Cosi al publico fato il capo altero Offerse, e’l uolse in se stessa raccorre: Magnanima menzogna, hor quand’è il uero Si bello, che si possa à te preporre? E quando ella uide il misero Olindo uenire ad offerirsi egli alle medesime pene per slegare lei disse. Non son io adunque senza te possente A sostener ciò, che d’un huom può l’ira? Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede Di bastrar solo, e compagnia non chiede. E Clorinda sopragiungendo, & uedendo costoro, se fa loro uicina, & li mira, & uede Olindo gemere, & tacere Sofronia. Cedon le turbe, e i duo legati insieme Ella si ferma à riguardar da presso; Mira, che l’una tace, e l’altro geme: E piu vigor mostr’il men forte sesso. Ma se mostraua piu uigor, non era men forte, ma piu forte come si puo conoscere per tanti essempi scritti da gli Historici, & da Poeti. Non uoglio che resti à dietro Polissena figliuola del Re Priamo fortissima nelle miserie, & nella morte, la quale essendo anchora fanciulla fù condotta alla tomba di Achille, & ricordandosi della sua stirpe regia uolentieri si lasciò uccidere piu tosto, che gir serua de gli argiui, & la sua morte, & il modo di morire lo descriue Ouidio nel lib.13. dicendo. Fortis, & infelix, & plus quàm foemina virgo Ducitur tumulum: diroque fit ostia busto. Qua memor ipsa sui, postquàm crudelibus aris Admota est: sensitque sibi fera sacra parari, Vtque Neoptolemum stantem, ferrumque tenentem, Vtque suo vidit fingentem lumina vultu, Vtere iandudum generoso sanguine, dixit. Nulla mora est: aut tu iugulo, vel pectore telum Conde meo; iugulumque simul pectusque retexit, Scilicet haud ulli seruire Polyxena vellem Haud per tale sacrum numen placabitis ullum. Mors tantum vellem matrem mea fallere posset; Mater obest; minuitque necis mihi gaudia: quamuis Non me a mors illi, verum sua vita gemenda est. Vos modo, ne stigios adeam non libera manes, Este procul; si iusta peto tactuque viriles Virgineo remouete manus, acceptior illi. [Page 53] Quisquis is est, quem cede mea placare paratis, Liber erit sanguis, si quos tamen ultima nostri Verba mouent oris, Priami uos filia regis Nunc captiua rogat, genetrici corpus inemptum Reddite, ne ue auro redimat ius triste sepulchri, Sed lachrimis. tunc cum poterat redimebat, & auro. Dixerat: at polpulus lachrimas, quas illa tenebat, Non tenet, ipse etiam flens, inuictusque sacerdos Prebìta coniecto rupit praecordia ferro. Illa super terram defecto poplite labens, Pertulit intrepidos ad fata nouissima vultus; Tunc quoque cura fuit partes uelare tegendas: Cum caderet; castique decus seruare pudoris. Che ui pare di questa fortissima donzella degna ueramente di eterna lode? & di tante altre ch’io tralascio; ma che diremo noi della fortezza di tante tantissime vergini, le quali per conseruarsi nella fede di Christo, & fuggir le bruttezze de’peccati esposero la uita à mille tormenti, & acerbi stratii, & narrando Lucillo Martinenghi la fortezza di una vergina nel suo libro di Santa Margherita Pelagia dice. Con le ginocchia ripiegate à terra Altra star uede, e starui ancor pendente Il manigoldo, che la spada afferra, E alzata e cala il colpo à lei fendente, Tremante ha’l braccio, e suolto, ei che non erra Ne’l suo ferir, & ella Il core ardente Tien fermo, e igniudo il collo, e differisca Per tema il ferro, incolpa, e non ferisca. Che ui pare di tanta intrepidità, & fortezza? ditemi di gratia à chi non porgerà merauiglia il generoso animo di quella gran donna, la di cui soprana fortezza scriue fra moltre altre opere simili fatte da altre grand donne, Luigi tansillo non suo libro delle lagrime di San Pietro, hauendo prima raccontato la fortezza di Felicita, che con sette giliuoli si espose corragiosamente al martirio; di un’altra, che parimente sette ne hauea, che fù mossa quasi da inuidia, per la gloria di quella, cosi dice. Quasi di tanta gloria inuidiosa Ecco altra donna, ch’altrettanti figli Non pur sotto il martir uede gioiosa, Ma par ch’ella gli inanimi, e consigli A morte desiar cruda, e penosa: I giouinetti non ancor vermigli Del sangue lor. [Page 54] Io stupisco, ne mi ricordo di hauer letto mai di huomini, cosi intrepidi, & forti. Ma non uoglio lasciare sotto silentio la mia Colomba Vergine santissima, & sprezzatrice di pene, di fortezza essempio raro, à cui essendo mandato da Aureliano i ministri per prenderla, la ritrouaro, che porgeua à Dio preghi, & pianti: ne si smarrì punto, benche il suo castissimo petto fosse presago di futuro tormento, & di morte come io medesima dico nella uita di lei in questo modo. Come lor vede il pianto affrena, e sorge Certo, e presago l’intrepido petto Di futuro martir; ne gia si scorge Di viltà segno nel regale aspetto: Ma di proprio uolere à quelli porge Bianche man piu che neue ò auorio eletto Ond’aspra fune ambe l’unisce, e stringe Che di brutto liuore il candor tinge. Et nel 4. canto quando vdì la sentenza del Tiranno, che la condannò à morte, hebbe tanto gaudio, & allegrezza, che impossibile è à dirlo, & vdite. Al fero annuncio, al formidabil detto, A questo crudo, e moribondo auiso Non già si scosse il generoso petto, Ne scolorossi il colorito uiso; E men turbossi il suo sereno aspetto, Ne il cor ch’unqua da Dio non fù diuiso: Ma lieta, e in voce lieta, come suola Christo lodò con tacite parole. Qual è colui, che udendo l’annuncio di morte non si impallidisca, & tremi? ma queste ualorose donne haueano allegrezza, & giubilo, come quelle che non temeano la morte. Io di simili ne potrei addurre infiniti essempi, ma bastino queste. Ma pure io son sforzata di scriuere questo altro essempio narrato da Plutarco delle donne de’Cimbri, le quali hauendo intesa la perdita, & fuga de’ Cimbri si uestirno di bruno, & salirno sopra carri, & si accamporno poco lontano dal campo, & secondo che i Cimbri fuggiuano i Romani, esse li amazzauano, & alcune di loro strangolorno i mariti, i padri, & i fratelli; altre i bambini con le proprie mani, & lor gettauano sotto i piedi alle bestie, & sotto le rote delle carette, & poi il ferro riuolgeuano in se stesse, & si uccideuano per fuggir la seruitù de Romani: dicesi, che una donna essendosi attaccata alla cima di un timone si legò con un capestro i figliuoli à i suoi taloni, & cosi finì la uita. Hauendo Filippo Re di Macedonnia fatti morire molti huomini nobili uolse dipoi per sicurtà sua imprigionare i figliuoli di coloro, che hauea ingiustamente fatti morire. Poco inanzi hauea fatto uccidere un chiamato Herodiano capo de Tessali, & ancho duo suoi generi. Onde le figliuole restorno senza [Page 55] Padre, & vedoue. Vna era chiamata Teossena, l’altra Arco. Teossena fù richiesta da molti per moglie; ma sempre ricusò. Ma Arco si maritò, & generò molti figliuoli, & poi morì. Teossena prese per marito Poride già di Arco sua sorella, il quale era Padre de’ figliuoli; perche era tanto l’amore, che à lor portaua, che uoleua, che s’alleuassero per le sue mani, & come s’ella medesimo li hauesse partoriti, li nutriua, et ammaestraua con somma diligenza, ancor ella ne hauea generato uno, & era di poca età, quando vscì il bando di Filippo do uolere incarcerare tutti i figliuoli, che erano parenti di coloro, che erano stati per suo commandamento amazzati. Teossena, che donna di grand’animo era, come intese questo per l’amore, che a lor portaua, non uoleua à niun modo, ch’andassero à stare in seruitù con Filippo; Onde determinò d’vcciderli. Ma Peride hauendo in abominatione si fatta crudeltà, disse di condurli salui in Atene ad alcuni suoi amici, & mentre che la notte sotto il silentio della notturna ombra acchetaua i trauagliati cuori, montaro in una naue tutti i figliuoli, Teossena, & Poride. Ma perche la portuna seguita quasi sempre gli huomini, in tutta notte per grandissima fatica, che si fosse mai fatta, non potè la naue andare innanzi hauendo il vento contrario, et il Sole lasciando il materno seno, portaua la luce a’ mortali, quando la guardia del porto del re si accorse che fuggiuano, & però mandorno molti armati dietro alla naue con comandamento, che tornare non douessero senza quella. Poride attendeua à sollecitare i marinari, & pregaua gli Iddii, che loro porgessero aiuto: in questo mezo la magnanima donna conoscendo, che fuggire non si poteua, mise dauanti à gli occhi de’fanciulli un uaso pieno di ueneno, & vn pugnale ignudo, & disse loro; figliuoli miei carissimi, queste sono le uie della uostra libertà, & queste due cose sono le uie della morte: eleggete qual più ui piace per fuggir la seruitù, & la superbia Reale. Horsù, voi che siete giouini, pigliate il ferro, & uoi che pargoletti siete, pigliate il veneno, se à voi piace morte piu lenta. I nemici erano uicini, & ella alcuni col ueneno, alcuni altri col ferro hauea affrettati al morire, & poi mezzi uiui li gettò in mare: et ella abbracciando il marito fido compagno ne gli affanni si gettò loro dietro, e cosi fuggì la seruitù questa donna, degna veramente d’eterna memoria. Né merita silentio quell’atto magnanimo, & Heroico di una gran gentildonna Cipriotta. Doppo che da’ crudi Turchi presa fù Nicosia Città nobile, et illustre dell’Isola di Cipri, caricorno sopra tre navigli le più nobili spoglie, & pretiose cose di quella misera Città: fra questi vasselli vi era un galeone, nel quale furo poste le piu nobili schiaue, & le mandorno dritto à Costantinopoli al gran Signore. questa donna Cipriotta sdegnando la seruitù de’ Barbari, accese il fuoco nella monitione, & in poco di tempo tutte le donne, & tutti gli huomini morirno, da pochi infuora, che nuotando si saluorno, atto certo degno d’eterna lode, e mentre girerà il Cielo rimbomberà la fama del tuo petto, nemico di tirannica seruitù. Onde per questa opera ragioneuolmente deuono à te nell’altra vita essere obligate [Page 56] tutte quelle altre gentildonne, che abhorriuano cosi crudele, & barbara seruitù. essendosi seruate Christiane, & caste. Delle Donne prudenti, & nel consigliare perite. Cap. IIII. Fra tutte le uirtu dell’anima, par che resplendi piu nobile appresso ogn’uno la prudenza, essendo quella per mezzo della quale l’huomo determina, & consiglia quel, ch’egli può operare intorno per il piu à cose difficili, & importanti, eleggendo il meglio: & però disse Aristotile nel lib. 6. dell’Etica al cap. 6. Prudentis est bene consulere, & in angendo versatur & nel 7. à cap .3. che egli habbia per fine di ritrouare il bene, lo dimostra, dicendo. Prudentis non est sponte agere, quae sunt praua. Et nel lib.6.c.9 Quaerunt sibi quo bonum, idque agendum esse extimant. Et veramente nel determinare, se si habbi ad operare, ò non operare intorno à qualche difficile auuenimento, ò accidente, si scuopre la sottigliezza, & viuacità d’ingegno: che non sempre consiste la prudenza nell’operare; ma anco in non uoler operar; considerando il prudente che li apporta più vtile, ò honore il non operare, che l’operare; ma ueniamo à gli essempi. Prudentissima fù Artemisia regina della Caria, che con molte naui era andata in aiuto di Xerse, & lo consigliaua con viuacissime ragioni à non combattere con disperati, ma tirare la cosa in lungo, mancando il uiuere à nemici, ricordandoli sempre, che questo non diceua per paura, ma per utile, & honore di Xerse; hauendo combattuto altre uolte nelle guerre nauali, non uolse Xerse pigliare il consiglio della Regina, et attaccò la battaglia, et fù perdente, come racconta Trogo. Ma che diremo noi della prudenza di giovanna fanciulla Lotoringia? che nella guerra operò con tanta prudenza, che recuperò molti luoghi al re Carlo, & à persuasione della medesima passo in Remi à torui la corona del Regno, come dice il Tarcagnota. Semiramis fù saggia, & prdudente, però Nino conoscendo la sua uirtù mai non facea cosa senza il suo consiglio. Et Ciro con Asaspia faceua il simile conoscendola tale in mille opere sue, & mentre si seruì de’ suoi consigli, tutte le cose li succedettero bene, et felicemente. Giulio Cesare racconta, che i Galli non faceuano determination’ alcuna senza l’interuenimento delle donne, et anco sin’hora, conoscendole piu di loro prudenti, si lasciano gouernare. Augusto si consigliaua con la moglie, de i cui saggi, & maturi consigli si seruì nelle cose importantissime del regno, & anco lasciò una sua certa seuerità rusticale, & si rese tutto mansueto, & clemente. Et Porcia non fù ella prudentissima? non fù prudente, saggia, & eloquente Cornelia [Page 57] madre de’ Gracchi? Giustiniano Imperatore sempre si consigliaua delle cose importanti del suo Impero con la fida consorte, per i cui saggi consigli sempre hebbero le cose felicissimo successo. Onde Aurelio Vittore dice nella uita di Giuliano Imperatore. Faeminarum praecepta iuuan maritos. Onde essendo i Tedeschi ammoniti da questa sentenza mai prendeano l’armi, come dice Cornelio Tacito, se non col consiglio delle lor donne; sapendo di quanta virtù elle siano piene; & da questo si può conoscere, che la donna sia l’honore, & la gloria del sesso maschile. Ma doue resta Pompea Plotina? che augumentò con la sua prudenza la gloria di Traiano. Come dice Paolo diacono nel lib. 13. I Lacedemoni sapienti prendeuano i consigli dalle lor moglie, & non operauano cosa alcuna, se à loro non la communicauano. Et gli Ateniesi conoscendo la prudenza delle donne uoleuano, che in tutte le facende, & partiti, che si pigliauano in Senato, elle dassero i loro suffragi, come ottimi Senatori. Onde Artisto. nella Politica nel libro 2. cap.7. parlando di loro disse. Multa in Lacedaemoniorum principatu à mulieribus administrabantur. Socrate benche fosse gran filosofo confessa hauere imparato molte cose da Diotima donna di sapienza, & prudenza. Plutarco scrittore illustre fa mentione nel libro delle donne, che gli antichi Francesi, poscia che con Annibale si furno accordati, & pacificati, fecero un decreto, che conteneua, che se alcuno Cartaginese riceueua qualche ingiuria, ò ingiustitia da uno di loro, le donne Galliche douessero esser giudici in cotal causa. Placida operò cosi bene col suo sano consiglio, che fece, che Ataulfo Re de’ Goti non rouinò, come destinato haueua con Barbarico furore, & superbe minaccie, la gran Città di Roma, anzi la restaurò. oltre questi essempi si può conoscere la prudenza della donna in queste cose. ella non rubba, come fanno gli huomini, ne auuenena. Et questo auiene per la sua prudenza. prudentissima fù ancora Caterina Madre del Re di Francia nel consigliare, & il Sauio Salomone considerando la sapienza della donna disse. Mulier sapiens aedificat domum suam. Loda l’Ario. Ginerua Malatesta di gran prudenza, & di lei dice nel can.46. S’à quella etade ella in Arimino era Quando superbo de la Gallia doma Cesar fù in dubbio, s’oltre à la riuiera Douea passando inimicarsi Roma Crederò, che spiegata ogni bandiera Escarca da Trofei la riccha soma, Tolto hauria leggi, e patti à uoglia d’essa Ne forse mai la libertade oppressa. Mostrò etiandio grandissima prudenza Madama la Reggente nella Città di Bruselles, che acchettò gli animi di coloro, che si solleuorno, hauendo fatto un grosso numero di soldati, à quali nondimeno con una regal clemenza Perdonò. Non tralasciarò di dire la somma prudenza di Periaconconaù, alla quale essendo morto il fratello Ismaele, [Page 58] tenne la sua morte ascosa; e fattasi venire in palazzo sette de’ principali del regno con animo, & prudenza inestimabile egli essortò a deporre gli odii, che erono fra loro per conseruatione dell’imperio Persiano, ilquale se mai hauea hauuto bisogno de snoi [suoi] Sultani vniti, mostrò, che alhora ne hauea grand bisogno; perche morto era Ismaele, & Cudabende, alquale di ragione perueniua il regno, era lontano. Onde portaua pericolo, che diuolgatasi la morte del Re, & essi durando nelle loro inimicitie, il Regno andasse in ruina. Onde essi Sultani sarebbono sforzati per le loro discordie a viuere sogetti a loro nemici Turchi, & Tartari. Onde per la prudenza di questa gran donna obliorno le inimicitie loro, & insieme con lei acchetorno le cose discordi del regno. Questo dice Mambrino Rosco nelle Istorie del mondo. doue lascio io Elisabet Regina d’Inghilterra, che con la sua prudenza ha superato, & supera infinite difficultà, ha ella scoperte infinite congiure de popoli suoi, Mille tradimenti di Principi esterni, & con maturità d’ingegno liberatasi. si ha difesa da grandissime armate, che dich’io diffesa? anzi superate, & vinte, & con vna somma prudenza per tanti & tanti anni ha retto, & regge i Regni a lei soggetti. Ma doue rimane Semiramis, laquale essendo mandata a torre da suo marito Menone, non si tosto giunse nel campo essendo ella prudentissima, che mostrò, come si potesse pigliare la rocca de’ nemici, & cosi per il suo consiglio la prese. Onde Nino Re de gli Assirii molto si merauigliò del suo ingegno, come dice il Tarcagnota. Et Tanaquil con la sua prudenza fù cagione, che Seruio Tullo fù accettato Re dopo la morte di Tarquinio. Ma si scuopre la prudenzza tutto il giorno non dirò di alcuna Regina, ò Signora, ma d’ogni vil donnaciuola nel gouerno delle case, & delle famiglie, conseruando elle la robba, & le facultà da maschi acquistate, & distribuendola secondo i bisogni, & i tempi con sommo antiuedere: & infelici gli huomini, & in particolar quelli della Francia, & della Alemagna se le donne lor non gouernassero le facultà; percioche in breuissimo tempo diuenirebbono poueri, & mendichi. Ma si lasciano gouernare, percioche conoscono la lor prudenza, & i Francesi non maneggiano si può dire vno danaio, se non lo addimandano alla moglie. Tralascio di raccontare, che ne’ medesimi paesi le donne attendono a traffichi con tanta diligenza, che non cedono al primo mercante di tutta Italia; segno di grandissima prudenza. [Page 59] Delle donne giuste, & leali. Cap. V. Chiamò Speusippo la giustitia vn habito, ò virtù dell’anima, che distribuisce, & da a ciascuno quel, che è necessario secondo la dignità, & il merito di colui, a chi è dato. & la manifesta dicendo. iustitia est habitus vnicuique pro dignitate distribuens, & cosi anco la descrisse Aristotile, et Cicerone. et senza dubbio se il giusto opera cose giuste, come si legge nel .2. dell’Ethica al capitolo quarto, è cosa necessaria che egli dia a ciascnno [ciascuno] il suo, sia facoltà. ò honore, ò altro. & però la giustitia tiene il principato fra tutte le altre virtù morali; essendo ella piu vtile della temperanza, & della fortezza, come si legge nel terzo dell’Ethica al capitolo terzo, & considerando la sua eccellenza Aristotile disse. iustitia est magis mirabilis Hespero, & Lucifero. Giusta era Isabella di Aragona. & giusta come dice Vergilio fù Didone come si legge nel libro primo dell’Eneide. Iura dabat, legesque viris, operumque laborem Partibus aequabat iustis. Et questi versi latini tradutti in volgar da Annibal Caro cosi suonano E mentre con dolcezza editti & leggi Porge alle genti; & con egual compenso L’opre distribuisce, e le fatiche; Giustissima fù Talantia donna Spartana; perche essendo venuti a Sparta alcuni fuoriusciti Chii a lamentarsi a gli Ephori di Pedareto lor gouernatore, come hebbe questo inteso Talantia, che Madre del gouernatore era, fece venire a se quelli Chii, & diligentemente vdita la querela loro, & conoscendo che a torto non si lamentauano, scrisse una lettera al figliuolo diquesto tenore. Di due cose risolueti di farne vna, ò di gouernare Chio con giustitia, ò restare costi perpetuamente, ne mai ritornare a casa; & sepur vuoi ritornare a Sparta, sappi certo che poco viuerai. Da questo si può conoscere, quanto le donne siano amatrici della giustitia, & dell’honesto gia che sprezzano i figliuoli, che amano tanto accioche il giusto non resti negletto. [Page 60] Delle donne Magnifiche, & cortesi. Cap. VI. E La magnificenza vna virtù dell’anima, che versa intorno a cose, & attioni, che ricercano grandissima spesa per fine di honore. & apunto cosi la descriue Aristotile nel quarto dell’Ethica. Ne si domanda magnifico colui, che in cose picciole, ò mediocri secondo la sua dignità spende, ma piu tosto liberale, & ideo magnificentia in sumptuosas actiones diffunditur. Deuono però spendere i magnifici in cose publiche, come palagi, Tempi, Sacrifitii, Duomi, aiuti communi, giuochi, & simili cose. Deuesi sempre hauer riguardo alla grandezza di colui, che spende, & ancho alla cosa intorno alla quale spende. Si conuengono queste spese specialmente a coloro, che hanno operato qualche cosa di notabile; ouero che da suoi maggiori sia stata fatta. & similmente a nobili, & illustri; perche chi molto spende intorno a cosa di poco momento, non magnifico, ma sioccho si chiamarebbe. Grande, & marauigliosa veramente fù la magnificenza di Semiramis Regina de gli assirii, che dopo la morte del marito edificò la gran Città di Babilonia appresso l’Eufrate, di figura quadrata, che giraua più di trentasette miglia. le sue mura erono larghe cinquanta cubiti, & alte più di ducento, come Erodoto racconta. Fù la muraglia di questa Città di mattoni, & haueua ducento e cinquanta torri. Ne mattoni crudi erano impresse varie imagini di fiere, & ciascuna era del suo colore, in modo che il circuito faceua vna bellissima vista di caccia. et in luogo di calcina fece adoperar bitume, che molto in quelle parte ne era. Fù fatta con incredibile celerità, lauorandoui piu di trecento mila huomini, et in men di un’anno fù finita. Nel mezo di questa città edificò Semiramis vno altissimo, & magnifico Tempio, nella cui sommità andauano gli Astrologhi Caldei ad osseruare l’orto et l’occaso delle stelle. Qui anco drizzò vn Obelisco di cento e cinquanta piedi che fece ne’ monti d’Armenia incidere. Molte altre nobili città oltre questa edificò tra il Tigre, et l’Eufrate: fece vn bellissimo, et ben ornato giardino nella Media, et poco lungi fece intagliare la sua imagine in vn monte lungo duo miglia, con cento donzelle intorno, che con lieto et amoreuole sembiante l’appresentauano. Costei adeguò i monti altissimi al piano verso la Persia; et altroue fece eguali le disuguali valli facendoui fare di passo, in passo argini, che furono poi detti gli argini di Semiramis. Eresse nella città di Echbatana vn palazzo con vno acqueduto, che per condurlo bisognò tagliare la cima del monte Oronte. Ma basti di questo a mostrare quanto fosse questa Illustrissima Regina magnifica, et splendidissima. racconta il Tarcagnota tutto questo, et altri scrittori. Maginfica anchora fù la Regina Nitocre, laquale cinque anni doppo Semiramis resse gli Assiri, et fece un lago, oue l’acque de l’Eufrate si [Page 61] mandauano, laquale cosa era bellissima fra le altre cose illustri da costei fatte. Magnifica fù Artemisia, che doppo che le fù morto il caro marito Mausoleo, li fece vn sepolcro, ilquale fù vna delle sette merauiglie del mondo. Costei nel farlo adunò insieme quattrocento famosi, & eccellenti scultori, & lo fece fare di marmo finissimo. Dal lato di tramontana & di mezzo giorno, era piu lungo che ne gli altri dui. Il circuito di questa grand’opra giraua quattrocento, & vndici passi. Era alto venticinque cubiti. Da l’Oriente il Scopa, da l’Occidente Leocare, dalla tramontana Briarce, & Timoteo dal mezo giorno adoperano l’ingegno in lauori bellissimi. Vn’altro illustre Scultore vi fece nella cima vna caretta tirata da quattro caualli di marmo. Onde quando fù finita questa stupenda opera. Era alta cento, & quaranta piedi. Laertio dice che Anassagora vide questo merauiglioso sepolcro, & che lo chiamò pretioso sepolcro, & vn simulacro delle ricchezze: & questo Mausoleo, a cui fece questo sepolcro la fida Artemisia, fù Re di Caria. Di animo generoso & magnifico fù la Regina Elisa, che poi per il suo valore fù chiamata Didone. Costei, come è già nota, fuggendo l’ira, & l crudeltà del fratello, nauigò in Africa. mentre nauigaua, rapì come dice il Tarcagnota ottanta fanciulle Cipriane. Oltre queste fanciulle venne volontariamente vn sacerdote con la moglie, & con i figliuoli ad imbarcarsi, & partirsi con lei. giunta in Africa comprò il terreno da edificar la Città. Laquale nominò Birsa, & poi chiamorno Cartagine. Che in lingua Punica suona città noua. questa città fù magnifica & ornata di collonne & di altre commodità come dice Virgilio nel primo libro dell’Eneide facendo mirare le sue grandezze che allhora si faceuano ad Enea & ad Achate. Iamque ascendebant collem qui plurimus vrbi Imminet, aduersasque aspectat desuper arces, Miratur molem aeneas magalia quodam, Miratur portas, strepitumque, & strata viarum, Instant ardentes Tyrij, pars ducere muros, Molirique arcem, & manibus subuoluere saxa, Pars optare locum tecto, & concludere sulco. Iura magistratusque legunt, sanctumque senatum. Hic effodiunt alii portus: hic alta theatri fundamenta locant alii, immanesque columnas Rupibus excidunt, scenis decora alta futuris. Iquali versi tradutti in ottaua rima da Alessandro Guarnelli tali sono Quindi la mole enea, ch’altera sorge, Oue gia fur pouere case, e ville, Le ricche porte, e le gran strade scorge, E i Tirii intenti a l’opra a mille a mille. Lo strepito, e’l rumor stupor li porge, Che maggior sente che, di trombe o squille. [Page 62] Bramosi i Tirii di veder perfetta La lor Città s’affanan lieti in fretta Questi d’ergere al Ciel le salde mura. E con le proprie man suolgere i sassi, Quei di fortificar le rocche han cura Qual ne i lochi eminenti, e qual ne’ bassi. Altri le fosse caua, altri misura, Altri il suo proprio albergo elegge, e fassi. Forman le leggi, e formano il Senato, E’l tribunale, e’l foro, e’l magistrato. Magnifica, & splendida fù Cleopatra Regina d’Egitto, la quale sempre operò cose grandi, ne mai donò si poco, che’l suo dono non facesse largamente tutte le spese à quello, à cui donaua fino alla morte. ma che diremo di quel Nauiglio, che ella fece per andare da Antonio? ilquale l’hauea mandata à chiamare, che si appresentasse in giudicio; perche haueua dato aiuto à Cassio. Questo hauea la poppa tutta d’oro, i remi di purissimo argento, & le uele di rosseggiante porpora: i remi si moueuano à suon di flauti, di cethere, & di pifferi, & le cene, che fece ad Antonio, fur tanto magnifiche, che indarno egli si sforzò di superarle. Onde l’Ariosto parlando della mensa d’Alcina, la fa maggior di quella di Cleopatra come cosa quasi imposibile, che fù la piu sontuosa, che al mondo fatta si fosse, dicendo. O qual mai tanto celebre, e famosa Di Cleopatra al uincitor latino Et altroue mostra ch’ella era splendida dicendo. O la Regina splendida del Nilo. Io non voglio piu spender tempo in raccontar della magnificenza delle donne, poiche quasi tutte sono d’animo cortese, magnifico, & liberale. in queste di sopra narrate era una uera, & grandissima splendidezza; in queste che seguitaranno liberalità, & cortesia. Narra Tito Liuio, che quelli, soldati Romani, i quali fuggirno à Cannusio, essendo stati da cannusini riscettati dentro le mura, una donna detta Dusa nobile di stirpe, & ricca de’ beni della fortuna lor souenne del uiuere, & loro in casa trattene, e diede lor vestimenti, & anco denari in honesta quantità, per la qual cosa il senato le fece grandissimi honori, che furno premio della sua cortesia. Cortese etiandio fù quella donna di Hiericho, la quale nascose i soldati Hebrei à i suoi proprii Cittadini. Ne senza animo cortese, & liberale apparecchiò la vecchiarella à Saul cena copiosa, anchor che da lui alcun premio non aspettasse. Le cortesi matrone Romane non portorno elle i proprii ornamenti d’oro alla camera del commune per satisfare al voto fatto da Romani? per la qual liberalità fù conceduto alle donne questo honore, che andando a i giuochi, & à sacrifitii usassero le carette chiamate pilenti, & gli altri giorni ò festiui, ò non festiui i carpenti: & cosi i Romani di quell’oro fecero una tazza, & la mandorno ad Appoline. liberalissima era la Regina Dido [Page 63] uerso ogn’uno ma uerso i Troiani si può sentir la piu gran cortesia di quella, che si legge di lei nel primo libro dell’Eneide di Virgilio, & udite con che amoreuoli, e care parole consola i miseri, & da tutto quasi il mondo rifiutati Troiani, e sono queste, & dette furno da lei con uiso sereno. Tum breuiter Dido vultu demissa profatur: Soluite corde metum Teucri, secludite curas, Res dura, & regni nouitas me talia cogunt Moliri, & late fines custode tueri. Et par che si scusi, se à loro fù fatta alcuna villania da Tirii, dicendo che la nouità del regno la sforzaua à far guardare i suoi confini, & dapoi dice. Seu uos Hesperiam magnam Saturniaque; arua Siue Ericis fines, regemque; optatis acestem, Auxilio tutos dimittam, opibusque; iuuabo, Vultis & his mecum pariter considere regnis? Vrberm, quam statuo, uestra est, subducite naues. Tros, Tiriusque; mihi nullo discrimine agetur. Dio buono si può sentire la maggior liberalità di questa, ma udite che soggiunge. Atque utinam rex ipse noto compulsus eodem Afforet Aenea, equidem per littora certos Dimittam, & Lybiae lustrare extrema iubebo, Si quibus eiectus siluis, aut vrbibus errat. Questa fù una liberalità, & cortesia grandissima, & questo non si può dire, ch’ella il facesse per amore di Enea; perche anchora non l’hauea ueduto, & per non esser lunga non uoglio raccontar i sacrifitii, ch’ella fece, i doni che mandò à i compagni d’Enea, & i sontuosi conuiti. dice il Passi nel suo libro, che Enea donò à Didone una veste, & che ella ne donò a lui una altra dopò come racconta Virgilio: forse vuol dire, ch’ella non fu la prima ad usare cortesia, & percio auara la uoglia chiamare: perche se non uolesse dire cosi, non l’harebbe posta con quelle sue donne auare, per dire come egli dice, ma non so appresso del Passi chi fosse prima a dire. Auxilio tutos dimittam, opibusque; iuuabo. Vultis, & his mecum pariter considere regnis? Vrbem quam statuto, vestra est, subducite naues. Et oltre tante cortesi proferte, ch’ella fece delle ricchezze, & della città condusse ancho quel sbandito d’Enea in regia tecta. & queste liberali proferte, & opere erano altro, che dare una ueste rapita, come dice Vergilio. Iliacis ruinis. Ma lasciamo da parte per hora questa cosa, che se’l Passi leggerà, & considerarà la cortesia di Didone, so che non discorderà dal commun parere. Ma doue rimane Olimpia tanto amoreuole, & [Page 64] liberale verso lo scortese, & infedel Bireno? conoscetelo da quelle parole, che l’Ariosto la fa dire ad Orlando. Per lui quei pochi ben, che son restati Ch’eran del viuer mio soli sostegno Per trarlo di prigione ho dissipati Ne mi resta hora in che piu far disegno Se non d’andarmi io stessa in mano a porre Di sì crudel nemico, e lui disciorre. Et grande senza dubbio fù la cortesia di Arianna verso Teseo, ilquale era per essere diuorato dal Minotauro, & ella con amoreuole consiglio lo tolse, si può dire, di mano alla morte. Insegnandoli di vscire dell’intricato laberinto col filo. Anchor che da lui ne riportasse non degno pretio di tanta cortesia, & però la fa dire l’Anguillara nell’ottauo libro delle Metamorphosi di Ouidio, mostrando la sua cortesia, & la ingratitudine di lui in questo modo. Quand’io Theseo col filo, e co’l consiglio Tolsi alla Patria tua si dura legge, Giurasti per lo tuo mortal periglio Su’l libro pio, che su l’altrar si legge, Che mentre non prendea dal corpo efiglio Lo spirto, che’l mortal ne guida, è regge, Sempre io la tua sarei vera consorte, Ne a te mi potria torre altro, che morte. Cortese etiandio fù Medea verso Giasone. Perche venuto egli per conquistare il vello d’oro, & essendo veduto da Medea figliuola del re Feta hebbe pietà di lui, sapendo che in quella impresa morebbe, s’ella con la sua virtù non lo soccorea. Però essendo incantratrice li diede aiuto; facendo che venissero mansueti, & piaceuoli quei terribili tori, che soffiauano fuoco, & haueuano i piedi di ottone, & le nari adamantine, come dice Ouidio con tai parole nel libro settimo. Ecce adamanteis Vulcanum naribus efflant Geripedes tauri: tactaeque vaporibus herbae Ardent: Et vn poco più sotto dice di loro, che erano diuenuti mansueti, & piaceuoli. Pendulaque audaci mulcet palearia dextra: Supposistosque iugo pondus graue cogit aratri Ducere: & insuetum ferro proscindere campum. E’ per la medesima virtù di lei vinse coloro, che nacquero de’denti viperini, & il vigilante Dragone guardiano del vello d’oro, & ella da lui altro, che ingratitudine non hebbe, come quello, ch’era di natura scortese, & volubile: i quali versi furno tradutti dall’Anguillara [Page 65] Compar di ferro intanto il piede’, e’l corno Contra d’Esone il coragioso figlio. La fiamma de’duo tori empia, e superba Abbrucia l’aria, e strugge i fiori, e l’herba. Et più sotto dice. Verso il forte Giason veloci vanno, E danno ogn’hor per via piu forza al corso, Ma giunti appresso a lui fermi si stanno, Che’l canto di Medea lor pone il morso. Visto ei che non gli posson più far danno. Lor palpa dolce la giogaia, e’l dorso, E tanto ardito hor li combatte, hor prega, Ch’a lodioso giogo al fin li lega. Con lo stimulo i torri instiga, e preme, E col vomere acuto apre la terra. Delle donne nell’arte militare, & nel guerreggiare illustri, & famose. Cap VII. Anchor che molti sappino, che vi sono state, & sono molte donne nell’arte militare, & nel combattere illustri, & famose, nientedimeno non ho voluto mancare di darne vari essempi, accioche alcuni, che tali state ve ne sieno, creder possino, & conoscendo la verità osseruino, & ammirino i loro gesti, & imprese grandi, & lodeuoli. Nelqual essercitio, come nel reggere gli esserciti, u’è bisogno di gran prudenza, di animosità, di stabilità di mente, di liberalità. Delle quali virtù sono state adorne le bellicose donne, che hanno retto esserciti, più forsi, che non sono stati molti Capitani, & senza queste virtù difficilmente potrebbe alcuno guidar esserciti, combattere, & spesso vincere l’inimico. Et però ne gli esserciti piu risplende la potenza, & il gouerno Regio nel comandar, nell’essere vbbedito, & nel antiuedere, che non fa nelle Città al tempo della quiete, & pur ui sonos tate molte donne che hanno condotto esserciti numerosi, & vinti i superbi, & trionfanti regi. Ma ueniamo a gli essempi. La prima, che venirà a far di se bella, & merauigliosa mostra, sarà Semiramis Regina de gli Assirii, laquale molte volte in battaglia combattendo, & reggendo soldati fù vincitrice, et nelle guerre, che mosse a Scaurobate Re dell’Indie mostrò gran valore, & prudenza. Hauendo mossa questa, raccolse da tutte le prouincie soggette quanti huomini atti a maneggiar armi si trouauano. Onde in poco tempo fece vno incredibile essercito di vn milione, & trecento milla fanti, e di ducento milla caualli. & quando vide, che l’inimico era superiore ne gli [Page 66] Elephanti. Fece secretamente di molti cuoi di vacche fare molti simulacri d’Elephanti, & dentro a quei finti animali faceua mettere vn Camello. Fece venirsi di Fenicia, di Cipro, & da altri suoi luoghi maritimi duo mila vasselli di mare, i quali in India sopra carri tirati da Camelli fece portare, & con animo coraggioso come solita era, & con prudenza venne a battaglia con Scaurobate, & hora fù perdente, hora vincente, ma sempre mostrò valore, prudenza, & ardire, & vna uolta questa eroicha donna intese, che Babilonia s’era ribellata, & quando questo intese si acconciaua il capo, e haueua i capelli in mano, & non ne hauea piu che una parte intrecciata, & tosto corse ne mai si uolse l’altra parte de capelli intrecciare, finche non rihebbe la Città. Però dice il Petrarca di lei. Poi vidde la magnanima reina Ch’una treccia riuolta, e l’altra sparsa Corse alla Babilonica Ruina. Ma doue lasciamo Amalasunta Regina d’Italia figliuola di Teodorigo & moglie d’Eutarico Visigoto? fù costei prode, & saggia nelle cose della guerra: scacciò i Burgundii, & gli Alemani, i quali noiauano la Liguria. Et doue riman Zenobia Regina de Palmireni, che dopo la morte del suo marito Odenato non solamente resse l’imperio giustamente, e prudentemente, ma nelle guerre vinse molte volte, & mostrò gran valore? Ne uoglio che questo mio ragionamento resti priuo di questa pretiosa gioia, ciò è di Giouanna Loteringia, della quale il Re Carlo si merauigliò vedendo tanto valore, & animo in età tenera. Costei combattendo co i nemici del re appresso Blesia ne tagliò tre millia a pezzi, & per costei recuperò Soissons, & molte terre. Ne di minor grido era Vittorina Armigera fortissima, & intrepida nelle battaglie, prudente & giusta nel gouernare esserciti; della cui prodezza si merauigliauano i piu gran Capitani, che fossero al mondo, & però la chiamauano Madre de gli esserciti, & ella fù cagione, che il figliuolo, & il nepote prendessero l’imperio, & lo diede anco a Tetrico. Valorosa, quanto imaginar si può, fù Thomiri Reina de gli Scithi, laqual con grand’essercito mando vn suo vnico figliuolo contra il crudo Ciro, ma Ciro vccise il figliuolo, & insieme l’essercito. Onde questa gloriosa regina di nuovo fece un’essercito, & andò contra Ciro, & l’assaltò, & vccise più di ducento, & venti mila Persi; vinse, & vccise Ciro, & dipoi li fece tagliare la testa, & la mise in un uaso pieno di sangue, & disse hai hauuto sete di sangue, beui hora, che dentro vi sei immerso. Bellicosa, & saggia fù nelle guerre & nel reggere gli esserciti Valasca Regina de Boemi, laqual hauendo un animo generoso, e grande sdegnò, che huomo al mondo commandar le potesse. hauendo adunque fatto una congiura con altre donne di scacciar gli huomini da l’imperio, & ucciderli; si ragunorno molte donne [Page 67] insieme, et hauendo fatto lor guida, et conduttrice Valasca, si come quella che più perita delle altre nelle cose belliche era, mossero guerra con sommo valore, et prudenza, et vccisero tutti gli huomini, et cosi molti, et molti anni vissero a similitudine delle amazzoni. Voglio ancho che aggiunga decoro a questo mio libro Buona moglie di Brunoro Parmense, laquale fù cosi illustre nelle cose della guerra, che ricuperò il castello Patione nel contado di Brescia a’ Signori Venitiani. Mi souiene etiandio di Orsina moglie di Guido Torello Parmigiano non meno delle altre degna di eterna fama: hebbe l’origine sua da i Visconti Duchi di Milano: costei era bella, animosa, humana nell’opere, et nelle parole. visse con ottimo nome appresso il marito, et sudditi suoi, ma fra molte cose, che fece degne di chiarissima fama, una sola scriuerò; percioche io amo la breuità. Essendo nata una guerra fra i Signori Venitiani, et Philippo Duca di Milano, uenne su per il Pò l’armata Venitiana fino a Bresciello castello del marito della ualorosa Orsina; lo prese, et mise le guardie. Poi pose l’assedio a un altro castello su la riua del fiume. Sendo giunta di ciò la nouella ad Orsina, laquale dieci miglia lontana era, subito con ualore piu che di generoso Capitano ragunò in fretta piu gente, che puote sudditi, et altri, et ella armatasi montò a cauallo, et andò a liberare il castello da l’assedio, et affrontata l’armata Venitiana la fracassò, et ruuinò tutta in poco tempo. In quel combattimento morirno più di cinquecento Schiauoni, et molti ella ne vccise di sua mano; volendo vendicare la morte d’alcuni suoi amici. Cosi leuò l’assedio, & racquistò Brisciello. Onde di ciò giunta la nuoua al duca Philippo, & al marito, fecero infiniti fuochi in segno d’allegrezza. Che ui pare, non fù questa vna donna valorosa? certo sì: ne credo, che si possi altrimenti dire. Antonia doue riman ella? figlia di Orsina, & di Torello Parmigiano? percioche essendosi solleuate le parti in Parma, & ribellatesi al Duca Francesco Sforza; partita da i suoi Castelli Antonia con molti huomini armati acchetò i tumulti, & recuperolla al Duca. Certo degna etiandio di eterna memoria è Margherita figliuola di Vuoldomaro Re di Suetia, laquale andò contra Alberto Duca di Monopoli, lo uinse, & lo fece prigione, & poi per maggior sua gloria lo menò in trionfo. Non voglio che resti a dietro Telesilide donna Argiua valorosa nell’armi. Priua essendo rimasa Argo di huomini, fece uno essercito di donne, & vinse Cleomene Re de’ Spartani, con somma fortezza, & prudenza. Et Pacecca figliuola del conte di Trendiglia essendole stato fatto morire Giouanni Padiglia suo marito dal Gran Contestabile di Spagna Don Igneo Velasco, & da Enrico Ammiraglio; perche hauea solleuati i popoli, alzò le bandiere, & solleuando i popoli in vendetta del marito, mantenne la guerra lungo tempo. Camilla fù si valorosa, che combattè in fauor di turno contro Enea, & resse essercito, come dice Virgilio nell’Eneide. [Page 68] Hos super aduenit Volsca de gente Camilla Agmen agens aequitum, et florentes aere cateruas Bellatrix. Ne restarà a dietro Cleopatra Regina d’Egitto figliuola di Dionisio Aulete, laqual prese l’armi con Antonio contra Augusto essendo coraggiosa, et intrepida. Che diremo delle Amazzoni? la cui virtù sdegnò di essere imperata da gli huomini? queste furno donne di Scithia gagliarde, et forti, et più tosto superiori, che inferiori nelle armi a gli huomini. Ciro assaltandole con tutto lo essercito de Persi, restò vinto, et fù sospeso in croce. Et sotto una Regina bellicosa occuporno molti luoghi vicini; et doppo costei rimase una figliuola, che fù creduta di Marte per il sopra human valore. Costei aggrandì l’Imperio, et faceua cucire, et tessere agli huomini. Quando a loro nasceuano figliuoli maschi li stropiauano, ma le fanciulle attendeuano con ogni studio a maneggiar armi, et si stesero infino al Tanai, et vissero molti anni libere. Una delle lor Regine fù Hippolita, laquale prese l’armi contra Theseo, et Pantasilea, che fù creduta figliuola di Marte, venne in aiuto di Ettore con molte Amazzoni, e benche fosse morto Ettore quando giunse non rimase però di mostrar segni merauigliosi del suo valore, come dice Homero nell’Illiade, et ancho Vergilio dice di lei tai parole. Ducit Amazzonidum Lunatis agmina peltis Panthasilea furens, mediisque in millibus ardet. Aurea subnectens exertae cingula mammae Bellatrix; audetque viris concurrere virgo. Nicandra fù Illustrissima etiandio nell’armi, venne in fauor di Bellisario contra goti, et di lei dice il Trissino nella sua Italia liberata Con lui venia la vergine Nicandra Sauia, gentile, e di bellezza immensa. Questa non fece mai riccami, ò tele, Ma fù nutrita fra caualli, et armi, E tanto è destra, e si feroce, e forte, Che non è alcun barone in quel paese, Che ardisca aspettar lei con l’armi in mano. Onde per far di se proua maggiore Era venuta a la famosa corte Con sei milla disposti, e buon guerrieri. Clorinda nelle guerre non fù ella animosa, e feroce? Et per che tale era, Aladino le diede L’imperio sopra i suoi guerrieri, come si vede nel libro secondo del Goffredo del Tasso Hor che s’è la tua spada a me congiunta; D’ogni timor m’affidi, e mi console Non s’essercito grande unito insieme Fosse in mio scampo, haurei piu certa speme, [69] Già, già mi par, ch’è giunger qui Goffredo Oltre’l deuer indugi; hor tu dimandi, Ch’inpieghi te: sol di te degne credo L’imprese malegeuoli, e le grandi; Soura à i nostri guerrieri a te concedo Lo scettro: e legge sia quel, che comandi. Et faceua benissimo l’ufficio di conduttrice d’esserciti, & di valorosa guerriera, come veder si puote. Vittoria, come dice Lutio Gonzaga nel fido Amante, fù donna bellicosa, & guidaua essercito come si può conoscere in questa stanza. Vien poi Vittoria, & la battaglia guida Cui par che’l Cielo, e ogn’elemento arrida. Scelse d’Italia ella la gente, & tolse Quindici milla de’ suoi fanti eletti, Et sei volte trecento insieme accolse Caualli, & Cauallier buoni, & perfetti; Et altrettanti in sella ancor ne volse Di Grecia con quest’altri vnir ristretti; Hauendo io scritto di alquante donne, che hanno guerreggiato, et condutto esserciti, voglio metterne alcune poche altre, lequali solamente combattendo si acquistorno etera gloria. La prima delle quali sarà Maria da Pozzuolo ornata di bellicosa virtù, et di somma castità. Costei vestita in habito di homo, et armata era la prima a entrar nelle battaglie, et l’ultima a ritirarsi, come scriue il Petrarca nelle Epistole. Ne uoglio, che rimagna a dietro Triaria moglie di L.Vitellio, questa se ne andò alla guerra, et col suo valore ammazzò molti. Ma ditemi di gratia, a chi non porge merauiglia l’inuitto ardire delle donne Saguntine? Hauendo Annibale determinato di mouer guerra a Romani, prima che giungesse in Italia, pose l’assedio a Sagunto Città di Spagna ricchissima. Onde impauriti i Saguntini vennero a patti di volersi arrendere, et pagarli trecento talenti d’argento, et dargli altretanti ostaggi. Ma quando Annibale leuò l’assedio, essi furno pentiti di hauer promesso tanto, et non volsero attenderli. Annibale entrato in collera ritornò ad assediar la Città, et la diede in preda a soldati, iquali i Saguntini strinsero ad arendersi salue le persone, et vna sola veste per ciascuno. Le donne accorte, essendo certe che il nemico non haurebbe consentito che i Saguntini fossero vsciti armati (et ciò era nelle conuentioni) tutte con animo forte, si nascosero il ferro sotto le gonne. essendo vsciti tutti i Saguntini pose Annibale vna squadra di caualli per guardia a una porta, et a gli altri diede licenza d’entrare nella Città. Ma coloro, che erano posto per guardia vedendo gli altri carichi di preda, furno mossi da inuidia. et da sdegno, et abbandonarono la porta, et si missero a rubbare, in questo le donne messero vn terribil grido date le armi in mano [Page 70] a gli huomini, & tutte insieme cosi loro si mossero contra il nemico, & vna di loro tolse la lancia di mano ad vn certo Hannone, & valorosamente lo inuestì per ammazzarlo; ma perche era armato non lo potè ferire. Cosi i Saguntini colti i nemici in disordine, & carichi di preda molti ne vccisero, & molti ne fecero fuggire. Ma non meno valorose furno le donne di Scio. Percioche Philippo figliuolo di Demetrio assediata che hebbe la città di Scio, mandò un superbo bando, accioce i serui si ribellassero; promettendo a tutti i serui di dar lor per moglie qual donna più a lor piacesse, credendo che tutti haurebbono dimandato la moglie del suo padrone. Le donne salirno per questo in tanto sdegno, che tutte insieme, con i serui portorno tante pietre, & altre cose da offesa, & da diffesa, & poi combatterno i padroni, i serui, & anco molte donne fino alla morte, ne si smarirno mai, fin che Philippo vedendo i suoi disegni riuscir vani, non leuò l’assedio. Mario doppo la rotta de’Cimbri fù necessitato a far vn’altro fatto d’arme con le donne, Onde molti soldati di Mario furono vccisi. Oue rimangono le donne di Malta? lequali in compagnia con gli huomini guerreggiando si portonro valorosamente, & fracassorno i Turchi come dice Mambrin Roseo; & con i gridi gli spauentorno. & mentre Mustafà combatteua aspramente Famagosta, le donne della Città con incredibile ardire mescolandosi fra soldati combatterno. Onde Mustafà, che grandissima strage vide de’suoi, disse che gli assediati erono grand’huomini da guerra: & scriue il Bottero che la gente piu guerriera del Principe Monopotapa sono le donne, lequali si gouernano a guisa delle antiche Amazzoni, vagliono assai con gli archi, & mandano i figliuoli maschi a i Padri fuori della Prouincia, & le femine tengono, & le auezzano a trar d’arco, & a far altre cose da guerra. sono animose, habitano verso Occidente non lungi dal Nilo. Delbora Regina de gli Israeliti fù valorosa guerriera, & molte volte difese i suoi popoli dalle insolenze de’ vicini, & accrebbe l’Imperio con supremi honori. Ma che diremo delle donne Lacedemonie? che, come scrive Lattantio, essendo restata la lor Città senza huomini, perche erano andati ad assediar Messene, & i Messenii vscendo della Città di nascosto andorno per saccheggiare i Lacedemoni, armandosi tutte andorno contra i nemici, & non solamente difesero la Città, & il Paese dal sacco, ma i nemici mandorno in rotta, & furno sforzati a ritornarsene. Ma in questo i Lacedemonii, auuedutisi dell’inganno, andorno loro dietro, ne potendo trouarli, trouorno le lor donne armate, & credendole essere i nemici si metteuano in ordinanza per combattere, ma le gagliarde donne si diero loro a conoscere; onde per memoria di questo illustre fatto delle donne posero vn tempio a Venere armata; sopra la quale Ausonio fà vn bello Epigramma. Finge Minerua vedendo Venere armata, che voglia di nuouo venire a contesa con lei sotto etiandio il giudicio di Paris. Ma Venere la schernisce, & la chiama temeraria, hauendo ardire di prouocarla, hora che la vede armata, se da lei fù vinta ignuda, & tale è lo Epigramma tradutto in volgar lingua. [Page 71] Vedendo a Sparta Pallade la bella Venere armata a guisa di guerriera, Hor, disse, è tempo da terminar quella Lite, ch’andar ti fa cotanto altera, E siane pur giudice Pari: & ella Rispose, ah temeraria, dunque spera L’animo tuo di vincer’hor me armata, Che nuda già ti vinsi, e disarmata? Questo Epigramma benche non cosi a proposito alla cosa: nondimeno l’ho voluto porre per diletto. Marfisa, che era coi forte, oue resta? laquale in mille guerre sempre si mostrò valorosa, & diede altrui merauiglia del suo potere. Come quando andò con Ruggiero contra Maganzesi, ilquale si merauigliaua, & miraua il suo valore, come dice l’Ariosto nel Canto 27. in questa stanza. Cosi parea di giaccio ogni guerriero Contra Marfisa, & ella ardente face E non men di Ruggier gli occhi, a se trasse Ch’ella di lui l’alto valor mirasse. E s’ella lui Marte stimato hauea, Stimata egli l’hauria forsi Bellona Se per donna cosi la conoscea Come parea contraria la persona. Et di grand’anima e possanza fù Bradamante nelle guerre contra saracini, & molto valorosa ne’ duelli, come quando combattè con Ruggiero credendo lo Leone, come finge l’Ariosto dicendo. Quando di taglio la donzella, quando Mena di punta, e tutta intenta mira Oue cacciar tra ferro, e ferro il brando, Si che si sfoghi, e disacerbi l’ira. Hor da vn lato, hor da l’altro il va tentando Quando di qua, quando di là s’aggira. Et in mille luoghi mostra il valor di costei. & Gildippe non era vna fortissima guerriera? che andò contra Altamoro, che non u’era piu alcuno, che gli volesse andare incontro, perche era troppo fiero, come disse il Tasso nel canto Canto vintesimo: Non è chi con quel fiero hormai s’affronte: Ne chi pur lunge d’assalirlo accenne. Sol riuolse Gildippe in lui la fronte, Ne da quel dubbio paragon s’astenne. Nulla Amazone mai su’l Termodonte O imbracciò scudo, ò maneggiò bipenne Audace sì, com’ella audace in verso Al furor và del formidabil Perso. [Page 72] Ferillo, oue splendea d’oro, e di smalto Barbarico Diadema in sù l’elmetto, E’l ruppe, e’l sparse; e quel superbo, & alto Suo capo a forza egli è chinar costretto. Et in altri luoghi mostra il suo valore sempre degno di memoria eterna. Della sofferenza, & toleranza delle donne. Cap. VIII Est tolerantia potestas perferendae molestiae honesti gratia. Ciò è la sofferenza, ò constantia, è vna virtù di poter sopportar le cose moleste per fine dell’honore. Cosi dice Speusippo. è la toleranza in vn certo modo vna spetie di fortezza, come si può vedere in Aristotile, oue egli tratta di quelle cinque spetie di fortezza non reali, sotto una delle quali ella si può a giudicio mio porre. Sofferente, & tollerante fù Cornelia figliuola di Scipione Africano, che uinse Annibale, laquale sopportò con somma patienza l’infinite sciagure, che le hauea recate la fortuna; & dopo che i suoi ualorosi figliuoli furno uccisi, raccontaua i gesti, & imprese loro senza lagrima, ò sospiro; ma come hauesse ragionato de’fatti d’huomini antichi, & grandemente godeua a ricordarsi i fatti di Scipione Africano. Questo dice Plutarco quasi merauigliandosi della sua costanza. Però il popolo Romano l’haueua in somma veneratione. Grande fù la tolleranza di Epicarmi, laquale essendo nella congiura contra Nerone, & essendo stata accusata da un certo Proculo, costantemente negò, ne si sarebbe scoperta la congiura, se non fosse stato accusata da altri huomini, i quali essendo menati al tormento confessorno il tutto. Alcuni altri stettero saldi un pezzo senza confessar nulla, pur alla fine sé stessi, & gli altri nominorno. Ma merauigliosa come dice il Tarcangota fù la costantia di Epicarmi, che per gran tormento, che dato le fosse, mai confessò cosa alcuna; anzi essendo per soffrir il giorno seguente noui tormenti, & essendo portata sopra un seggio; perche caminar non potea per gli aspri tormenti hauuti, fattosi un laccio di una fascetta di tela, che si cauò di seno, se’l riuolse al collo, hauendolo prima al legno del seggio legato, & si lasciò andar di peso con tutto il corpo & spinse dal tormentato corpo lo trauagliato spirto. Che ui pare non fù questa una grandissima costanza? Ma doue rimane Isabella d’Aragona? laqual rimasa uedoua del Duca Giouan Galeazzo Sforza fù segno della fortuna, la cui fortezza di mente non fù mai uinta dalle ingiurie dell’auuersa fortuna; fù oppressa inanzi la morte del marito dall’insidie di Ludouico Sforza, & fù da lui spogliata contra ogni ragione dello stato, & poi la [Page 73] morte tolse l’auolo suo re Ferdinando di questa uita, della qual cosa hebbe gran dolore. Ma con animo patientissimo soffrì questi acerbi colpi di fortuna. Et il Re Alfonso suo padre uide dal Regno scacciato, & uituperosamente fuoruscito in Sicilia. Ma mentre in questi dolori, & sciagure staua, intese che’l Re Ferigo suo zio era stato spogliato del Rengo per la crudel congiura de’Re stranieri: allhora la sua chiarissima casa fù affatto ruinata da quella gran machina, che la percosse, & in un medesimo tempo hebbe nuoua, che suo figliuolo Francesco era morto in Borgogna alla caccia: essendoli caduto il cauallo sotto, ne mai l’inuitto & costante animo di questa gran donna si perdé, ò smarrì punto; ma con fortezza inusitata tollerò tutte le percosse della nemica fortuna. Questo racconta Mons. Paolo Giouio, & Gian Antonio Volpe mostra la sua gran sofferenza in questi uersi fatti in sua lode. - ella fù tanto In odio al Ciel, che vide a un tempo morto L’auolo di dolore, il Padre, e’l zio Cacciati fuor del regno, il pio fratello Spento a l’entrar col pie nel seggio anticho: Che dirò del carissimo marito Del regno, e de la vita a torto priuo? Et de la morte de l’amato figlio? Chi potrebbe vdir ciò con gli occhi asciutti? Ella non versò già pianti, ò lamenti Ma vinse con virtù l’alto dolore. Et ueramente questo fù un chiarissimo specchio di costanza, & di fermezza d’animo. Costantissima ancho diremo noi esser stata Elena Cantacusina moglie di Dauid Dauignano Imperator di Trapezunda, che si uide morire dinanzi a gli occhi il caro marito, & sei figlioulini & duo menarne a far Turchi, & queste cose tollerò con animo costantissimo, & haueua solamente dolore di quei duo figliuoli, che erono stati fatti Turchi; perche era Christianissima. Sofferenza grande fù quella senza dubbio di Penelope, laquale oltre l’absenza del marito haueua in casa quei scelerati Proci, che consumauano il suo hauere, & molti anni lor sopportò, come dice Homero nell’Odissea. Grande piu di quello, che credere si possi, fù la sofferenza di Psiche in cercar amore. Fù scacciata da Cerere, & da Giunone, & al fin da Venere fu tormentata, & afflitta con commandarle cose difficilissime da mettersi in essecutione, come il portar l’oro da quella horrenda selua cinta dall’onde spumose. Il portar l’urna piena dell’onde stigie tolte nella sommità di vno altissimo monte, & finalmente le commandò, che scendesse all’Inferno come scriue Ercole Udine Segretario dell’Altezza Serenissima di Mantoa nella sua Psiche in questo modo. [Page 74] Odi quel, ch’io commando. scendi hor hora Giù nel’inferno, e la Reina troua, E dille che d’hauer grato mi fora Quel suo liquor, che la beltà rinoua. Et ella superando ogni difficoltà scese all’Inferno, & andò alla presenza della Reina, come si vede in questi versi. Giunge al fin doue in soglio alto risiede De l’infernal signor la cara sposa; Oue a lei riuerente china il piede E’l suo messaggio spiega vergognosa; Proserpina le dà cio, ch’ella chiede In nome della Dea, E cosi vincendo tutti i preghi, portò il pregiato liquore a Venere, & però Gioue la fece Dea, & fù vera moglie d’Amore. Costantissima fù Leona cortigiana, la quale essendo fatta crudelmente tormentare da Ippia Tiranno d’Atene accioche confessasse quali huomini erano in vna congiura fatta contra lui, piu tosto si lasciò con infiniti flagelli lacerare tutta, & priuare di vita, che nominare alcuno de congiurati. Onde gli Ateniesi per honorarla della sua virtù drizzorno una Leona di bronzo senza lingua, perche si conoscesse la sua taciturnità. Delle donne del corpo forti, & della delicatezza sprezzatrici. Cap. VIIII. Rende più l’essercitio il corpo valido, & robusto, che non fa ben spesso l’istessa natura, quando lo produce, & genera; percioche il moto consumando il superfluo, & eccitando il calore fa, che le parti si rendono più agili, & piu robuste, come ben racconta Plutarco. essercitano le donne il corpo, ancor che delicato, in mille essercitii & cosi vigorosamente, & lungamente sopportano le fatiche, come gli huomini fanno, & se noi guardiamo fra le genti plebee, se ne vederà chiarissimo segno; percioche le villanele si adoprano ne gli essercitii rusticali, & in tutte quelle fatiche, che anco gli huomini fanno. Nelle Cittadi quante opere laboriose sono fatte da loro? infinite certo, & veggiamo notte, & giorno con grandissima patienza, & gran faticha, & se alcune si vedono poco atte alle fatiche, questo auiene perche assuefate non sono, come si vedono anco molti huomini, che se si affaticano un’hora, ò due, in caminare, ò in oltro, dicono, che sono lassi, & però vogliono riposare il giorno seguente, & bere l’oua fresche. sono adunque le donne etiandio robuste; cosa merauigliosa, che vn corpo cosi delicato come è quello della donna, sopporti tante e tante fatiche, & diueghi per modo di dire rozzo, & incallito; sprezzando la delicatezza, & morbidezza. [Page 75] Ma veniamo a gli essempi. Zenobia sprezzò, come dice il Tarcagnota le delicatezze di questa uita, & spese tutti i suoi primi anni nelle caccie di Leoni, de gli Orsi, di Pardi, & d’altri feroci animali, & si assuefece alle pioggie, al sole, al freddo, al caldo, & a tutti i disagi, che si possono sentire in vna trauagliata, & misera vita. Sprezzò etiandio gli agi Elena Cantauicina, alla quale essendo stati uccisi il marito, & i figliuoli ella con le sue delicate mani cauaua la terra con vna zappa, & andaua sotterrando il marito, & i figliuoli, benche fosse un commandamento di Maumete, che sotto pena della uita alcuno non sepelisse quei corpi. Andaua uestita di cilicio, & non mangiaua carne, & dormiua sotto vn poco di tugurio di paglia. queste erano le delicatezze di questa saggia, et sobria imperatrice. Et Camilla Regina de Volsci non apprezzò punto le delicatezze, et la mollitie di questa uita. Costei nella sua prima età fù inuolta in grossi, & rozzi panni, non fù da morbide nutrici nudrita, ma da Metabo suo Padre fra le selue di ferino latte. fatta poi piu grande non si essercitò nel filare, ò fra lasciue damigelle, ma fra le fere con arco, & saette senza ornamenti, ò lasciuie, come mostra Annibal Caro nell’Eneide di Vergilio da lui tradutta in lingua uolgare. Ne pria tenne de’pie salde le piante Che d’arco, di pharetra, & di nodosi Dardi le mani, e gli homeri grauolle. Non d’or le chiome, ò di monile il collo Ne men di lunga, ò di pregiata gonna La ricouerse, ma di tigre vn cuoio Le facea veste intorno, & cuffia in capo. Il fanciullesco suo primo diletto, E’l primo studio fù lanciar il palo, E trar d’arco, e di fromba; Et mostrando ch’ella a feminil lauoro non inchinò la mano. dice Vergilio. Non illa colo, calathis vemineruae Femineas assueta manus, sed praelia virgo Dura pati, cursumque pedum preuertere ventos. Illa uel intactae segatis per summa volaret Gramina, nec teneras cursu lesisset aristas: Vel mare per medium, fluctu suspensa tumenti Ferret iter, celeres nec angeret aequore plantas. Ne meno di questa gran donna si affaticò Maria da Pozzuolo, laquale al tempo di Francesco Petrarca, illustre, & gloriosa diuenne come egli nelle sue epistole dice. Costei si astenne dal uino, era parca di cibo, & di parole. Lasciò lunghi da se la lana, i fusi, & gli altri essercitii di simil sorte; godeua sommamente nel trar d’arco, nel lanciar il palo, spesso tutta la notte staua armata, & non dormiua. Ma quando dormir uoleua, appoggiaua il capo [Page 76] sopra lo scudo, & sempre conuersava fra caualieri armati, ne niuna cosa tanto hebbe cara, quanto la sua pura verginità, laqual conseruò fino alla morte, & cosi sprezzando ogni culto del corpo, l’anima, & la sua fama di chiari, & incorruttibili fregi rese adorna. Ma che dice il Tasso di Clorinda in questi uersi che tanto si affaticò nelle selue, & nel campo fra caualieri? Costei gl’ingegni femmenili, e gli vsi Tutti sprezzò sin da l’età più acerba: A i lauori d’Aragne, a l’ago, à i fusi Inchinar non / degnò la man superba; Fuggì gli habiti molli, e i luoghi chiusi: Che ne’ campi honestate anco si serba; Armò d’orgoglio il volto; e si compiacque Rigido farlo; e pur rigido piacque. Tenera anchor con pargoletta destra Strinse, e lentò d’un corridore il morso; Trattò l’arco, e la spada; & in palestra Indurò i membri, & allenolli al corso; Poscia, ò per via montana, ò per siluestra L’orme seguì di fier leone, e d’orso; Seguì le fere, e in esse, e frà le seue, Fera a gli huomini parue; huomo a le belue. Et Marfisa, da questo si può conoscere, se alle delicatezze, & alla quiete si diede, poi che essendo di diciotto anni prese sette regni, come dice l’Ariosto nel canto trentesimo ottauo. Che diciotto anni d’uno, ò di duo mesi Io non passai, che sette Regni presi Et di lei ragionando nel Canto decimo ottauo dice. Fece piu volte al gran Signor di Braua Sudar la fronte, e a quel di Mont’Albano E’l dì, e la notte armata sempre andaua Di qua, di là cercando monte, e piano. Ne stimaua fatica per farsi immortale, come si uede in cento luoghi. Ne delicatezze mi pare, che apprezzasse in questo luogo Erminia, come dice il Tasso. La fanciulla regal di rozze spoglie S’ammanta, e cinge il crin ruuido velo. Et altroue. Col durissimo acciar preme, & offende Il delicato collo, e l’aurea chioma. Et cosi faceuano tutte le Amazoni, lequale sempre armate andauano, & fanciulline si auezzauano a l’arti militari, & alle caccie di animali feroci. Et come scriue Solino, oltre modo indefese, & gagliarde sono le donne de popoli Tribali, che fanno, & trattano tutti i negotii, & sono [Page 77] molte di loro ornate di virtù militare; ma gli huomini stando in casa si mantengono molli, et delicati, amano l’otio, et si guardano dalla fatica più che possono. Dell’amor delle Donne verso i Padri, Mariti, Fratelli, & Figliuoli. Cap. X. QVello è sincero, & vero amore, che non ha per oggetto il piacere, o l’vtile: anzi per la cosa amata si contenta l’amante, & gode di patir anco vna cruda, & acerba morte, non aspettandone diletto, ò vtilità alcuna. Come sarebbe, se la madre vedendo morire il figliuolo, si contentasse di morire in luogo di lui; percioche in vn tal caso non v’è alcuno, che à ciò la spinga, se non il desiderio di saluar la uita al figliuolo, & causa n’è quello intenso amore, che à lui porta senza fine alcuno o di utilità, o di diletto. a questo modo amano le madri i figliuoli, ancorche da loro amate non fossero, & nell’amarli si rallegrano. Onde dice Aristotile nell’ottauo dell’Etica. Argumento sunt matres, quae amando gaudent reamari non curant, sed satis ipsis uidetur, si liberos suos bene agentes inspiciant, amantque ipsos. Et questo è un uero amare, & un sincero, & perfetto amore, et però disse Propertio: Verus amor nullum nouit habere modum. Et di questo amore le donne sono piene, come si vederà ne gli essempi. Essendo l’Imperator Corrado sopra la Città di Vespergia: in modo tale l’assediò, come racconta il Tarcagnota, che gli assediati tentando molte vie d’accordi, non poterno altro ottenere, se non che le donne se ne vscissero della città cariche di quello, che piu à lor piaceua. Ma le pietose, & amoreuoli donne non curandosi ne de l’oro, ne delle altre cose piu pretiose, ciascuna (o verace amore) portorno in spalla, a loro caro, peso, & più pretioso, che le gioie non sono, il marito, o il padre, o il fratello, o il figliuolo. Che vi pare di questo pietoso amore? Artesimia amò con tanto ardore, & fede il suo caro marito Mausoleo, che venendo à morte l’honorò di un sepolcro, il quale è posto fra le sette merauiglie del mondo, & a guisa di sconsolata tortorella piangeua la morte del marito: & benche fosse domandata per moglie da molti Principi grandi, ella però non volse passare alle seconde nozze. Et essendo stato abbrusciato il corpo di Mausoleo, ella sempre lo portaua seco, & raccogliendo il suo pianto, che era abbondeuole, dentro li metteua un poco di quelle amate ceneri, & tanto perseuerò nel tenerle miste con le lagrime sue, che il pianto, la uita, & le ceneri in un medesimo tempo finiro. Né meno fu grande l’amore di Giulia figliuola di Cesare [Page 78] verso il gran Pompeo suo marito, che essendole recata la ueste di lui tutta macchiata di sangue, ella tosto ricordandosi delle ciuili discordie, credendo che fosse stato morto da suoi nemici, prese cosi acerbo dolore, che tramortì, & poi morì subito, non senza lagrime di tutta Roma, essendo ella colei, che manteneua amicitia fra Cesare e Pompeo. Ma doue rimane Laodamia figliuola di Acusto Tessalo, che portò al marito Protesilao cosi ardente amore, che egli essendo andato alla guerra Troiana visse in continue lagrime, & dolori, sempre chiamandolo, fin che ultimamente le fù portato il corpo di lui, che fù ucciso da Ettore, & vinta da crudel cordoglio sopra di lui se ne morì. Hiphisicratea, come scriue Valerio Massimo amò con ferma fede, & amore Mitridate suo marito, che per andarli sempre dietro, & esserli compagna, & aiutarlo in mille suoi trauagli si tagliò i capelli, & si armò come soldato seguitandolo ouunque andaua, & à lui fù di molto contento. Cornelia amò ardentemente Pompeo suo consorte, & sempre seguitollo in pace, & in guerra, et dopo che fù vucciso da Tolomeo a tradimento lo pianse, & sempre si lamentò fino alla morte. Ma che dirò io della gran pietà, & amore della moglie di Alessio? il quale essendo vergognosamente stato cacciato in vn monasterio à farsi monaco da Manuelo Comneno, fingendo che Alessio hauesse voluto con incanti torli la vita, ella andò a gettarsi dinanzi a i piedi di Manuelo, che era suo zio, & molto lo pregò, & mostrò con molti giuramenti, che a torto il marito soffriua quella villania, & uergogna, & facea fede con molti testimoni della innocenza sua. Ma il crudo Imperator, anzi tiranno, non guardando se affliggeua l’innocente, o nò; ma volendo fare a suo modo, et come li piaceua, non uolse mouersi punto à misericordia ne per la uerità, che gli mostraua, ne per sue affettuose lagrime, ne per l’habito, in che ella era. Onde la pietosa donna non potendo in modo alcuno soccorrere il marito, passò a miglior vita consumata dal dolore, & dalle lagrime. Questo racconta Niceta Acominato. Porcia portò tanto uero amore al suo sposo, che essendole morto, & per il dolore uolendosi vccidere, & non hauendo cosa alcuna da poter far questo, inghiottì carboni accesi, & cosi finì la sua uita. Ne minor di quel di Porcia fu quello di Fille verso Demofonte suo caro sposo, il quale hauendo tolto licenza dalla moglie d’andare a uedere il suo impero, & ritornar fra un mese, ma ne passorno quattro, che non hebbe nouella di lui. Onde ella dubitando della sua morte, per dolore s’impiccò. Hipermnestra portò un uero, & sincero amore a Lino suo consorte. Hauendo Nerone fatto che Seneca si eleggesse qual morte piu li piaceua, Seneca si hauea eletto di uoler morire col lasciar la uita, & il sangue in un bagno, Pauolina sua moglie mossa da fido amore s’era deliberata di uoler morir seco (benche egli non uolesse) perche, come erano stati compagni in uita, uoleua anco nella morte, che il medesimo fosse, & cosi fù posta con Seneca nel bagno. Ma come questo intese Nerone, subito mandò molte persone à farle fermar il sangue, & ritenerla in uita, & [Page 79] essendogliene uscito molto, sempre poi fù pallida, & sempre ritenne in uolto il segno del suo casto amore. Ma doue rimane Tiraria, laquale spinta da maritale amore seguì il marito L.Vitellio nella guerra ciuile, che i Vitelliani fecero contra Vespasiano? Et in quella notte, che il marito vscì di Terracina co’ soldati, ella compagna fidissima lo seguì, & fece opera più che di valoroso caualiere. Durando la legge de Triumuiri, nella quale incorreuano in vna medesima pena co i proscritti quelli, che non li manifestauano, per paura dellaquale molti haueuano tradito i figliuoli, i fratelli, & i padri, Ligario fù vno de’ proscritti, ilquale dalla moglie fù lungo tempo tenuto secreto in Roma, ma vna serua, che haueuano, l’accusò. Venuti i ministri lo guidauano al luogo destinato per farlo morire, ella andaua dietro al marito pregando i ministri che l’uccidessero, dicendo che secondo la legge meritaua la morte, hauendo tenuto in casa il marito proscritto. Ma non u’essendo alcuno, che la volesse ascoltare, tornò a casa, s’astenne di mangiare, & con gran trauaglio fra la fame, & le lagrime finì la sua vita. Mostrò similmente grand’amore verso il marito Arria, percioche essendo nominato nella congiura Scriboniana, fù preso in Schiauonia, & menato a Roma. ella fece ogni sforzo per esser menata con lui, il che hauendo tentato indarno, li andò dietro con vna barchetta fino a Roma, & alla presenza di lui si passò il petto con vn pugnale, & non meno piena d’amore, che forte d’animo si cauò del petto il pugnale, & lo porse al marito accioche ancor egli si vccidesse auanti che andasse nelle mani de’ manegoldi, dicendo per fargli animo, che la ferita non le doleua punto. Ma che vi pare di quelle donne Spartane? allequali essendo stati imprigionati i martiri da Lacedemonii ogni giorno andauano alla prigione, & doppo molti preghi ottennero di fauellare a’ mariti, lequali entrate dentro persuasero i mariti, che si vestissero da donna con le lor vesti, & vscissero di prigione col capo coperto, come andauano esse, & cosi le pietose donne rimasero in prigione, per dar libertà a’ mariti, a soffrir ogni tormento, & gli homini vscendo ingannorno le guardie; & subito presero Taigeta, & cosi i Lacedemonii li diedero poi le lor mogli, & si partirno di Sparta. Grande veramente è la beneuolenza delle donne verso i fratelli, & vdite questo essempio. Haueua il Re Dario condennato a morte Itapherne con i figliuoli, & con tutto il parentado: la moglie d’Itapherne andò al palazzo, & riempì ogni cosa di pianti, & di lamenti. Onde Dario mosso a misericordia, le fece dire, che domandasse qual piu le piaceua di quelli condannati, & essa domandò il fratello, ch’era nel numero de’ dannati. Merauigliossi Dario, ch’ella hauesse preposto al marito & a’ figliuoli il fratello. Ella rispose, che se perdeua questo fratello, non ne era piu per hauere un altro, ma se perdeua i figliuoli, & il marito, poteua hauerne de gli altri, & vn altro marito. Da questo si può conoscere, che uerso mariti, et fratelli sempre le donne sono amoreuoli. Grande, & veramente degno fù l’amore di Hisiphile verso il suo carissimo Padre Thoante. costei essendo [Page 80] Regina di Zenno Isola, tutte le donne si consigliorno di vccidere i loro padri, et quella, che ad alcun huomo perdonasse, ammazzare. Ad Hisiphile dolente, & lagrimosa per pietà del vecchio padre Thoante, che già hauea vedute Alcimede portar la testa del padre proprio, si arricciaro i crini. come la fa dir Statio nella sua Thebaide, che fatta in volgar dal Valuasone, così suona. Il crin mi s’arricciò, tremar le piante Mi venne in mente il mio padre Thoante. Et tosto corse al padre, & lo fece fuggire, & poi fingendo di hauerlo vcciso, accomodò un Rogo con il manto, lo scettro, & l’armi del genitore. & hauendo tinto vn coltello nelle ferite, si assise appresso il Rogo; perche se stata fosse scoperta, quelle altre donne, ch’vccisi haueuano i suoi l’haurebbono uccisa. Non fù grande amore verso il padre quello di quelle cinquanta figliuole di Danao, le quali per vbbedire à lui vccisero quei miseri giouini lor sposi? grandissimo fù l’amore, & beniuolenza di Althea verso i fratelli, che furono vccisi dal suo proprio figliuolo, il quale nascendo, si dice, che la Parche tolsero un legno, & lo missero nel fuoco, & dissero; tanto durerà la vita di questo fanciullo, quanto si mantenerà il legno: Althea, partite le Parche, prese il legno, & con gran custodia lo guardò, essendole da lui morti i fratelli, spinta da fraterno amore lo gettò nel fuoco, come dice Ouidio nel lib.8. per priuarlo di vita. Me miseram, male vincetis, sed vincite fratres: Dummodo quae dedero vobis solatia, vosque Ipsa sequar: dixit: dextraque aversa dementi Funereum torrem medios coniecit in ignes. Et cosi vinse l’amor fraterno quello del figliuolo. Ma doue rimane Drusilla, che tanto amò il marito, che con animo forte, & generoso vccise il suo nemico, facendo attosicare il vino, che volse, che il sacerdote porgesse à Tanacro. ma ella prima fece fare l’essequie al morto marito, come dice l’Ariosto nel canto 37. Tosto, ch’al fin le sante essequie foro, E fù col tosco il vino benedetto, Il sacerdote in vna coppa d’oro Lo versò, come hauea Drusilla detto: Ella ne bebbe quanto al suo decoro Si conuenia, e potea far l’effetto; Poi diè à lo sposo con viso giocondo Il nappo, e quel li fe apparire il fondo. Et cosi fece vendetta del Tiranno. & certo anchor grande era la beneuolenza di Gildippe verso il caro Odoardo, come ben dice il Tasso nel primo libro di lei ragionando. Ne le scole d’amor, che non s’apprende? lui si fe costei guerriera ardita [Page 81] Va sempre affissa al caro fianco, e pende Da vn fato solo l’una, e l’altra vita Colpo ch’ad un sol noccia, vnqua non scende; Ma indiuiso è il dolor d’ogni ferita: E spesso è l’ un ferito, e l’altra langue, E versa l’alma quel, se questa il sangue. Le donne furno etiandio colme d’amore uerso i figliuoli; percioche alcune morirno d’allegrezza come raconte Tito Liuio dicendo, che dopo che i Romani hebbero, una rotta sopra il lago Trasimeno assai genti stauano alle porte, ma piu donne, che huomini; & aspettauano le nouelle, fra queste ve ne era una, a cui falsamente la morte del figliuolo era stata rapportata, & standosi dolente la souragiunse il figliuolo, & ella subito per souerchia allegrezza caddè morta: & una altra, che hauea già lagrimato per morto il figliuolo, & impensatamente caminando lo incontrò, uinta da un gaudio insetimabile subito spirò. Ne meno si mostrano affabili, & benigne le donne verso mariti Et Argia figliuola di Adrasto Re di Argo sempre chiamaua Polinice da lei quanto imaginar si possi amato sposo, che era stato vcciso da suo Padre nominato Laio; & perche hauea Creaonte vietata la sepoltura ai morti, Argia con la sorella del marito nominata Antigona, senza paura del commandamento, andò di notte, & riconosciuto Polinice, con molte lagrime li diero sepoltura, & il crudel Creonte inteso questofece l’una, & l’altra morire. Ma Deidamia doue resta? laqual fù tanto amoreuole uerso il marito, che poi che fù morto a Troia, visse sempre vedoua, sconsolata, pascendosi solo della memoria di lui. Merauiglioso senza dubbio fù l’amore d’Alceste verso il caro marito Admeto, poi che diede la sua uita in preda a morte per conseruarlo in vita. Essendo vnhuomo chiamato Eraclito, il quale chiedendo a l’oraculo se haueua a uiuere lunto tempo, tosto li rispose, che in pochissimo tempo finirebbe la sua vita, quando egli non ritriuarà alcuno che morire per lui uolesse: egli dolente per la uicina morte, domandò al Padre se per lui morire volesse, alla Madre, a figliuoli, a fratelli; & ogn’uno di loro ricusò il morire per lui. Ma la cortese moglie, come questo intese, volontariamente alla morte si offerse, & saluò la vita al marito. Conoscete etiandio da quello che dice l’Ariosto se grande era l’amore ch’al marito portaua Vittoria Collonna in queste stanze. Se Laodamia, se la moglier di Bruto; S’Arria, s’Argia, s’Euadne, & altre molte Meritar laude per hauer voluto Morti i mariti esser con lor sepolte, Quanto honore a Vittoria è più douuto Che di Lete, e del Rio che noue volte L’ombre circonda, ha tratto il suo consorte Mal grado de le Parche, e de la morte? [Page 82] Se al fero Achille inuidia de la chiara Meonia tromba il Macedonica hebbe Quanto inuitto Francesco di Pescara Maggior a te, se viuesse hor l’haurebbe? Che si casta mogliere, e a te si cara Canti l’eterno honor, ch’a te si debbe E che per lei si’l nome tuo rimbombe Che da bramar non hai piu chiare trombe. Dell’amore delle donne verso la Patria. Cap. XI. Hanno etiandio le donne anteposto al proprio bene l’honore, & l’amore della Patria; ne in questo hanno portato punto d’inuidia a gli huomini, anzi molte uolte hanno lor preuenuti, ò li hanno superati, ò lor hanno inanimiti, & incittati alle diffese, & alle uittorie; & ueramente, come disse Cicerone ne gli offici, cari sono gli amici, cari i Parenti: ma l’amor della Patria contiene tutte le altre cose. Et on si può se non con uerità affermare il detto di quel filosofo, Nihil est dulcius quam libera Patria fuit, & molte donne esposero il petto inuitto per liberar l’amate mura da l’insolenza de’ nemici. Essendo dunque assediati gli Sparani, haueuano gli huomini determinato di mandar tutte lke donne in Creta, allaqual cosa tutte contraddissero, fra le quali u’era una donna chiamata Archidamia ualorosa, & forte, che prendendo una spada in mano andò in Senato, & riprendendo gli huomini, disse se pensauano, che le donne uolessero uiuere, quando Sparta fosse presa, & ruinata. Onde stupefato il Senato di tanto ardire, rispose che tutto quello a lei piacesse, l’altre facessero. Subito le corraggiose donne andorno, & mandorno a cauar fosse, & a fare altri ripari, & uolsero, che i soldati si riposassero: & molte di loro combattendo fecero loro inuidia. Hauendo gli Efori condannato a morte Agide Spartano con inganno ordito da loro; & essendo menato in una prigione doue si soleuano strangolare coloro, che erono condannati a morire, uenne alla prigione l’auola, & la Madre di Agide, pregando & domandando con gridi, ch’egli potesse dir la sua ragione dinanzi a’ suoi Cittadini; Per questo i nemici d’Agide spauentati, affrettorno allor la morte, temendo che non fosse cauato di prigione la notte da le donne, subito fù strangolato. Ma Anfare, ilquale era una di quelli, che condannorno a morte Agide, uide in terra la madre di lui, che hauea nome Agesistrata, che per lo smiserato dolore non hauea pace, & presela per mano la leuò in piedi, & dissele non temere di Agide; perioche non u’è alcuno, che li usi forza, ne crudeltà alcuna, & se ti piace puoi entrare a uederlo, & ella pregollo che lasciasse anco entrare la made sua, laqual era auola di [Page 83 / 38R] Agide. disse Anfare crudelissimo menala, che non c’è alcuno, che te’l uieti. Le prese per mano, menolle dentro, & fece serrar la porta della prigione, & fece uccidere Archidamia gia dalla uecchiezza consumata, laquale era tenuta in grandissima reputatione, & riuarenza nel saper le cose publiche. Doppo chje fù amazzata costei, disse Anfare ad Ageisstrata, che andasse a uedere il figliuolo, & subito entrò dentro, & uide il figliuolo morto, & la madre, che haueua anchora il laccio al collo: ella dolente, ma forte, ne sorse mostrando il dolore, che premea nell’animo, aiutò a leuare il capestro dal collo alla Madre, & la distese appresso ad Agide, e l’uno, & l’altra con una ueste coperse, & poi gettandosi sopra il figliuolo lagrimando disse. la tua charità uerso la Patria figliuol mio ha ruinato te medesimo, & noi insieme. Ma Anfare, che vdiua queste parole, disse con voce empia. Agesistrata, perche tu persuadeui il tuo figliuolo a far questo, tu hai da morire con lui, & l’animosa Agesistrata acconciandosi il laccio al collo, disse, dolce è la morte pu che gioui alla mia Patria Sparta, & cosi subito fù morta. Amatrice veramente della Patria fù vna Madonna Paola della famiglia de Buti degna d’eterna memoria: perche essendo assediata Pisa laquale era piena d’ogni commodità circa il combattere, & il nutrirsi ma le mancauano solamente persone, che facessero dosse, & i ripari alla Città. Ne poteua il senato per la poca copia d’huomini a questo bisogno prouedere. Ella si appresentò al Senato; & promise di voler saluar la Città con le ceste, se mille Asine simili alle sua dete le fossero, mostrando loro Gineura, & lucretia sue figliuole. Missessi il partito, & fù vinto, et subito fùr ritrouate le ceste, & le pale, & cosi le donne fecero la Città inespugnabile. Racconta il Conte Giouanni Castiglione di una giouine Pisana, laqual valorosamente diffese la patria, nella cui morte fu fatto questo bellissimo Epigramma. Semianimem in muris mater pisana puellam Dum fouet, & tenero pectore vulnus hiat: Nata tibi has, dixit, thedas, atque hos Hymeneos Haec defensa tuo maenia marte dabunt. Cui virgo haud alias thedas, aliosue Himeneos Debuit nec nobis grata reprendere humus. Hanc ego sola meo seruaui sanguine terram Haec seruata meos terra tegat cineres. quod si iterum ad muros accedet Gallicus hostis Pro patria arma iterum ossa haec cinisque dabunt. Et questo leggiadro Epigramma fù poi tradotto dal Domenichi in lingua uolgare, & è questo. Mentre abbracciaua la Pisana Madre La valorosa, e quasi morta figlia, Et l’ampia piaga il tener petto apriua Queste le nozze fien, questo il marito Disse ella, che tu haurai da queste mura [Page 84 / 38V] Diffese col valor della tua mano. Cui la donzella; & altre già non uoglio Pompe, ò marito hauer dal patrio nido, Sola difesi col mio proprio sangue, Coprà ei difeso dunque il corpo mio; Che se mai torneranno à queste mura I nemici Francesi, vn’altra volta L’ossa mie prenderan l’armi per lui. Ne manco grande fù l’amore della madre di Pausania verso la Patria; percioche hauendo Pausania tenuto da Persi contra la Patria, & per questo richiamato nella Città da gli Ephori, & conoscendo che essi ogni cura mettauano per ritenerlo, fuggì nell’Asilo di Pallade. questo luogo era sacro, & molto reuerito; Onde sarebbe stato fatto ingiuria a’ Dei, chi l’hauesse di lì cauato: & perche determinorno gli ephori di chiuderlo dentro, & farlo morire di fame, la Madre di lui corse, & innanzi a tutti portaua la materia di chiudere le porte del tempio, tenendolo per nemico; perche haueua operato contra la Patria. Cruda uerso il figliuolo fù Danatriona Spartana per amor della Patria; perche essendo il figliuolo andato alla guerra, intese che era timido, & vile ne i pericoli, & poi ritornando ella si sua mano l’uccise. & fece ponere questa sentenza sopra il sepolcro; DAMATRIONA fù la Madre, che qui ripose il suo figliuolo: & eprche ella lo vide timido, & indegno della Madre, & di Sparta sua Patria, ella medesima di sua propria mano l’uccise. Et un’altra Madre non meno amorosa verso la Patria vedendo venire il figliuolo, subito li domando in che stato fossero le cose della Patria; & egli rispose, che tutti gli altri erono morti; prese ella vn tegolo, l’auentò di gran furia nella testa al figliuolo dicendo: dunque sei rimaso vivo per portare si dolorosa nouella alla Patria? & egli intanto morì. Guereggiando i Latini con i Romani; i Latini domandorno a’ Romani alcune fanciulle vergini: i Romani non sapendosi in questo risoluere temeuano a prendere una guerra grande, non hauendo alhora troppo gran forza, & temeuano che i Latini fingendo di uolersi apparentar con loro, malitiosamente cercassero di hauere gli Statichi in mano; ma vna fante, che hauea nome Tutola, ò come dicono alcuni Filoti, auisò il Senato, che facessero vestire di pretiose vesti molte serue delle piu belle, & piu uaghe, che fossero a guisa di nouelle spose, & le mandasseo a’ Latini. Del rimanente lasciassero il carico a lei. Accettaro i Senatori il partito, fecero la scelta delle seue, le vestirno, 6 ornorno benissimo, & le mandorno a’ Latini, che poco lontani dalla Città accmpati s’erano: come fù la notte, le serue leuorno le spade a nemici, & a Tutola salendo sopra un fico, gettandosi la uesta su le spalle alzò una fiamma verso Roma, come haueua dato ordine a’ Senatori, i quali affrettando i soldati, presero gli alloggiamenti de’ nemici, & molti ne tagliorno a pezzi, et in premio di questo fù ordinata in Roma una festa, che si chiamaua delle serue, [Page 85] Non cadono a queste donne di Smirna; perciche hauendo i Sardiani posto l’assedio alla Città di Smirna, fecero intendere a’ Cittadini, che non so voleuano mai partir dall’assedio fino che non li dauano in mano tutte le lor mogli: onde aspettauano gli Smirnei vna gran vergogna. Ma vna serua li persuase, che mandassero a’ nemici tutte le lor serue vestite con le stesti delle Padrone, & cosi gl’ingannassero: cosi fecero, onde i Sardiani ebri, & stanchi dal beuere, & ridere con le serue, stauano prigli, & lenti: gli Smirnei vscendo li fecero prigioni, et così liberò la Patria da vna grande ingiuria. Essendo messi in fuga i Pesiani da Medi nella guerra di Ciro, le donne inanimandoli li fecero ritornare indietro; & cosi hebbero vittoria. Ma doue rimane la bellissima Regina ester? che per amor della Patria andò contra il decreto a ritrouar Assuero, & doppo hauerli mostrato la verità del inuidioso aman, & hauerlo pregato, liberò la Patria per lei Assuero Re. Grande senza dubbio fù l’amore di Vetturia verso la cara Patria Roma; perche hauendo Martio Coriolano suo figliuolo assediata Roma, & non si volendo placare, ne per ambasciatori, ne per sacerdoti; ella menando seco Volumina moglie di Martio Coriolano con duoi figliuolini, andò nel campo nemico; & vno huomo disse a Martio, ecco qui tua Madre. come egli vdì questo venerabil nome, scese dal tribunale per abbracciar la Madre: fa, disse ella, prima, che mi abbracci, ch’io sappia se son venuta a visitare il figliuolo, ò il nemico: s’io son prigioniera, o serua nel tuo campo, ò Madre: Dunque m’ha riseruato la mia lunga vecchiezza per vederti prima essule, e poi nemico? Hai dunque tu potuto ruinare, & saccheggiare questa terra, che ti ha generato e nutrito? Come non ti cessò ogni odio, quando entrasti dentro questi confini? come quando Roman s’offerse a gli occhi tuoi non ti tornò egli a mente, dentro a quelle mura è la mia casa, li miei Dei fimigliari, la Madre, la donna, & i figliuoli? Adunque, s’io non hauessi partorito, Roma non sarebbe combattuta. & s’io non hauessi hauto figliuoli, mi sarei morta librera nella mia patria libera. Ma horamai io non posso patire cosa alcuna, ò a me piu misera, ò a te più brutta, & vitupereuole. Ma se ben sono infelicissima, non posso cosi durare molto tempo; pensa tut a costoro, i quali se cosi vai seguitando tosto saranno oppressi da morte acerba, o da lungua seruitù. La moglie poi l’abbracciò, & i figliuoli; & cosi si piegò Martio, ilquale tosto ritirando l’essercito, si partì del contado di roma. Questo sono le parole di Tito Liuio; onde si po’ ben dire a ragione, che questa gran donna era degna di Poema chiarissimo, & d’Historia. Nella guerra di Enea con Turno non vi sono le donne che diffendono la Patria? Come dice Vergilio nel libro undecimo in questo modo? Ipsae de muris summo certamine matres (Monstrat amor verus Patriae) vt videre Camillam Taela manu trepide iaciunt, acrobore duro [Page 86] Stipitibus ferrum, Isudibusque imitatur obustis Praecipites, primaeque mori pro moenibus audent. Et questi uersi fatti in uolgare da Annibal Caro cosi suonano • In sui i ripari Ancor le donne, (che le donne anchora Il vero della Patria amore infiamma) Come giunte à l’estremo, alhor che morta Vider Camilla, il femenil timore Volgono in sicurezza, & sassi, & dardi Lanciando, & con aguzzi inarsicciati Pali, il fero imitando; osano anch’elle Gir le prima a morir morte honorata. Et il Tasso nel Canto undecimo dice che molte donne diffendeuano Icrusalem in questo modo. E mirando la Vergine gagliarda: Vero amor de la Patria, arma le donne. Correr le vedi, e collocarsi in guarda. Con chiome sparse, e con succinte gonne; E lanciar dardi, e non hauer paura D’esporre il petto per l’amate mura. Hauendosi Aristodemo fatto Tiranno di Elide, sbandì quasi tutti i Cittadini, ch’erono intorno a ottocento, et tutti insieme se ne andorno a saluarsi in Etolia, & poi fecero pregare il Tiranno, che li piacesse mandar a loro i figliuoli, et le mogli: ma questo non poterno impetrar dal Tiranno. Poi fingendo di essere mitigato, mandò un bando che in certo giorno determinato douessero tutte le mogli de sbanditi con i figliuoli, et con tutto quello, che piaceua loro andare a ritrouare i mariti. tutte credendo, che fosse uero, allegre aspettauano il giorno assignato: uenuto il giorno tute si ritrouorno alla porta della Città, onde haueuano a uscire con le lor cose. Alcune haueuano i piccioli figliuolini in braccio, et i più grandicelli per mano, altre andauano sopra i carri portando in seno i lattanti pegni, et aspettaua l’una l’altra. Reccolte tutte per partirsi, subito fù loro dietro i ministri del Tiranno, che salendo sopra i carri, li uoltorno indietro con grande uccisione de fanciullini; percioche alcuni cadeuano da i carri; ad alcuni altri, che erano su la strada, le ruote delle carette andaua lor sopra, & infrangeuano, et a l’ultimo con molta crudeltà le cacciò in prigione. Questa cosa mosse molto i petti de gli Eliensi. Onde le sacerdotesse di Bacco sacerdotalmente ornate andorno dal Tirranno a pregar per le donne con le cose sacre in mano per mouere piu l’ostinato cuore di lui. Il crudele, comele uide, staua cheto ad ascoltare, ma come udì, che erano uenute a pregar per le donne, subito salì in grandissima rabbia, et commandò, che fussero mandate uia con molte bastonate et pagassero due talenti per una, et cosi fu fatto. In questo messo gli Eliensi, ch’erano riuerati in Etolia [Page 87] con quelle poche genti che haueuano potuto mettere insieme, haueuano occupato vna perte del territorio di Elide, vicino alla Città, doue sicuramente poteuano starsi, & far guerra al Tiranno. Ogni giorno fuggiua della Città qualch’uno per non vedere il tiranno. Altri erano da lui sbanditi, tutti costoro si andauano volontariamente ad vnire con coloro, che haueuano occupato il territorio; onde fecero un’essercito grande. Il Tiranno di ciò impaurito andò alla prigione dalle donne, & con gridi, e minaccie comandò loro, che scriuessero a i mariti, & i pregassero, che leuassero l’assedio alla Città, altrimenti egli hauerebbe vccisi i lor tenersi bambini dinanzi a gli occhi, & dopo diuersi, & strani tormenti ancora. Le donne vdendo questo si guardauano in viso l’una con l’altra, mostrando di non temere punto le sue crudeli minaccie. Quando Megistona moglie di Timoleonte, laquale per la nobiltà del marito, & per natio era la prima, alla venuta del Tiranno sdegnò leuarsi in pieti, & il medesimo haueua ordinato, che facessero tutte le altre, rispose al crudel in questo modo, se tu hauessi vn poco di ceruelo, non ci comandaresti, che scriuessimo a i mariti; ma noi stesse come a nostri Signori mandaresti a negotiare in miglior modo, & piu lealmente, che non facesti dianzi, quando c’ingannasti. Ma perche ti troui fuori di speme di poter fuggire dalle lor mani, voresti per il mezo nostro ingannare anch’essi: tu sei in errore, se credi, che di nuouo ci vogliamo lasciare far inganno, & che essi lasciassero l’assedio per liberar da morte i figliuoli, quanto acquisteranno liberando dalle tue mani la Patria loro. Seguiua la corraggiosa Megistona, quando il Tiranno non potendo piu soportare, comandò, che li fosse portato dinanzi il fanciullo di lei per volerlo vccidere dinanzi a gli occhi della madre. I ministri non sapeuano ritrouare fra tanti fanciulli il suo. Essa lo chiamo dicendo vieni figliuolo mio: acciò che sii primo a prouare la crudele asprezza del Tiranno; perche maggiore è il mio dolore a uederti seruo contra la tua dignitàm che morto. Il Turanno vdendo il parlare di lei cosi animoso, con furia messe mano alla spada, & si mosse per andare ad vcciderla; ma vn suo famigliare lo tenne con ragioni efficaci, & con preghi, & si partì di prigione: essendo poi in camera con la moglie, & con gli figliuoli, volando vn’aquila lasciò andare vn gran sasso sopra la parte della casa, che rispondeua alla camera del Tiranno, & leuandosi vn gran strepito, sparì da gli occhi a tutti. Egli pieno di spauento chiamo vno indouino, & li dimandò, che volesse significare questo, & egli rispose confortandolo, che questo era vn segno, che gioue gli voleua gran bene, & lo uoleua aiutare ne’ suoi bisogni. Cosi disse al Tiranno, & in vno altro modo disse a’ Cittadini; percioche quello era segno, che’l Tiranno doueua correre vn gran pericolo; onde essendosi vniti certi huomini che haueuano congiurato contra lui, fra quali era vno chiamato Hellanico, non volsero piu aspettare a ponere la Patria [Page 88] in libertà, & uedendo il Tiranno venirsene in piazza senza guardia gridò Hellanico, ò fratelli mostrate hora vn bellissimo spettacolo alla vostra Città; & Chilone uno de’ congiurati messe mano alla spada, & uccise uno, che accompagnaua il Tiranno. Ma esso fuggì nel tempio di Gioue, & fù da coloro, che lo seguitauano morto. La moglie del detto Tiranno s’impicco per la golla come udì la morte di lui: et due figliuole, che u’erano fecero il medesimo inuitando l’una l’altra; perche i Cittadini uoleuano far loro uergogna. Ma megistona ch’era uscita di prigione con le altre donne la difese dicendo, che pazzia è la uostra ò Cittadini? odiate le tiranniche crudeltà, & poi uoi uolete far peggio assai? & per la sua difesa morirno case, & inuiolate le figliuole, & pregorno Megistona, che doppo la lor morte, non le lasciasse in terra dihonestamente giacere, & cosi fù liberata la cara Patria dall’ingiusto Tiranno. Che ui pare per uostra fè ò fratelli dell’animoso petto di Megistona, & di tutte quelle altre donne, ueramente degne d’honorato poema. Grande certamente sempre dfù nel cuore donnesco l’amore della Patria, come oltre tanti essempi si può conoscere nelle donne d’Aquileia; perche essendo assediata Aquilea da Massimino, & mancando le funi per gli archi, le donne sprezzando la bellezza de’ capelli se li tagliorno per amore della Patria: & il simile fecero le Romane, & quelle di Marsilia. Da questi pochi essempi, pochi a comparatione di quelli, che lascio, si può uedere con quanta uehementia, & ardore esposero le magnanime donne il petto per forte scudo alle care, & amate mura, & non solamente offriro uolontariamente la uita alla morte per loro, ma uccisero i gliuoli, a’ quali ognu’uno per se stesso sa quanto amore, portino le pietose madri: & epr dirlo in poche parole si porgliorno del proprio hauere, della bellezza, de figliuoli, & della uita, che pur è cara; sapendosi che la morte est vltimum terribilium per amore della Patria. Grande senza dubbio fù l’amore, che portò alla Patria una donna Spartana, laquale hauendo cinque figliuoli masci, tutti li mandò alla guerra: doppo alquanto tempo uenne un huomo dal campo a Sparta, & ella li domandò, come andauano le cose, egli rispose, che erano morti nelle battaglie tutti cinque i suoi figliuoli, & ella disse, io non ti domando questo, ma come stanno le cose della guerra per utilità commune, egli le disse, uanno bene, & ella rispose, a me poco importa la morte de’ figliuoli, già che la patria resterà honorata, & non suddita. [Page 89] Risposta alle leggierissime, & vane ragioni addotte da gli huomini in suo fauore. Cap V. A ME pare di hauere apertamente mostrato, che le donne sono molto più nobili, & eccellenti de’ maschi. Hora resta, che io rispondi alle false obiettioni de’ nostri calunniatori, le quali sono di due maniere: percioche alcune sono fondate su le ragioni apparenti, & altre sopra la semplice autorità, & opinione loro: & cominciando dalla loro auttorità, dico, ch’io non son tenuta à rispondere cosa alcuna à quelle: percioche, se io affermassi, che non si trouasse l’Elemento dell’aere, non sarei obligatarispondere alle auttorità d’Aristotli, ouero d’altri Scrittori, che affermassero, che egli si ritrouasse. ma non voglio però far torto ad huomini di tanta fama, negando le lor sentenze, che cosa troppo ingiusta giudicarebbono certi ostinatelli questo: dico adunque, che varie furno le cagioni, che spinsero, & sforzorno alcuni huomini sapienti, & dotti à biasmar, & vituperare le donne, fra le quali è lo sdegno, l’amor di se stessi, l’inuidia, & la scusa del poco ingegno loro. Onde si potrebbe dire, che quando Aristotile, ò alcuno altro biasmò le donne, che ò sdegno, ò inuidia, ò troppo amor di lor medesimi ne sia stata la cagione. che lo sdegno sia cagione di far dire cose sconcie contra le donne, è cosa chiara ad ogn’vno; perchioche desiderando alcuno di adempire le sue sfrenate uoglie, & non potendo per la temperanti, & continentia di quelle, subito si sdegna, & adira: & adirato dice tutti quei mali, che son possibili à ritrouarsi, si come di cosa odiosa, & pessima. il medesimo si può dire dell’inuidioso, che non guarda mai con occhio dritto alcuno, ch’egli di lode meriteuole conosca; onde uedendo l’huomo, che la donna è più nobile, e di virtù, e di beltà di lui, & però anco da lùi, come veramente debbe, honorata, & amata, si rode, & sic onsuma per inuidia, & non potendosi in altro modo sfogare, corre con la pungente, & mordace lingua à vituperii, & bisasmi tutti simulati, & falsi; il medesimo accadde per il troppo amore, che à lor medesimi portano gli huomini giudicandosi d’intelletto, & d’ingegno nobilissimo, & di natura superiori alle donne; arroganza troppo grande, & superbia troppo tumida, & gonfia; ma se con la sottogliezza dell’ingegno considerassero le loro inperfettioni, ò come se ne starebbono humili, e bassi; ma forsi vn giorno le vederanno che Dio lo voglia.) Tute adunque queste cagioni indussero il buon Aristotile à biasimar le donne, fra le quali la principale io credo, che fosse l’inuidia, che egli à loro portaua; percioche quando consideraua, che tre anni, come scriue Diogene Laertio, era stato suddito di vna donna concubina di Hermia, il quale conoscendo il grande, e pazzo amor di lui glie la concesse per moglie, et egli d’allegrezza insuperbito fece sacrificii in honore della sua nouella donne, et dea; [Page 90] & ad Hermia, che à lui la diede sacrificò in quel modo, che soleuano gli ateniesi sacrificare à Cerere Elcufina: considerando dico tutte queste cose degne, & memorabili inuidiò la moglie, & inuidiando il suo stato, & vedendo non poter aggiungerli, non essendo da alcuno adorato, come Dio, si uoltò à vituperar le donne, anchor ch’egli conoscesse, che fossero di ogni lode degne; ouero si potrebbe dire, che si come huomo di poco ingegno (perdonatemi Aristotelici, che leggiero, e sciocco anco lo chiamo Timone) attribuendo le cagioni del suo lungo errore alla donna di Hermia, & non al suo intelletto poco sano proprompesse per coprire l’error commesso in parole sconcie, & poco honorate in biasmo del sesso feminile, cosa irragioneuole. si potrebbe anco aggiungere à queste due l’amore di se stesso; percioche giudicando di essere vn miracolo della natura, et del mondo, reputaua ogn’altra persona indegna dell’amore suo, & però stupiua, come si ricordaua di essere stato suddito delle donne, & fra se medesmo vergognandosi cercaua di coprire il suo fallo con dirne male: che sdegno etiandio contra alcuna lo inducesse ad ingiuriar il donnesco sesso,è cosa necessaria à credere; perchoche era amante, & amante sfrenato, come habbiamo di sopra mostrato, & questo furno le cagioni, che indussero il pouero Aristotile à dire, che le donne sono più mendaci, & loquaci de gli homini; più inuidiose, & malo dicenti, & non s’auuedeua, che mentre diceua, che esse sono maldicenti, entraua anch’egli nel numero: & nel libro9. dell’istoria de gli animali, & in altri luoghi, che sono materiali, imperfette, deboli, mancheuoli, & di poco animo, delle quali cose habbiamo parlato nel terzo ragionamento. potrebbe anco esser di leggiero, che si hauesse ingannato intorno alla natura, & essensa della donna, forse troppo graue some à gli homeri suoi, non hauendo considerato la nobiltà, & eccellenza di essa, si come anco si uede, che molti hanno creduto, che la terra si muoui, & che il Cielo stia fermo, altri che vi sieno infiniti mondi, & alcun’altri un solo: alcuno che la mosca sia più nobile del Cielo, & cosi ogn’uno diffende la sua opinione con molte ragioni, 6 ostinatamente, & queste sono le risposte, che si danno à queli, che viruperano il femenil sesso. sono stati poi alcuni altri troppo linguacciuti, & mordaci contra le donne, et ritriuandone alcuna non troppo buona hanno detto, che tutte sono maluaggie, et pessime; error grande il uolere per una perticolare biasmarle tutte in vniuersale; ben è vero, che auuedutisi poi han lodate le buone. diremo adunque in questo modo, che quando Salamone, et altri che si trouano nel testamento uecchio, o nuouo, uituperano le donne, parlano delle cattiue, et non delle buone, et però si legge ne’ scritti di Salamon, cioè nell’Ecclesiastico al cap.2. che Mulieris bonae beatus vir. Ancor che in atri luochi egli oltre modo le biasmi; forsi ancor egli mosso da sdegno, disse questo; o stimulato dalle pessime attioni, come ho detto, di qualche donna maluagia, delle quali credo, che parli etiamdio S.antonino, S. Giouanni Chrisostomo, et altri sacri Padri; percioche è impossibile, che questi huomini giusti biasimassero le sacre vergini, et vedoue [Page 91] doue per la fede di Christo morte, sopportando atroce, et crudo martiro. La medesima risposta si uede, che è conuenientissima à Filosofi morali, et à Poeti; percioche quanto biasimano le donne, biasimano le pessime, come Hesiodo, che dice non si poter rtouar peggio della mauagia moglie; et po Theognide afferma non si poter trouar cosa piu cara della buona moglie. et Plauto: In mala vxore, atque inimico si quid sumatur, sumptus est. Oue si conosce, che tutte queste sentenze hanno la risposta con loro, già che cosi parlano honoratamente delle buone, et vituperano le cattiue; cosi anco parlaua il Saturo, mentre biasimaua le donne; le cui parole sono nel primo atto del Pastro fido. O femenil perfidia, à te si rechi La cagion pur d’ogni amorosa infamia; Da te sola derua, e non da lui, Quant’ha di crudo, e di maluagio amore. Et però doppo mostra le male simulationi della donna, dicendo: Qual cosa hai tu, che non sia tutta finta? S’apri la bocca menti, se sospiri Son mentiti i sospir, se moui gli occhi E simulato il guardo, in somma ogni atto, & c, Ma nell’atto secondo rauuedutosi dell’errore di hauer parklato in universale, si emenda, et vitupera solo le mauagie, et ree, come Corisca: dicendo: Maledetta Corisca, e quasi dissi Quante femine ha il mondo, Nelle quali parole si uede, che non vuol biasimar tutte le donne, dicendo, quasi dissi; ma nelle vltime parole dimostra, che solo delle pessime ragiona, dicendo: Hor le si darà il fuoco, ou’io vorrei Veder quante son femine maluaggie In un incendio solo, arse, e distrutte. Non si vede, che solamente delle cattiue egli parla? Et ancor che il petrarca dica. Femina è cosa mobil per natura. Et Iacomo sannazaro nell’Arcadia cosi ragioni delle donne introducendo vn misero innamorato, che dice: Ne l’onde solca, e ne l’arena semina, E’l vago vento spera in rete accogliere, Chi sua speranza fonda in cor di femina. Non pero parlano delle buone, come si uede nel Trionfo della Castità del Petrarca; ouer egli ne loda tante, epr la lor costanza. O che diremo, che il Sannazaro parlaua come per passione, et per isdegno. E in questo medesimo modo parlò il Casa nelle stanze fatte contra le donne, hauendo la sua amata donna volto l’animo uerso altro amante. Onde egli adirato [Page 92] non discernendo il vero dal falso le biasma tutte, che questo di ciò fosse cagione lo dimostra, dicendo: Che s’io potessi le parole, e’l viso, Farui, e i costumi, e le maniere espresse, Di quel che in luogo mio per suo Narciso, La saggia donne, che fu mia, s’elesse, Non so, se più la merauiglia, ò’l riso, O la pietà, ne’nostri cor potesse, Anzi so, che n’hauresti ira, e cordoglio, Che di tant’vtil perdita mi doglio. O come il pouerello si lasciò spingere dallo sdegno à dir male di tutte, & fingeua di non si muouere per questo, ma non troua alcuno, che a lui lo creda; dicendo nel principio delle stanze: Né crediate però, che’l dolor mio E’l pianto sia, perche lasciato m’habbia, Anzi mi dolgo, e piango il tempo, ch’io Fui seruo altrui nell’amorosa gabbia: Già fu grande l’ardor, grande il desio, Hor è maggior lo sdegno, e più la rabbia; Già ne cantai, & hor perder mi duole In soggetto si vil queste parole; Ma quel di ch’io m’affligo, e mi tormento E, che mi dà la fede, & vuol, ch’io creda. Giurando ella, che m’ami, in vn momento La veggio darsi ad vno strano in preda, Quanto possi la fede, e’l giuramento In donna quindi ogn’huomo stimi, e creda, Che farà in acquistar perle, oro, & ostro, Se così l’vsa in farsi serua à vn mostro. E par che anco Vaffrino, grandissimo spione, & delle frodi albergo, biasimi le donne, come si legge nel canto 19. del Goffredo, mentre che Erminia li racconta di voler scoprir le congiure, le cui parole sono: Cosi li parla intanto, ei mira, e tace. Pensa à l’essempio della falsa Armida, Femina è cosa garrula, e loquace, Vuole, e dissuole, è folle hom, che se’n fida Né consideraua l’ingannatore, che egli vsaua ogni arte per ingannar lo essercito Pagano, & uoleua poi riprendere la falsità d’Armida, se falsità si può chiamare il tentar ogni modo per vincere l’inimico, si come fece Armida; onde ne anco realmente io chiamarei Vaffrino vero ingannatore; ma il pouerello auuedutosi poi del suo errore, conoscendo, che sono ancor copiosissime le donne buone, & veraci; rispose ad Erminia, che la menarebbe ouer ella desideraua. Ecco mutabilità dell’huomo scaltrito. Horsù [Page 93] uoglio che queste uarie opinioni di vari Poeti bastino, & similmente le risposte. Concludendo, che fra le donne, maggior è il numero delle buone senza comparatione, che delle cattiue; & che gli huomini precipitosi in far le sentenze, mossi da sdegno, o da altra cosa, che hanno uerso alcuna particolari, le biasimano tutte; come fece il buon Rodomonte, che sdegnato per la sentenza di Coralice, fuor di ragione, con la mordace lingua vituperò tutto il sesso femenile; ma che parlasse, come homo adirato, & sciocco, lo dimostra l’Ariosto nel canto 29. dicendo: Ma che parlò, come ignorante, e sciocco Ve lo dimostra chiara esperienza: Già contra tutte trasse fuor lo stocco De l’ira senza farui differenza; Poi a’ Isabella un guardo si la tocco, Che subito li fa mutar sentenza: Già in cambio di quell’altra la desia, L’ha vista a pena, e non sa ancor, chi sia. Che dite di questo Marte stabilissimo nelle sue maldicenze? vi pare che egli stia fermo? conobbe l’Ariosto essere il numero delle buone grandissimo à paragone delle cattiue, & maluagie, & che lo sdegno trasporta l’huomini à dir male delle donne, certo fuori d’ogni ragione: che il numero sia maggiore, lo dimostra con queste parole. Con queste, e molte altre infinite appresso Querele il Re di Sarza se ne giua, Hor ragionando in vn parlar sommesso, Quando in vn suon, che di lontan s’vdiua, In onta, e in biasmo del femineo sesso, E certo da ragion si dipartiua, Che per vna, ò per due, che troui ree, Che cento buone sien creder si dee. E poco doppo: Ma e mia Fortuna vuol, che s’vna ria, Ne sia tra cento, io di lei preda sia. Che vi pare dell’Ariosto? vi pare, ch’egli lasciando lo sdegno, dica il vero? io per me credo certo, che cosi sia; ma egli non si contentò di questo, cioè, che fra cento donne ve ne sia vna cattiua, che ne anco questo consentì, dando la colpa allo sdegno, & all’ira, ch’egli biasimasse quella, & però dice nel canto 30. nelle ultime rime della prima stanza. Lasso, mi dolgo, e affliggo in uan di quanto Dissi per ira al fin dell’altro Canto. Et poi lodò le buone, & poi soggiunse. Ben spero donne in vostra cortesia Hauer da uoi perdon, poi ch’io ve’l chiaggio, Voi scusarete, che per frenesia Vinto da l’aspra passion vaneggio; Date la colpa à la nemica mia, Che mi fa star, ch’io non potria star peggio, E mi fa dir quel, di ch’io son poi gramo, Sallo Dio, s’ella ha torto, e sa s’io l’amo. Si può parlar più chiaramente in lode alle donne? Tacciano adunque alcuni, che non leggono se non una stanza, & subito dicono, che l’Ariosto dice male di loro; cosa ridiculosa. che più si può dire? poiche i nostri nemici sono al loro dispetto amici? Fu mosso anco da sdegno Angelo Ingegnieri à biasimar le donne nel libro di amore di Ouidio, da lui ridotto in ottaua rima, & che sdegno lo mouesse, fa fede dicendo: Voi, c’ho d’acerbe ingiurie, hor d’aspri scorni Danno sentir lunga stagion mi feste, Per lo cui sdegno i miei più chiari giorni Spesso cangiarsi in notti atre, e funeste Donna crudele, perch’io non ritorni Al foco indegno, ond’il cor vano ardeste, E perch’io segua pur la bella impresa, Siate ogn’hor più ver me di rabbia accesa. Guardate se era spinto dalla cholera, poi ch’egli desideraua sempre ch’ella ver lui più s’incrudelisse per hauer tempo da vituperar le donne; ma poi auuedutosi dell’errore, che commesso hauea biasimandole, domandò lor perdono in vn capitolo in terza rima, in questo modo. Cortesi donne, il bel giudicio vostro, Se pur ritiene il natural suo lume, Non può dannar il mio qui speso inchiostro, Che del mio utile à torto si presume, Ch’vnquà si volga à procurarui oltraggio, Poi che d’ogn’hor lo darui hebbi costume; Anzi vedrà, chi ben ne farà il saggio, Riuolto pur à la vostra salute, Senza punto de gl’huomini uantaggio. Non perch’vna, & vn’altra mi rifiute, Non che mi sprezzi ben tutto lo stuolo, Verrà giamai, che di pensier mi mute. Et anco il Passi crudelissimo nostro nemico dice, che fù sdegno, che l’indusse à biasimarle, dicendo nella lettera à Lettori. “Nondimeno non son cosi arrogante, né meno cosi acerbo, & crudele inimico del sesso feminile, ch’io possi derofar all’auttorità di tanti eccellenti scrittori, che hanno celebrato fino al Cielo le virtù, i gesti gloriosi de famose, & honorate donne, i nomi delle quali viuono, & viueranno mentre il Sole darà luce al mondo; ma solo sdegno m’indusse in quelle, che amando poco il suo honore sono state cagioni d’innmerabili mali. Che dite Lettori; vi pare, ch’egli [Page 95] sia vinto? & pur di sopra parlò in generale nel suo primo capo, dicendo Nulla mulier bona. E cosa biasimeuole il saltar dal particolare all’vniuersale, & però staua meglio l’inscrittione del libro in questo modo. I diffetti delle donne maluaggie; ma di ciò fu sdegno cagione uerso la donna amata, & non l’vtilità commune. Et che questo sia vero lo dice il Morigi nel suo Sonetto, nelle sei ultime rime. Ma Gioseffo, che pio (benche conforto Di vendetta vi dia) s’al fin non tende Quel che bramaste, ch’ottener deureste? Iniquo amor, meglio era, pur ch’accorto Fessi da prima lui, che si moleste Cure mai non hauria; come hora imprende. Non si conosce apertamente, che sdegno, ch’egli hauea contra alcuna, lo ha mosso? Si certo, o se li perdoni adunque; perche si emenderà del commesso fallo, & conoscerà la nobiltà delle donne: queste sono le rispose, che si danno à persone, che sono della ragione capaci: percioche all’opinioni de gli huomini volgari, & ignoranti, non accadde faticarsi à rispondre, i quali senza fondamento, & ragione parlano ostinatamente. Onde l’Ariosto prega le donne à non dare orecchia a l’ignorante volgo, dicendo nel canto vigesimo ottauo. Donne, e voi che le donne hauete in pregio, Per dio non date a questa Istoria orecchia, A questa, che l’hostier dire in dispregio, E in vostra infamia, e biasmo s’apparecchia; Benche, ne macchia vi può dar, ne fregio Lingua si vile, e si a l’vsanza vecchia, Che’l volgare ignorante ogn’vn riprenda, E parli piu di quel, che meno intenda. Et nel Canto 29. dice, che faceua meglio hauer tacciuto, dicendo: Io farò sì con penna, e con inchiostro, Ch’ogn’vn vedrà, che gli era utile, e buono Hauer taciuto, e mordersi anco poi Prima la lingua, che dir mal di voi. Ho per cortesia, non per obligo risposto alle auttorità d’alcuni ostinatelli: & ho msotrato, che molti scrittori sono, che à prima vista sono giudicatamente maledicenti, & biasimatori delle donne, che ne dicono grandissimo bene. Resta, ch’io risponda alle ragioni leggierissime d’alcuni. & la principale, che costoro adducono, è, che Eua fù cagione del peccato di Adamo, & per consequenza della ruina, & miseria nostra. Io rispondo che Eua non indusse Adamo in alcun modo a peccare, ma credo, che più tosto semplicemente li proponesse il magiar del vietato pomo: Et però non si legge nella Bibbia, ch’ella, o con preghi, o con pianto, o con sdegnose parole a ciò lo spingesse; ma più tosto per via di consiglio credo io, ch’ella gli domandasse, [Page 96] dasse, se fosse buono il mangiar di quello cosi nobil frutto, poi che si renderebbono oltre modo grandi, & eccellenti, non sapendo però ella, che il mangiarlo fosse peccato, ne meno conoscend, che il serprente, che a lei promise quella grandezza fosse il Viauolo, come par ch’accenni San Tomaso: Onde s’ella non lo conobbe, ne hebbe da Dio commandamento alcuno, che non ne douesse mangiare, perche vorremo noi dire, ch’ella peccasse? supponendo il peccato qualche cognition antecedente. Ma ben peccò Adamo, che transgredì il commandamento di Dio, hauendolo prima fatto auuertito, che non ne douesse mangiare, & che il peccato fosse d’Adamo, lo dimostra chiaramente la pena, & il castigo datoli: Onde ordinò l’antica legge, che i maschi si circoncidessero per l’error commesso. Et però il peccato originale più dipende da l’huomo, che dalla donna, Et anco lo mostrò l’istesso, Dio, il quale disse: Adam, vbi es. Et non chiamò Eua, & lo chiamò per riprenderlo del commesso errore; segno manifesto, che egli fù quello, che commise il peccato, & non la donna: & se ella ne fù cagione, fù per ignoranza, non sapendo di peccare: ma l’huomo peccò per sicura, & certa cognitione. Et se così è, come ueramente è; io non so trouare la cagione, perche gli huomini attribuiscano alla donna il principio d’ogni nostra miseria; s’io non dico, che sieno cieche neottole al lucido Sole della verità: percioche se ad alcuno si douesse attribuire il peccato, perche prima incominciasse, si darebbe tutta la colpa à Lucifero, come quello, che persuase con promissioni grandi, con menzogne, & mentite larue a mangiare il uietato pomo: & poco importa, se la donna, fu persuasa, & non l’huomo; che non fece egli questo credendo, come dicono alcuni: perche ella dosse più facile a crederli del maschio, anzi perche la conobbe più difficile a piegarsi, & più nobile volse prima tentar lei; percioche chi vince il più potente, & ualoroso, non teme punto il minore, & impotente. Però dice San Bernardo, che vedendo, & considerando il Diauolo la mirabile, & singular bellezza della donna, mosso da inuidia, messe ogni sorte di studio per ottennere quel, che desideraua. Onde mi merauiglio, che i miei car fratelli non dicano, che la bellezza di Eua fù cagione d’ogni male. Raggioni troppo leggieri, & lontane dalla verità; ma pur, come quelli, che hanno poco sale in zucca, stanno sempre più in false opinioni rigidi, & pertinaci. Io potrei anco dire supponendo, che hauessero in qualche parte ragione, che se una donna è stata cagion d’errore, è venuta poi la gran Regina del mondo, che ha scancellato in tutto, & per tutto il peccato commesso; Però disse il Petrarca nella Canzon della Vergine. E fra tutti i terreni altri soggiorni Sola tu fosti eletta Vergine benedetta Che’l pianto d’Eua in allegrezza torni. Versò certamente Eua infinite lagrime, per l’error commesso dal suo marito Adamo, ancor che in questo luogo si potesse intendere tutta la generatione [Page 97] humana. Ma uoglio lasciar il ragionamento della sacra scrittura, & discendere a ragioni piu communi, & a mio giudicio più leggier. Dicono alcuni huomini di poca leuatura, che Elena fù la ruina di Troia, cosa in tutto falsa. Fra tutti costoro ui è quel buon compagni del Caporali, che dice mosso forsi piu dalla opinione commune, che dalla propria, essendo eglio huomo nelle sue compositioni ueridico, i cui uersi sono. Queste tante bellezze ogn’hor congiunte Con lo scandolo stanno, Elena quella Onde vscir gia tante amorose punte, Fù con le sue bellezze cosi fella A Troia, a Gecia, a tutto il mondo, ch’anco Da ciascuno Hoggidì se ne fauella. Et dicono, che le Sabine quali furno la ruina di roma, cosa da mouer le risa a un huomo morto. Ditemi di gratia, chi fù primo, che s’inamorasse, Paride di elena, ò Elena di Paride? Senza dubbio Paride di Elena, come si può uedere nella epistola, che a lei mandò, come narra Ouidio, che tradotta in uolgare da Remigio Fiorentino, cosi suona. Questa ti scriue, ò de l’eterno Gioue E di Leda gentil pregiata figlia Il peregrin Troian, ch’ardendo aita Sola da te dolce suo bene attende: Et più sotto mostra, come fece per uenir in Grecia, lunga e difficile uia. Ne promessa mi t’habbia in van la bella Madre d’amor la ne la valle Idea Per mia consorte, ond’io si lunga uia E cosi lunghi, e perigliosi errori Tra Sirti, e scogli, e tra procelle ho preso Perch’io le vele, e le Troiane antenne Di Grecia torsi a le Beate arene. Et poi la persuade a partirsi seco biasmando le brutte fattezze, & costumi del marito; & tanto si affaticò, & tanto fece, che vinta dall’importunità di questo amante, se ne andò seco. Adunque Paride fù la ruina di troia, poi ch’egli stesso dice, che passò tanti trauagli, & fece cosi lunga uia per lei sola: & conoscete un poco, come era leggiero; poi che rifiutò la sapienza offerta a lui da Minerua, & la ricchezza promessa da Giunone: et non solamente era leggiero, ma lasciuo, & sfrenato. Onde Laodamia scriuendo a Protesilao mostra, che Paride fù la ruina di Troia, come dice il medesimo auttore nelle sue Epistole in questo modo; O mal Pastore, ò mal Troiano amante, La cui beltade al tuo bel Regno arreca Gli vltimi stridi, almen consenta Dio Che tanto vil tu sia guerriero, e tanto Pigro nemico, e difensor di Troia [Page 98] Quanto empio fosti habitatore strano Al maggior Greco, il cui cortese affetto Li nocque tanto, e li turbò sua pace. Cosi anco intrauenne delle donne Sabine; perioche le donne non rubborno i Romani; Ma ben’i Romani rubborno uiolentemente le Sabine hauendo però i buoni huomini bandita una festa accioche ui fossero menate, & poi insolementemente pigliarle, come racconta Tito Liuio. Che ui pare galant’huomini di questa iniqua, & scelerata fraude? Dio buono, che ragioni si possono truar piu sciocche, & sconcie di queste? Alcuni altri dicono, come fù il buono Aristotile, che le donne sono men calde de gli homini, & però sono più imperfette, et meno nobili di loro: ò che ragione indissolubile, & onnipotente. Non considerò, credo io alhora Aristotile con maturità d’ingegno l’operationi del calore, & quello, ch’importi l’esser piu caldo, & men calso, & quanti effetti buoni, & rei da questo deriuano; percioche s’egli hauesse ben pensato quante pessime operationi produce il calore, che eccede quello della donna, non haurebbe detto una minima parola. Ma se ne andò alla ciecha il cattiuello, & però comise mille errori. Non è dubbio alcuno, come scriue Plutarco, che il calore è instrumento dell’anima; ma può esser buono, & ancho poco atto alle sue operationi, recercandosi nel calore una certa mediocrità fra il poco, & il molto: percioche il poco, & mancheuole, come ne’uecchi è impotentissimo alle operationi. Il molto, & eccedente rende quelle precipitose, et sfrenate. addunque ogni calore non è buono, & atto a seruire alle operationi dell’anima, come dice Marsilio Ficino. Ma ben in un certo grado, & proportione coneniente, come quello della donna. Onde non uale la ragione d’Aristotele sono i maschi piu caldi: delle donne, adunque, sono piu nobili: oltre che si uede che i giouini non sono riputati piu nobili de gli huomini, che sono nell’età uirile, & pur sono piu caldi, & quante donne poi sono piu calde di natura de gli huomini? Onde ne meno si concederebbe di tutte le donne la sentenza d’Aristotile esser uera: percioche si ritrouano molte prouincie, non dirò uille, ò castella, oue le donne sono piu calde di natura, che non sono gli huomini di un’altra poruincia, come quelle di Spagna, & di Africa sono piu calde de gli huomini, che habitano il freddo Settentrione, & l’Alemagna: & quanti credemo noi, che fossero, & sieno piu caldi di natura di Aristotele & di Platone, adunque piu nobili nelle operationi dell’anima? Questo non già. Diremo adunque in questo modo, che la donna è men calida dell’huomo, & però più nobile; & che se alcuno huomio fa cose eccellentemente, che questo auiene, perche si accosta alla natura & temperatura della donna essendo in lui calore Placido, & non eccedente, et però l’età uirile essendo intepidito il feruore di quello calore, ch’era nella giouinile, et accostatosi alla natura feminile opera piu saggiamente, et piu maturamente. Non mancano alcuni altri, che dicono, che gli huomini sono piu robusti, dorti, et per concluderla migliori da portar la soma, et i pesi delle donne. [Page 99] Notate bella maggioranza; A questi io rispondo, che le donne essercitate alle fatiche, trapassano, anzi vincono gli huomini; ò veramente, che questa robustezza nelle creature gentili, & delicate non ha luogo; & che sia’l vero non possono i Regi, i Principi, & le persone grandi far fatiche da fachino, ne credo che Aristotele, che chiama le donne languide, & simili alla mano sinistra, fosse forte, come sono gli huomini rustici, & molte donne. Adunque era men nobili de gli huomini rozzi, & di molte donne. & cosi i fabri sarebbono più nobili de’Regi, & delle persone scientiate, & dotte. O che cosa da scoppiare dalle risa; & così si potrebbe dire, che i soldati Romani, i quali sforzorno tante uolte i prudentissimi Senatori ad eleggere Imperatore, secondo la lor volontà, fossero più nobili, & eccellenti de’ Senatori: Cosa falsissima; ma questo accadea; perche la forza era nelle armi, & non nella ragione, & nel giusto. & però disse quello galant’huomo: Vis erat in armis: Et per questo interuiene, che un fratello homicida, & robusto occupi il Regno, & il Ducato all’altro fratello, che è delicato, & gentile, & per l’istessa cagione il sesso donnesco, il quale è più delicato del sesso virile, & anco men robusto, per non essere assuefatto alle fatiche, uien tiranneggiato, & conculcato da gli insolenti, & ingiunti huomini; ma se le donne, come io spero, si suegliaranno dal lungo sonno, dal qual sono oppresse, diueniranno mansueti, & humili questi ingrati, & superbi. Il fine della prima parte. [Page 100] I DIFETTI, ET MANCAMENTI DE GLI HVOMINI. DI LVCRECIA MARINELLA, Parte Seconda Che gli huomini senza alcuna proportione, si come con ragioni, et essempi si proua, sono più vi- tiosi delle donne. Havendo io apertamente, con inuincibili ragioni, et essempi mostrato la nobiltà delle donne, senza dubbio, come con le comparationi si può vedere, a quella de gli huomini esser superiore; me ne passo a i difetti de i maschi, i quali vi prego a paragonar con i difetti donneschi scritti dal Passi. accioche in tutto, et per tutto restiate ostinatelli vinti, et superati. Parlo con coloro, che hanno poco sale in zucca, et che se ne vanno alla cieca. Credono tutti gli huomini dotti, et scientiati, che i maschi sieno più nobili delle femine, percioche di natura sono piu caldi; ma s’ingannano di gran lunga, percioche l’anima opera certo con il calore, ma non già con ogni sorte di calore, ma con un [vn] dolce, et benigno, che non ecceda una [vna] certa mediocrità. Onde chi ardirà gia mai di dire, che il calore del maschio sia mediocre, et atto a tutte le operationi dell’anima speculatiue, et morali, già che la natura dell’huomo è calda, et secca, come dicono. Et la femina, come il più saggio, et famoso medico dice, è calda, et humida per la copia et abbondanza del sangue. Che la complessione calda, et secca contenga un calore eccedente, et che trapassi la mediocrità, non accade, ch’io il proui, essendo cosa nota ad ogn’uno, che il calore aggiunto con la siccità è grande, et trapassa la mediocrità: eccedendo adunque cagiona, et produce infiniti vitiosi effetti, come appetiti piu ardenti, et voglie piu sfrena- [Page 101—Folio 47] te, che non eccita il temperato calore. Questo si vede tutto giorno ne’ giouani, i quali essendo di natura più calda delle altre etadi sono più desiderosi di nouità, et piu mobili de gli altri, ch’all’età piu matura sono; et questo etiamdio si conosce ne’ paesi, che sono caldi, et infiammati. è adunque la natura calda, et secca dannosa; rapportando allo intelletto desiderii sensuali, onde egli spesso se ne resta vinto, et superato. Aggiungiamo, che rende gli huomini instabili et inconstanti; perche, Calor exagitat molem, et come dice Chalcidio nel comento del Timeo di Plato. mobilior anima ob calorem, ò che difetti sono questi che deriuano da un tal calore da lor tanto lodato, et essaltato, gia che per sua cagione l’anima ragionevole è astretta a piegarsi dal dritto sentiero delle virtù, et lasciarsi precipitar nelle dishonestà, et concupiscenze, dalle quali ne nascono infiniti altri errori, et misfatti enormi. cosa che non può accadere al sesso donnesco; essendo di natura calda et humida, nella quale si lasciano reggere i sensi dalla ragione. Ma il contrario auuien nella calda, et secca, et però piu temperate, piu constantim piu ferme, piu giuste, et piu prudenti sono le donne de gli huomini; et questo auiene, perche la ragione tiene il proprio seggio, cosa che non è nel maschio, si come con gli essempi noi dimostraremo; et infelice l’huomo, se non havesse per compagnia questo raro dono della donna; percioche credo, che non si ritrouarebbe al mondo il piu crudo, et horrendo mostro di lui, ne il piu fiero, et dispietato Animale. Ma lodato sia Dio, la donna lo raffrena, l’humilia, lo fa capace della ragione, et della vita civile. Onde conoscendo tutte queste cose il Signor Guglielmo di Salusto Signor di Bartas nella sua diuina settimana, laquale è tradotta di lingua Francese in verso sciolto Italiano da Ferrante Guisone dice. dhe quà volgete L’Occhio subitamente, et l’alma, e’l core Et de la donna la beltà mirate. Senza cui mezzo è l’huom misero in terra, Et del sole un nemico, ascoso lupo Una seluaggia, e solitaria ferra Frenetica, et paurosa, a cui piacere Altro, che’l dispiacer giamai non puote Nato a se sol di spirito, e di core D’amor, di se, di sentimento privo. Et questo è pur huomo, et non donna, che se stato fosse donna io direi, che essendo interessata non potesse vestir persona di giudice; stimando l’huomo una fera frenetica, et paurosa. Io credo tutto quello, che dice questo Signore Francese, come quello, che se ciò non fosse vero, non l’haurebbe detto, et ancho perche parla de gli huomini, et era huomo, et mi confermo in questo con le parole di Vertuno, quando rende ragione di se medesimo, le quali sono queste. [Page 102] Ma tu non quel, che dicon le persone Di me, ma quel ch’io stesso dico credi; Ch’al ver non son tutte le lingue buone. Con ragioni adunque io credo di haver manifestato, che gli huomini sono piu vitiosi delle donne. Ma non però nego, che non vi siano donne di mala vita, et pessime; ma però a comparation de gli huomini ribaldi, et pessimi si possono chiamar ottime. Anzi io credo che se noi accopiassimo insieme tutte le donne, che sono, et che saranno mai pessime, et cattiue, non si potrebbono in alcun modo agguagliare allo scelerato Nerone; che godeva del male altrui facendo abbrusciare una gran parte di Roma: anzi delle quatordeci parti ve ne restorno solamente quattro, et desiderava che tutta si minasse con i Cittadini, et in quel tempo, che Roma ardeva, egli sopra una allta [sic] torre cantava allegramente ridendo. Spinto dall’auaritia ogni giorno faceva amazzare qualche ricco Cittadino per essere patrone delle sue facoltà. Desideraua di vedere il mondo il mondo minato avanti la sua morte. Vccise sua madre, et ammazzò Poppea sua moglie con un calcio, laquale era ancho grauida per leggerissime cagioni. Era sfrenato, et incontinente; spesso si ubbriacaua, et se ne staua le notti, et i giorni intieri giocando, et cantando ne conuiti. Fece levar di vita Seneca, et Plauto, et molti altri; perche erano persone virtuose, et da bene, si dilettaua di Comedie, di buffoni, et de mangiatori, et con tutto che fosse auarissimo, era ancho prodigo, et oltre a tutte queste cose dispreggiaua i Dei, era ambitioso, et vanaglorioso. Che vi pare di questo huomaccino da bene. Credete, che tutte le donne insieme hauessero tutti questi diffetti? io non lo crederei, e pur sono tutti veri, come scrive Suetonio, Eusebio, Isidoro, et Orosio. Io potrei addure altri esempi, come d’Alcibiade ladro insolente, ambitioso, imprudente, et dato a tutte le dishonestà, ingiusto, et insomma d’ogni vitio albergo, come dice Plutarco, ilquale racconta, che Alcibiade andaua gettando per le strade, oue passava molti denari, accioche le genti stassero intente a raccogliere i denari, et non dicessero mal di lui. Pensate se douea dar loro cagione di vituperarlo; et anchora voglio dir quattro parole di Salamone, ilquale fù huomo sfrenato, incontinente, Idolatro, ambitioso, et dato ad ogni commodo del senso; et che questo sia vero, leggiamo questo, ch’egli dice nell’Ecclesiastico di se medesimo. Le cui parole sono. Magnificaui opera mea, aedificaui hortos, habebam cantores, et cantatrices, et quae desiderabant oculi mei, non negabam eis. ciò è. io ho essaltato, et inalzato le mie operationi, ho edificati molti horti, et giardini, io hauea molti cantori, et cantatrici, et in somma non era cosa, che vedessero gli occhi miei, et ch’io desiderassi, ch’io non volessi havere, et possedere. Che vi pare di Salamone, gia che tutte le cose, che li veniuano nella imaginatione, metteua in essecutione? Onde non è meraviglia, s’egli dato in tutto alla concupiscenza hauea settecento moglie, et trecento concubine; et quel che è peggio per favo- [Page 103 Folio 48] rire le sue care donne, edificò tre tempii: essendo diuenuto Idolatra. Se Salamone adunque fù tale, che vien chiamato il sapiente, et il saggio, possono gli altri huomini senza altra sorte di contrasto cedere alle donne: percioche nell’Historie non si troua alcuna donna, come questi era, et che ponesse in opera tutto quello, che nel pensier li cadeua. Ma non voglio in questo capo più addur essempi di questi huomini da bene: percioche ne’ seguenti dimostrerò più particolarmente i diffetti de gli huomini. Ma solamente io dirò, che i più scientiati, et dotti del mondo sono estremamente vitiosi. Dio immortale, che saranno poi gli ignoranti, et privi d’ingegno? che questo sia vero, leggasi la vita di tutti i piu sapienti della Grecia, et di tutto il mondo, che si vedrà manifestamente, che ogn’uno sarà macchiato di qualche segnalato vitio. De ricchi io non ne parlo: percioche Aristotile in mille luoghi disse, che costoro sono incontinenti, et dati a piaceri del senso. Dividerò gli essempi in venticinque capi, et il primo trattarà de gli auari, et de danari desiderosi. De gli huomini auari, et desiderosi di denari. Capitolo Primo. Essendo l’Auaritia origine, et fonte d’ogni impietà, et sceleragine: percioche ella rende l’huomo per la cupidità dell’haver bugiardo, homicida, ingrato, spergiuro, tiranno, assassino, infedele, inuido, ingiusto, et finalmente d’ogni vitio sede, et albergo. Mi ha paruto cosa ragionevole l’incominciar da questo vitio, ò diffetto; Vitio, come lasciò scritto Aristotile nel libro terzo dell’Ethica dannoso non solamente a gli altri, ma allo istesso auare. Onde disse quel dotto poeta. In nullum auarus bonus, in se pessimus. e se pur è mai buono, egli è dopo la morte, come ben lasciò scritto il Tussino dicendo. E l’auaritia ogni virtute adombra Che l’huomo auaro non suol far piacere A le persone mai se non morendo. Horsu descendiamo a gli essempi, et per il piu d’Imperatori, et Regi, i quali meno deurebbono essere macchiati de gli altri di questo abominevole vitio; Come ben disse Plutarco. Il primo sarà Caton maggiore, che faceua comprare i fanciulli, e dopo l’anno li reuendeua a maggior prezzo, et volendo persuadere un suo figliuolo, che s’ingegnasse anchor egli a guadagnare in questo modo, disse, che non era cosa da huomo, ma da donna vedoua il lasciar scemar le sue facoltà: et oltre questo fece una usura marinaresca molto biasmata. Sprezzaua le cose della villa: percioche stimaua che fossero solamente dilettevoli, et non utili; cosi l’agricoltura, voleua che le sue facultà fossero poste [page 104] in luogo sicuro, proccaciua paludi, laghi, bagni, et luoghi accomodati al [pregio?] delli panni. possessioni, che facilmente fossero lauorate da contadini, boschi, pascoli, dequali ne potesse cavar gran quantità d’oro. etiandio compraua serui giouani gagliardi, non belli, et delicati, ma rozi; perche riuscissero buoni lauoratori di villa. poi quando erano vecchi, li faceua vendere per non li dare il solito Alimento. Onde dice Plutarco scriuendo la vita di lui, io non venderei mai un bue vecchio che fosse stato compagno della [fatica] rusticale, non che io mi mettessi a vendere un huomo vecchio per farne poi pochissimo guadagno, gia al compratore, et al venditore inutile dal luogo donde fù nodrito, et dal modo del viuere, come dalla patria sbandito. non ciede punto a costui Caligula, che trouò modo di rubar gli huomini, et ancho il mondo tutto. Ne si poteua imaginar via alcuna, che compitamente li piacesse da poter tirar denari col mezzo delle gabelle, et delle grauezze. Intorno a’ litigi, che occoreuano, voleua la quarta parte di tutte quelle che si patteggiaua : et se i litiganti delle lor differenze si componeuano insieme, prima che si facesse la sentenza, voleua una certa portione, cosi di tutti i mestieri, e facende de gli huomini voleua che a lui fosse dato una parte dell’utile. Ponendo fra costoro ogni vil huomo, fino quelli, che portanano [portauano] pesi; in guisa tal che hauendo ragunato gran quantità di danari, si riuoltaua, et passeggiaua sopra quelli godendo di quell’oro et argento, che hauea, si può dir rubato senza fatica dalle fatiche altrui. Si legge etiandio nell’Historie che Tiberio era tanto inclinato a l’avaritia, che accrescendo i tributi, Le Cittadi non potendo tolerarli si distruggeuano, et andauano in ruina, et Tolomeo Re di Cipro volse morire co’ danari appresso, tanto n’era sempre auido. Quinto Cassio per danari non faceua giustitia. Comodo Imperatore la vendeua, et per ingordigia di denari perdonaua ad ogn’uno. Vespasiano Imperator teneua nelle Provincie huomini rapaci, i quali chiamaua spongie; perche succhiauano con mille loro inuentioni il sangue [a’ miseri] cittadini; ma udite strana, et insolita auaritia di Costante Imperator terzo, che sforzaua i sudditi a vendere i proprii figliuoli per trouar denari. ancho un grande auaro fù Ridolpho Imperatore. Appolonio Tianeo dice, che Platone fù auaro, et che per questo seguì Dionisio fino in Cicilia. Ma che diremo di Vittelio Imperatore? il quale fù cosi auaro, che non solo voleua la robba, ma uccideua ancho le persone, come fece un cavalliere, il quale diceua, che hauea lasciato herede de la sua facultà, Vitellio Imperator, egli come questo intese fece trouare il testamento, et trovò, che il caualliere lasciaua herede ancho un suo Liberto, senza altra cagione per diuorar tutta la facoltà, fece uccidere il caualliere, et il Liberto, et cosi rimase solo del tutto herede. Si legge che Marco Crasso richissimo fra Romani come dice Cicerone nell’ultima paradossa fatta contra di lui, essendo [page 105 folio 49] mandato contra Parthi mostrò gran segno d’ auaritia, laqual cosa sapendo gli astuti nemici, fingendo paura fuggirno, lasciando il paese abbondantissimo d’ogni sorte di preda, ma pieno d’aguati, per la cupidità di predare corse, et incorse incautamente nelle celate insidie; onde egli essendo circondato da tutte le parti, perdè tutto l’essercito con grande infamia et dishonore, et egli arrabiato contra la sua auaritia si fece da un seruo uccidere. Di poi li fù tagliata la testa et posta in un utre d’oro strutto, et dettogli aurum sitisti, aurum bibe. et per tale ignominioso vitio si oscurò ogni opera prima virtuosamente operata da lui. Però dice il Petrarca; E vidi Ciro più di sangue auaro Che Crasso d’oro, e l’uno, e l’altro n’hebbe Tanto a la fin ch’a ciascun parue amaro: Et Dante dice a Crasso. Dici che sai di che sapor è l’oro? Narra Plutarco che Demosthene fece bottega dell’arte oratoria pigliando denari, et scriuendo l’accuse a Formione, et Appollodoro auuersari et fù condannato di furto. et spesso spesso haueua in uso di dire. O Ciues ò Cives querenda pecunia prius Virtus post nummos. Scriue Ouidio, che Mida Re di Frigia fù tanto auaro, che volse impetrar gratia da Bacco che ciascuna cosa ch’egli toccasse si conuertisse in oro, et diceua a Bacco: ----effice quidquid. Corpore contigero fuluum uertatur in aurum O che contento, ò che allegrezza inaudita. Vixque sibi credens, non alta fronde virentem Illice detraxit virgam: virga aurea facta est. Tollit humo saxum: saxum quoque palluit auro. Contigit et glebam: contactu gleba potenti Massa fit. arentes Cereris decerpsit aristas Hurea Messis erat. demptum tenet arbore pomum Hesperidas donasse putes. si postibus altis Admouit digitos, postes radiare videntur. Ille etiam liquidis palmas ubi lauerat undis Unda fluens palmis Danaen eludere possit. Vix spes ipse suas animo capit aurea fingens Omnia Et piu sotto quando le viuande si conuertiuano in oro, et che mescolò l’acqua col vino, il qual tocco dalla bocca si trasmutò in oro. Effugere optat opes, et que modo nouerat odit, Copia nulla famem releuat, sitis arida guttur Vrit, et inuiso merito torquetur ab auro. [page 106] O quanti huomini sono nel tempo presente, iquali soportarebbono di farsi per auidità dell’oro una statua d’oro; però questi auaroni vengono assomigliati a Tantalo figliuolo di Gioue, che da Poeti è posto nell’inferno perche lo scelerato diede Pelope suo figliuolo in un conuito a mangiare a’ Dei, et è oppresso da fame, et da sete: ha le acque limpidissime come christallo infino al labbro di sotto, et dolcissimi pomi, et altri varii frutti pendono si che giungono al labbro di sopra; Ma piegandosi fuggono l’acque, alzandosi fuggono i pomi, laqual cosa intrauiene all’auaro, ilquale benche sia in grandissima abondanza, non si caua mai la fame, et la sete d’oro. Onde si può a ragione esclamare con l’Ariosto e dire. O essecrabile auaritia, ò ingorda Fame d’havere, io non mi meraviglio! Ch’ad alma vile, e d’altre macchie lorda Si facilmente dar possi di piglio: Ma che meni legato in una corda, E che tu impiaghi del medesmo artiglio Alcun che per altezza era d’ingegno Se te schiuar poeta d’ogni honor degno. Et più sotto: Altri d’altre arti, e d’altri studi industri, Oscuri fai, che farien chiari e illustri. Ma che diremo noi di Pigmalion auarissimo, et crudelissmo Tiranno, ilquale senza hauer rispetto alla parentela cosi empiamente uccise il marito della sorella Didone, come si legge nel libro primo dell’Eneide. Ille Sicheum Impius ante aras, atque auri cecus amore Clam ferro incautum superat securus amorem. Ne voglio lasciar Polimnestore, ilquale di auaritia non si lasciò ponere il piede inanzi ad alcuno, a cui l’infelice Re Priamo hauea dato il caro Polidoro a nutrire con gran somma d’oro, et l’iniquo huomo spinto da questo enorme vitio uccise il misero Polidoro, ilquale chiamaua in testimonio huomini, et Dei, con tanti strali che lo coperse, et però lo fa dir Vergilio nel libro terzo ad Enea. Heu fuge credeles terras, fuge litus auarum Nam Polidorus ego: hic confixum ferrea texit Telorum seges iaculis increuit acutis. Fù nella Città d’Arezzo di Toscana un gentil’huomo della anticha famiglia de Vespucci, assai commodo di beni della fortuna, hauendo duo milla scudi l’anno di entrate. Ma oltre modo auarissimo: percioche datosi ad accumolar denari andaua sempre fra se stesso pensando qualche nouo modo, con ilquale potesse accrescere le sue richezze. Onde primieramente cominciò a scemar le proprie spese: perche hauendo una casa assai buona, et grande la diede ad affitto, et egli si ritirò in una casetta uicina [page 107 folio 50] alla stufa di un fornaio: accioche in un medesimo tempo li fosse casa, et fuoco, fuggiua le serue, et i serui, piu che non si fa il ueneno; dicendo che la natura li hauea dato due mani, accioche lo seruissero, et che era un huomo da ben poco quello, che non si sapea acconciar il letto, scoparsi la casa, et cucinarsi il uitto. Un paio di scarpe non noue li durauano un anno. haueua una biretta, che fù di suo auo ritinta delle uolte ben uenti. portaua i capelli lunghi affermando, che gli huomini nella età dell’oro non si tosauano due uolte in sua uita per conseruarsi sani. Cuciua cosi bene, come un buon sartore. Beueua chiare uolte uino, et bene adacquato; percioche non uoleua contentar la gola. Mangiaua pane il piu nero di Arezzo, et di mezza farina, dicendo che si rouinauano gli stomachi con i cibi troppo delicati. carne egli non mangiaua, se non un poco di testa di pecora il dì di Pascua. mentre camminaua per la Città sempre guardaua in terra per ritrovar qualche cosa buona per lui, et diceua, che era peccato lasciare andare a male alcuna cosa. Biasmaua l’otio, affermando che era peccato non de sette mortali, ma nello Spirto santo. Onde egli continuamente ò cucciua guanti, ò faceua bottoni. Stupiua fra se stesso, come alcuni huomini spendessero quattro scudi in un paio di fagiani, et li hauea per huomini di poco intelletto: andaua a dormire a hore ventiquattro; dicendo che era di gran sanità, et la mattina nel uscire del sole leuaua di letto. Non portaua camiscia, ma solamente alcuni colari di tela assai grossa. Vestiuasi di pelli di camoccia, lequali si conseruano gli anni non punto unte; non toccando egli cosa alcuna, che bruttar le potesse. Andaua spesso a disinar con questo, et con quello gentilhuomo, lasciandosi uscire di bocca, che teneua piu conto di un’amico, che di un parente, et che con il tempo lo uederebbono, et cosi credendo, che lo volesse lasciar heredi, lo inuitauano spesso, et egli allegro accettaua l’inuito; percioche un disinare li scusaua per tre pasti, stando la sera inanti senza cena, et ancho la sera del giorno, che hauea mangiato con i suoi amici. Daua ad usura cinquanta per cento con il pegno in mano. Spesso chiamaua la natura mancheuole; percioche hauea fatto l’huomo igniudo, et goloso, non mangiando, come fanno gli altri animali berbe [herbe]. Non haurebbe fatto una elemosina, anchor che fosse stato sicuro di dar la uita a tre persone con un quattrino, dicendo che si nutriuano poltroni, et ladri: riputaua superflue le cose, che ornano la casa, però non haueua altro, che uno stramazzo senza lenzuola. Nel freddo si intrateneua dal sopradetto fornaio, et in segno di gratitudine mouea con un piede la culla, oue era un bambino del fornaio, hauendo sempre occupate le mani, et diceua gran male di certi superboni, che sdegnano la pratica de galant’huomini. Se uoleua pigliare alcuna ricreatione, cosa che rade uolte accadeua, caricauasi di varie cosette buone per gli huomini di villa, et se ne andaua a buon passo a un suo podere lontano d’Arezzo delle miglia ben dieci, et poi la sera ricreandosi nel vendere quelle bagaglie se ne ritornaua a casa. Affitava i [page 108] suoi luoghi di villa a denari contati inanti il tempo un anno. Hauendo accumulato gran quantità di denari non si partiva piu di casa in alcun tempo dell’anno: dubitando che non li fossero furati. Venuto il tempo di morire s’infermò di una passione di stomacho acerbissima, et essendo andato un suo amico a visitarlo li disse. Signor Cosmo, voi pagaresti ben due milla scudi, et essere sano: uorebbi hauere altro tanto mele soggiunse l’auarone, et hauerne cento appresso questi, ch’io ho. Disse l’amico voi morireste, et egli, che importarebbe a me, piu tosto desidero esser riccho morto, che uiuo pouero. In questo tempo mangiaua qualche ouo, et un poco di pane grattato con l’olio: uitello mai non ne volse comprare: la notte poco dormiua hauendo il cuore a’ denari, sopra quali giaceva. Auicinandosi l’ora della morte chiamò un notaio, et fece testamento, che voleva essere sepolto co i denari. Onde i parenti, i quali mai non si approssimavano a casa sua li mandorno un Padre di Santo Francesco, accioche si confessasse, et gli uscisse del capo questo suo desiderio. Il Padre fece l’ufficio suo, ma indarno; percioche adirato disse, a Dio buon compagno. Ma essendo poi venuto alla cosa di lasciar i denari, piu non li volse parlare, ne volse in modo alcuno, più confessarsi. Dicendo finalemente, che i denari non si acquistauano con fatica per lasciarli dietro di se, et cosi con le mani al sacco de quelli, et gli occhi verso loro morì dicendo. ò quanto ho speso misero me in questa malatia. Ma certo Nabide Tiranno uinse questo auarissimo huomo; perche egli non rubbaua, ne toglieua per forza, come faceua questo tiranno, il quale spogliò tutti gli huomini soggetti delle lor richezze, et danari. Sforzò la moglie ad andare in Argo, et fece, che mettesse in esecutione una astutia, che le insegnò, et è questa, ch’ella inuitasse le più nobili, et ricche donne di Argo, et poi con lusinghe, et con minaccie togliesse gli ornamenti loro, et le vesti pretiose, et ella il fece per comandamento dello scelerato huomo. Et un grande auarone fù Don Robles Spagnuolo, il quale essendo al governo d’Vtrec con molte rapine, come dice Mambrino Roseo, accumulò molti danari. Achille, non accade ch’io il dica, era tanto auaro, che uendè il corpo morto di Hettore. Si può sentire la piu scelerata auaritia? Onde Vergilio dice. Exanimumque; auro corpus vendebat Achilles. Auarissimo etiandio fù Barnaba, che scorticaua i popoli del suo Stato per accumolar danari, come scrive Mons. Paolo Giouio. Et il Tarcagnota mostra nelle sue Historie del mondo, che auarissimo fù un capitano de caualli Traci, ilquale nella ruina di Thebe entrò in casa per forza di Timoclia sorella di Teagene nobilissimo Thebano, et doppo che l’hebbe violata, la cominciò a tentare parte con minaccie, parte con piaceuolezze, doue hauesse l’oro, et l’argento ascoso, et ella, che prudente era, rispose, che poi che la sua fortuna le hauea lui dato per Signore, et difensore, non voleua celarli, come hauea in un pozzo senza acqua molti vasi d’oro, et argento, et molte vesti pretiose: egli come udì questo di allegrezza non sapeua che si [page 109, folio 51] facesse, et subito fattosi mostrare il luogo, benche di notte fusse, discese lentamente nel pozzo in giubbone, et ella come al fondo giunto il vide, tirandoli molti sassi l’uccise, et cosi riceuette il premio della sua auaritia. Auarissimi furno i Corintii, i quali tolsero nella lor naue Arione musico eccellentissimo; et accorgendosi gli scelerati che Arione haueua molti denari seco, lo voleuano gettar in mare, et restar padroni. Il musico, come questo intese, tentaua con l’oro, che seco hauea, et con preghi, ricomprar la vita. Ma il tutto fù vano, solamente ottenne con molti preghi di poter cantare, et suonare con la sua chitara, ornato delle sue pretiose gioie, et su la prua cantò si dolcemente, che gli humidi pesci ne presero diletto, et poi si gettò in mare, et un delphino portollo a saluamento nell’Isola di Tenaro, et egli andò a Corintho dal Re Periandro, ilquale diede castigo a quelli auari marinari come meritauano. Sono questi gli essempi de gli huomini auari, che già furno Illustri, et famosi, percioche s’io narrar volessi tutti gli huomini, che di tal natura sono, poco spatio di tempo sarebbe un’anno intiero, gia che non si ritroua mercante, ne gouernatore di Stato, ne professore di alcuna arte, che non sia da l’ingorda auaritia stimulato, e spinto. Bene è vero, che hanno sempre con essi loro un continuo dolore. Cedano adunque gli huomini innumerabili di tal vitio ammacchiati a due, ò quattro donne poste per essempio d’auaritia da Giuseppe Bassi, il qual merita gran lode; perche io credo, che si habbi affaticato in ritrouarle molto. De gli Inuidiosi. Cap. II. E Di tanti mali, et inconuenienti cagione la maledetta, et rabbiosa inuidia, che si può con ragione concederle il primo luogo doppo l’auaritia, come vitio, che precede a tutti gli altri seguenti, et colui, che inuidia ò richezze, ò dignità d’altrui non si può dire, se non che habbi un animo scelerato, et iniquo; percioche non è altro l’inuidia che uno interno dolore, ò dispiacere delle prosperità altrui; cosi la descriue Speusippo Platonico nelle diffinitioni di Pla. dicendo. Invidia est tristitia ex amicorum bonis sive presentibus, sive futuris, vitio certo di un animo cattiuo. Ma non è tanto il danno, che ben spesso suole agli altri apportare, quanto ne sente, et proua l’istesso inuidioso. Onde lasciò scritto Oratio nel libro primo delle Epistole, che i Tiranni di Cicilia non trouauano il maggior tormento dell’inuidia, et dice. Inuidus alterius rebus macressit opimis. Inuidia siculi non inuenere Tiranni. Maius tormentum. Et in vero, l’inuidia distrugge l’inuidioso istesso, anchor che goda dell’altrui male. Onde Annibal Caro ne’ suoi sonetti, cosi la descrisse. [page 110] Vibra pur la tua sferza, e mordi il freno Rabbiosa inuidia, habita ò speco, ò bosco. Pasciti d’Idre, e mira bieco, e losco, E fa d’altrui tempesta à te sereno: Et il Sannazaro volendo mostrare, che l’Inuidia è una peste, che consuma se medesima dice: L’ inuidia figliuol mio se stessa macera, E si dilegua come agnel per fascino, Che non li gioua ombra di pino, ò d’acera. Ma con miglior modo la manifestò, Ouidio nelle Metamorphosi; ma per concluderla io porterò i versi d’uno Epigramma attribuito à Vergilio, nel qual si scuopre una perfettissima descrittione dell’Inuidia, et è questo. Liuor tabificum malis venenum Intactis uorat ossibus medullas, Et totum bibit artubus cruorem, Quo quisque furit, inuidetque sorti, Vt debet, sibi pena semper ipse est. Testatur gemuit graueis dolores, Suspirat, gemit, incutitque denteis, Sudat frigidus intuens, quododit, Effudit mala lingua virus atrum, Pallor terribilis genas colorat. Infelix macies remudat ossa. Non lux, non cibus est suauis illi. Haec potus iuuat, nec sapor Liei: Viuit pectore sub dolente vulnus, Quod chironia nec manus leuarit. Nec Phoebus sobolesve clara Phoebi. Et è tanto potente l’Inuidia ne’ cuori de gl’huomini, che molti uolendo inuitar i Regi, et Principi à nuoue discordie, et guerre, pongono dinanzi à gl’occhi loro i titoli illustri, l’antichità del regnare, i trionfi, la grandezza de gli stati altrui, et l’ubbidenza de’ feudatari, dalle quali cose stimulati prendono ben spesse uolte l’armi contro ad ogni ragione, et di questo ne fa fede il Guicciardini, et Monsignor Giouio. et tralascio per ora gli Historici antichi: Di questo potentissimo mezo finge il diuino Ariosto, che se ne seruisse Alcina nella persona di Gano, il quale conoscendo la potenza, et i danni, che sempre guida seco questa peste de gli animi, fa che Alcina l’honorasse con queste parole. O de gli Imperatori Imperatrice, (Comincio Alcina) S de. i Re Regina, O de’ Principi inuitti domitrice, O de’ Persi, e Macedoni ruina, O del Romano, e Greco orgoglio ultrice, [page 111 folio 52] O gloria, à cui null’altra s’auuicina, Ne mai sarà per appressarsi s’anco Il fasto leui à l’altro imperio franco. Fra gl’huomini celebri, che da questa signoreggiati furno, anchor ch’io creda, che molti fossero da tal vitio infetti; latè enim patet, hoc vitium, & est in multis inuidere, scilicet: Come scriue Cicerone ad Appio Pulcro: Voglio dare il primo seggio à Caligula Imp. accioche egli non inuidiasse ad alcun’altro, che à lui proponessi: era tanta l’inuidia, ch’egli portaua à gl’huomini, che si distruggeua dolendosi, ch’essi hauessero statue, et honorate memorie de’ loro antichi. però ne fece sprezzar molte, et gettare à terra. Oltre questo procurò con ogni suo potere, che si estinguessero i gloriosi poemi di Verg. e d’Homero. diceua, che Verg. era stato un’huomo di poco ingegno, Tito Liuio un parabolano, Seneca, ch’in quel tempo era in grandissima stima, arena senza calce. levò l’insegne, et gl’adornamenti a molti illustri gentilhuomini Rom., ch’erano segni delle loro antiche nobiltà. S’abbassò ancora la sua inuidia à cose più leggieri; percioche non v’era persona di cosi vile conditione, à cui non inuidiasse alcuna cosa, et faceua infino tosar gli huomini, i quali vedeua, ch’auessero belle, et lunghe zazzere, et faceua macchiar il volto ad alcuno, ch’à lui pareua bellissimo. Io non mi ricordo mai hauer letto, ch’in una donna fosse tanta inuidia, e tanta rabbia de gl’honori, et delle bellezze altrui, com’io leggo di quest’huomo. Non merita d’esser lasciato a dietro Cesare, che leggendo l’imprese d’Alessandro, piangendo si doleua, vedendo che le sue non erano eguali a quelle del Macedonico. Mi souuiene di Marco Crasso, ch’era sempre punto dalla venenosa sferza dell’inuidia per gl’honori di Giulio Cesare, et di Pompeo. Fù anco stimulato grandemente da costei Isaccio Commeno, come narra Niceta Acominato da Chone, c’hauendo tolto l’Imperio al crudele Andronico, per inuidia ruinò superbissime fabriche, et un’alta Torre, et altre bellissime habitationi uicine a una fontana, le quali cose Andronico con grandissime spese hauea inalzate, et per ornamento della città fatte, nelle quali cose si vedea essere ornamento, utilità, et piaceri. Mi souuiene d’Alessandro figliuolo di Filippo, ch’era inuidiosissimo della gloria d’Achille. Però dice il Petrarca. Giunto Alessandro à la famosa tomba Del fiero Achille, sospirando disse; O fortunato, che si chiara tromba Hauesti, che di te si alto scrisse. Et Carneade fù tanto inuidiato, che nulla più, fiorì nel tempo di Catone, come scriue Valerio Massimo, pose lo suo studio in accordar le differentie, et varie sette di Filosofanti, Peripatetici, Epicurei, et Stoici; ma non lo potè far, come dice il Petrarca per l’inuidia altrui. La lunga vita, e la sua larga vena D’ingegno pose in accordar le parti, Che’l furor letterato à guerra mena, [page 112] Ne’l poteo far, che come crebber l’arti Crebbe l’inuidia, e col sapore insieme Ne i cori enfiati i suoi veneni sparti Fù un famoso inuido Tito Flaminio, come dice Plutarco, che tutto giorno si rodeua fra se stesso di dolore per gli honori di Filipomene. Ne voglio tacere di Temistocle, che molte notti non dormiua; perche i trofei di Milciade lo teneuano desto. Ne d’Aristotile, che inuidiaua la gloria di Theodetto. Ne di Carlo Utinense, che udendo le vittorie di Giulio Cesare s’ammazzò, et fece bene, che facendo cosi mostrò quello, che meritaua uno inuidioso, ilquale cerca di uccidere la fama, et la gloria altrui. Asinio Pollione haueua tanta inuidia a Cicerone, che fuggiua udendolo nominare. Doue lascio Adriano, che inuidiò tanto il buono Imperator Traiano, che i ponti fatti con gran spesa fece gettar a terra, et minare? come narra Plutarco, Scipione Africano fù etiandio molto inuidiato da i Tribuni, e da principali della Città di Roma, et egli conoscendo la loro inuidia se ne andò à Linterno villa a far il rimanente della sua vita: et Tito Liuio come narra il Petrarca era inuidioso verso Crispo Salustio, onde dice. Crispo Salustio è seco, a mano a mano Uno che gli hebbe inuidia, e vide il torto Ciò è il buon Tito Liuio Padoano. Torquato Tasso dice nel suo Poema veramente degno d’ogni lode, che Gernando era pieno di questo mostro diabolico per la virtù di Rinaldo. Tal che’l maligno spirito d’Auerno, Che in lui strada sì larga aprir si uede Tacito in sen li serpe, & al gouerno De suoi pensieri lusingando siede. Che dirò di Senofonte, che impugnò i libri della Repubblica di Platone per inuidia? che di Gano che cercaua per inuidia di distruggere la potenza di Carlo Magno come dice l’Ariosto, ilquale scoprendo ad Alcina il petto colmo d’odio, e di rabbia verso il Re Carlo dice? Ma se più tosto odiate, chi li è amico E di sua volontà vuol seguitarlo, Mè non haurete in odio, ch’io non l’amo, Ma il danno, e’l biasmo suo piu di voi bramo. Et da questo si può comprendere di qual astio, et di qual veneno hanno pieno il cuore questi inuidiosi, che odiano, et opprimono le virtù, et però il Petrarca, esclamando dice. O inuidia nemica di virtute. Et basti di questi pochi; perche se tutti ponere volessi, non mi bastaria ne la carta, ne il tempo. [page 113 folio 53] Degli incontinenti, cioè golosi, ubbriachi, & sfrenati. Cap. III NUMERORNO gli antichi, et morali Filosofi tra i più graui, et segnalati vitii la sordida incontinenza; percioche offuscando la ragione i diletti de sensi uengono in un certo modo à priuar l’huomo del suo proprio essere; che ella interturbi la ragione per il mezo del diletto sensuale, lasciò scritto Speusippo dicendo Incontinentia est affectio trahens ad ea, que iucunda videntur, praeter rectae rationis iudicium. Le quali cose benissimo conobbe Aristo. nel lib. 2. delle grandi Morali al cap. 7. nel 3. delle Morali à Nicomacho dicendo, Incontinens est, qui honestorum tenet scientiam, sed eam non exercet, imo indulget corporis uoluptatibus, quae uituperandae sunt & circa has magis, quam par sit, versatur. Se adunque l’incontinenza è tale, ch’ella offuschi la ragione dominando i sensi del gusto, et del tatto come dice Aristo. imprudente, et lo dimostra con queste parole, Prudentem verò incontinentem esse non contigit. Et di questo non è merauiglia; percioche antepone a’ diletti tutte l’altre attioni, anchor che nobili, et laudabili. Et si duole, e lamenta, quando ch’egli non ottiene il bramato fine, come si legge nel 3. delle Morali à Nicomacho al cap. undecimo. Fù incontinentissimo in ogni sorte di cosa Nerone, il quale à freno sciolto si diede in preda à tutte le vanità, et lasciuie, che mai imaginar si possino, et l’Autor, che descriue la sua vita, dice i suoi vitii furno tanto horribili, che per non offendere l’orecchie di chi legge, ha proposto di non volerli scriuere consumando egli in quelle dishonestà la maggior parte del tempo et tutto il rimanente spendeua in giuocchi, et in altri vitiosi essercitii, e spesso in conuiti, iquali durauano tutto, il giorno et parimente tutta la notte: ne a questo scelerato Imperatore cede pur in una minima parte Silla, il quale sempre si dilettò di facetie, di pratiche di buffoni, et di persone ridicule et dishoneste. Ma come fù posto a reggere lo stato, ragunandosi con huomini sfacciatissimi, venuti dalle scene, et da gli spettacoli staua a bere, et a mangiare con loro, et a dire parole molte sconcie, et vituperose. anchorche fosse persona attempata; et per attendere alla gola trascoreua molte attioni, lequali haueuano bisogno di gran consideratione et diligenza. Scriue Suetonio, che Vittelio Imperatore era tanto goloso, che trouandosi in uiaggio entraua per tutte le osterie, et mangiaua le cose, [page 114] che vi trouaua calde, et fumanti, et tal volta le reliquie del giorno inanti, et sempre comandaua hora a uno, hora ad un altro, che lo conuitassero. Sergio Galba fù anchor egli tanto mangiatore, et bevitore, et sfrenato in mille altre dishonestà, che è più noto per loro, che per alcuna virtù, che fosse in lui. ma che diremo noi di domitio Afro? che per troppo mangiare si soffocò a tauola alla presenza di molti. che di Catone Uticense? ilquale era tanto amico del vino, che à lui si haurebbe lasciato abbruggiare che continuaua beendo con gli amici infino a l’Alba. Che di Comodo Imperatore? ilquale consumaua il giorno, et la notte per le tauerne in conuiti, in tracannare, et in mille altri vitii enormi, et brutti; in bagni, in lasciuie. Alessandro Magno fù oltre modo amator del uino, et facendo un conuito, promise la corona a chi più beueua: quegli che in quel contrasto si mostrò più invitto fù Promacho, ilquale tracannò quattro cantari di vino, et acquistò la corona; et la uitoria. ma perche il pouero huomo douea hauer beuuto troppo poco, se ne morì da li a duo giorni, et ne morirno per l’istessa cagione quaranta altri. Mentre Alessandro attendeua a perseguitar Dario faceua alcuna volta grandissimi conuiti, et godeua nelle ebbrietà, et nelle Crapule. un giorno ch’egli era benissimo ubbriaco, si li fece inanzi una donna, per nome chiamata Thaide Ateniese, laqual piaceuolmente lodando Alessandro, diceua ch’ella hauea riceuuto in quel giorno grandissimo frutto delle fatiche ch’ella hauea sofferte a venire in Asia veggendosi tanto accarezzata nei i superbissimi pallazzi de Persiani, et ch’ella haurebbe molto dilettose per ispasso, anchorche hauesse potuto caciare il fuoco nel pallazzo di Serse, ilquale hauea già abbruggiata Atene sua patria. Stando Alessandro ad udirla, non li dispiacque quel pensiero, et cosi caldo dal vino fatto accendere una facella, andò inanzi a tutti con lei, et cacciorno fuoco nel pallazzo di Serse. Tutte queste cose narra Plutarco. Ne ad Alessandro cede Tiberio Imperatore, che fino dalla sua fanciullezza li fù posto nome Beuiero Mero, che dinota beuitore de miglior vini, et nella sua vecchiezza staua tutta la notte, et parte del giorno dando premi a chi più beuea. Ma doue lasciò Dinocrate Messenio, che era più giotto del vino, che l’orso del mele. Et facendosi un gran conuitto in Roma, et essendo ebro si vestì da donna, et quiui saltò, et ballò, e fece mille altre pazzie, et l’altro giorno poi domandò aiuto a Tito; perche tentaua di ribellar Messana a gli Achei, ch’era cosa di grande importanza, come dice Plutarco. Io non so come bene si conuenissero insieme l’ebrietà, i salti, i giuochi con la grauità quasi di Principe. Non merita silentio la voracità di Massimino, ilquale, come scrive Capitolino, mangiaua quaranta libre di carne al giorno, et beueua un’anfora di vino. Per quanto mi pare, era molto sobrio etiandio. Claudio Imperatore era tanto disordinato nel mangiare, et nel bere, et nell’altre sceleratezze, che li parea di non hauer mai nè luogo, nè tempo bastante da satiarsi la gola, mangiaua à corpo pieno, [page 115 folio 54] et poi si prouocaua il vomito, cosa più tosto da uno imperator de porci, che d’huomini. Et Cambise essendo stato corretto da un suo domestico, che lasciasse l’ubbriachezze, egli subito con una saetta l’ammazzò. Nè voglio, che resti disgiunto da questi golosi mangiatori Epicuro Ateniese figliuolo di Neode, da cui hebbe origine la setta Epicurea, il quale ponendo il sommo bene nelle voluttà, et piaceri del corpo si armò con sottili argomenti contra Phiricide Filosofo. A costui piacque con tutta la sua compagnia il mangiare, il bere, et il solazzarsi; perche diceva. Post mortem nulla est voluptas. Onde il Petrarca di lui parlando, dice: Contra il buon sire, che l’humana speme Alzò ponendo l’anima immortale, S’armò Epicuro; onde sua fama geme Ardito à dir, ch’ella non fosse tale, Cosi al lume fu famoso, e lippo Con la brigata al suo maestro eguale. Leggesi ne gli Epigrammi di Possidonio, et di Theodoro, d’alcuni huomini, che mangiauano fino un bue: ò come male sarebbono stati sotto Pitagora, che non uoleua, che si mangiasse carne: non è giusto, che io lasci à dietro il Re Antiocho, il quale giorno, e notte attendeua alle crapule, et al uino: nè giusto è, che io lasci Trasimarco Macedone, il quale illustra Timacreonte, dicendo di lui: Plurima edens, per multa bibens, mala plurima dicens: Scriue Aristotile nell’Etica, che uno desideraua di hauere il collo di grue per poter lungamente gustar il uino, ch’io penso, che non li piacesse punto. Epicarmo nel suo Busiride della ingordigia loda Ercole dicendo. Intus sonat guttur, sonantque maxillae Simul dentes, dens caninus instrepit, Exibilant nares, et ipsam aurem mouet. Non uoglio lasciar da parte Sardanapalo, ultimo Re de gli Assirii, huomo deditissimo a tutte le voluttà. Costui di mangiare, e di bere non cedeua al più famoso huomo dell’età sua. Spesso si uestiua da donna, et staua anchor egli ritirato con le altre donne: In questo Arbace capitano de Persi, intendendo la uita di questo famoso huomo uenne, et assediollo, et il galante huomo disperando la salute fece accendere uno grandissimo fuoco, gettoui dentro le cose più care, et anco molte cose da mangiare, et finalemente se stesso. Et fece queste parole sopra la sua sepoltura. Mangia, beui, et giuoca, che doppo morte niente piace. Che dirò di Ciacco, che in lingua Fiorentina vuol dir porco, parlando il Bocca, di lui dice. Essendo uno in Firenze da tutti chiamato Ciacco, huomo giottissimo quanto alcuno altro fosse giamai, et con quello che segue. Dante lo po- [page 116] ne ne l’Inferno, et lo fa dire cosi: Voi cittadini mi chiamaste Ciacco Per la dannosa colpa de la gola, Come tu uedi à la pioggia mi fiacco. Furno tanto mangiatori, e golosi i compagni d’Vlisse, come racconta Homero nell’Odissea, nel libro duodecimo, che rapirno i buoi del Sole, et con grande auidità cercauano i più grassi, nè fecero alcuno profitto i ricordi d’Vlisse. Et i versi Greci tradotti da Girolamo Bacelli così suonano: Sei giorni intieri i miei compagni amati Mangiar gli armenti del lucente Sole, Sempre scegliendo i più grassi, e megliori, Ma ben portorno la pena della lor golosità tanto accesa, quando Gioue ne prese vendetta, che vibrando il fulmine ardente, percosse la naue, et si può dire, Che sol foco per foco allhor si spense. Cioè il fuoco della gola co’l fuoco celeste. Moschino era un gran beuitore, quando non era ubbriaco li pareua d’esser morto, et però dice l’Ariosto parlando di lui, quando uien gettato da Rodomonte nell’acqua. Getta da’ merli Andropono, e Moschino Giù nella fossa il primo è Sacerdote, Non adora il secondo altro, che’l vino, E le bigonze à un sorso n’ha già vote, Come ueneno, e sangue uiperino, L’acque fuggia, quanto fuggir si puote, Hora qui more, e quel che più l’annoia, E’l sentir, che nell’acqua se ne muoia. E Grillo, forse, che ancor egli non era un bello, e buon beuitore? come dice il medesimo: Poi se ne vien, doue col capo giace, Appoggiato al barile il miser Grillo Hauealo uoto, e hauea creduto in pace Godersi un sonno placido, e tranquillo, Troncogli il capo il Saracino audace Esce co’l sangue il vin per uno spillo, Di che n’ha in corpo più d’una bigoncia, Di ber si sogna, e Cloridan lo sconcia. Gio. Bottero Benese, nelle sue relationi d’Europa, dice, che i Germani son dediti fuor di modo alla gola, et all’ebrietà; onde segue, che dificilmente diuentano prudenti: percioche non è cosa, che più offuschi l’intelletto, et imbestii l’animo, che la crapula, et il vino, et per la gola patiscono molte infirmitadi. Et dice [page 117 folio 55] che nella guerra la caualleria Tedesca è di spesa, e d’impaccio, anzi che di giouamento, et di utilità, et la ragion è questa; che i caualli si togliono dall’aratro, et gli huomini dalla stalla. I Siracusani si ubbriacauano fino quattro giorni intieri. perche credete voi, che Mezentio porgesse aiuto à Toscani? solamente, perche haueuano buon uino: non voglio che il tempo mandi nel fiume d’obblio la memoria di un gentilhuomo d’uno città di Lombardia, chiamata Pauia, che sapeua qualche cosa circa le lettere; ma pouero, et goloso, come un gatto: se alcuna uolta era inuitato a disinare da qualche gentilhuomo, il quale hauesse fatto disinare da huomo temperato, e sauio, doppo incontrandosi in qualche suo amico, dal qual dimandato li fosse, oue hauesse mangiato, rispondeua piangendo: in inferno leccardorum; Ma quando mangiaua con qualche gentilhuomo, il quale hauesse la tauola piena di molte varie, et diuerse uiuande, et dimandato doue mangiato hauesse da altri gentilhuomini, con faccia allegra, et una foce gagliarda, e chiara, rispondeua: Non in Apollinem, come Lucullo: ma in Epulonem: ancora che il misero fosse tanto goloso, haueua però del deuoto, di sorte, che ogni volta, che sapeua di non perdere l’inuito del disinare udiua messa; et dimandato, che gratia à Dio chiedesse, egli soggiungeua: Hanc unam peto: di godere, trionfar bene in questo mondo, et meglio nell’altro, et s’era ripreso da qualche amico, ò parente, di voracità, li rispondeua: Nescitis quicquam. Poi loro faceua uno argomento à primo ad ultimum, che sempre haueua in bocca; ma piu in opera, et diceua hauerlo imparato in Basilea in una tauerna da un Filosofo Tedesco, qui erat maximus doctor, dum potauimus, il quale argomento era di tal tenore: Qui bene bibit, et bene edit, bene dormit; qui bene dormit non peccat, qui non peccat vadit in paradisum. Ergo si uolumus ire in paradisum, bibamus, et comedamus egregie: et haec est scala coeli. Sono numerati fra gli ubriachi da Caristia, Filippo Re di Macedonia. Antigono, come scriue Philarco. Demetrio, come Polibio, et Agione Re de gli Mitii, morì ubbriaco, ò che felice morte. Racconta Phania, che Scotta figliuolo del Re Creonte si ubriacaua ogni giorno, et se per auuentura fosse stato un giorno sensa si stimaua piu che morto. Si faceua poi portare per la città sopra un seggio d’oro, come se hauesse trionfato per qualche illustre uittoria; ma udite questo bello Epigramma composto da Polemone sopra Hircadione Re de’ beuitori. Hircadionis habet tumulus hic ossa bibacis, Erectusque urbis proximus ille viae huic Charmilus, et Dorei posuerunt mortuus est vir Dum magni calicis ebibit iste merum. I Siciliani erano tanto ingordi, et voraci, che alzorno un Tempio alla Voracità; accioche questa tale Dea non gli lasciasse mancare l’esca, [page 118] et il vino, et non si può dire, che non fossero deuoti hauendo fatto opera tale. Era tanto giotto Hiperide, che auanti giorno correua fuori di casa, perche non fosse da qualche uno altro tolti i megliori bocconi, ne mai haueua tanto sonno la mattina, che la gola non lo potesse destare. Aristippo era tanto mangiatore, e goloso, che quando uedeua quelle parole di Platone, le quali sono queste. Quod in die aut semel, comedatur parcè, aut bis parcissime. Subito con tanta colera stracciaua quella carta, oue erano scritte, et l’abbrusciaua, che nulla più. Era una golosità astuta quella, che Crobulo Comico racconta di colui, che per timore, che gl’altri non mangiassero, diceua: Ad haec ego certè nimis colentia, Nunc frigidas habeo manus. Io non voglio, che il silentio mandi in obliuione la nobile memoria d’un gentil Cortigiano, il quale non si dilettaua ne di pompa, ne di delicie, come sogliono fare molti gentilhuomini di simil sorte: in casa non hauea ne specchio, ne pettini, se non quelli, che teneua in [bocca], co i quali a tauola pettinaua come un paladino, nè adoperaua forchetta, ma con le dita, le quali con tanta prestezza, et celerità adoperaua, che alcun suonatore di liuto. Se mangiaua come un paladino; beueua come un gigante: Sempre voleua il vino Giudeo; perche diceua, che l’acqua era fatta per i pesci, et per le bestie, non per i galant’huomini pari suoi. Costui beuea bene, et tanto deuotamente, che ogni volta li veniuano le lagrime da gli occhi, et benche si hauesse posto un secchio di vino alla bocca, quando spiccaua il uaso da i labri, erano tanto asciuti, quanto se fosse stato di mezzo giorno al Sole, quando egli è in Cancro, ò in Leone. Se dormiua, dormiua commodamente bene; perche fra giorno, et notte non si riposaua meno di sedici hore, et questa era la sobrietà, la gentilezza di questo gentilhuomo. Margutte è tanto noto, che non accade, ch’io di lui scriua; ma in vece sua scriuerò di Erisitone, che mangiò tutte le sue facoltà, et vendè la figlia, come dice Ovidio nel lib. 8. --tandem demisso in uiscera censu Filia restabat, non illo digna parente Hanc quoque vendit inops. E così Eristone vendè la figlia più volte et, à l’ultimo mangiò se stesso; onde Ouidio disse: Ipse suos artus lacero diuellere morsu, Caepit, et infelix minuendo corpus alebat I quali versi tradotti in ottaua rima dal Maretti suonano: Le stesse membra incominciò col dente Ad ammorsar la carne sua ingogiata, Il nutrimento il misero porgendo Al corpo, il corpo stesso sminuendo. Questi sono gli essempi de gli huomini incontinenti, con i quali se si habbi da comparare il sesso donnesco ditelo, et consideratelo uoi; perciò che io credo, [page 119 folio 56] che commettessero più atti d’incontinenza Eliogabalo, et Nerone soli, che tutte le donne insieme: ancorche fossero tutte le morte, le uiue, et uenture unite. Io tralascio di raccontar, che l’osterie siano sempre piene di questi continenti maschi, et cosi tutti i luoghi, oue si uende uino, essendo queste cose à tutti notissimo, si come anco è chiarissimo, che donne non si ritruouano in simili ridutti, et luoghi. De gl’iracondi, bizzari, et bestiali. Cap. IIII. E tanto detestabile, et uituperato il uitio della fiera, et precipitosa iracondia, da ogn’uno, che sempre senza dubbio merita riprensione, et spesso castigo, nè meno ella oscura il lume della ragione di quello, che facci l’incontinenza, ancorche alcuni l’ira, incontinenza chiamassero. O di quanti homicidii ella è cagione; percioche essendo l’ira, come dice Speusippo: Prouocatio irascibilis animae partis ad ulciscendum. Spinge souente gl’huomini adirati à commettere simili eccessi per vendicarsi, et ben spesso per leggierissimo oltraggio vien leuata la cara vita al altrui, et questo accadde; percioche l’ira il più delle volte accieca affatto la ragione, come si legge nel lib. 5. della Politica, al capitolo decimo; et ch’ella offuschi l’ingegno, è cosa certa; percioche si uede non rare volte un carissimo amico, un’obbediente figliuolo in un subito lasciarsi trasportar tanto dalla colera, che offende ò l’amico, ò il caro padre, et dipoi auuenendosi piange il commesso errore, la qual cosa osseruando l’Ariosto disse nel Canto trigesimo, stanza prima. Quando vincer da l’impeto, e da l’ira Si lascia la ragion, ne si diffende, E che’l cieco furor si innanzi tira, O mano, ò lingua, che gli amici offende, Se ben dapoi si piange, e si sospira, Non è per questo, che l’error si emende; Lasso io mi dolgo, e affliggo in van di quanto Dissi per ira al fin dell’altro canto. Per il più s’adirano gl’iracondi con quelli, co i quali meno si dourebbono adirare, o di cose lieui, e sprezzabili, et molto piu di quello, che deurebbono, cosa certo indegna, et con bestemmie, et con gridi horribili assordano il mondo; onde si può dire con Ouidio: Crimina dicuntur, resonat clamoribus ether, Inuocat iratos est sibi quisque deos: Pertinet ad faciem, rabidos compescere mores: Candida pax homines, trux decet ira feras: [page 120] Ora tument ira, nigrescunt sanguine uenae; Lumina Gorgonio seuius angue micant. Ad Alessandro Re di Macedonia io darò il primo honore accioche non auuampasse d’ira. Era tanto estremamente agitato da questa furia infernale, che non sapeua frenare la sua natura. Però fece molti atti indegni, come uccider Clito, et altri Illustrissimi huomini di grandissima auttorità, come Plutarco racconta; et però dice il Petrarca. Vincitor Alessandro l’ira vinse. Ma che dirò io di Valentiano Imperator di Roma, Ungaro di natione? il quale si adirò tanto fieramente contra certe legioni, che li si ruppe una vena nel petto per lo gridare, et poi versando l’anima, e’l sange si morì pieno d’ira. Che di Catone? che entraua in tanta rabbia, che non si po[t/r]ca ne con preghi, ne con altra cosa placare. Ma di più crudele, et fervente ira fù pieno Perso Re di Persia, che uccise dui, i quali amicheuolmente lo consolauano. Si può uedere il più brutto essempio di costui? poi che priua di vita, chi con dolci parole cercaua di mettere allegrezza nell’animo melanconico di lui. Ma doue lascio Cambise, ancor esso Re di Persia? che non potendo hauere la figliuola del Re d’Egitto viua, fece tirarla fuori della sepoltura, et fece col ferro piagarla, et batterla, et dipoi abbrusciare, come dice Battista Ful. ben rabbia veramente irrationale, incrudelire contra un corpo essanimato. Herode Re de’ Giudei, figliuolo d’Antipatro, essendoli detto, che la moglie li voleua dare il veneno amatorio, senza cercar più oltre, preso da una feruente ira la fece ingiustamente uccidere. Ma dopo essendosi scoperta la verità, et raffredato quello acceso furore irrationale piangendo la chiamaua. Onde parlando di lui il Petrarca dice; Vedi com’arde prima, e poi si rode, Tardi pentito di sua feritate Mariane chiamando, che non l’ode. Ezzelino, che per l’ira commise tante crudeltà, non lasciaremo già a dietro? però lasciarò à dietro quello, che per ira fece verso gli altri, et solamente voglio descriuer quello, che fece verso se stesso: essendo ferito fù preso in battaglia, et fù medicato, et consolato assai, ne in lui mai si potè spegnere l’ira; et non hauendo armi, con che ferirsi tenendo sempre gli occhi fissi in terra pieno d’una ostinata iracondia si slegò la ferita, et la stracciò, cosi finì la vita, come scriue il Sabellico, et di lui dice l’Ariosto; Ezzelino immanissimo Tiranno, Che fia creduto figlio del demonio. Valerio Pubblicola per colera renunciò tutti i gradi honorati. I Francesi, come dice Tito Liuio sono di natura iracondi. Ira grandissima fù quel- [page 121 folio 57] la di Tideo come narra Statio nella sua Thebaide, ilquale hauendo fatto amicitia con Polinice andò con gli altri regi contra Thebani, et essendo in battaglia s’incontrò in Menalippo, ilquale era in aiuto de Thebani, et da lui fù grauemente ferito, et Tideo pieno di grande ira l’uccise, et dapoi vedendo che la sua ferita era mortale, si fece portar la testa di Menalippo, et con grandissima ira rodendola si morì. onde il Petrarca ragionando dell’ira dice; L’ira Tideo a tal rabbia sospinse, Che morendo ei si rose Menalippo. Solimano fù anchor egli pieno di una cholera irrationale come dice Torquato Tasso; perche dopo che hebbe ucciso Argillano, fece oltraggio al morto corpo. Nè di ciò ben contento: al corpo morto Smontato dal destriero, ancho fa guerra; Quasi Mastin, che’l sasso; onde a lui porto Fù duro colpo, infellonito, afferra. Et Marganor arrabbiato d’ira contra Drusilla, come l’Ariosto dice. Tal Marganor d’ogni mastin, d’ogni angue Via piu crudel fa contra il corpo essangue. E Granponio fù molto cholerico, per quel che dice l’Ariosto; Si che senza poter replicar verbo Volta il destrier con colera, e con stizza. Aiace figliuolo di Telamone, quando che i Greci giudicorno degno Ulisse dell’armi d’Achille, et priuorno lui, n’hebbe tanta ira, e dispetto, che diuentò matto, et furioso; et finalmente s’uccise; però udite quello, che dice Ouidio di lui. Hectora qui solus, qui ferrum, ignesque iouemque Sustinuit toties, unam non sustinet iram: Inuictumque virum vicit dolor. arripit ensem, Et meus hic certè est: an et hunc sibi poscit Ulisses? Hoc ait utendum est in me mihi: quique cruore Saepe Phrigium meduit: domini nunc cede madebit Ne quisquam Aiacem possit superare, nisi Aiax Dixit: et in pectus tum demum Vulnera passum Qua patuit ferro, lethalem condidit ensem. Hor pensate voi, se questa doueua essere ira da giuoco. Ma di Achille, che diremo noi? che quando Agamenone dice di torli la figliuola di Briseo, tanta è l’ira, et il furore, che auampa come dice Homero nel primo libro dell’Odissea, che tradutto in ottaua rima da Luigi Grotto cosi suona; Qui tace, e siede il Re. Ma un furor folle Tanto il figlio di Theti in questo auampa Che’l sangue intorno al cor, s’accende, e bolle [page 122] E un fortissimo duol nel sen s’accampa. Et più sotto, quando si era alquanto placato, hauendo veduto Minerua; però non mancando di usare parole oltraggiose ad Agamennone, le quali son queste: Achille, che de l’ira anco riserua Nel cor qualche reliquia al Re proteruo, Conuerso grida in uoce acra, et acerba: O de Greci signor del vino servo, Di mente puerissima, e superba Re, ch’ai faccia di cane, e cor di ceruo, Come per guida sua questo bel campo, Elesse un’huomo più timido, che un tampo. Considerate un poco, se l’ira in costui era gagliarda non hauendo rispetto più al Re Agamennone, che hauesse hauuto à un suo minimo seruo. Ma che diremo di Gìa? che come si vidde Cloante vicino nel giuoco delle naui, arse di tanta colera, che senza hauer rispetto al suo decoro, prese Minete nocchiero, e guida della sua naue, e l’auuentò nel mare: come dice Verg. nel lib. 5. dell’Eneide: Tum verò exarsit iuueni dolor ossibus ingens, Nec lachrymis caruere genae, segnemque Menatem, Oblitus, decorisque sui sociumque salutis, In mare praecipitem puppi deturbat ab alta: Ipse gubernaculo rector subit: ipse magister. Questi versi tradotti in lingua volgare dal Caro, tali sono: Grand’ira, gran dolor, et gran vergogna Ne sentì il fiero giouine: et piangendo Di stizza non mirando il suo decoro; Nè che Menete del suo legno seco Fosse guida, e salute; in mezzo il prese, Et da la poppa in mar lungo auuentollo, Poscia ei nocchiero, e capitano insieme, Diè di piglio al timone. L’ira è uno distruggimento di tutto le virtù, come dice il Trissino; Ma se tu lasci dominarti à l’ira, Quale eccellenze haurai, che non ti guasti? [page 123 folio 58] De’ Superbi, et Arroganti. Cap. V. Lo stimarsi, et il giudicarsi più degno, et più nobile de gli altri senza dubbio è atto di superbia: non essendo la superbia altro, che una falsa estimatione di se medesimo, per la quale si crede di hauere una libera superiorità, et imperio sopra ogni persona, ancorche magnifica, et grande; et l’huomo alleuato da questo pensiero ne diuiene arrogante , insolente, sprezzatore di Dio, et de gli huomini, vantatore, ostinato, ambitioso, et ingrato nelle sue attioni, et per concluderla è una radice, et origine di grauissimi errori, come lasciò scritto il sauio Salomone nell’Ecclesiastico al capitolo decimo. Furono molti gli huomini superbi, ai quali, come dice Pub. Citò ignominia fit superbi gloria. Io incominciarò da Giulio Cesare, accioche godi la superiorità de gli altri superbi. egli haueua pensieri tanto alti, et eleuati, che non ui era cosa tanto grande, che non li paresse di meritarla; udiste voi la maggior arroganza di questa? E Plutarco racconta di Camillo, che hauendo hauuta uittoria contra Veii, tanto era in costui grande l’allegrezza, et il fasto, che facendo il trionfo trapassò tutti i riti ordinarii, et sdegnando le solite pompe salì sopra una carretta, la quale era solamente riseruata al Re, et al padre de gli Dei: segno euidente di un’animo gonfio d’una estrema superbia: nè merita già silentio l’arroganza di Catone, per la quale fece meravigliare il Re Tolomeo, il quale volendoli parlare, non li andò incontro, non si mosse di camera, nè pur dal [;] seggio, segno (dice Plutarco) du un’animo rusticale, et superbo. Tito Liuio vitupera l’alterezza grandissima di Annibale, ilquale doppo la vittoria riceuuta di Canne, si alzò in tanto fasto, che venendo i suoi Cittadini, non si degnò ragionar con loro, se non per il mezo d’interpreti. Et Caligula fra gli altri suoi pessimi vitii, fece uedere la sua alterezza, e superbia, della quale era tanto pieno, ch’io mi merauiglio, come non gli scopiasse il cuore, non guardaua alcuno con dritto occhio, sprezzaua le altrui virtù, nè le sue amaua; perche in lui non haueuano albergo. Non lasciarò Domitiano superbo, quanto imaginar si possi, che senza scoprirla, mai non operaua cosa alcuna. Et Roboam figliuolo del sapiente Salamone, essendo succeduto nel regno del padre, venne in Sichen, doue era unito tutto il popole d’Israele, et usò grande alterezza; perche pregandolo il popolo, che allegerisse il giogo, che posto hauea suo padre, sprezzando il consiglio d’ogni uno, rispose queste superbe parole, che’l suo minimo dito era più grosso delle spalle paterne, et che se lui li percosse con la verga, egli li percuoterebbe col bastone. Superbo al possibile fù etiandio [page 124] Nicanore, al quale essendo detto per opprimere la sua alterezza, che’l signore, et padrone del tutto sta nel Cielo, egli rispose, et io sono in terra potentissimo signor della guerra, et dell’armi. Non voglio, che questa compagnia di superbi resti senza Nabuchodonosor, che à me parerebbe di fargli un grandissimo torto; egli fù si altero, che Dio per punirlo gli tolse l’ingegno; Onde andaua per campagna come un bue mangiando il fieno, et di lui ragionando il Petrarca dice, Che superbia condusse à bestial vita. Et il superbo Seuitione non voleua se non cose grandi, voleua seruitori grandi, destrieri grandi, et per maggior pazzia essendo egli grende [sic! grande] assai, caminaua in punta di piedi per dimostrarsi più grande. Come dice Apuleio gli Egini sono per natura superbi. Timeo Siculo si pensò di superare nell’istoria Greca il famoso Thucidide, della qual cosa ride Plutarco. Ne voglio tacere l’ardire temerario di Nembroth, che per contrastar col Cielo, edificò l’alta torre di Babele, che come scriue il Petrarca. Che fù sì di peccati, e d’error carca. Iuuenale Poeta vitupera la Romana alterezza; oue lasciò Senapo Imperator dell’Ethiopia, che era tanto superbo per la richezza, che come dice l’Ariosto: Diuenne come Lucifer superbo, E pensò muouer guerra al suo fattore, Con la sua gente la uia prese al dritto, Al monte, ond’esce il gran fiume d’Egitto. Inteso hauea, che su quel monte alpestre; Ch’oltre le nubi verso il Ciel si leua, Era quel paradiso, che terrestre Si dice, oue habitò già Adamo, et Eua. Con camelli, elefanti, e con pedestre Essercito orgoglioso si mouea Con gran desir, se v’habitaua gente Di farla à le sue leggi ubbediente. Et Dio ottimo Massimo per farli in parte deponere la superbia, lo privò del lume de gli occhi, et gli mandò l’arpie alla mensa; ma prima gli hauea fatto uccidere l’essercito dall’Angelo; cosi veramente meritano questi fastosi, insolenti, et superbi huomini, che vogliono pigliare guerra con Dio; ma perche tanta superbia, ò huomini fratelli? Non v’accorgete voi, che sete vermi, come narra Dante? Rodomonte, come dice l’Ariosto, non cedeua punto à Nembrotte, come mostra in quella stanza, canto 14. Rodomonte non già men di Nembrotte Indomito, superbo, e furibondo, Che d’ire al Ciel non tardarebbe a notte, Quando la strada si trouasse al mondo. [page 125] Et Torquato Tasso mostra Gernando nel suo Goffreddo, essere un superbo huomo in quei versi, mentre inuidia à gli honori di Rinaldo, dicendo: Mentre in questo superbo i lumi gira, Et al suo temerario ardir pon mente. Et tanta fù la sua superbia, che Rinaldo spinto da giusto sdegno, l’uccise meritamente, et Guelfo parlando a Goffredo, scusando Rinaldo dell’homicidio, dice: Dunque à ragione al tumido Gernando Fiaccò le corna del superbo orgoglio. Menecrate Medico, era tanto superbo, che uoleua esser chiamato Gioue da gli ammalati, nè altro premio lor chiedeua. Essendo un gentilhuomo di Ragusi à Venetia da maritare, di casa Babala, et domandogli un suo amico se pigliarebbe una Cittadina Venetiana, con dote di diece mila ducati, li rispose in colera, ch’egli hauea poco ceruello, et che era poco prattico della nobiltà della sua città; l’amico non li rispose altro: ma soggiunse, pigliaresti una gentildonna Venetiana? egli li rispose; accioche non vi affaticate in propormi nuoui maritaggi, ui dico, che se il Re Filippo volesse darmi una sua figliuola, io ui pensarei à pigliarla. Che ui pare, udiste mai la maggior arroganza di questa? Ma non voglio tacere un’altro atto simile à questo. Era nella istessa città un gentilhuomo, il quale si nomaua Nicolò di Primo. Lasciò costui morendo à una sua figliuola sessanta mila scudi di dote, et perche discerneua il vero dal falso, hauea determinato, che fosse data per moglie à un gentilhuomo Venetiano. Per il qual testamento fu chiamato huomo di poco ingegno; percioche stimauano non ui esser persona degna di lei nelle altre città. Et se con questi nobilissimi Ragugei alcuno ragionasse delle Republiche, et domandasse loro, quali sieno più grandi, et nobili, subito dicono, che quella di Ragusi passa ogni altra, et che è eguale alla Romana. La Venetiana dicono, che alquanto se gli accosta; ma la Genouese le è molto inferiore. [Page 126] De gli Otiosi, Negligenti, & Sonnachiosi Cap. VII. NON è dubbio alcuno, che couli, il quale desidera di menar uita Politica, e ciuile, ò che di fama sia desideroso, & di viuere secondo la ragione, deue fuggire in tutto, & per tutto l’otio, come pestifero veneno; veneno à punto, che ammazza l’huomo, anche viuo, come si legge in Seneca, che lo chiama Viui hominis sepultura; Percioche l’huomo non si essercitando in operationi honorate, né dell’animo, né del corpo si può dir morto al mondo. Rende l’otio senza dubbio l’huomo priuo d’ogni uirtu, & lode. Onde il Petrarca disse à ragione: La gola, e’l sonno, e l’otiose piume Hanno del mondo ogni virtù sbandita. Et lo pose in compagnia della gola, & del sonno; percioche queste sono due doti, & eccellenze dell’otio goloso, & sonnachioso, & in somma d’ogni incontinenza cagione; Onde Mercurio Trimegisto, quel grande disse, hauendo considerate tutte queste cose, che l’otioso diuiene una bestia imprudentissima, & d’ogni sceleraggine albergo, con il corpo languente, e debole: Aggiungi, che la fama à un tale di può dir morta; percioche chi non si affatica, indarno aspetta di essere per le bocche de gli huomini inalzato fino al Cielo. Et però Oratio considerando questo, lasciò scritte parole tali: Dii nobis laboribus omnia uendunt, Qui foelices aliquando esse uolunt laborare debent, Qui studet optatam cursu contingere metam: Multa tulit, fecitque puer, sudauit, & alsit. Et chi è colui, che per il mezo dell’otio si facci immortale, come ben dice Sallustio, & Dante, Che feggendo in piume. In fama non si vien, ne sotto coltre. Certo non si può uedere la maggior infelicità di uno ingegno otioso, il quale non può sentir questo verso di Dante: Ratto ratto, che’l tempo non si perda. Et io spinta dalle sue parole, uoglio esser breue circa questi otiosi, i quali non uogliono affaticarsi un’hora, se credessero di uiuere eternamente gloriosi. Torquato Tasso volendo mostrare, che l’otio non è la scala da salire à gli honori, fa dire questa parole a Rinaldo da quel saggio ueccio. Signor non sotto l’ombra in piaggia molle, Trà fonti, e fior, tra Ninfe, e trà sirene; Ma in cima a l’erto, e faticoso colle [Page 127] De la uirtù riposto è il nostro bene. Chi non gela, non suda, e non s’estolle Da le vie del piacer là non peruiene. Hor vorraitu, lungi da l’alte cime, Giacer quasi tra valli augel sublime? Horuù Voglio venir a gli essempi. In tal vitio famoso il primo sarà Attalo, il quale diede l’imperio ad vn’altro per non fare cosa alcuna, come dice Celio, huomo in vero degno d’ogni lode, ne a lui fù molto dissimile Vativa Seruilio, che tanto li piacque tenere le mani alla cintola, che passò in prouerbio. Come scriue Volate. Vincislao per la sua negligentia fù scacciato dall’Imperio. Plato scriuue, che Scipio fù sonnolento, & si può ben pensare, che compagnia ha il sonno, & chi non lo sa, legga questi quattro versi dell’Ariosto; In questo albergo il graue sonno giace, L’otio da vn canto corpulento, e grasso Da l’altro la pigritia in terra siede, Che non può andare, e mal si regge in piede. Tra questa nobile compagnia staua Scipio sicuro, & senza stanchezza veruna, diceua che la guerra vccideua extra tempus & che il sonno, & la placida quiete conseruaua la uita lunga, & corpo grasso. Non accade, ch’io parli de Lucani, et de Massimiliens, che haueano piu in odio gli eserciti, & l’operationi, che il Diauolo infernale. Ma non voglio tacere l’otio di Domitiano imperatore, che lasciando le attioni di consideratione attendeua con gran solicitudine a pigliar mosche, e doppo che erano prese le infilzaua in vn stilletto bene aguzzo, & vno dimandando vn giorno se alcuno era in camera con lo Imperatore li fù risposto, che non vi era pue vna moscha, questo era il pensiero, che si pigliaua del Regno questo sollicito Imperatore. Mon voglio, che resti a dietro Dauid Comneno gouerator di Tessalonica, Città Illustre, laqual essendo assediata da l’essercito Siciliano staua in contuno riposo: i nemici hauendo condotte le machine, & altri istrumenti bellici alle mura, egli era come spettatore. In tutto il tempo di questo assedio non mandò mai soldato alcuno alle mura, ne egli stesso voleua sentir la grauezza delle armature, dicendo che il ferro cinto intorno per una certa sua qualità abbreuiaua la vita. Saliua spesso sopra vna muletta, & andaua solazzando per la Città con gli stiualletti trapunti d’oro, & la veste allacciata di dietro, lo negligente gouernatore, che haueua oiu bisogno della balia, che mai rideua con i suoi amici, mentre i nemici percoteuano le mura, & cadeuano in pezzi, & diceua. sentite il muggire della vecchierella, & questa era una grran machina, che percoteua la Città. Cosi in poco tempo fù presa Tessalonica per la inuitta virtù di questo veloroso gouernatore, come scriue Niceta Acominato da Chone. [Page 128] De gli Huomini Tiranni, & vsurpatori de Stati Cap. VII. IO non credo, che fra tutti gli huomini pessimi del mondo vi sia il pegiore del Tiranno: non essendo egli da legge alcuna gouernato, come si legge nel libro quarto della Politica al capitolo decimo: anzi si come de gli altri regi l’oggetto, & il fine di operare è l’honesto, & il giusto, cosi del Tiranno è il proprio l’utile, & il commodo, che li serue, come scriue Aristotile nel quinto della Politica per ragione, & per legge vn placet, ciò è la propria volontà, dicendo fit pro lege voluntas, la quale è sempre pessima: percioche procurano con ogni uiolenza di leuare i potenti, & di uccidere le persone saggie, e prudenti. Miseri coloro, che sotto vn Tiranno conuitassero, & praticassero per cagione di scienze, o d’altro, & fanno questo, accioche in tutto si estingua l’amicitia de’ popoli; non mancano huomini scelerati, che uanno spiando quello, che fanno, & dicono i Cittasini. cerca il Principe Tiranno, di eccitare discordie tra i piu potenti, & i plebei con la nobiltà, et alhor gode, percioche tutto il loro hauere a se tirano. Aggiunge, et pone ogni giorno noui triburi per succhiare il sangue a i popoli infelici, et cosi fece Dionisio, che in cinque anni priuò tutti i sudditi del prorpiro hauere: et per concluderla il Tiranno ha questi tre pensieri, come dice Aristo. di render gli animi de’ Cittadini timidi, et uili; il secondo in procurar, che vno non si fidi del’altro; il terzo, che non possino per la pouertà operare alcuna cosa di momento, ne tentarla. Dio buono, che horrido mostro è al mondi il Tiranno? gia che procura tutte queste cose uerso il suo popolo, volendo che la sua volontà sia legge, et piu che legge. Quanto ella sia pessima, ogni giorno si uede con miserabili essempi de popoli: poi che tanti innocenti sono da loror della robba, et della vita priuati, et in somma che si sogna il Tiranno. Sei tenuto a metterlo il giorno in essecutione: percioche Tirannus imperatur ciuitati non secundum honestum, sed secundum propriam sententiam, come dice Speusippo, et però ingiusto, auaro, crudele è sempre il Tiranno, riguarsandolo solo a l’utile, et non a quello de’ sudditi suoi: sempre brama uccisioni, perche semore ha sospetto. Capo de’Tiranni uoglio, che sia Alessandro, ilquale essendo regnato in Giudea sette anni fece morire cinquantacinque milla di quelli già uecchi solamente per hauerlo ripreso delle sue tiranniche crudeltà. Oltre ciò dimandò ad un suo amico, come farebbe a riconciliarsi col suo popolo, egli rispose con la morte, et egli fece appiccare per la gola su la piazza di Ierusalem ottanta huomini maritati, et i figliuoli, et le mogli fece miseramente morire. Da questo si comprende, che il tiranno non opera giustitia, non legge, ma solo un placet. Vdite questo, che scriue Plutarco, tutti gli antenati di [Page 130 / 61R] Antigono, & di Demetrio ammazzauano i figliuoli, i fratelli, & le mogli per timore, che alcuno di loro si impatronisse, volendo soli regnare. però i tiranni sempre auelenano, et vccidono senza ragione alcuna. Ma il Tiranno Niceforo oue rimane eli? non hauerà forsi luogo appresso gli altri par suoi? voglio che habbi luogo honorato, & luogo degno di vn tanto perfido tiranno, che non facendo questo son certa, che se li farebbe grandissimo torto, & potrebbe sospettare di non essere tenuto cosi fiero Tiranno, come era. Sotto l’imperio di questo pessimo huomo molti piangeuano alle sepolture de morti chiamandoli con lagrimose parole felici, & fortunati, poi che non erano sotto la Tirannide del crudel Niceforo, altri si impiccorno da se stessi per vscir fuori delle ribalde mani. tutti i loro haueri furno volti da costui. commandò poi che i poueri fossero scritti nella militia, & che s’armassero poi contra à suoi compatrioti, & fossero tenuti a pagare al fisco diciotto monete isnieme con tutto il suo parentado, per tributo publico. Diede ancjora questa afflittione a gli habitatori delle case di rispetto, de gli orfani, de gli hospitali Serocomii, delle chiese de monesteri, facendo porre i censi per ciascun fuoco. comandò anchora, che tutte le cose migliori fossero portate alla corte Imperiale. Fece una altra tirannia, comandano a i gouernatori, che guardassero quelli, che erano creati Senatori, tutto che fossero in grandissima pouertà. Voleua, che sa essi si scotessero denari, come se fossero stati ricchissimi, & trouatori de thesori. Oltre questo voleua, che tutti coloro, che passuano venti anni, a’ quali fossero stati trouati dogli, ouero altri uasi fossero priuati di tutti i loro denari. Constringeua poi i marinari, che habitauano alla marina a comprare le cose, che ricoglieua dalla terra per quel pretio, che a lui pareua. Oltre questo fece che i marinari famosi di Costantinopoli dessero quattro misure di moneta a vsura, & che pagasseo dodici libre d’oro l’anno. Voglio scriuere questo atto fra tanti di auaritia di questo crudel Tiranno. Era in diazza un certo Cerolatio, che viueua delle sue fatiche, & non haueua bisogno di cosa alcuna, il fece chiamare questo diuoratore dell’hauere altrui, & li disse, metti la tua mano sopra la mia testa, & giurami quanti denari hai, ricusaua il misero parendoli cosa indegna; nondimeno lo constrinse a giurare, & dirli come haueua cento libre d’oro: subito il pessimo Imperatore fece portarsi quel oro, dicendo che bisogno hai tu di quest’oro? pigliane diece libre, & uattene contento. Oltre questo sempre mandaua spie, a uede come si faceua, & uiueua nelle case, & mandaua secretamente alcuni serui maligni per far danno a’ padroni. Dubbitaua nel principio di tutte le cose, che li erano dette, & dapo affermaua le false accuse. Ma sono tante, & tali le crudeli, & scelerate Tirannie di Niceforo, che io sarei troppo lunga,se io ne uolesse raccontare la minima parte, & offenderei le orechcie altrui; queste scriue Niceta Acominato. Ma che diremo [Page 130] noi di Seleuco? a cui essendo morto il Padre, per regnar solo uccise il fratello. che di Aristobolo Re della Giudea? il quale priuò di vita il fratello Antigono. antonio Caracalla Imperatore Tiranno crudele uccise in braccio alla madre Geta suo fratello; perche dubitaua, che crescendo non li leuasse l’Imperio. Onde a ragione Torquato Tasso chiama i Tirani purpurei; perche sono aspersi del sangue de gli inocenti. Tito Liuio racconta di Heronimo Tirnno. Costui disprezzaua, & faceuasi beffe d’ognuno. Era inuentore di noue crudeltà, & tormenti. Onde era nato uno spauento tra popoli, che molti huomini con la morte uolontaria, ò con la fuga schiuauano il pericolo de gli aspri tormenti, ne si fidaua di alcuno, che questo è proprio sospetto del Tiranno. Ma fuggiua ogn’uno, come faceua Dionisio, il quale per grandissimo sospetto si faceua tosare alle proprie figliuole, mentre erano fanciullette; ma come furno grandi, si abbrucciaua la barba, & i capelli con scorze di noci per non si lasicar approsimare alcuno. Isaccio Comneno anchor egli fù un poco amoreoole Tiranno, et oltre le altre cose da lui fatte malamente uoglio scriuere questa. Hauendo hauuto una uittoria contra Brana, che nella guerra fù ucciso, essendo giunta l’hora del mangiare fece il Tiranno aprir tutte le porte; perche potesse come uincitore esser ueduto da ogn’uno, et essendo già per dar delle mani nelle uiuande, ordinò, che fosse portato la testa di Brana uiuanda in uero poco conueneuole, et facendosene scherno sgarbatamente, la fece gettare in terra con le labra, e gli occhi ciusi, et le daua de’ piedi, et alcuno altro per piacere al Tiranno le gettaua delle pietre, poi la fece appresentare alla moglie la quale staua dolente rinchiusa nel palazzo, et domandolle s’ella conosceua la testa di chi fosse. La ualorosa donna girando gli occhi a quel compassioneuole, et non aspettato spettacolo, sì rispose, et sono infelicissima, et tacque, ne altro disse, et per la sua tanta uirtù, con la quale sapeua sofferire patientemente le percosse di fortuna, ueniua chiamata honore delle matrone, et ornamento della propria famiglia. Io potrei addurre molti essempi de gli huomini Tiranni; Ma percioche sotto li crudeli gli ho posti, non mi affaticarò intorno a questo molto; solamente io dirò, che Phidone fù Tiranno de gli Agri, Phalaride di Iona, Panetio de Leontini, Cippsello di Corinto, Pisistrato di Atene, Periandro di Ambraccia, Archelao, Gelone, et infiniti altri de Lacedemoni, e de Siracusani, i quali tutti hebbero, et a ragione un tristo fine, come racconta Aristoti. nel libro quinto della Politica. Barnaba, come scriue il Gioio, tiraneggiaua stranamente i sudditi suoi; hauendo sette figliuoli maschi cominciò a pensare, come potesse fare ad aggrandire l’Impero, pensò di priuare di uita Glaeazzo figliuolo di un suo fratello, ilquale era stimato un huomo d’ingegno addormentato, et contra l’ordinario della giouinezza non si pigliaua alcun piacere. Onde accordatosi con i figliuoli, cercaua commodità di mettere in essecutione una cosi scelerata, et ingiusta opra. Ma Dio che [Page 131] talhora non vuol, che i suoi deuoti patiscono, che uno di questi si potea dire Galeazzo; essendosi nella età giouinetta dato alla religione, dece che alcune spie l’auisorno della malignità de’ parenti: tosto che questo intese, finse di uolere andare per sua deuotione à visitare la Chiesa di Santa Maria Vergine, la qual è in montagna: come fu in uia, gli vscì incontra Barnaba suo zio, & Galeazzo con un squadrone d’huomini armati lo prese, & enteando nella città diede al popolo la casa del zio, accioche la spogliasse, & in unpunto ruinò il principato, & tante sue ricchezze si annullorno: ne ui fù alcuno, che essendo rpeso, ardisse di soccorrerlo. Pochi giorni dapoi lo cacciò in prigione, oue finì la sua uita. Et Francesco MAndredi, quasi merauigliando, che nella sua uecchiezza hauesse tanto desiderio d’Imperio, dice: Qual di mosse furor Barnaba allhora, Ch’eri nel colmo della tua uecchiezza? Qual d’Imperio amarissima dolcezza De l’honesto sentier ti trasse fuora? Ciò spiacque al mondo, & à Dio spiacque ancora, Che l’opre triste in su’l principio spezza; Però cadesti tu da tanta altezza In cosi basso stato in poco d’hora. De gli ambitiosi, & Cupidi di gloria. Cap. VIII. BEnche l’ambitione sia tra le vitiose passioni: nondimeno quando ella sia alquanto rimessa, & accompagnata da piaceuolezza, & modestia, si rende laudabile: come insegna Arist. nel 4. dell’Etica al c.2. ma quando ella stia nella sua propria natura, non è forsi la piu cruda, et horrida fiera al mondo di lei; percioche essendo ella un ardentissimo desiderio d’honore, come si legge nel lib.2. dell’Etica, c.2. spesse uolte per uolerlo conseguire induce gl’huomini à far mille iniquità, & sceleraggini. Laqual cosa osseruando Cicernoe a’ suoi tempi nel desiderio de’ magistrati, & delle dignirà, disse nel lib. ii. de gli Offic. Facilissime ad res ingiustas impellitur, vt quisque est altissimo animo, & gloriae cupido, hinc enim iustitiae obliuio, & inimicitiae. Et percioche, come dice Speusippo, l’ambitioso diuien prodigo per ottener li bramati honori: Spernit enim sumtus honoris gratia: Et mancandoli spesso i danari è spinto à farsi uno iniquo, & scelerato tiranno. Aggiungiamo à tutte queste cose, che per il piu l’ambitioso desidera quelle dignità, che a lui non si conuengono, ò in tempo, ò in luogo poco conueniente. Onde si fa odioso appresso ogni uno, & riputato imprudente, & sfacciato. Voglio porre alcuni essempi di huomini illustri. Il primo sarà Caligula; perche so, che egli he haura sommo [Page 132] vedendosi tenere il Principato sopra gli ambitiosi, si come quegli, che li parerà d’hauer conseguito quel che desideraua, cioè di seprarare ciascun huomo, ma non solo gli huomini, ma li Dei come raconta Plinio. In quel tempo usauano i romani tenere le statue de Dei co i capi postici; perche seruissero a diuersi Dei; egli fece leuargli le teste, & metterne delle altre, che haueuano la sua sembianza. Oltre ciò fece fabricare un tempio, & consecrarlo al suo nome, & porre in questo una statua con la sua imagine naturale, ordinando à Sacerdoti, che in quello amministrassero; & faceua la ciascun giorno uestire come uestiua egli faceua anco, che nel suo tempio si sacrificassero pauoni, fagiani, papagalli, & altri uccelli, come si faceua à i Dei: ma udite questa altra ambitiosa inuentione, che farebbe mouer le risa à un corspo estito: andaua etiandio Caligula alcuna uolta nel tempio di Gioue, & fermandosi appresso alla sua statua, fingeua di ragionar seco, hora accostando la sua bocca à l’orecchia di gioue, hora ponendo la sua orecchia alla bocca di Gioue, come se fauellassero insieme, alcuna uolta mostraua, che il longo ragionamento l’hauesse infastidito, & lo minacciaua che lo farebbe portar ein Grecia: fingeua poi di placarsi, & di esser contento, che rimanesse iui appresso di se. Dio immortale, potreste uoi udir cosa più ridiculosa di questa? Alessandro etiandio ambiua tanto gli honori, che si sdegnaua esser chiamato figliuolo di Filippo: ma godeuain sentirsi chiamar figliuolo di Gioue; & come dice Plutarco fidandosi molto nell’essere figliuolo di Dio, era molto insolente uerso i Barbari: & quando quel Sacerdote nel tempio di Gioue Hammone uolendolo chiamar figliuolino in lingua Greca, ma perche era Barbaro, fallando nell’ultima lettera, lo chiamò figliuolo di Gioue, egli ne prese sommo contento. Oltre ciò uoleua dominare tutto il mondo, & hauendo inteso, che ui erano più mondi, si chiamaua misero, & infelice. da wuesto si può comprendere, che gli huomini sono sono satiabili, perche se anco hauessero tutto il mondo, vorrebbono poi il Cielo, né ancora à loro parrebbe forsi assai. Pausania fu desideroso di glorioa in modo tale, che non sapeua, come operare per farsi immortale, & domandò ad Hermode, come egli farebbe per farsi nominare; egli rispose, che vccidesse vn’huomo illusre, & egli udita questa parola corse, & uccise Filippo. O quanto può questo appetito di gloria ne i cuori de gli huomini. Ma che ui pare di colui, che abbrusciò il tempio di Diana Efesa? Né voglio lasciar fuori Nerone, come quello, che desideraua, gli honori, non solo delle cose grandi, ma delle picciole, ancora, come nelle cose del cantare, uoleua sempre hauere i primi honori, fece leuare tutte le statue della città, facendosi porre lui solo, accioche si conseruasse la memoria di lui, & mancasse quella di tutti gli altri. Et Lisandro Lacedmone spinto da desiderio di gloria, haueua sempre Cherilo Poeta, accioche egli celebrasse i suoi fatti, come dice Battista Fulg. Empedocle spinto da gloria, inuidiando un altro, si gettò nel fuoco, [Page 133 / 63R] per rimanere, ancora egli gloriosi. Ma che dirò di Domitiano Imperatore, il quale uoleua, che in tutti i testamenti, che si faceuano, essere notato come nome di Dio. Che del superior Africano, che honoraua molto Ennio Poeta non già per bontà, che in lui fosse, ma solamente accioche celebrasse i suoi fatti, & quelli d’altrui si estinguessero; ma udite questa, che fece Sertorio, il quale uoleua acquistar gli animi delle genti, facendosi credere caro a li Dei. Fù un certo plebeo, per nome detto Spano, il quale cacciando uidde una ceruetta tutta bella, & bianca, inuaghito di si fatto animale, li tenner dietro, & la prese, & donolla à Sertorio. Sertorio hauendola riceuuta, subito à poco à poco la cominciò a vezzeggiar, & in processo di tempo la fece tanto domestica, & amoreuole, che egli chiamandola, lo intendeua, e gli andaua dietro senza paura alcuna nello strepito dell’armi, fra le grida de’ soldati, & il suon delle trombe; volendo poi dare a credere, che l’animale hauesse in se diuinintà, a poco a poco cominciò a diuulgare fra quegli huomini barbari, & affettionati alla religione, che Diana gli hauea mandato à donare quella ceryetta, & che l’auisaua di molte cose secrete. Ogni uolta, che intendeua i nemici esser poco lontani, ò per spie, che posto hauesse, ò per altra cosa, subito fingeua, che la ceruetta lo hauesse fatto auisato, & che li hauesse detto in sogno, che l’essercito si douesse tener in arme, & tutto faceua per parere caro à li Dei, & che ne hauessero particolar cura. Et Scipione Africano doppo che hauea presa la toga virile per farsi tener diuino, ogni giorno saliua in Capitolio, & entraua solo nel tempio, accioche gli huomini credessero, come gà molto prima era creduto di Numa Pompilio con la Ninfa Egeria, cosi acnor egli imparasse nel Tempio alcuni secreti, i quali non si potessero sapere da ogn’uno: & con queste cose uoleua ingannare i popoli, accioche l’honorassero. Torquato Tasso mostra, che Boemondo hauesse un tal desiderio, dicendo. E fondar Boemondo al nouo regno Suo d’Antiochia, alti principii mira, E legge imporre, & introdur costume, Et arte, e culto di verace Nume. Scorgete voi l’ambitione di costui. Ma ancor, udite la vanagloria di Nerone; che si uantaua delle sue crudeltà, hauendo fatto morire infiniti huomini illustri, diceua, che niuno delli Imperatori stati innanzi lui haueuano conosciuto quanto essi poteuano, eccetto egli. Et dicendo vno cosi per prouerbio commune dapoi, che io sarò morto vada il mondo in ruina, tosto rispose il fiero: Piacciaà Dio, che auanti, che io muoia, questo auuenga. Non uoglio, che Hannone Cartaginese resti fuori di questi uanagloriosi, poiche oper quanto uedere si può, fu il piu cupido, e desideroso di gloria, che forse al mondo fosse. Li uenne in mente un desiderio di sopra auanzar gli altri ne gli honori, et di essere riuerito, [Page 134] et adorato per Dio. sopra questo pensaua giorni, et notte; et lascò molti negotii, che importauano, et si affliggeua, perche non trouaua, modo, ò se lo trouaua, era difficile, et spesso si chiamaua huomo di poco ingegno, et di poco cuoro: di poco ingengo; perche non trouaua il modo facile, di poco cuore; perche non ardiua di metter in opera il difficile, temendo di palesarsi; occorendoli in mente l’essempio d’alcuni, che donando denari al sacerdote, si faceuano d’Oracolo chiamar Gioue, et altri figliuoli, et parenti di Bacco. Onde erano poi dalle genti stimati di poco ingegno, et turbati cercaua adunque di ritrouare uia di essere chiamato Dio, ma non da gli huomini, accioche non cadesse in cuore alle genti, che ò per oro, ò per forza, ò per altra cosa con tal nome lo nominassero. Dopo molti giorni, et mesi ritrouò un nuouo modo senza l’interuenimento di persona con tanta sua allegrezza, et giubilo, che huomo mai gustasse. Il modo era questo, cioe di farsi chiamar Dio da gli uccelli, che cantassero, et fossero atti a parlare se ne fece ritrouar molti, et de migliori, ogni giorno poi chiudendosi in una camera lontano dalle genti, fingendo di dormire, ò di fare altra cosa di consideratione, insegnaua con grandissima patienza a quelli uccelli, che dicessero Hamone è Dio, et molte uolte si occupaua tanto in questo, che lasciaua di mangiare i giorni intieri, per non perdere tempo. ò quanti n’uccideua spinto da l’ira, ò lor sterpaua la lingua parendoli, che ò tardi, ò malamente pronunciassero il suo nome. Finalmente dopo molte uigilie, et fatiche imparorno con grandissimo suo contento, sicuro di ottenere il fine tanto da lui desiderato. aperse adunque tutto lieto i luoghi, ouer erano rinchius, accioche usciti che fossero uolando per la città e per altri luoghi dicessero Hamone è Dio, ma sprigionati che furno gli auenturati augelli, non cominciorno a parlare, ma uolando in questa parte, et in quella a godere la cara libertà. Se restasse maleconico, et afflitto Hamone non accadde, ch’io lo conti (pensatelo uoi) uedendosi priuo di quello, che credeua al sicuro di ottenere. Tutti gli uccelli, che dopo questa cosa li uennero in mano, crudelmente uccideua; pestandoli il Becco, et il capo con sassi, uendicandosi in parte della ingiuria da loro riceuuta. [Page 135 / 64R] E LA Vanagloria uno immoderato desiderio di manifestar ad ognuno le proprie operationi ben spesso falsamente narrate con la propria bocca, ouer scritti. Ma di palesarle in modo, che per minime, che sieno parino grandi, & lodeuoli. Però sono sempre ispiegate con grandissima copia di parole, con certi modi dire esclamatorii, & con gesti di tali, che pare che ui uogliano porre inanti fatti merauigliosi non mai per l’adietro accaduti. Anchor che disprezzabili, ouer fittitii. Dissi fittitii, percioche per il più sono attribuiti, & falsi, & però Speusippo cosi la descriue. Est obstentatio affectio, quae sibi uendicat ac bona, quae minime ad sunt. Biasimò questo diffetto Arist. nel lib. 4. dell’Ethica. non essendo cosa sa huomo prudente il lodar se medesimo. sono questi per il più bugiardi, & odiosi alle genti. Onde Cicerone in Ver. dice, Omnis arrogantia odiosa, tum illa ingenii, atque; eloquentiae multo molestissima. Ma non sol partorisce odio, ma disprezzo il usntstore, cosi legge nel lib. I. de gli offitii, Deforme Est de se ipso praedicare falsa praesertim, & cum irrisione audentium imitari militem gloriosum. Di costoro, iquali con false lodi si inalzano, io credo cche si possa dire con Oratio. Parturient montes, & nascetur ridiculus mus. Et che ueramente sieno huomini di poco ualore, credere si può, costoro, che magnificano le cose loro. Ma accioche si possi uantare di esser stato il primo fra i uantatori Catone maggiore li si darà il primo luogo che come dice Plutarco spesso spesso si uantaua, & oltre mille altri uanti, che à se daua, diceua, che il Senato ne i tempi pericolosi della republica riuolgeua gli occhi in lui, come fanno i passaggieri al tempo della borasca uerso il nochiero. & diceua, che in alcun conto Catone non era obligato al popolo Romano quanto il popolo Romano era tenuto a Catone. Et Cicerone uedendo, che l’essercicito delle armi era honoratissimo, egli che armi non maneggiaua, uolse deprimere la gloria militare, & alzar le lettere suora lei uolendo mostrare, ch’egli acquistaua maggior fama, disse Cedant ò Ciues, cedant arma togae. Et Domitiano quando fù fatto Imperatore si uantò in Senato, come egli hauea dato à suo Padre, & à suo fratello l’Imperio, laqual cosa era falsissima; cosi fanno gli huomini, che non curano l’honor de’Padri, come Domitiano, che diceua che à lui haueua dato l’imp. costoro se stessi inalzando, si uogliono mostrare amici anzi compagni de gli Dei, & si danno ad intendere, che gli altri non uedano i suoi diffetti achille era un gran uantatore, coem si legge nelle Metamorphosi d’Ouidio che mentre chiede à Cigno il suo nome si uanta onde l’Anguillara dice. [Page 136] Non ti sdegnar, che ti sia honore eterno Che solo il grand’Achille habbia potuto Donando al corpo tuo perpetuo uerno. Far l’ombra ignuda tua passare à Pluto. To sol potrai uantarti entro l’inferno Ch’al primo scontro mio non sei caduto Doue farai stupir mille altri forti, Che son la giù, ch’al primo scontro ho morti. Ma questo uantarsi, ò gloriarsi è tanto uostro proprio ò fratelli cari, che io non posso alzar carta d’un libro, che io non troui qualche uno di costoro, la qual cosa è molto biasimata. Che ui pare di Guidon seluaggio, il quale essendo domandato da Marfisa il suo nome, cominciò con grandezza di parole à far più grandi l’opere di quello, che erano, come dice l’Ariosto nel canto 20. L’altro comincia, poi che tocca à lui, Con puù proemio à darle si se conto, Dicendo, io credo, che ciascun di vui Habbia de la mia stirpe il nome in pronto, Che non pur Francia, Spagna, e i vicin sui, Ma l’India, l’Etiopia, e il freddo ponto, Han chiara cognition ci Chiaramonte, Onde uscì il cauallier ch’vccise Almonte. Et uà seguitando ancora una stanza, e meza, vantandosi, scoprendo, e magnificando l’opere sue. E di feraù, che dice l’Ariosto? Gloriandosi di essere di maggior ualor d’Orlando. Le cui parole sono: Il vantator Spagnuol disse già molte Fiate, e molte ho cosi Orlando astretto, Che facilmente l’armi gli haurei tolre, Quante indosso n’hauea, non che l’elmetto, E s’io no’l feci, occorrono alle volte Pensier, che prima non s’haueano in petto, Non hebbi già tal uoglia, hor l’haggio, e spero, Che mi potrà succeder di leggiero. Et in mille luoghi sopra il Furioso si potran leggere le parole di questi vantatori, & nell’Eneide non si legge spesso d’Enea, che si gloriaua hora delle opere, hora del lignaggio, & come fù approdato a i lidi Tirii, parlando con sua madre si uantò, dicendo à lei, che richiedeua il suo nome. Sum pius Aeneas raptos ex hoste penates, Classe veho mecum fama super ethera notus, Italiam quaero patriam, & genus ob Ioue fumo. Omero nell’Odissea nel libro nono, mostra che Vlisse era uno di questi [Page 137 / 65R] uanagloriosetti, mentre risponde al Re Alcinoo, che chiedeua il nome, & l’esser suo. I versi d’Omero tradotti in volgar lingua da Cirolamo Bacelli tali sono: Io sono Vlisse figlio di Laerte, Che tra tutti i mortali il primo honore D’essere astuto porto, e d’alto ingegno, Tal che la gloria mia giunge a le stelle. Et Ouidio non loda l’opera sua, & per lei non si promette eterna v*** dicendo nel lib. 15. Iamque opus exegi, quod nec Iouis ira, nec ignes, Nec poterit ferrum, nec edax abolere uetustas. Cum uolet, illa dies, quae nil nisi corporis huius Ius habet: incerti spatium mihi finiat aeui: Parte tamen meliore mei super alta perennis Astra ferar, nomen erit indelebile nostrum. Che vi pare, che ancor che fosse nobile, & ingegnoso Poeta: nondimeno priuo di questa uanagloria non era. Et il Petrarca nella seconda parte de i suoi Sonetti si fa gloriare per bocca d’Amore nella canzone che incomincia. Quel antico mio dolce empio signore. Con queste parole: Si l’hauea sotto l’ali mie condutto, Ch’à donne, & cauallier piacea il suo dire: Et si alto salire Il feci, che tra caldi ingegni ferue Il suo nome, e de’ suoi detti conserue, Si fanno con diletto in alcun loco. Ma questo gloriarsi è tanto proprio de gli huomini, che io non uoglio più estendermi in raccontarne. Ma Herodiano Principe d’Arcadia non sopporta, che io la lasci à dietro, & onde per è forza, ch’io lo accetti nel numero de’ vantatori, il qual uoleua la palma di nobiltà, come dice il Trissino di lui ragionando; Il qual di nobiltà uolea la palma, E dicea, che gli antichi suoi maggior Nacquero in Grecia, auanti che la Luna. [Page 138] De gli homini fieri, ingiusti, & homicidiali. Cap. X. SONO chiamati da ogn’uno gli huomini con questo horribili aggiunto, ò epiteto de fieri, quasi che dalle fiere hauessero trouato questo modo di operare; cosa in vero falsa, come ben lasciò scritto Aristotile nel libro secondo delle grandi morali al capitolo settimo: dicendo; Rursum, vt supra mentionem fecimus de feritatis uitio, non est ipsum in fera spectare, sed in homine, feritatis si quidem nomen adeptum estt id uitium ob singularem improbitatem. Sed cur in fera nihil§? nempe, quod improbum in fera principium non sit. Est siquidem ratio principium. Quis uero improbior, flatitiosiorque fuerit, incertumque, Leone, an Dionysius, an Phalaris, an Clearchus, vel horum quispiam insignis cuiusfam immanitatis. Certum autem est malum in his principium illustria facinora coniectasse, & in fera nullum prorsum initium. Non si conuiene adunque alle fiere la crudeltà; percioche non è in quelle alcuna improbità, essendo esse priue di ragione, nella quale l’improbità risiede. Et se alle fiere non conuiene, non è adunque cauato questo epiteto sa loro, ancorche noi, l’huomo ammacchiato di crudeltà, chiamiamo una cruda, & horribile fiera. Non è altro la crudeltà, che uno insatiabile desiderio di offendere altrui. AM quando alle facultà si estende, più tosto si ha da chiamare una tirannica auaritia, & però gli antichi chiamorno la crudeltà con questo aggiunto: Cruentam, cioè sanguinosa. Onde Cicerone dolendosi delle persecutioni disse: Ij, quorum crudelitas nostro sanguine non potest expleri. Et in uero un acerbo, & atroce huomo, ancorche vegga correre i fiumi di sangue, non si sente satio, anzi più s’inaspra, & fino contra morte incrudelisce, & però Cicerone disse; is suam insatiabilem crudelitatem exercuit non solum in uiuo, sed etiam in mortuo. Ma veniamo à gli essempi, & udire parole veramente degne di un animo crudelissimo, le quali furno dette, come scriye Suetonio, & Cornelio Tacito da Aulo Vitellio. Caualcando questo scelerato Imperatore verso Roma, & passando per il luogo, doue i suoi capitani haueuano hauuta una vittoria conrea i soldati di Ottone, trouò i campi pieni d’huomini morti, i quali ancora non erano stati seppelliti, & alcuni sentendo noiaa dal fettore, che da quei corpi usciua, Vitellio lor risponeua, dicendo, che non era il più soaue odore di quello del nemico morto, e molto più del cittasino; parole inhumane, & empie. Costui mai non rimaneua di vsare grandissime crudeltà, & cercaua di vgguagliare Nerone: egli fece uccidere molti à torto, dandoli false accuse, et il simile faceua à quelli, i quali erano stati suoi carissimi amici: & essendo ammalato un suo [Page 139 / 66R] amico, & egli andandolo à uisitare li porse il ueneno di sua mano nell’acqua fredda, che colui hauea dimandata per bere. una altra uolta questo Clemente Imperatore fece uccidere duo fratelli: perche lo pregauano, che perdonasse la morte al Padre: io non credo, che le furie infernali sieno tanto crudeli: perche à i prechi di Orfeo piangeuano, come dice Ouidio, che pregaua per la moglie con queste parole. Tunc primum lahcrimis uictarum carmine fama est, Eumenidum maduisse genas. Da questo si può comprendere, che più pietà si ritroua nell’Inferno, che in questi crudeli. Appresso costui uoglio ponere Andronico Comeno, ilquale cercaua giorno, & notte, come potesse ritrouare noue sorti di immanità & credeua di rimaner morto quel giorno, che non ahuesse fatto morire qual che dotto, & eccellente huomo, ò almeno fatto cauar gli occhi, ò con una faccia diabolica non l’hauesse spauentato: & era molto simile a un Pedante, che tratto, tratto batte i fanciulli co’l flagello. Onde auueniua, che le persone, che erano tutto il suo Impero, uiueuano meste, & scontente, ne dormiuano mai un sonno cheto. MA spesso si risuegliano spauentate, pensando che Andronico fosse lor sopra per ucciderli quando era in una casa marito, & moglie faceua morire il maschio, & la moltiere faceua mettere in prigione, et ad alcuna altra cauar gli occhi. Oltre questo faceua, che patissero fame, sete, & battiture. Alhora i Padri poco apprezzauanp i figliuoli, & figlluoli poco i Padri; percioche l’iniquo Andronico hora uccideua i Padri, hora i figliuoli. Se erano cinque persone in una casa, le due si inimicauano con le tre. molti fuggiuano à uele, & a remi lo sdegno di questo crudele, & scelerato, come il fuoco di sodoma. Costui faceua segar gli huomini per il mezo, & altri abbrusciaua, & faceua altre crudeltà. Questo racconta Nicera Acominato dicendo, che era peggio di un lupo, bestiale, crudo, inessorabile, & fiero. MA che dirò io di Antonio Conte di Monferato, il quale fece abbrusciare un suo ragazzo inuolto il solfo, perche non l’hauea destato all’hora solita, come dice Batista Ful. ò che impietà,ò che rabbia di fiera. Timone Ateniese accarezzaua oltre modo un fanciullo, il quale haueua ad essere gouernator de gli Ateniesi; percioche giudicaua, che’egli hauesse ad essere crudele, & aspro. crudelissimo fù Asdrubale inuentor di mille sorti di tormenti, & di morti, ò che inuentiue scelerate, nemiche à Dio, & à l’humana generatione. Alberto Imperatore mentre si apparecchiaua de andar contra Francesi, fu da suo nepote ucciso, ne hebbe rispetto alla parentella, ne ad alcuna altera cosa. Come narra Batista Fu. Tigrane era crudelissimo, ma fra le altre crudeltà fece questa, caualcando un giorno Tigrane, & essendo caduto da cauallo; perche subito un suo figliuolo, che hauea seco non l’aiutò, subito lo fece crudelmente uccidere. Ma che diremo di Asuncassano che menò in ceppi un suo figliuolo fino alla morte? Che fi Federico Imperatore, che fece con gran miseria morire in prigione [Page 140] un suo figliuolo? perche li parea, che inclinasse alla parte di Gregorio Pontefice. Il Re di Bisalcidi nella tracia fece cauar gli occhi a’ suoi figliuoli, pensate un poco, perche lieui cagioni incrudelire fino contra i figliuoli, contra i quali le fere d’incrudelire s’astengono. Io stò dubbiosa, se io ui debba mettere Nerone, le crudeltà del quale sono tanto note che non ui è alcuno per ignorante, che sia, che non sappia, che Nerone fù crudelissimo. Io uoglio lasciar tutte le altre sue crudeltà, & solamente uoglio dire, come uccidesse Seneca famoso, & Lucano Poeta. A Seneca, perche era stato suo maestro, volse fare questo piacere, che si eleggesse qual morte più li piaceua; il misero Seneca pensando, che tutte le morti sono non grate, essendo la morte ultimum terribilium, si smarriua: pure alla fine disse, che li fosse tagliata una uena, & fosse posto in un bagno. Vdite che scelerataggine, gli fece tagliare la uenea, & lo fece mettere in vn bagno auenenato. Si può sentire meglio: fra queste opere nefansiaaime si compiacque di vedere fuochi, & facendo accenderlo ne gli edificii di Roma, niuno ardiua di ammortzarlo per paura di Nerone: egli montaua sopra una alta torre, per rallegrarsi la vista di sì horribile, & spauentoso spettacolo, del quale ne prendeua sommo piacere, & cantaua quei uersi di Omero, che contentauano l’incendio di Troia. E tanto fù il distruggimento, che fece in Roma il fuoco acceso da questo diauolo, che di quattordeci grandissime regioni, le quali erano in Roma, solo quattro rimasero libere dallo incendio, & furono arse (ah miserabil veduta) le case, i tempii, le spoglie delle hauute vittorie, & ricchezze infinite: Tutto questo scriue Suetonio, Eusebio, Eutropio, Paolo Orosio, Isisdoro, & Cornelio Tacito. Ma doue lascio Caligula Imperatore crudelissimo, che fece delle sue crudeltà merauigliare gli scrittori. Condannaua a morte gli huomini a torto, con tormenti non mai più uditi; alcuni faceua mettere uiui fra le fiere, che teneua per cagion delle feste, & alcuni altri faceua sbranare a i suoi carnefici, & uoleua, che fossero presenti i padri, & tutti gli altri parenti; poscia inuitaua loro a mangiar seco, & faceuali ragionar di cose allegre, & piaceuoli. Tutto lo suo ingegno poneua in pensar, come potesse trouar nuoue fonti di tormenti. Onde era tanta la paura, ce molti si uccideuano, prima che fosse data la sentenza, si distruggeua; perche tutto il popolo Romano non haueua un solo collo per poterlo tagliare in un sol colp, & teneua per isfortunati i suoi tempi, & si ramaricaua della loro infelicità; perche non u’erano pestilenze, terremoti, diluuii, fame, incentii, & altre simili disauenture; Hor che vi pare di costui, il quale haueua animo si pietoso, & amoreuole uerso i suoi Cittadini? Né voglio lasciare Alessandro Fereo, il quale era un mostro di crudeltà nell’età sua. Costui non contento di dare à gli huomini le solite morti, faceua sotterrare gli huomini viui, perche diceua, che moriuano troppo presto, altri erano posti in cuoi di cinghiali, & d’orsi, & li faceua sbranare à i cani da caccia, per darsi piacere. Si può [Page 141 / 67R] pensare peggio? certo nò: Vn giorno essendo ragunati insieme gli huomini della città Melibea, & Scotusa, come amici all’huomo scelerato, egli che fece? mandò i suoi sergenti, & li fece tutti uccidere e grandi, & piccoli. Questo afferma Plutarco. Ma à chi non mioue le risa Tiberio Imperatore, che se fosse stato un fanciullino; perche gli era stato tolto un frutto del suo giardino, fece cercar colui, che tolto l’hauea, & lo fece uccidere per dispiacere, che haueua del pomo tolto? ma questo era nulla, per leuissime cagioni condannò a morte i più illustri cittadini romani, & confiscò loro tutti i beni. Per opera di Roberto Re di Sicilia fu dato ad Henrico, (disegnato Imperator da Papa Clemente) il veneno nella Eucaristia, e nel sangue di Giesù Christo, & cosi finì la sua uita, come scriue Egnatio. Si può sentir peggio? io mi merauiglio, come il Cielo non fulminasse questi scelerati. Orcane Re de’ Turchi, figliuolo di Celapino diede se medesimo al zio, confidandosi nella sua fede. il perfido homo lo spogliò del regno, & della uita. Vettor Pontefice, doppo un’anno, che fù assnto alla suprema autorità del Pontificato, mortì non senza sospitione di Enrico, che mentre sacrificaua, li hauesse porto il ueneno nel calice, come racconta il Volaterano. Marullo scriue, che Bilioto Astrologo morì per fonghi aspersi di veneno à simiglianza di Claudio. onde dice: Dum cauet Astrologus perituris sidera nautis, Dum boletis sibi non cauet ipse perit. A diocletiano non giouò il rifiutar l’Imperio, che cosi priuato, li fù dato da i suoi clienti il ueneno, & il medesimo fù fatto à Lodouico Balbo mentre imperaua Crasso suo fratello. O quante forti di veneni usano questi scelerati: auenenano con fonghi, co’l Sacramento, & in mille altrimodi. Ma che diremo noi di Settimio Seuero il quale pien di una rabbiosa crudeltà corse con un furioso cauallo sopra il corpo morto di Albino? O che mostri, vsciti fuora delle più tenebrose cauerne che habbia l’Ircania. Non uoglio già lasciare l’Arciuescouo Rugiero, il quale fece morire di fame il Conte Vgolino, ma voglio lasciar l’istoria, & mettere i uersi del nostro Dante, il quale fa cosi dire al conte Vgolino nel canto 55. dell’Inferno. Che per l’effetto de’ suoi mal pensieri, Fidandomi di lui, io fossi preso, E poscia morto dir, non è mestiere. E più sotto dice, per non essere troppo lunga, la qual cosa non mi piace. Già era io desto, e l’hora s’appressaua, Che’l cibo nedoueua essere addotto, E per’l suo sogno ciascun dubitaua, Et io sento chiauar l’vscio di sotto, A l’horrisbile torre, iodio guardai Nel viso a i miei figliuol senza far motto, Io non piangeua, sì dentro impetrai; Piangeuano elli, & Anselmuccio mio [Page 142] Disse, che guardi si padre, che hai? Però non lagrimai, ne rispos’io Tutto quel giorno, ne lanotte appresso, Infin che l’altro Sol nel mondo vscio: Come un poco di raggio si fù messo Nel doloroso carcere, & io scorsi Per quattro uisi il mio aspetto istesso, Ambe la mani per dolor mi morsi, E quai pensando, ch’io’l fessi per uoglia Di manicar, di subito leuorsi, E disser, padre, assai ci fia men doglia Se tu mangi di noi, tu ne uestisti Queste misere carni, e tu le spoglia. Quietaimi allhor, per non farli più tristi Quel d, e l’altro stemo tutti muti; Ahi dura terra; perche non t’apristi? Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gettò disteso a i piedi, Dicendo, padre mio, che non m’aiuti? Quiui morì, e come tu mi uedi Viddi io cascar li tre ad uno ad uno, Fra il quinto dì, e’l sesto, ond’io mi diedi Già cieco à brancolar soura ciascuno, E tre dì li chiamai, poi che fur morti, Poscia più, che’l dolor potè il digiuno. E sotto escamando Dante, mosso a misericordia di tanta impietà, dice: O Pisa, vituperio delle genti, Che se’l Conte Vgolin hauea tal uoce, D’hauer tradito te delle castella, Non douei tu i figliuoli porre à tal croce. Et il crudelissimo huomo lasciò morire ilmisero Conte con quattro figliuolini innocenti. Io non uoglio lasciar Baciano, il quale fece uccidere Alessandra sua moglia fidelissima, & castissima; perche era uenuta alla fede di Christo, per le sante parole di Beato Gregorio. Ne Mezzentio, chefece crudelmente decaputare Faustina sua moglie per l’istessa cagione. Attila, che per lasua crudeltà, fu chiamato flagello di dio, come scriue Paolo Orosio, fu huomo auidissimo d’Imperio, & sitibondo oltremodo di sangue humano, Acquileia con ferro, e fuoco ruinò, disfece, & saccheggiò molte illustri Cittadi, assediò Firenze, né potendola per forza hauere, si uoltò a gli inganni, & con molte false persuasioni indusse i Cittadini à riceuerlo nella Città, et egli sotto specie di honore fece conuocare à se i principali Cittadini, & mentre passauano da una camera all’altra, facena lor crudelmente [Page 143 / 68R] uccidere, e gettare in una gora deriuata dall’Arno. Inteso il popolo la fiera, & spietata uccisione, & uedendo l’acque della Gora sanguigne, tumultuò; onde Attila mandò i soldati per la terra, & fece, che uccidessero tutti, grandi, piccioli, huomini, & donne: né alcuno si saluò, se non quelli, che fuggirono. E ben mostraua nel feroce, e terribile aspetto la immanità, & impietà dell’animo scelerato: come dice il Tasso in quei uersi al Canto decimosettimo. Che con gli occhi di drago, par che guati, E la faccia di cane, & à uederlo, Dirai, che ringhi, e vdir credi i latrati. Et Phalari, il quale fu Re di Agrigento, per la sua grandissima crueltà proponeua premio non di poca stima à chi hauesse trouato nuouo tormento contra gli huomini, Era Perillo in quei tempi famosissimo artefice, et di grande ingegno. Costui di sottilissime piastre formò un Toro di bronzo, nel qual uoleua, che entro lui si mettesse, chi hauesse ad essere ucciso, & se li accendesse intorno un fuoco grande; onde quando per souerchi ardore l’huomo gridasse, vscisse una horribil uoce, che paresse muggito di Toro. Per tale opera Phalari li rendè degno premio; percioche uolse, che fosse il primo, che prouasse, se il tormento era conuenientemente grande, & fù cosa giusta, che l’inuentione di tanta crudeltà, quella medesima patisse: & benissimo espresse questo Ouidio: Non est lex equior ulla: quam necis artificem fraude perire sua. Et Propertio dice di Perillo. Et gemere in tauro saeue Perille tuo. Silla in essere crudo, e spietato non cedeua ad alcuno, et uenendo un giorno à Preneste, & quiui facendo i giudicii priuati, puniua i Cittadini à uno per uno; ma quasi, ch’egli non hauesse tempo di ucciderli uno per uno, fece ragunarli tutti in piazza, & comandò, che fossero tagliati à pezzi dodici mila huomini. Et solamente donò la uita à colui, che in casa l’alloggiaua. Ma colui contentandosi di morire con gli altri Cittadini, domandò di esser leuato di uita; & egli lo fece vccidere. Oltre questo fece uccidere seimila nemici nel tempio di Bellona. Furono amazzati per lieui cagioni assaissimi huomini di gran conto: essendoli domandato da un certo Metello, quali huomini uoleua lasciar viui: rispose Silla, che ancora si era ben risolto, quali che uoleua saluare. Subito Metello soggiunse, dacci ad intendere almeno, quali deuono essere puntiti, senza dimora la crudele bestia prescrisse ottanta persone senza communicare il suo pensiero con alcun senatore, & hauendo ciò tutti per male, postoui uno giorno in mezo, ve ne aggiungse altri dugento, & uenti. La terza uolta ne aggiunse altri tanti, & ragionando egli in publico sopra di questa cosa, disse, che prosciuea tutti coloro, di cui si ricordaua, & che un’altra uolat haurebbe proscritto coloro, che all’hora non gli ueniuano in mente. Era pena di morte, [Page 144] se alcuno per humanita perdonaua la morte à quei, che erano proscritti: à colui, che quelli ammazzaua, daua duo talenti, ancorche il seruo hauesse amazzato il padrone, ò il figliuolo il padre. Ma quel che parue ingiustissima cosa, priuò d ogni honore, & i fligliuoli, & i nepoti de i proscritti. Né solamente in Roma, ma in tutte le città d’Italia si faceuano le proscrittioni; tal che né le habitiationi paterne, né le case delli amici, né i tempii de i Dei erano sicuri dagli homicidii. I mariti erano amazzati in seno alle misere mogli, i figliuoli in braccio alle madri. Furono morti molti per colera, molti per inimicitia, ma molti più per danari; perche gli huomini fea tanti uitii che hanno in se stessi; nell’auaritia quasi auanzano ogni altro; ma notate questa crudeltà. Vi fu un certo huomo dato all’otio, il quale non si credendo di correre pericolo di queste sciagure, uenne in piazza mosso da compassione di quelli infelici, & quiui si mise à leggere le proscrittioni, fra i quali trouò se medesimo, & andando un poco innanzi fù morto da i persecutori. Se io uolessi scriuere le crudeli attioni di questo pessimo huomo son certa, che mi mancarebbe il tempo, & forsi la carta, et l’inchiostro; ma basti questo poco, appresso almolto, che io tralascio. Dionisio Siracurano Signore di Sicilia, fu crudele, aspro, ingiusto, & i sudditi suoi uiueuano in miseria grandissima, altro di lui dir non uoglio; perche sono troppo lunghue le sue crudeltà, & sceleraggini; ma ueniamo ad Azzolino da Romano, castello di Treuigi; benche Musato Padouano lo finga in una sua Tragedia figliuolo del Diauolo; Costui crudelmente signoreggiò Padoua, Vicenza, verona, Brescia, & per la sua rabbiosa uoglia di continua uccisione fece uccidere molti huomini, & alcuni altri mandò in esilio; ma dapoi che i Padouani si furono ribellati, rinchiuse nel prato di PAdoua dodeci milla, & più huomini, & tutti li fece ardere, & hauendo preso sospetto d’un suo cancelliere, & hauendo determinato farlo morire, li domandò se sapeua, che erano rinchiusi nel pala cato, rispondendo il misero Cancelliere, che , che li hauea notati tutti, ho determinato, disse Azzolino, di volere presentare le anime di costoro al Diauolo per molti beneficii, che io ho riceuuto da lui: però, che andasse à l’Inferno co’l quaderno, insieme con loro, & da sua parte glielo appresentasse, & cosi lo fece ardere con gli altri. Ma questo, che di lui ho scritto, è un giuoco appresso le altre scelerataggini, & le altre crudeltà. L’Ariosto tiene, che costui habbi auanzato tutti i crudeli: dicendo di lui questo: Che pietosi appo lui stati saranno, Silla, Mario, Neron, Gaio, & Antonio. Creonte fu crudelissimo infino uerso i corpi morti, come dice Stati nella sua Tebaide, la quale tradotta in uolgare lingua da Erasmo Valuasone, cosi dice di lui parlando: Vuole il crudele, ch’à le pruine, e al Sole Marciscan le reliquie della terra, Et ch’errin d’ogni stanza escluse, e sole [Page 145 / 69R] L’ombre, i cui busti alcun marmo non serra, Fatta la legge in scritto, & in parole, A circondar và l’occupata terra. Et Medoro nel Furioso dell’Ariosto, cosi dice a Zerbino di lui. Et se pur pascer uuoi i fere, & augelli, Che in te il furor sia del Teban Creonte. Et Mario il giouine, figliuolo di Mario il uecchio, come scriue Plutarco, fù oltre modo crudelissimo, fece tagliare à pezzi i più nobili cittadini di Roma. Teodosio Imperatore fece una horrenda, & nefanda crudeltà in Tessalonica, facaenco vccidere sette milas poueri, & innocenti cittadini senza alcun ordine di giustitia, ma solamente mosso da passione. Mezentio fu uno de Prencipi crudelissimi di Toscana, biasimato di nuoua, & inusitata crudeltà contra gli huomini: legaua i corpi uiui, con quelli de’ morti sanguinosi, & uccideua i miseri sudditi con questa sorte di tormenti; oltre ad altre sorti: però dice di lui ragionando Vergilio nel libro ottauo: Quid memorem infandas cedes, quid facta tiranni Effera? Dijs capiti ipsius, generique reseruent, Componens manibusque manus, atque oribus ora Tormenti genus, & sanie, taboque fluentes, Complexu in misero longa sic morte necabat. I quali versi tradotti in uolgare tali sono: & voglio mettere la traduttione di Annibal Caro, e lasciar quella d’altri: A che di lui contar le sceleranze, A che la ferità, Dio le riserui Per suo castigo, & de’ seguaci suoi, Questo crudele insino i corpi morti Mescolaua co i uiui (odi tormento) Che giunte mani à mani, e bocca a bocca In così miserando abbracciamento, Gli faceua di putredine, e di lezzo, Viui di lunga morte al fin morire. O quante sorti di tormenti trouano questi scelerati petti, la morte per se stessa non è tanto horribile, quanto la fanno parere questi pessimi atroci huomini; però dice il Petrarca nel cap.2. della Morte. Silla, Mario, Neron, Gaio e Mezentio, Fianchi, stomachi, e febri ardenti fanno Parer la morte amara più che assentio. Diomede Re di Tracia (vdite crudeltà) pasceua i caualli di corpi humani; però Ouidio nel lib. 9. fa così dire dilui ad Ercole, mentre era diuorato dal veneno di quella camiscia infettata dal sangue dell’Idra. Quid? Cum Tracis equos humano sanguine pingues, Plenaque corporibus laceris praesepia vidi? [Page 146] Visaque deieci? dominum, ipsosque peremi? Che tradotti in volgare da Fabio Maretti tali sono. Vid’io pur d’human sangue i corsier graffi In Tracia, e pieni i lor presepi spesso Di corpi in pezzi, e fei di uita cassi, Ciò uisto quelli, & il padrone istesso. Ma doue lascio Busiride crudelissimo Re de gli Egittii, il quale sacrificaua tutti i forestieri a Gioue, che finalmente fu vcciso da Ercole, il quale dice nel lib.9. di Ouidio: Ergo ego faedantem peregrino templa cruore, Busirim domui? Fu etiandio crudelissimo Cambise: costui solamente, perche in sogno gli parue di uedere il fratello, che sedesse nel solio regio di Persia, li fece torre la uita, & a una sua sorella, che ripreso di tanta crudeltà l’haueua, diede tante percosse, che la vccise. Scriuono i Greci, che Cambise hauea fatto mettere, come in isteccato un Leoncino, & un Cagnolino, & perche il Leoncino uinceua, cordse un altro Cagnolino in soccorso del fratello, & ambedui uinsero l’auuersario Leone: onde lagrimando Meroe sorella di Cambise, il marito le domandò perche piangesse, rispose: io mi ricordo di Smerbia: ma questo cagnolino perdendo hebbe questo altro cagnoletto suo fratello, che uolentieri li ha dato aiuto. Questo intendendo lo scelerato tiranno Cambise, subito la fece crudelmente morire: ma vdite questa altra crudeltà: Domandò un giorno Cambise a un suo fauorito, & caro amico chiamato Presaspe in che riputatione fosse appresso i Persiani, esso rispose, che in suprema riputatione era, & che saria stato in maggiore, se non hauesse talora mostrato di bere con troppo auidità il uino: si sdegnò Cambise, ama dissimulando, disse, che li uoleua far uedere, che doppo che beuuto haueua, era sano di mente: percicohe voleua con una saetta accertare a punto nel cuore del suo figliuolo, & subito fece menarsi il fanciullo, & disse, se io non lo ferirò giustamente nel cuore, io sarò con ragione riputato ebbro. Detto che questa parole hebbe, si fece portare molto da bere, & beué copiosamente: trassen poi, come in un berzaglio, al fanciullo nel petto, essendo presente il padre del misero fanciullo, & poi lo fece aprire, & mostrare, come egli giustamente nel cuore percosso l’haueua. Ogni uno può pensare quanto fosse il dolore, che il misero padre sentir douesse, veggendo il caro, & innocente figliuolo senza cagione essere ucciso: nondimeno mostraua lieta, & serena faccioa, stringendo le lagrime, & i sospiri nel petto. Pochi giorni doppo questa atroce crudeltà, fece sotterrare viui col capo in giù molti nobili Persiani: oltre di questo fece scorticare vn giudice, & della sua pelle, uolse che si coprisse il seggio, oue hauea giudicato, & nell’istesso seggio fece sedere il figliuolo del giudice morti. In questo capo non credo che faccia bisogno di far comparationi tra le donne crudeli [Page 147 / 70R] & gli huomini: percioche è di numero, & di qualità i maschi passaro, & eccedono senza comparatione le donne, le quali di natura sono vniuersalmente mansuete, & pietose, come tutti gli huomini dicono. Degli huomini fraudolenti, & ingannatori, perfidi, & spergiuri. Cap XI. ANCORCHE alcuni facciano non poca differenza tra fraudolente, ingannatore, & perfido; nondimeno ho posti tutti quelli sotto un medesimo capo, come nomi, che non uariano la natura della cosa, ma più, o meno dimostrano, ouero nelle circostanze. Sono tra loro diuersi, credo però, che il nome ingannatore sia communissimo ad ogni sorte d’insidia fatta in qualunque modo. La fraude è fatta con l’adulatione, & fintione, o di bontà, o di amicitia; ilo perfido allo inganno, aggiunge la fede simulata, & finta; lo spergiuro ui aggiunge i giuramenti falsi, & i testimoni de gli Dei da lui inuocati, atti tutti uitiosi, & enormi; percioche peggio non si può dire, che non un piaceuole uolto, & sotto una finta, & simulata pietà, ingannare altrui, ouer sotto la fede data , che dourebbe essere inuiolabile, ouero con giuramenti chiamando gli Dei per testimonio farti credere il falso di quello, che ti uien detto. O quanto è meglio esser sforzato a dare il tuo, che darlo con inganno, & fraude; ondeCicerone ciò conoscendo, disse. Aut vi, aut fraude fit ingiuria, fraus quasi vulpeculae, vis Leonis videtur, vtrumque altissimum ab homine, sed fraus odio digna maior. O quanti sono stati uccisi sotto una simulata, & fraudolente pace, & quanti sotto specie di amicitia, o finta bontà sono priui, o delle facultà, o dell’honore, o della uita; De’ fraudolenti, i quali continuamente fingono di amarti, & di essere fra buoni, & leali buonissimi, sono piene le misere corti, come ben scriue il Cauallier Guarini nel suo PAstor fido, introducendo à parlar Carino: Gente di nome, e di parlar cortese, Ma d’opre scarsa, e di pietà nemica, Gente placida in uista, & mansueta, Ma più del cupo mar tumida, e fera: Gente sol d’apparenza, in cui se miri Viso di carità, mente d’inuidia Poi troui, e in diritto sguardo animo bieco, E minor fede allhor, che più lusinga: L’ingannare, il mentir, la frode, il furto, E la rapina di pietà vestita, Crescer co’l danno, e precipitio altrui, [Page 148] E far à fe de l’altrui biasmo honore Son le uirtù di quella gente infida. Cose raccontate etiandio da Torquato Tasso nell’Aminta. Et però molte uolte hai l’inimico in casa sotto specie d’amico, & questo accadde; percioche sotto finto uolto stanno occulti i maluaggi, & pessimi pensieri, le cui effiggie leggiadramente ci appresentò l’Ariosto sotto nome della fraude nel canto 14. dicendo: Hauea piaceuol uiso, habito honesto, Vn humil volger d’occhi, vn andar graue, Vn parlar sì benigno, e sì modesto, Che parea Gabriel, che dicesse Aue: Era brutta, e deforme in tutto il resto, Ma nascondea queste fattezze praue, Con lungo habito, e largo, e sotto quello Attossicato hauea sempre il coltello. Et Dante la desriue in questo modo hauendola ueduta nello Inferno; Et quella sozza imagine di froda Se’n venne, & al riuo la testa, e’l busto; Ma’n su la riua non trasse la coda. La faccia sua era faccia d’huom giusto, Tanto benigna hauea di fuor la pelle; Et d’vn serpente l’uno, e l’altro fusto. Due branche hauea pilose, infin l’aselle, Lo dosso, il petto, & ambedue le coste Dipinte hauea di nodi, e di rotelle. Con più color sommesse, e sopra poste, Non fer ma’in drappo Tartari, ne Turchi, Ne fur tai par Aragne imposte. MA basti fin qui di hauer narrato quello, che tiene in se, & fuori di se la fraude, & ueniamo à gli essempi. al primo sarà Tolomeo, il quale tradì Pompeo, che hauea fatti grandissimi beneficii al padre di lui; il traditore senza hauer riguardo alle gratie riceuute, le fece uccidere à tradimento in questo modo. Essendo Pompeo uinto in Pharsalia da Cesare, ne sapendo tra gli amci regni oue ricorrere douesse, confidatosi ne i beneficii fatti al padre di Tolomeo, si indrizzò uerso Egitto, & subito mandò un suo messo al Re Tolomeo à fargli intendere, come era uenuto à ritrouarki; egli come questo intese si consigliò con i suoi consiglieri, uno d’ quali era Achilla Egittio, l’altro Teodoro da Chio, & tutti insieme conchiusero d’amazzar sotto uelame d’amicitia Pompeo. Andorno adunque molti à ritrouarlo, un de quali fu Settimio, l’altro Achilla, & Saluio; Settimio, tosto che lo vide [Page 149 / 71R] con lusinghe lo chiamò Imperatore. Achilla lo inuitò a montare in su la scafa, & egli ui montò ma come fu uicino al lido, Settimio lo piagò mortalmente, doppo costui lo ferì Saluio, & Achilla; & così il misero Pompeo Magno fini la uita per l0inganno del traditore Tolomeo; onde il Petradi dice il traditor di Egitto, parlando di lui. Ma che ui pare di Bruto? il quale era intituito secondo herede da Cesare nel suo testamento, in cui haue agrand fiducia; & essendo uenuto il giorno di andare in Senato Giulio Cesare non ui uoleua andare, parte spinto dalle parole de gli indouini, parte dal sogno di Calfurnia sua moglie, come Plutarco racconta; ma il traditore Bruto sapendo quello, che uoleua fare, lo persuase ad andare in Senato, & pigliandolo per mano lo menò fuori di casa, & in Senato; come fu posto d sedere, parte de i compagni di Bruto si fermorno dietro il seggio di lui, & parte li stauano all’incontro. Tullio diede il segno di cominciare, ferillo Casia, che fu il primo, dopo lui Bruto li diede una ferita nella gola, dopo Bruto Cassio, & gli altri congiurati, cosi à tradimento vccisero iln buon Giulio Cesare. O che fiere scelerate,m già che uccideuano, chi lor portaua amore; ma che diremo noi del tradimento fatto da Lorenzo de’ Medici al Duca Alessandro de’Medici? che tanto si confidaua in lui, & li portaua tanto amore, che se fosse accaduto, che se egli fosse andato fuori di Firenze in suo luogo non haurebbe lasciato altri, che Lorenzo; & Lorenzo per acquistarsi quella fede appresso del Duca, che li pareua, non curaua di uenire in odio à gli amici, a i parenti, & pe fino alla madre istessa, non curaua di essere tenuto portatore di nouelle, ingannatore de gli amici, & un uero, e continuo spione del Duca contra tutto il mondo; & tutto questo faceua per tradirlo; & spesso diceua al Duca, che quando l’haueua seco, facesse conto di non l’hauere inquanto al uenire alle mani per diffenderlo; perche la natura non li hauea dato cuore da armi, & che cercaua ben di farsi immortale; ma per uia delle compositioni: & haueua composto una bella Comedia, & diceua che componea la più bella Tragedia, che forse sia stata ueduta da gli scrittori già molti anni, & cosi andaua il traditore facendosi amicissimo al Duca: A i quattro di Gennaro andò Lorenzo a leuar il Duca, & menollo à casa sua, la quale era molto uicina à quella del Duca, & gli entrato in ucna camera si pose sopra un letto; Lorenzo si partì, & andò nella stanza di sotto, & trouò uno sgherro chiamato Scoronconcolo, & lo menò alla camera, oue l’incauto Duca giaceua, & intrato andò al letto, & li disse; signor, dormite voi? & subito li tirò una stoccata alla schiena; il misero si gettò fuori del letto gridando. Ah Lorenzo, io non aspettaua questo da te, & il traditore rispondendo disse: Anzi troppo l’hauete aspettato; perche staua molto à uenire, & in poco tempo, con l’aiuto di Scoroncolo uccise colui, che lo amaua, come se medesimo; ma chi sarà colui, che si fidi di huomini, poiche tutti sono tanto ingannatori, perfidi, & simulati amici? Onde ben dice il Tasso, che non è fede in huomo, e dice il uero, ma ueniamo ad un altro [Page 150] essempio di un altro traditore: essendo andato Camillo per assediar la Città di Falerio, la quale Cittade era molto munita di tutte le cose necessarie alla guerra; Camillo considerando la città essere forte, & fornita di tutte le cose, li parue difficile da perdere; però non la faceua battere, ma faceua ogni giorno essercitare li soldati, accioche stando in otio non diuentassero tumidi, 6 uili; & dentro i Falerii simauano poco l’assedio & pochi faceuano le guardie alle mura, & tutti andauano disarmati per la città. Et cime esser suole usanza de Greci, teneuano un maestro salariato dal commune, volendo che i figliuoli si alleuassero, & s’ammaestrassero insieme; il maestro di scuola pensò di fare un tradimento a’ Falerii con il mezo delli lor fanciulli: & cosi cominciolli à menar à spasso intorno alle mura, & tal uolta fuori, & quando li hauea essercitati, li rimenaua dentro. Finalmente hauendoli tutti con esso lui, li menò alle guardie de’ Romani, & volle presentarsi con essi à Camillo, & facendoseli innanti melanconico, & pieno di grauità, disse, come era il maestro di quei fanciulli, & che per il mezo loro hauea disegnato per acquistarsi la gratia di lui, di darli la città di Falerio nelle mani. Parue à Camillo quel atto molto uituperoso, & fece stracciare tutti i panni, che haueua intorno al traditore, & legarli le mani di dietro alle spalle, & dar in mano a i fanciulli alcune sferze, accioche battendo il traditor lor maestro, il conducessero nella città. vhe ui pare? questo fu egli un tratto da un uero traditore, ò nò? mi souuiene ancora di Sinon Greco, il quale mostrando di fuggire i Greci, da i quali haueua riceuute molte ingiurie, come egli fingeua, & diede ad intendere a i Troiani con finte paeole, che i Greci haueuano edificato quel cauallo, & consacratolo à Minerua, & l’haueano fatto tanto alto, accioche i Troiano lo guastassero, & non lo potessero mettere intiero in Troia; perche i Fati uoleuano, che se lo guastauano, Troia hauesse à cadere; ma se fosse intiero condotto dentro la terra i Geci hauessero ad essere uinti da i Troiani. Era traditore, & spergiuro, perche giuraua, & chiamaua in testimonio li Dei, come dice Virgilio nel libro secondo dell’Eneide: Sustulit exustas uinclis ad sydera palmas Vos aeterni ignes, & non uiolabile uestrum Testor numen (ait) vos are enfesque nefandi, Quos fugi, vitteque Deum quas hostia gessi, Et altroue parlando di lui a Didone dice: Accipe nunc Danaum insiedias, & crimine ab vno Disce omnes. Volendo mostrare, che tutti i greci sono fraudolenti, & ingannatori. Gano di Maganza oue rimane egli? il quale fu traditor di Carlo, & de’ suoi Paladini, fu tanto ingannatore, che l’Ariosto il chiama padre de tradimenti, dicendo [Page 151 / 71R?] Tutto seguì, ciò che haue a ordito Gano, Chera d’insidie, e tradimenti il padre. Infedelissimo fù Bireno, che haueua riceuuti tanti beni da Olimpia, & in guiderdone la lasciò su il nudo scoglio, come dice l’Ariosto, che uolendo narrare la sua infedeltà, dice quasi merauigliandosi: Io ui vò dire, e far di merauiglia Stringer le labra, & inarcar le ciglia. Et fra mille tradimenti, che racconta il Gouio; raccontarò solamente quello, che fecero i capitani de’ Suizzeri fingendo occasione, che’l dì destinato al pagamento non si numerauano i denari: il Duca di Milano correndo al tumulto con parole benignissime, che generauano non poca compassione; poi donò a loro tutti li suoi argenti; ma i Capitani infedeli temendo di non mettere in essecutione il tradimento disegnato, operorno, che l’essercito Francese si accostasse à Nouarra per torre al Doca, & à gli altri la uia di fuggirsi verso Milano, hauendo fatto il Duca vscire le squadre, i Capitani Suizzeri diceuano, che senza licenza de i lor Signori non uoleuano uenir alle mani con parenti, & con i proprii fratelli, & con gli altri della loro natione, & mescolandosi con l’essercito nemico, come se fosse stato un solo essercito, finsero di uolere andare alle lor case; il Duca non poté, ne con preghi, né con lagrime, né con infinite promesse piegare la loro perfidia: Si raccomandò à loro, che almeno lo menassero in luogo sicuro: ma perche erano d’accordo con i Capitani Francesi di partirsi, & non menarlo seco, negorno di concederli la dimanda, ma consentirno, che mescolato fra loro in habito di fante venisse, la qual cosa fu accettata da lui per vltime necessità, ma questo non fù sufficiente alla sua salute: perche caminando per mezo l’essercito Francese fù insegnato da i Suizzeri à coloro, che haueuano la cura di prenderlo; cosi fu sybitamente tenuto in prigione. Spettacolo si miserabile, che commosse le lagrime infino à i nemici, & questo non fù egli vn gran tradimento? Cleomente hauendo affidati gli Argiui li assaltò di notte, & parte ne amazzò, & parte fece prigioni. Calicute uccise sotto colore di amicitia Dione Siracusano. Annibale il uecchio, chiamato figliuolo di Asdrubale, inuitato da Cornelio Asira, sotto pegno di pace, fù vcciso. Francesco, & lodouico Gonzaga ammorno il fratello Vgolino, inuitandolo sotto bhona fede, & amoreuolezza à disnar con loro. Cesare ancor egli fu traditore, perche in tempo di tregue guerreggiò co i Germani, & fece tagliare à pezzi trecento mila persone. Et Alessandro Magno tradì vna terra, con la quale hauea fatto una conuentieone: ma subito, come l’hebbe nelle mani tagliò a pezzi quasi tutti gli habitatori. Onde si può ben dire co’l Tasso: O cielo, ò Dei, perche soffrir questi empi. [Page 152] Et sedechia Medico Ebreo pessimo traditore, diede il veneno à Carlo Caluo Imperator de Galli, ancorche da lui non hauesse riceuuto altro che cortesia, & cosi se ne morì il misero Imperatore per l’ingano del perfido huomo. De gli Ostinati, & Pertinaci Cap. XII. NON è l’ostinatione altro, che una ferma perseueranza nella medesima opinione, ancor che falsa, & irragioneuole, & però dice Cicerone nel 4. A cad, Plerique errare malunt, eamque sententiam, quam adamauerunt pugnacissime difendere, quam sine pertinacia, quae constantissime dicatur, exquirere. Segno sicuramente di mente poco sana: percioche, che cosa si può pensare più stolta, che haueare le cose incerte per certe, le false per uere, & le non conosciute per conosciute, & notissime? & questi sono a punto i lodeuoli effetti dell’ostinatione. Pertinacissimo, & ostinatissimo fù Saul nello oltraggiare, & offendere David; benche da lui udisse dlcissime parole, & riceuesse segnalati fauori, i quali riceuuti non haurebbenon dico da uno amico, ma ne anco dal fratello. Ostinato, pazzo, & ritroso fù Filippo figliuolo di Filippo Imperatore, come scriue Sesto Aurelio, dicendo: che era di sì rigida, & ostinata natura, che non fu mai alcuno, che per grande astutia, che facesse, l’inducesse a ridere. Duro, e pertinace quanto imaginar si può fù Faraone, che per la sua peruersa, & ritrosa natura si simmerse nel mar rosso con tutto lo essercito suo per uolere della diuina giustitia. Ma che dirò io di Giustiniano Imperatore? al quale essendo tolto l’Imperio, & dapoi essendoli detto, che facilmente lo ricuperarebbe, montò in naue, & essendo scorso sopra Necropola henne una tempesta maritima, fiera, & pericolosa; onde Maice familiare di Giustiniano, disse: Ecco signore, che noi siamo uicini alla morte, fa qualhe uoto a Dio per la salute tua, & questo sia il tuo uoto, che se tu ricuperi l’Imperio, non farai uendetta di alcun tuo nemico. Rispose allhora Giustiniano con gran furore. Se io perdono ad alcuno di loro, che Dio mi faccia hora hora affogare. Tanto era ostinato nel uoler far uendetta, che ancor che fosse stato sicuro di sommergersi, più tosto uoleua con la sua ostinata opinione annegarsi, che saluarsi, & perdonare à uno solo de suoi nemici. Ma doue rimaneAntioco ostinatissimo contra il popolo di Giuda? che mai si tenne di oltraggiarlo, fin che di tanta ostinatione non ne prese uendetta l’eterna bontà, mentre egli andaua a dritto nella ruina di Gierosolima. [Page 153 / 73R] De gli huomini ingrati e discortesi. Cap. XIII. A [corrected as è] L’ingratitudine una obliuiona, ò dimenticanza ben spesso simulata di non render gratie, ò altra cosa, per il beneficio riceuuto, & però Aristo. nel lib. 9. dell’Ethica al cap. 9. lasciò scritto, che è cosa propria dell’ingrato il riceuere il beneficio, ma non già il renderlo. Ingratus est, qui suspicere appetit, & non benefacere. Cosa inhumena, fiera, & cruda: come ben disse cicerone pro Planco. O quanti ne sono, che hanno riceuuti non solamente aiuti con le facultà altrui, ma con la uita, & con li honori, & venendooccasione nonuolgiono render alcun fauore a chi loro ha beneficiato, & negano di hauer riceuuto alcun beneficio, o fingono di non hauerlo hauuto, ò se li scordano. Però Plauto parlando de’ suoi Cittadini, disse: Ita sonto isti nostri Ciues, Si quid benefacias, Laeuior pluma gratia est, Si quid peccatum est, plumbeas iras gerunt. Parlano pur de gli huomini, & non delle donne, come apertamente si uede, come lor proprio uitio, il quale è pur cagione di infiniti mali, dicendo il Trissino nella sua Italia liberata: E l’empia ingratitudine, ch’è sola Causa, e radice d’infiniti mali. Et questa sentenza si confermarà con gli essempi. Ingratissimo furno gli Ateniesi, come scriue il Sabelico, i quali diedero à l’innocente Socrate il veneno. Ingratissimi furono i Siracusani uerso Dione, il quale lor liberò la patria, & essi in premio di questo beneficio lo sbandirno, come scriue lo istesso Autore, & dapoi lo chiamorno, & lo fecero morire: questa non fu ella una grandissima ingratitudine? I Thebani non furno ingrati uerso Epaminonda, & Pelopida? gli Ateniesi non furno sconoscenti, & ingrati verso Solone? he a loro diede le leggi, & fu cagione egli solo, che la patria restasse libera della Tirannide di Pisistrato, & dapoi lo sbandirno, come dice Valerio Massimo. Gli Ateniesi, scriye il medesimo Autore, messero in carcere Milicade vincitor de’Persi, & non uolsero, che doppo morte fosse sepelito, se prima non haueuano in prigione Cimone suo figliuolo. Ma che diremo di Temistocle? che di Demetrio Re, che fu tanto afflitto da gli istessi Ateniesi? I Romani non furnoingratissimi a cacciare Camillo in essilio? che haueua fatto tanto, e tanto bene per il popolo Romano, come racconta il medesimo. Caligula era di cosi peruersa natura, che odiaua a morte chi li uolea bene. Ma che dirò io de’ Spartani? i quali lapidorno molte uolte Licurgo, il quale haueua dato tante leggi, & hebbe [Page 154] tanto amore uerso la patria, & essi finalmente li cauorno gli occhi, & lo cacciorno della Città. O che sconoscenti, ò che ingrati; Mi souuiene di Scipione Africano, che liberò si può dir Roma, uinse Cartagine, & à l’ultimo gl’ingrati Romani lo sbandirno; ond’egli spinto da giusto sdegno fu sforzato a dire: Ingrata patria non habebis ossa mea. Ingrato fù Giustiniano imperatore verso Bellissario, cheera stato così giudicioso capitano, lo priuò d’ogni suo hauere. Ingratissimo, & sconoscente quanto imaginar si può fu Filippo di Arabia contra Gordiano Misetto Prefetto, & Capitano suo elesse Filippo in luogo di Misetio, il quale era pouero, et di stirpe dishonorata, & uile: Tosto che l’ingrato si uidde assiso a tanto grado, subito cominciò à pensare, come potesse runnar l’Imperio à Gordiano. Fece prima nascere nell’essercito mancamento di uettouaglia, & non lasciaua correre le paghe al suo tempo à i soldati, i quali si sdegnauano, & egli diceua, che tutto procedeua da poca cura, & prouedimento dello Imperatore, et tanto fece, che eguale à Gordiano nell’Imperio diuenne; come se li uide uguale, cominciò à disprezzarlo apertamente, & ordinaua ogni cosa come se stato fosse solo Imperatore: il misero Gordiano uedenedo che non potea nulla nell’Imperio, pregò Filippo, che almeno lo hauesse in luogo di Cesare, il che non ottennendo chiese di essere suo Prefetto, ne questo impetrò, à l’ultimo pregò di potere essere uno de suoi Capitani, questo li concesse. Ma come pensò, che Gordiano era amato, lo fece uccidere miseramente, ò che ingrato, non meritaua egli, che il Cielo lo fulminasse, ò che la terra uiuo nelle sue interne parti l’accogliesse? Ma che diremo noi della ingratitudine di Teseo? alquale la cortese Arianna insegnò il modo di uscire fuori dell’intricate strade del cieco Laberinto, che in premio di tanta cortesia l’abbandonò, & lasciò sola su il diserto lido, come dice Ouidio nel lib.ottauo parlando dell’ingrato Teseo. Vtque ope virginea nullus iterata priorum, Ianua difficilis filo est inuenta relicto: PRotinus Aegydes rapta Minoide Diam. Vela dedit: comitemque suam crudelis in illo Littore destituit. I quali uersi tradotti in volgare dal Maretti tali sono. Ma poi, che per verginea aiata data Trouò la porta, e la difficil via Mai da nissun fino a quel dì trouatam Lasciando il filo, subito s’inuia Theseo, e rapita a Min la figlia amata, Diè le vele ver l’Isola di Dia, Doue il crudel nel lido a la campagna Abbandonò la fida sua compagna. Ingrato fù Enea uerso la cortese Didone, che tanto amoreuolmente l’hauea [Page 155 / 74R] riceuuto nelle proprie case, & egli la lasciò non curando ne le lagrime sue, ne preghi, & scordatosi affatto della miseria, nella quale era quando Didone l’accolse, come egli stesso disse alla presenza sua. O sola infandios Troiae miserata labores, Quae nos reliquias Danaum, terreque, marisque Omnibus exaustos iam casibus, omnium egenos Vrbe, domo socias grates persoluere dignas Non opis est nostrae Dido, nec quicquid vbique est Gentis Dardaniae, magnumque sparsa per orbem. Et uno sbandito, vn vagabondo non si astenne di mostrare la sua ingrata natura alla cortese Elisa, laquale rimprouerando la sua ingratitudine disse; Nec tibi diua parens, generis nec Dardanus auctor Perfide, sed duris genui te cautibus horrens Caucasus; Hircaneque admorunt vbera tigres. De gli Huomini incostanti, & volubili E’ Segno certissimo l’inconstanza di vna mente poco saggia, & auueduta; percioche s’ella s’impiega, senza dubbio non andarebbe ella vagando intorno a diuerse cose, non risoluendosi di appigliarsi ad alcuna di loro, & se pure ad alcuna si accosta per lo piu alla peggior dà di piglio; essendo ella sorella carissima dell’ignoranza, & però con grandissima prudenza disse Cicerone, che niuna cosa è più degna di biasmo dell’incostanza, mobilità, & leggierezza di animo, che ancho leggerezza chiamò, nome denotante una spetie di pazzia. Incostante, & oltre modo volubile fù Caligula Imperatore, alquale hora piaceua la compagnia, hora la fuggiua, come veneno. Faceua alle volte le cose con tanta prestezza, che pareua il piu accorto huomo del mondo. Altre volre con tanta lentezza, & trascuragine, che mostraua di essere tutto il contrario. a molti, i quali haueano commesso grandissimi misfatt, non daua castigo alcuno. Et molti altri faceua amazzare senza colpa alcuna. Hoggi lodaua una cosa, domani chi ne diceua bene voleua taglaire a pezzi, & finalmente era tanta l’inconstanza, & il mutamento di costui, che non sapeuano i sudditi, ne che fare, ne che dire, & era il medesimo ne’ vestimenti, & in tutti gli altri fatti suoi. Sergio Galba fù anchor egli instabile, & senzo fermezza. Faceua tutte le sue cose vna contraria a l’altra, hora si mostraua aspro, hora mansueto, & piaceuole, hora condannaua le genti senza cagione, alla morte. Hora quei che al meritauano, lasciaua assolti. Questovitio in ogni persona è brutto, [Page 156] & biasimeuole. Ma in un principe non si può imaginar peggio. Et amore fù inconstantissimo, hora era preso d’amore, hora da orio, come dice il Petrarca di lui parlando. Vedi quel che in vn tempo ama, e disama. Et Aladino Tiranno, per l’imagine tolta, come dice Torquato Tasso era tanto pieno di rabbia, come mostra in questi versi contra i Christiani. Tutto in lor d’odio infellonissi; ed arse D’ira, e di rabbia immoderata, e immensa. Ogni rispetto oblia: vuol vendicarsi (Segua che puote) e sfogar l’alma accensa. Morrà (dicea), non andrà l’ira a vuoto Ne la strage commune il ladro ignoto. Vdite, che instabilità, & inconstanza solamente per quella honesta bellezza di Soffronia, che a pena si può dire, che veduta hauesse: A l’honesta baldanza, a l’improuiso Folgorar di bellezze altere, e sante: Quasi confuso il Re, quasi conquiso: Frenò lo sdegno, e placò il fier sembiante. S’egli era d’alma, ò se costei di viso Seuera manco diueniane amante; Rodomonte era instabile, & uolubile come foglia: che hauea fisso nella mente di odiar tutte le donne, & a pena vedde Isabella, che subito si muta di proponimento, come dice l’Ariosto di lui nel Canto. 28. Tosto, che il saracin vide la bella Donna apparir, mise il pensiero a fondo, C’haua di biasmar sempre, e d’odiar quella Schiera gentil, che pur adorna il mondo: E ben li par dignissima Isabella In cui locar debbia il suo amor secondo, E spegner totalmente il primo in modo Che da l’asse si trahe chiodo con chiodo. Onde considerando l’Ariosto la maschile incostanza esclamò dicendo; O de gli huomini inferma, e instabilmente, Come sian presti à variar disegno: Tutti i pensier mutiamo facilmente, Più quei, che nascon d’amoroso sdegno, Io uiddi dianzi il Saracin sì ardente Contra le donne, e passar tanto il segno Che non che spegner l’odio, ma pensai, Che non douesse intepidirlo mai. Et i Greci tutti sono insabili, vdite quello, che ne dice Iamblico nel lib. de misteriis. Graeci namque natura rerum nouarum studiosi sunt, [Page 157 / 75R] ac praecipites usquaequaquae; feruntur instar nauis saburra carentis nullam habbentes stabilitatem, neque conseruant, quod ab aliis aceperunt sed & citò diminunt, & omnia propter instabilitatem, nouaeque inuentionis elocutionem transformare solent. Et che diremo noi di quei buoni campioni di Christo, che à pena haueuano ueduto Armida, che si lasciauano raggirar à i lor uani appetiti, & però dice il Tasso, che Goffredo spesso hor di uergogna, hor d’ira Al uaneggiar de Caualier s’accende. Ma che si dirà di Vincilao già uecchio instabile, come mostra il medesimo poeta Vincilao, che graue, e saggio inante Canuto pargoleggia, e uecchio amante. Io non credo che fosse punto dissimile da quelle Girandole, che ad ogni poco di uento si mouono. De gli huomini maligni, & che portano odio. Cap. XV. AFFERMANO tutti gli ottimi scrittori l’Odio essere una inuecchiata, & raffreddata ira, la quale difficilmente si può cancellare, & solamente la morte di far questo è un ottimo, & eccellente rimedio, & però si dice odio tenace, lungo, & mortale, & è più uituperato dell’ira; eprcioche ella è un subito, & repentino moto dell’anima irragioneuole. Ma l’odio è un cattiuo effetto, & passione della ragione, & quelli tengono il primo luogo fra questi tali, che non lasciano l’odio ne per preghiere, ne per utile, ne per la lunghezza di tempo si mitigano, lequali tre cose sogliono mitigare, & annullare questa passione, come lasciò scritto Cicerone dicendo. Odium uel precibus mitigari potest, uel utilitate deponi, uel uetustate sedari. Ma lasciamo di ragionare della natura di questo pessimo uitio, & ueniamo à gli essempi. Annibale portaua cosi graue odio à Romani, che giurò di esserli sempre crudel nemico. Sergio terzo Ponteficie hebbe tanto odio à formoso Pontefice, che lo fece cauar fuori della sepoltura, & tagliarli la testa, & dapoi gettarlo nel Teuere. da questo conoscere si può, he non solamente contra uiui uiue l’odio, ma contranmorti anchora. grande fu l’odio, che hauea Cambise Re di Persia contro il fratello, & spinto da questa passione lo fece uccidere. Ma grandissimo fù quello, che hebbero i Genouesi contra i Pisani, percioche hauendo i Genouesi pigliate due galee di Pisani, impiccorno i Padroni, & uenderno tutti gli altri à una cipolla l’uno, come dice Batista Ful. Al tempo di Scipione Africano essendo morto il padre à duo fratelli, fra loro si odiauano tanto, che non si poteuano uedere, & si indussero à combattere insieme, & il più pertinace fu ucciso. Et Catalina uedendo che bisognaua prolungar le nozze di aurelia un giorno solo [Page 158] solo per cagion di un suo figliuolo, li prese tanto odio, che lo fece auenenare. questo narra Batista Ful. mi souiene di Amilcare, il quale essendo uenuto in Roma; percioche il popolo Romano inuitato l’hauea, et uedendo quattro figliuoli, disse questi fanciulli sarebbono buoni per alcuni miei Leoncini. Vi pare, che l’odio in costui fosse grandissimo? De gli huomini ladri assassini, corsari & rapaci. Cap XVI. E IL ladrocinio un possesso della robba altrui senza il consenso del proprio padrone nascostamente inuolata. Ma quando con vuolenza si toglie aspettando gli huomini alle strade assasinamento si chiama. Et finalmente se per mare alcuno se ne sta rubbando Corsale da ogn’uno uien chiamato. il furto quanto sua da ogn’uno biasmato, & uituperato non accade, che io lo racconti: percioche è cosa inumana il uolere posserdere l’altrui senza alcuna fatica, & quel che è peggio con la morte di colui, à cui è stato rubbato. Ne licurgo quel gran ligislatore instituì il furto à i giouinetti; perche godessero l’altrui hauere. Ma bene accioche si essercitassero & si facessero uigilanti, agguzzando l’ingegno nel rubbare, & nel conseruar la cosa rubbata. Onde non solamente si faceua accorto il ladro, ma anchora colui, a cui era la robba inuolata; & cosi pochi furti si faceuano, & tanto piu che era tanto la pena grande posta da Licurgo, & la uergogna di essere scoperto, che più tosto i ladri uoleuano morire, che essere conosciuti come tali, come intrauenne à un fanciullo, che rubbò un Volpacino. MA passati gli anni quattordici non poteuano più in modo alcuno rubbare. fù inuentore del furare, scondo che scriue Giustino, Nino Re dell’Egitto. gran ladro fu Arpalo, come scriue Cicerone nel lib. de natura Deorum il quale beffaua ogni giorno li Dei, dicendo che lo lasciauano pur uiuo, anchor che rubbasse ogni giorno. fu etiandio grande Caio Verre. non minor di lui Flacco Censore, come narra Tito Liuio, il quale tolse un tetto di marmo à Giunone Licinia per coprir la sua casa. fù etiandio ladro Arsace Re de persi, il quale nella giouentù apertamente rubbaua, e finalmente fu fatto Re de ladri. Ladro fu Dionisio di cose sacre, & similmente Nerone. Che diremo noi de gli Argiui che nasceuano ladri? onde naque un prouerbio. Argiui fures. Che di Ghino di Tacco, ilquale rubbò con suo Zio un Castello alla Republica senese detto Radicofani in maremma, costui essercitaua molto il ladrocinio, come dice il Bocca. di lui ragionando Ghino di Tacco per la sua fierezza & per le sue rubbarie huomo assai famoso era, essendo cacciato da Senesi, & dimorando in Radicofani à ciascuno che per le circostanti uie passaua, rubbar faceua à suoi masnadieri. Et pochi sono, iquali non sappino quanto gran ladro, & rubbator famoso, fù Cacco figliuolo di Vulcano, costui fù il primo ladrone [Page 159 / 76R] habitaua sotto il colle Auentino di roma. Ma Ercole foppo lunghe prede fatte (perche anchor egli douea essere cosi ualente ladro quanto ogn’altro) uenne di Spagna in Italia, & seco guidaua le uacche tolte al Re Girione, & prese alloggiamento poco lontano da Cacco. Ma Cacco, che era sempre auido di noua preda s’inuolò quattro uacche, & tirolle per la coda nell’antro suo: accioche per il segno delle pedate non si potesse imaginar oue fossero. Ercoole dolente della perdita, cercolle & ricercolle, & mai non potè ritrouare inditio, ò segno delle pedate, & finalmente si partiua hauendo perduta la speranza di ritrouarle; alhora sentì il muggio, & subito si accorse, oue erano, & leuando il sasso, che copriua la spelonca di Cacco saltouui dentro, & l’uccise, onde Vergilio nell’Eneide cosi dice di lui. Cacus auentine scelus atque infamia siluae Et Dante lo uide nello inferno. Onde dice nel can.25. Lo mio maeastro disse quegli è Caco Che sotto il sasso di colle Auentino Di sangue fece molte uolete laco Onde cessar le sue opre biece Sotto la mazza d’Ercole, che forse Gli ne die cento, e non sentì le diece. Vanni Fucci, come dice l’istesso Dante era ladro, & ladro di cose sacre, come egli di se stesso dice nel can. 24. Vita bestial mi piacque, e non humana Si come à Mul, ch’io fui; son uanni Fucci Bestia, e Pistoia mi fù degna tana. E più sotto dice parlando pur di se medesimo il ladrone Io non posso negar quel, che tu chiedi In giù son messo tanto; perche fui Ladro à la Sagrestia de belli arredi. Et gran ladro, & capo de ladri assassini era colui, che teneua Isabella nella spelonca, come dice l’Ariosto, ilquale con i compagni fù da Orlando ucciso. come mostra con questi uersi. Nella spelonca una gran mensa siede Grossa duo palmi, e spatiosa in quadro Che sopra un mal polito, e grosso piede Cape con tutta la famiglia il ladro Questa mensa gettò Orlando fra loro, & parte ne stroppiò, parte ne uccise affatto: di quelli che restorno uiui, udite quel che Orlando fece. Poi li strascina fuor della spelonca Doue facea grand’ombra un uecchio sorbo; Orlando con la spada i rami tronca, Et quelli attcha per uiuanda al Corbo Anco Brunello era un cosi bello ladroncello, quanto alcun altro, che [Page 160] al mondo fosse, come dice l’istesso Ariosto che parlando di Frontino, che rubbò al Re Circasso dice. Inanzi Albracca gliela hauea Brunello Tolto di sotto quel medesimo giorno Ch’ad Angelica anchor tolse l’anello Al Conte Orlando Balissarda e’l corno E la spada a Marfisa & c. E però meritatamente. Il manegoldo in luogo occulto, & ermo Pasto di Corui, e d’auoltoi lasciollo. Vfente cont tutto lo suo stuolo era ladro. Però di lui, e delli suoi compagni dice Vergilio. Armati terram exercent; semsperque recentes Ceonuectare iuuat praedas, e uiuere capto Lequali paroli tirate in lingau uolgare da Anibal Caro, risuonano cosi. Arar con l’armi indosso, e tutti insieme Viuer di cacciagioni, & di rapine Io non so per qual cagioni ui sieno tanti di questi huomini da bene, i quali non uogliono faar niuno essercitio, ma uogliono uiuere della robba alctrui, ne mai si castigano anchor che dinanzi à gli occhi si uedono impiccare un altro, ladro in quel medesimo tempo inuolano i denari à qualche uno, che lor è uicino. Ma che diremo noi di quei buoni compagni di Vlisse, i quali stimando, che nell’otre chiuso, che Eolo hauea dato ad Vlisse, fosse argento, scilsero l’otre, e ne uscirono i uenti, iquali lor diedero quel, che meritaua la loro auidità. Ancho il Sannazaro mostra, che Lacinio era un ualente ladrone in quei uersi, che fa dire à Serrano. Tacer uorei, ma il gran dolor m’inanima Ch’io tel pur dica: sai tu quel Lacinio Ohime ch’a nominarlo il cor si esanima Quel che la notte ueglia, e’ galicinio Gliè il primo sonno, e tutti Cacco il chiamano Però che uiue sol di latronio E più sotto fa dire ad Opico, uolendo mostrare che quasi tutti gli huomini sono ladri, questi uersi. O quanti intorno a queste selue numeri Pastori in uista buon, che tutti furano Rastri, zappe, sampogne, aratri, e uomeri Et anchor Torquato Tasso udite quello, che dice di Albiazar. Le terze guisa Albiazar, ch’è fiero Homicida, ALdron, non Caualiero. Et come afferma Plutarco ladri erano i soldati di Bruto, che se quel giorno, che attacò la battaglia Marc’Antonio, non erano occupati ne’ latrocinii degli alloggiamenti, haueua una felicissima uittoria. Ma tanta [Page 161 / 77R] è ne gli huomini l’auidità de l’hauere altrui, che non lascia mai finire una opera bene, & non rioua, che ogni giorno si uegga nelle piazze principali qualche uno di questi uccelli grifagni, che habbi incautamente dato del capo ne lacci, né che sieno posti per nerui à mouere le ali alle galee, non curano honore, & non su ricordano di quello aureo detto di quel Poeta: L’honore è di più pregio, che la uita. Et di questa sorte ue ne sono molti; onde ogni giorno si odono latrocinii, à chi uen rubbato il mobil di casa, à chi le mercantie, à chi una cosa, à chi un’altra, fino à Calandrino, quei buoni compagni inuolorno il porco; ma lasciamo costoro; ancorche se io uolessi, ne farei un libro intiero; perche sono fuori di modo in quantità i ladri, & si può dire: O quanti Cacchi al mondo hoggi si trouano Ma ueniamo à quella altra sorte di latroni maritimi non manco scelerati de i ladri terrestri. Lucano Poeta nomina i furto di Basilio Pirata, li quali sono senza fine: il medesimo Lucano nomina Sesto Pompeo, per Corsale, dicendo: Sextus erat magno proles digna parente, Qui mox scylleis exul grassatur in undis Polluit equoreos Siculus Pirata triumphos, Cleomenide scorse il mare vintidoi anni, al tempo di Tolomeo. Clipanda al tempo di Ciro fù famoso ladro maritimo. Milia al tempo di Dioniasio Siracusano, che essendo condotto alla morte, confessò, che hauea fatto morire più di cinquanta mila huomini, à quali haueua ancao tolto la robba. Cleomente al tempo di Alessandro Magno fu gran corsale, & Alcanore al tempo di Giulio Cesare non cedeua a nessun corsale nell’essere un ualente ladrone, & cosi molti altri, che per breuità tralascio; ma forza è, che di nuouo io mi ritragga à riua; percioche ui è un ladro terrestre, che non vuol ch’io ponga fine à questo capitolo senza il suo nome, & questo è giouanni Lago, il quale era capitano della guardia del palazzo dell’Imperatore di Constantinopoli, nominano Alessio Comneno. Costui era il più bel ladrone di quanti sieno mai stati, & deliberò di mettere insieme molti denari per se, & per i suoi con quello ufficio: onde nel tempo di notte sprigionaua tutti i più eccellenti ladri, che fossero in prigione, & lor mandaua à rubbare per le case, & tutto il furto, che faceuano, lo facea portare a casa sua, & à loro porgeua una mercede, come à lui piaceua, nel uederlo nel suo vfficio, pareua il piu liberale, & iusto ministro, che al mondo fosse, & questo manto di lealtà celaua un’animo ladrone, & scelerato; ma udite quello, che dice l’Anguillara nelle Metamorfosi d’Ouidio, parlando di questi ladri, che sono lupi sotto sembianza di pecore, Và ricco peregrino al suo viaggio, Ecco un ladro il saluta, il bacia, e ride, E fingendo amistà, patria, e lignaggio [Page 162] L’inuita seco à cena, e poi l’vccide, Il cittadin piu cortese, che saggio Albergo con amor persone infide, Che scannan poi per rubarlo nel letto Que, che con tanto amor lor diè ricetto. Vede il genero graue hauere il seno Della moglier, che sarà tosto madre, E dando al ricco suocere il veneno, Toglie alla fida moglie e il caro padre: Vn’altro, la cui figlia il uentre ha pieno, Con le sue mani insidiose, e ladre, Dando al genero ricco occulta morte Fa piangere alla figlia il suo consorte. De gli huomini vili, paurosi, & di poco animo. Cap. XVII. LA paura è, come dice Speusippo: Concussio animi in expectatione mali. Ouero è un sospetto di un male eminente, come si legge nel libro 3. dell’Etica, il quale con la sua fredda presenza agghiaccia il sangue fino nelle più interne parti del cuore, & però i Latini le aggiungono spesso epiteto di freddo, dicendo: Gelidus timor: perchoche rende gli huomini freddi, essangui, tremanti, & pallidi, & l’Ariosto mostrò questi effetti del timore, & prima dell’agghiacciare, nel Canto 30. mentre combatteua Madricardo con Ruggiero dicendo: L’aspra percossa agghiacciò il cor nel petto, Per dubbio di Ruggiero a i circostanti. Nel Canto vltimo lo mostrò accompagnato dalla pallidezza in questo modo: Donne, e donzelle con pallida faccia, ATimide à guisa di colombe stanno. E grandissimo difetto il timore; percioche colui, che teme la morte poco stima, & pregia la buona fama, o l’honore; & però si legge nell’Etica, che il timore spinge, & sforza l’huomo à commettere cose uergognose. Timidus enim magis mortem fugit, quam dedecus. Et quel che è peggio, tanto alle uolte può questo timore, che il timido non fa alcuna resistenza à colui, che li vuol leuar la vita: la qual cosa osseruò l’Ariosto nel secondo dell’Etica, dicendo: Cunca fugit, & nulli restitit: Così fece [Page 163 / 78R] Gradasso doppo la morte del Re Agramante, come scriue l’Aiosto in questi uersi: Tremò nel core, e si smarì nel uiso, A l’arriaure del Cauallier d’Anglante Presago del suo mal parue conquiso; Per scherno suo partito alcun non prese Quando il colpo mortal sopra gli scese. Fù adunque il timore cagione, ch’egli non fece alcuna resistenza ad Orlando, anchor che i poeti fingano, che i fati molte uolte siano di ciò cagione, sic enim fata volunt, dicono essi, ma appresso di me sono leggierissime scuse. ma ueniamo à gli essempi: racconta Orosio, che Eracliano gouernatore in Africa era timido, & di animo di coniglio, essendo uenuto à Battaglia con Honorio tanto si empi di parua, che pallido, tremante, & quasi agghiacciato nel cuore fuggì al mare senza aspettar, che’l nemico più si auuicinasse, & fuggi in Africa. ma non pote fuggir la morte; perche fù ucciso per la sua timidità. Marco Antonio, come scriue Plutarco, hauendo attaccata la Battaglia con Bruto, si nascose in un acera palude per timore, & ui stesse fino à tanto, che intese, che i suoi soldati erono uincitori, ma haurebbe fatto meglio à nascondersi sotto il letto, luogo più sicuro. L’imperator Honorio anchor egli fù timido, & di poco animo. Cesare Augusto fuggì per timore da i suoi alloggiamenti sotto la bandiera di Antonio, mentre erano nelli campi Filippici. Nerone anchor gli era di uile, & timido animo; perche quando si uide abbandonato dalle guardie, uoleua pigliare il ueneno, ma per timor della morte non sapeua come fare, all’ultimo pigliò duo pugnali, & hor con l’vno, & hor con l’altro si accennaua di amazzare, ma tanto la viltà che non si arischiaua di farlo, & perche haueua duo compagni fedeli, pregaua hor questo, hor quello, che li facesse la strada, ma quando si sentirno gli strepiti de Caualli, che mandaua il Senato per pigliarlo, allhora vno de suoi amici che era seco l’uccise. Turno figliuolo di Dauno fù timido, & di poco cuori, come mostra Vergilio nel lib.12. che quando vide, che contra Enea più non poteua, suplicando li domandò la uita, & cosi dice di Lui. Ille humilis suplexque oculos, dextramque precantem Protendens, equidem merui, nec deprecor inquit: Vtere sorte tua miseri te si qua parentis Tangere cura potest, oro: fuit & tibi talis Anchises genitor: Dauni miserere senectae; Et me, seu corpus spoliatum lumine mauis, Reffe meis. viscti, & victum tendere palmas Ausonii videre. tua est Lauinia coniux. Vlterius ne tende odiis. [Page 164] I quali uersi tradotti in uolgare da Annibal Caro tali sono: Gli occhi, & la destra, Alzando in atto humilmente admesso, E supplicante, io (disse) ho meritato Questa fortuna, e tu segui la tua, che ne uita, ne venia ti dimando: Ma se pietà de’padri il cor ti tange, (Ch’ancor tu padre hauesti, & padre sei) Del mio uecchio parente, hor ti souegna; Et se morto mi vuoi; morto chìio sia, Rendi il mio corpo a’ miei; tu vincitore, Et io son uinto, e già li Ausonii tutti Mi ti ueggono a i piè, che supplicando, Mercè ti chieggio, & già ALuinia è tua. A che più contra un morto, odio, e tenzone? Par che non cerchi la uita, & pur la dimanda il timido. Ormondo, ancorche facesse l’animoso, io non credo, che ualesse un bagatino, & lo mostrò quano uoleua à tradimento uccidere Goffredo, come mostra il Tasso, che essendo ferito mortalmente da Goffredo, fu assalito sa subita paura, & non fece diffesa alcuna, & così dice ragionando di lui: Mortalmente piagollo, e quel fellone Non fere, non fa schermo, non s’arretra; Ma, come innanzi à gli occhi habbia il Gorgone, (E fu cotanto audace) hor gela, e impetra. Et il vil Martano, il quale uedendo il Signor di Seleucia, che uccise Ombruno, hebbe tanto timore, che non sapeua, che fare; però di lui dice l’Ariosto nel Canto 17. Veduto ciò AMrtano, hebbe paura, Che parimente à se non auuenisse: E ritornando nella sua natura, A pensar cominciò, come fuggisse, Grifon, che gli era appresso, e n’hauea cura, Lo spinse pur, poi che assai fece, e disse, Contra un gentil guerrier, che s’era mosso, Come si spinge il can al lupo addosso. E ne i quattro ultimi uersi della stanza, che segue: Quiui oue erano i principi presenti, E tanta gente nobile, e gagliarda, Fuggì l’incontro il timido Martano, E torse il freno, e’l capo à destra mano. Pur la colpa potea darsi al cauallo Chi di scusarlo hauesse tolto il peso, [Page 165 / 79R] Ma con la spada poi fe si gran fallo, Che non l’hauria Demostene diffeso. Di carta armato par, non di metallo, Si teme d’ogni colpo essere offeso, Fuggesi al fine, e gli ordini disturba, Ridendo intorno a lui tutta la turba. De gli bestemmiatori, & sprezzatori di Dio. Cap. XVIII. CHE più graue errore può essere commesso dal’huomo, che dir parole, cone le quali cerchi se possibil fosse di offendere la dìuina prouidenza? certo niuno, se non di chiamo quello essere maggiore, come ueramente credo che sia, che lo disprezza, e beffa, come cosa imaginaria, ò che punto non operi in questo mondo inferiore; percioche è cosa credibile, che coloro, che con parole cercano di uituperare o la potenza, o la natura diuina, credano, che ella si ritroui; ma coloro, che lo sprezzano, o non lo admettono, o se l’admettono, otioso, & impotente lo reputano. scelerati, & iniqui che sono, dalle donne sono lontane le bestemmie, & il disprezzo di Dio, & de’Santi, come quelle, che sono religiosissime, & deuotissime: cosa che non ha bisogno di proua; ma il buon maschio poco timoroso della diuina giustitia, & della sua potenza prorompe spesso in bestemmie horrende, & inique ingegnandosi imbestialito di ritruarne alcuna non più detta, che meglio bestemmia; però veniua trattato da un’huomo di poco conto vn gentilhuomo di Bologna, sauio, e discreto, il quale essendo andato alla corte di un Principe, & pratticando con gli altri cortigiani, quando bisognaua, che affermasse alcuna cosa conn giuramento, diceua al corpo della gallina, per la qual cosa da gli altri di corte ueniua reputato un buffone, & un’huomo di poca leuatura, & bisognò alla fine, che ancor egli cominciasse à trouar Christo, & i Santi, per non essere tenuto un’huomo da niente, Selucia, come narra Battista Ful. disprezzaua oggni culto diuino: onde mandò à spogliar il tempio in Gierusalem, ne conosceua altro Dio, che se stesso. Cambise ammazzò il sacro Bue, credendo di far uiolenza à Dio. Giuliano Imperatore disprezzò tanto la diuina bontà, che essendo ferito si empì una man di sangue, & gettollo uerso il Cielo, dicendo, satiati, & deponi la ira. Nicolò falso Eremita, & molti altri compagni suoi, erano grandissimi bestemmiatori, & ancho Niceforo Imperatore, & questo scelerato uoleua, che i primi della militia si seruissero de Vescoui [Page 166] come de gli altri Sacernoti di minor dignità, & delle loro entrare con ogni autorità; biasimaua quelli, che faceuano i calici d’oro, & d’argento, & perche erano sacri nonnuolauano adoprarli nelle cose profane; ma eglinon haueua questo rispetto. Sprezzator di Dio fu Dionisio tiranno di Siracusa, che spogliò il tempio di Proserpina, & doppo hebbe una buona nauigatione: onde egli con patole derisorie diceua, quanta bonaccia danno li Diià chi lor togli i suoi ornamenti. Haueua Hierone ornata la statua di Gione con un drappo d’oro, egli la tolse, & intorno li pose una ueste di lana, affermando l’oro essere inutile ad ogni stagione; perche il verno è troppo freddo,la estate è troppo graue: ma fece vn’altra sceleraggine non minore. Formauano gli antichi le statue ad Apollo, di età giouenile, & quelle di Esculapio senili, & barabate: il buon Dionisio leuò la barba ad Esculapio, dicendo, che non era cosa conueniente, che essendo il padre senza barba, il figliuolo si faceua barbato, & tutte queste cose le faceua ridendo delle superne potenze. Mezentio fù crudo tiranno, & gran sprezzatore de gli Dei, come dice Vergilio nell’Eneide: Primus init bellum Tirrenis asper ab oris, Comptor Deum Mezentius agminaque armat. Et Giouano Giorio Trissino scriue come Arnolfo era un pessimo bestemmiatore dicendo di lui così: Bestemmiatore scelerato, e ladro, E quasi infamia del paese Goto. Vn grande sprezzatore delli dei era Capaneo, come dice Statio nella sua Tebaide, mentre combatteua con quel gran serpente, che hauea ucciso, le qual parole tradotte in ottaua rima da Erasmo Valuasone, tali sono: O se animal natio di queste piante. O se pur sei sotto tal forma un Dio Et ò fosti pur Dio, ch’io farei fede, Se tanto può alcun Dio, quant’huom si crede. E parlando Ouidio di uno bestemmiatore, il quale era in fauor di Fineo, dice: Et quae ibi semianimis uerba execrantia lingua Edidit, & medios animam spriauit in ignes. Erisitone fu sacrilego, & gran sprezzator delli Dei, come mostra Ouidio nel lib.S.& mentre taglia la sacra Quercia, lo fa dire così: Non dilecra Deae solum, sed ipsa licebit, Sit Dea tanget frondente cacumine terram. Et perche uno li hauea tenuta la bipenne, accioche non commettesse cosi scelerato eccesso, esso l’vccise, & ritornò a percotere la Quercia, dalla quale vscì una voce, che diceua: Nympha sub hoc ego sum Cereri gratissima ligno, Quae tibi factorum poenas instare tuorum Vaticinor moriens. [Page 167 / 80R] Ne perciò lo scelerato affrenò la destra, ma aseguì troncando: Persequitur scelus ille suum. Da questo si può comprendere, che non giuouano ammonitioni à questi bestemmiatori, & sprezzatori di Dio: l’Ariosto pone Rodomonte per uno di questi tali, dicendo: Doue nel caso disperato, e rio, Altrì fan voto, egli bestemmia Dio. Et quando è sotto Parigi, ancor dice: Ne uien sprezzando il Ciel, non che quel muro. Et nelle sue satire, parlando di questi tali huomini giuocatori. Bestemmian Christo gli huomini ribaldi, Peggio di quei, che lo chiauaro in Croce. Si racconta ancora di un certo gentilhuomo buon compagno; ma gran bestemmiatore, il quale si dilettaua del giuoco, & quando perdeuaun soldo ritrouaua tutti i Santi, & le Sante del Paradiso; & essendo questo bestemmiatore ripreso, li rispondeua; Caglia buen ombre de Dios, chi bien riniega, bien creye; cioè, Taci buon huomo di Dio, che chi ben bestemmia, ben crede. Non uoglio che resti à dietro questo altro essempio, essendo di un’huomo scelerato, & bestemmiatore. Fu nella città di Mantoua vno di natione Sardo, chiamato Fuluio de Raspi, huomo assai commodo de beni de fortuna, ma ricchissimo piu di ogni altro di uitii, & fra gli altri era cosi ualente bestemmiatore, che non cedeua al piu iniquo huomo, che natura prodotto hauesse. Costui non si degnaua di vituperar con la sordida bocca un sol santo alla uolta, ma tutti in un sol punto uoleua con empie, & dishoneste parole biasimare: doppo un certo tempo fù accusato al Duca, & preso, & condennato in prigione sei anni. Liberato ch’egli fu di prigione s’imaginò di ritrouare un nuouo modo di bestemmiare, ponendo un nome a ciascun bottone, che hauea nel giuppone, di Dio, de Santi, & della Vergine, & quando li ueniua qualche leggierissima occasione, diceua, ridendo, non uoglio già bestemmiare, sia maledettoil primo bottone, ò il secondo , & come più li pareua; Stupiuano le genti, che l’udiuano, & era ben spesso da molti udito, come hauesse lasciato in tutto quel brutto uitio. Giuocaua benissimo al pallone, & per questa eccellenza era meno odiato dal Duca,di quello, che sarebbe stato; seguitò con questo modo di bestemmia alquanti mesi, né mai per gran cosa, che contraria accaduta li fosse, diceua altro, che de’ bottoni; il Duca, che era sagace, & accorto Principe, pareua impossibile, che sotto questa copera, egli non bestemmiassea, e però a se chiamatolo, li promise sotto la sua persona di non offenderlo in modo alcuno, & egli li dichiarò la uerità; restò il Duca molto merauigliato della pessima natura di costui, & riprendendolo li disse; che lasciasse questo [Page 168] se non lo farebbe morire. Fuluio tolto licenza si partì, & uigilando la notte, pensaua fra se medesimo, come potesse trouare nouo modo di bestemmia; ma il diauolo, che non manca di aiutar i suoi seguaci, li mise nell’animo di ritruar una picciola carta, nella quale fosse stampato tutto il Paradiso, et porla in un buco oue si giuocaua al ballone bene occultata, in guisa, che non fosse possibile, che fosse ueduta, & cosi fece: Venuta occasione di giuocare, quando li pareau tempo di sfogar la sua bestialità, percotea fortemente col bracciale sopra il buco, oue nascoso haueua la carta. Staua il Duca spesso à uedere à giuocare, & osseruando questo molte uolte, & specialmente in certe occorrenze, lo fece chiamare, e doppo molte parole; percioche lo scelerato temeua, li confessò la uerità; il Duca tenutolo in prigione certi mesi, & fattoli tagliare una orecchia, lo lasciò liberò: percioche cosi li hauea promesso con questa conditione, che giuocasse, & se piu truaua nouo modo, subito fosse squartato uiuo, & abbrusciato. Se ne stette il galantuomo molti mesi fingendo di essere amalato senza comparere in luogo, oue fossero persone, parendoli impossibile seruar la promessa, al fine imaginossi un bellissimo modo, che non l’hauria trouato il Diauolo, che uoleua parere di laudare, & sotto questo bestemmiare. Adunque cominciò a giuocare, & quando era nel feruor della colera non diceua altro, se non, sia benedetto il primo di d’Agosto, con tante risa selle genti, che nulla più, considerando, che era un de piu allegri giorni dell’anno. Seguitò con questo modo tre, ò quattro anni senza dare sospitione ad alcuno di bestemmiare. Finalmente al giustitia di Dio, che non lascia andare impuniti questi empi, & ribaldi huomini, fece, che da un suo carissimo amico fu scoperto al Duca, come che Fuluio lodandolo lo bestemmiaua: à pena li diede fede il Duca, pur fattolo prendere, & dattoli varii tormenti, confessò, che lodeua il primo di d’Agosto; percioche in tal giorno nacque Giuda, che tradì Christo. il Duca udito questo ordinò, che fosse squartato, & abbruciato questo horribile mostro dell’Inferno. Ma che diremo noi di quello scelerato Alamano? il quale diede col ferro ne gli occhi all’effigie del Redentore del mondo? non doueua egli essere un grande sprezzatore di Dio? Onde contra di lui esclamando Sertorio Casoni, dice: Ah perfido, che fai? qual cieco affetto Ti guida à un tanto, e sì nefando errore? Qual Megera crudel, qual empia Alletto, Qual peruerso furore, Così gli occhi t’adombra, che non miri, Che contra il sommo tuo fattor t’adiri? O vil Barbara mano, Crudel ministra di pensier profano, O pensier mostruoso infame, e rio; Per allegrezza incrudelire in Dio? [Page 169 / 81R] Et più sotto dice; E se de i lumi priui L’effigie di quel Dio, per cui tu uiui, Degno è, che la tua uita ogn’hor si stia Nella sua pazza cecità natia. Leone Imperatore fu crudelissimo, & sprezzatore di Dio. costui abbrusciò tutte le imagini de i Santi, ch’erano in Oriente, & mandò à dire al Papa, ch’ei facesse il simile in Roma; ma il Papamolto si merauigliò di un’huomo tanto scelerato, & empio. De gli huomini Incantatori, Magi, & Indouini. Cap. XIX. CHE i primi inuentori dell’arte Magica, & delle tacite inuocationi de’Demonii, ò con la sordida bocca espresse, siano stati gli huomini, è cosa appresso ad ogn’uno notissima, ne già si ritroua (leggansi tutte le istorie) che le donne simili arti inuentassero, & etiandio pochissime, che dopo, che furno da’maschi ritrouate, à quelle attendessero. fù inuentor dell’arte Magica Zoroastro, come si legge in titti gli ottimi Istorici, la qual cosa hauendo osseruato il Petrarca buonissimo Istorico disse: -- e doue Zoroastro Che fu dell’arte magica inuentore. Et l’Ariosto disse, parlando dell’inuentor dell’arte Maga. Ne quanta esperienza d’arte Maga, Fece mai l’inuentor Zoroastro. Scriue Giustino nel principio del suo Epitome, che Zoroastro fù re de’Battriani nella Persia, & inuentor dell’arte Magica: arte, come narra Plinio nel libro trentesimo apportatrice d’ogni sorte d’inganno, & però è maluagia, & pessima. Scrisse primo fra gli altri, come si legge nel detto Plinio, Hostane, & cercorno uarii paesi per impararla Pitagora, Democrito, Empedocle, & Platone; ma Democrito illustrandola, diuenne appresso alle genti di chiaro nome. L’augumento etiandio Simon Mago nella Città di Roma, la quale li eresse una statua in segno di honore; & tanto fù stimato da quelle sciocche genti per le sue merauigliose operationi, che fu detto di lui: Haec est virtus Dei, quae uocantur magna. Operò cose merauigliose Apollonio Tianeo, come racconta Filostrato, nella vita del detto, & nel lib.3. al cap.3. racconta, che Apollonio uidde nell’India doi vasi, ouero amphore, una, seruata per generar le pioggie, l’altra per eccitar, & generar i uenti; Onde se accadea, che l’India hauesse bisogno di humore per il troppo secco dell’aere, apriuano la bocca à quella destinata alle pioggie, & subito salitea le nubi pioueuano: & quando le pioggie troppo copiose erano, la chiudeuano. Similmente se il Sole col suo ardore troppo riscaldaua i corpi, aperto il secondo uaso, & uscendo i uenti refrigerauano lo aere dell’India. Fù tanto il ualore [Page 170] Ismeno, per quello che ne dice Torquato Tasso, era un gran mago, udite i versi: Mentre il tiranno si apparecchia à l’armi, Soletto Ismeno un dì se li appresenta, Ismen, che trar di sotto à chiusi marmi Può corpo estinto, e far, che spiri, e senta. Insmen, ch’al suon di mormoranti carmi Fin nella reggia sua Pluton spauenta, E i suoi demon ne gli empi uffici impiega, Pur come serui, e li discioglie, e lega. Et piu sotto uolendo mostrare la peruersa natura di quegli maghi, che non hanno fede in Dio uero, ne anco in Macone interamente, dice nel Canto secondo: Questi macone adore, e fu Christiano, Ma i primi riti anco lasciar non puote, Anzi souente in vso empio, e profano, Confonde le due leggi à se mal note. E più sotto mostrando, come sono empi, e scelerati, doppo che fece rapire ad Aladino nella Chiesa de’ Christiani il sacro simulacro, dice. E portollo à quel Tempio, oue souente S’irrita il Ciel co’l folle culto, e rio, Nel profan loco, e fu la sacra imago, Susurrò poi le sue bestemmie il mago. Merlino fù si gran mago, & incantatore, che predicea fin doppo morte le cose, che haueuano a uenire, essendo con l’anima, & co’l corpo nella sepoltura, come dice l’Ariosto, E la condusse à quella sepoltura, Che chiudea di Merlin l’anima, e l’ossa, Et poco innanzi dice ragionando di lui. Che le passate, e le future cose, A chi li domandò sempre rispose. Atlante era grandissimo Mago, Negromante, & Incantatore; benche non preuedesse, che Bradamante lo douesse prendere, & farlo fare, come fece, cioè disfare il suo proprio palazzo, come si legge nel quarto Canto. Di su la solia Atlante un sasso tolle, Di caratteri, e strani segni sculto, Sotto vasi ui son, che chiamano olle, Che fuman sempre, e denti o han foco occulto. Vdite quante cose fanno questi huomini peruersi per ingannar le genti, dando l’anima, & il corpo al Diauolo per potersi seruire di lui ne i loro piaceri, etiandio Malagigi era Negromante per quel che ne dice l’Ariosto. Malagigi, che sa d’ogni malia, Quanto che sappia alcun mago eccellente. [page 171] Et Procopio per quanto mostra il Trissino era eccellentissimo in queste arti dicendo nel primo lib. della sua Italia liberata, Procopio era uno Astrologo eccellente, Cui per gratia del Cielo eran palesi L’incogniti uiaggi delle stelle. E le sagaci note de gli augelli Onde sapea predir di tempo in tempo Tutte le cose, che douean uenire. Numera Hidraotte fra magi Torquato Tasso dicendo nel 4. lib. Reggea Damasco, e le citta uicine Hidraotte famoso, e nobil mago, Che fin da i suoi primi anni à l’indouine. Arti si diede, e ne fù ogn’hor piu uago: Ma che giouar se non potè del fine Di quella incerta guerra asser presago. Ne d’aspetto di stelle erranti, e fisse, Ne risposta d’inferno il uer predisse. Che ualente stregone era costui non predicendo la uerità di alcuna cosa. Ne à costui cede Alfeo, che come dice l’Ariosto era pien d’Astrologia, et etiandio mago. Medico mago, e pien d’Astrologia, Ma pocco à questa uolta li souenne. Anzi egli disse in tutto la bugia, Predetto egli s’hauea, che d’anni pieno, Douea morire à la sua moglie in seno. Et piu sotto E pur li ha messo il cauto Saracino La punta della spada nella gola. Ancho Ombrone era buono incantatore, et strigone, et Sacerdote, et Capitano, uenne in fauor di Turno nella guerra contra Enea, come dice Verg. nel lib. 7. dell’Eneide. Quin, e Marrubia uenit de gente Sacerdos Fronde super Galeam, et felici comptus oliua, Archippi Regis missu, fortissimus Vmbro Vipreo generi, et graviter spirantibus hydris Spargere qui somnos cantuque manuque solebat, Mulcebatque iras, et morsus arte leuabat. Sed non Dardaniae medicari cuspidis ictum. Eualuit: Giacobo Sanazaro introduce nella sua Arcadia à parlar Serrano di quei maghi, ò stregoni, poiche li fù inuolato da loro parte del gregge dicendo. Bel furto si vantò, poi c’hebbe hauutolo. [page 172] Che sputando tre volte fù inuisibile A gli occhi nostri, ond’io saggio reputolo. Che se’l vedea di certo era impossibile Vscir viuo da cani irati, e calidi Oue non val, che l’huom richiami, ò sibile. Herbe, e pietro mostrose, e succhi palidi, Ossa di morti, e di sepolchri poluere Magici versi assai possenti, e validi Portaua in dosso, che’l facea risoluere In vento, in acqua, in picciol rubo, ò selice Tanto si può con arte il mondo inuoluere. Narra Giouanni Botero, che gli huomini di Biarmia, et i Laponi viuono à un medesimo modo, et che questi popoli attendono alla Magia, et con i loro incantesmi offuscano l’aere, eccitano tempeste, rendono gli huomini immobili, vendono il vento à nocchieri, et si seruono de Demonii à prezzo, dicono cose auuenute in lontani paesi. (Dio buono) quanta inuidia douono portare a costoro certi stregoni delle nostre parti, che non vagliono un Bagatino. Tiresia Thebano fù indouino, come dice Ouidio ragionando di lui nel lib. 3. delle Metamor. Ille per Aonias fama celeberrimus vrbes Irrepraehensa dabat populo responsa petenti: Euripilo fù etiandio Augure nel campo de Greci, Calcente ancor egli fù douino come dice Vergilio nel lib. 2. Hic Ithacus vatem magno Calchanta tumultu Protrahit in medios; Etiandio Melampo fù grande indouino. Et Amphiaro, come scriue Statio nella sua Thebaide. Come mostra Lucano, Aronte era Augure della Città di Lucca, non manco famoso di quanti altri prima di lui haueuano fatto professione di questa arte. Asdente Parmegiano calzolaio huomo grosso, et idiota, si diede all’arte dell’indouinare, et però Dante lo pone nell’inferno, et dice. -io vidi Asdente C’haver arteso al cuoio, et à lo spago Hora vorrebbe, ma tardi si pente. Leone Imperatore, come scriue Niceta Acominato infino dalla sua prima fanciulezza godeua, et si dilettaua oltre modo delle inuocationi de demoni, et attese in tutta la sua vita à Magiche incantationi, facendo sanguinosi sacrifitii, et mille altre scelerate cose per far incantesmi. doue lascio io Philodemo incantatore famoso come dimostra il Trissino di lui ragionando? Prima si chiuse in un secreto loco, E poscia fece un cerchio su’l terreno, E v’entrò dentro co’l libretto in mano, [page 173] Poi messaui una Pentola nel mezzo, Con certe ossa di morto, e certi segni Di sangue humano, e di Ciuette e Gufi, E mentre che leggea sopra il quaderno, L’apparue un spiritel lungo una spanna Su l’orlo de la pentola à sedere, Poi crebbe in forma spauentosa, e fiera. Horsu questi bastino; Percioche infiniti sono stati gli stregoni, i Negromanti, et coloro, che hanno dato fede ad ogni sorte de augurii, come si può leggere in tutte l’historie, et in particolare attesero à tutte queste arti i Persiani, ma più i superstitiosi Greci; ma ancor più de Greci i Romani, i quali non mangiauano una cipolla ò non beueuano, se non domandauano prima il consiglio all’oracolo, ò se non osseruauano il volo de gli ucelli, ò il lor garrire, credo, che à nostri tempi nella Magia, et Negromantia sia un grande huomo il Passi; percioche dottissimamente ne suoi scritti ne ragiona. De gli huomini bugiardi, et mendaci. Cap. XX. Poco mi affaticarò intorno à i bugiardi, et mendaci; percioche costoro per il più sono nella compagnia de perfidi, et spergiuri, fraudolenti, et ingrati, i quali tutti sono veri alberghi delle bugie, dirò solamente, che il volere far credere ad altrui una falsità per una verità sia cosa da huomo scelerato, iniquo, et poco buono, per se enim mendacium prauum, et vituperatione dignum, et mentientes vituperio afficiendi sunt. Cosi insegna Aristotele nel 4. dell’Ethica al cap. 7. et perche la bugia è detta da alcuno solamente per diletto, ouero per desiderio di guadagno, ò di gloria, come nel medesimo luogo si legge, tanto il bugiardo, et mendace sarà stimato più cattiuo, quanto il fine sarà ad altrui più dannoso: ma veniamo à gli essempi, et non di una persona sola, ma di infinite insieme. Africa tutta è bugiarda, et vana, et pero l’Ariosto, ragionando di Rodomonte, che piùtosto, che dire una verità sarebbe morto, dice. Et nel mancar di fede Tutta à lui la bugiarda Africa cede. I mercanti quasi mai non dicono una parola vera, De’ sartori non accade dirne, perche Mercurio diede a loro a beuere tutto il vaso pieno di bugie. i marinari poi sono, come dice il Boccaccio tutti bugiardi. Et Argrilupo, come narra il Trissino nella sua Italia liberta, era un gran bugiardo. Simulator, bugiardo, e fraudolente Persecutor del Padre, et de Fratelli [page 174] Et il Tasso parlando de’ Greci dice. La fede Greca à chi non è palese? Tu da un sol tradimento ogn’altro impara: Anzi da mille: perche mille ha tese Insidie à voi la gente infida, auara. De gli huomini gelosi. Cap. XXI E LA gelosia una interna passione di animo nata per sospitione, che alcun’altro non godi la persona amata, descrittione di Cicerone nel lib. 4. delle Tusculane con queste parole. Obtrectatio est ea, quam intelligi zeloty piam volo, aegritudo ex eo, quod alter quoque potiatur eo. quod ille ipse concupiuerit. Laqual apporta tanta afflittione, et ramarico all’huomo, che lo rende ben spesso disperato, et di se stesso fuori, et percioche ella causa tante perturbationi d’animo, l’Ariosto la chiamò con questi cinque nomi tutti denotanti passione in quella stanza. Quasi dolce più, qual più giocondo stato. Cioè, Sospetto, Timore, Martiro, Frenesia, et Rabbia, inducendo ella ne gli huomini tutti questi noiosi, et spiaceuoli effetti: alle quali cose hauendo riguardo Torquato Tasso la chiamò d’amor ministra in dar tormenti à i cuori, et da lei fa dir queste parole. Questa c’ho nella destra è di pungenti, Spine, onde sferzo de gli amanti il seno, Ben ho la sferza ancor d’empi serpenti Fatta, e infetta di gelido veneno; Ma su le disleali alme nocenti L’adopro, quai fur già Teseo, e Bireno. L’inuidia la mi diè compagna fera Mia, non d’amor, la diede à lei Megera. Di pianto ancor mi cibo, e di pensiero E per dubbio m’auanzo, e per disegno, E mi noia egualmente il falso, e’l vero, E quel, ch’apprendo in sen, fiso ritegno: Ne sì, ne nò, nel cor mi sona intiero, E varie larue à me stessa disegno; Disegnate le guasto, e le riformo, E’n tal lauor mai non riposo, ò dormo. Et segue: Sempre erro, e ouunque vado i dubbii sono. Et la descrisse etiandio Bernardino Tomitano in questo Sonetto. [175] O maligna, ò crudele, ò di dolore, E di tristi pensieri antico albergo, O duro spron, che mi percuoti à tergom Per far l’empio mio stratio ogn’hor maggiore. O sferza di martir, nido d’errore, Oue quanto io più mi rileuo, et ergo In più profonda parte mi sommergo Stimulo auezzo à tormentarmi il core. O Gelosia crudele, ò mortal piaga, Cui quanto procacciar salute io penso, In più nobile parte all’hor t’interni. Maligna Circe, e dolorosa Maga, Che priui altrui del suo più chiaro senso, Perche si crudelmente hor mi gouerni. Et ancora Luigi Tansillo in questo modo parlò di lei. O d’inuidia, e d’amor figlia si ria, Che le gioie del padre volgi in pene, Cauto Argo al male, e cieca Talpa al bene, Ministra di tormento gelosia. Tesifone infernal, fetida Arpia, Che d’altrui dolce rapi, et auelene, Austro crudel, per cui languir conuiene Il più bel fior della speranza mia. Fiera da te medesima disamata, Augel di duol, non d’altro mai presago, Tema, ch’entri nel cor per mille porte. Se si potesse à te chiuder l’entrata, Tanto il regno d’amor saria più vago, Quanto il mondo senza odio, e senza morte. Et Giovanni della Casa fece un Sonetto sopra questa fiera, che incomincia: Cura, che di timor ti nutri, e pasci. Il quale commentò Benedetto Varchi. Sicuramente, et à ragione sono tormentati più gli huomini da questa furia infernale, che non sono le donne; percioche le donne sono più belle de gli huomini; adunque et più amabili, et care, et se piu care, et amabili sono, senza dubbio saranno sempre con timore possedute, et guardate: accioche della medesima beltà non ne venisse alcun’altro amante, et vagheggiatore, et di qui auuiene, che non si ritruoua huomo, che non sia geloso; ma chi più, e chi meno, conoscendo la nobiltà, et eccellenza della donna: et però schiuano, et fuggono spesso di parlare, ò di scriuere della beltà della cosa amata, non dirò di lasciarla vedere, dubitando di una tanta perdita, et uno di costoro era Francesco Maria Molza, come egli stesso dice. [176] Io son del mio bel sol tanto geloso, Ch’io temo di chiunque fiso il mira, Però, ciò che di quello amor m’inspira Quanto più posso, vo tenendo ascoso, Nè di scoprirlo in Rime altrui son’oso, Che troppo di leggier’ in pianto, e in ira, Poria tornarmi, e doue ne sospira, Sol meco l’alma, starsi altri pensoso: Cosi ne’ lacci posto da me stesso, Miser cadrei, e’n perigli da guerra, Che incontra à me medesmo hauessi ordita Non è poco il tacer, che m’è concesso, Anzi la gioia, ch’el mio petto serra, Quanto è celata più, tanto m’aita. Questa scelerata rabbia fù cagione, che Giustina Nobilissima Romana fosse dal suo Consorte pochi giorni dopo le nozze uccisa; perché ella sciogliendosi un calzare, egli mirolle il collo, alquale non sò, se la neue, ò il latte fosse buon paragone, essendo ella più d’ogni altra bellissima, et solamente mirando quella candidezza, si lasciò ingombrare il petto da una crudelissima Gelosia, et senza pensar più oltre troncolle il capo. Onde si legge questo Epigrama sopra il suo sepolcro. Immitis, ferro secuit mihi colla maritus, Dum propero niuei soluere vincla pedis, Si può sentire la più siocca, e bestiale Gelosia di questa? Memmio Romano era tanto ingelosito di una Giouine in Terracina, che ritrouando un suo riuale chiamato Largio, et non hauendo armi assaltandolo coi denti e li morsicò un braccio. Onde nacque un prouerbio. Lacerat Lacertum Largii mordax Memmius, ò quante sono uccise à torto donne, benche pudiche per cagion di questa infernale Arpia. Alessio Comneno, come raconta Niceta Acominato, era Geloso della Moglie Eufrosina, et hauendone hauuto sospetto la priuò di tutti gli ornamenti, et titoli Imperiali, et la mandò uilmente in un Monesterio di Monache. Al fine hauendo ritrouata la uerità la ritolse, et li diede i primi ornamenti, et titoli di prima. Però l’huomo Geloso non fa bene à se medesimo, et manco à gli altri, et Clodione come scriue l’Ariosto era molto Geloso dicendo. Ma Clodion, che molto amaua, e molto, Era Geloso in somma si consiglia, Che forestir, sia chi si voglia, mentre, Ci stia la bella Donna qui non entre, Et parlando di Rodomonte anchor egli geloso, dice: A questo annuntio entro la gelosia, Fredda come Apse, et abbracciò costui. Et Eustatio come dice Torquato Tasso, era geloso, et à pena dir si [page 177] può, che hauesse veduto Armida, che temeua la bellezza, et virtù di Rinaldo, come si legge nel canto. 5. à stanza 8. No’l vorrebbe compagno, e a’l cor l’inspira, Cauti pensier l’astuta gelosia. Et Nel canto istesso, dopo che furno usciti à sorte Artemidoro, Serardo, et Vincilao, che dice de gli altri. D’incerto cor, di gelosia dan segni, Gli altri, i cui nomi auien, che l’urna asconda, E da la bocca pendon di colui, Che spiega i breui, e legge i nomi altrui. Ma come fù uscito à sorte il numero eletto da partirsi con Armida, et che gli altri restorno tanti bei Alocchi [?], si legge: D’ira, di Gelosia, d’inuidia ardenti, Chiaman gli altri fortuna ingiusta, e ria, E te accusano amor, che le consenti, Che ne l’Imperio suo giudice sia. Et Propertio era tanto tormentato dalla Gelosia, che dice: Riualem possum non ego ferre Iouem. Et etiandio il Petrarca fù molto trauagliato da questa cruda Gelosia, come egli stesso dice. Amore, e Gelosia m’hanno il cor tolto. Et altroue. Subito in allegrezza si conuerse, La Gelosia. Et à Zerbino, quando vide Isabella col Conte, entrò nel petto tanta Gelosia, che haueua più affanno à vederla d’altrui, che se fosse come credeua morta. Come dice l’Ariosto. Che vederla d’altrui, peggio sopporta, Che non fè, quando udì, ch’ella era morta. Hauendo Dario come scriue Giouanni Tarcagnota inteso da un suo Eunuco la morte di Statira sua moglie, laquale era stata presa da Alessandro, et come in medesimo Alessandro hauea pianto per lei, et l’hauea honorata, et sepelita con grandissima pompa, fù preso da uno affanno grande di Gelosia; et però menando l’Eunuco da parte lo cominciò a minacciare, che confesasse il uero: ma tanto l’Eunuco lì giurò, et affermò. come Alessandro non hauea mai veduta la Regina, se non il primo giorno che la prese, onde li die fede, et la pianse. Senapo Rè dell’Etiopia era gelosissimo, della moglie, come dice il Tasso. N’arde il marito, et de l’amore al foco, Ben de la gelosia s’agguaglia il gelo, E và in guisa auanzando, à poco, à poco, Nel tormentato petto il folle zelo, Che da ogn’huomo l’asconde in chiuso loco, [page 178] Vorria celarla à tanti occhi del Cielo. Fra tutti i gelosi credo, che tengano il principato gli huomini di Cattaro; percioche non lasciano le donne andare à messa se non inanzi giorno, accioche non sieno vedute, et il giorno di Natale a mezza notte. quando si confessano, sono sempre presenti, ma alquanto discosti dal Sacerdote, et vanno osseruando i moti, et stanno attenti, et immobili prouando se udir potessero le riprensioni. Cosa iniqua, e se si confessano per qualche infermitade stanno nella medesima camera ritirati in qualche parte, ma non molto discosti. alle feste le donne non danzano, ma gli huomini. quando sono amalate, fanno gran cosa à chiamar medico, ma quando vedono la infirmità essere graue, lo chiamano. le donne stanno in letto chiuse fra certe cortine, et porgono il braccio, et à pena lasciano à loro toccar il polso, ne meno interogarle de disordini, ò d’altro, perche dicono à Medici. Horsu hauete inteso il tutto, andiamo. à finestre non si approssimano, anzi alcuni fanno certi spiragli uolti verso il Cielo, da quali pigliano il Lume del Sole, per asciugare loro il capo. Se vanno ad alcuno ricreatione, ò nozze, sempre sono lor dietro, ò auanti à far la discoperta, et molti non si partono di casa ne giorno, ne notte, ne anco della camera, oue è la moglie. i lor sonni sono pieni di spauento, et di timori, temendo che alcuno l’ami, però si suegliano con tremori, et palpitatione di cuore. pensate per vostra fè, che pazzia è questa di quei pouerelli, et che patienza è quella delle donne: ma se le hauessero più belle di quelle, che hanno, impazzirebbono: ma la lor buona sorte conoscendo la sciochezza di questi huomeni, fà che assai brutte le possedono. Scriue Antonio da Salonichi, che un certo Francesco de Scloui hauendo letto le Metamorphosi d’Ouidio non uoleua, che il Sole entrasse in Casa, temendo che della moglie non s’inamorasse, che vi pare? ò che Gelosi perfetti sono questi, et di mente priui. [179] De gli huomini ornati, politi, bellettati, et biondati. Cap. XXII. Che all’huomo nato politico, et ciuile stia bene l’andar fino ad un certo segno ornato, et polito è cosa ad ogn’un notissima, come dimostra il Casa, et il Cortigiano ne’ suoi ragionamenti: et se all’huomo è conueniente, maggiormente si dee credere, che alla donna conuenga; percioche risplende più la beltà fra ricche, et pompose uesti, che tra pouere, et rozze, come mostra il Tasso nel suo Torrismondo, facendo ragionar la Regina à Rosmonda, dicendo: Perche non orni tue leggiadre membra Di pretiosa veste? e non accresci Con habito gentil quella bellezza, Che’l Ciel à te donò cortese, e largo? Bellezza inculta, e chiusa in humil gonna, E quasi rozza, e mal polita gemma, Che’n piombo vile ancor poco riluce. Et essendo la bellezza proprio dono della donna datole dalla suprema mano, non deue ella con ogni diligenza cercar di custodirla? Et quando ne sia poco di tale eccellenza ornata, di augumentarla con ogni modo possibile, ma non già vitupereuole? io certo credo, che cosi sia: percioche se fosse proprio all’huomo, dirò per essempio, la fortezza del corpo, et il fare il gladiatore, ò il brauo, per ragionar secondo l’uso comune? non cercarebbe egli di conseruarsi tale? se nato fosse brauo; non tentarebbe di augumentare quel suo natio ardire con l’arte del schermire: ma se nato poco ardito di animo fosse, si essercitarebbe nell’arte del combattere, et si coprirebbe di piastra, et maglia, et cercarebbe di essere menato, oue si facessero duelli, et combattimenti; et tutte queste cose sarebbe per dimostrarsi brauo, et non come veramente fosse timido, et codardo. Io ho dato questo essempio; percioche non si ritroua huomo, che non facci il rompicollo, et il brauazzo; ma se vi è alcuno, che non facci questa professione, lo chiamano d’animo feminile, e per questa ragione gl’huomini sempre si uedono con l’armi alla cintola, con vestimenti, che hanno del soldato, et con le barbe accommodate in guisa, che paiono, che minacciano, et caminano con certi passi, che credono di porger altrui spauento, et con guanti di maglia, et spesso spesso fanno in modo, che il ferro lor risuoni intorno; accioche le genti si accorgino, che attendono al ferro, cioè alle spade, alle battaglie, et habbino di loro timore: che sono tutte queste cose, se non belletti, et orpellature? et sotto queste coperte d’ardito, et di valoroso, celano un vilissimo animo di coniglio, ò di fuggitiua lepre. Et anco il medesimo intrauiene nell’altre professioni. Se adunque cosi è, [page 180 folio 87] perche non potranno le donne, che dalla natura sono generate men belle delle altre, coprir le sue poco belle parti, et augumentar la poca beltà con qualche arte, ma non però stomacheuole? et che peccato sarebbe, se una donna nata per la beltà riguardeuole, si lauasse il delicato viso con Succo di Limoni, et acqua di fiori di faua, et di ligustri per leuar via macchie causate dal sole, et per tenersi la carne polita, et morbida? ò se con un colombino, et pane bianchissimo con succo di Limoni, et perle, facesse altro humore da tenersi terso, et morbido il uolto? Picciolo a giudicio mio, et se nel candor de gigli del suo uiso non fiammeggiassero le rose, non potrebbe ella con qualche arte renderlo alquanto simile à l’ostro? Certo si senza punto di riprensione, percioche si deue la beltà hauuta conseruare, et la mancheuole render quanto possibile sia perfetta, leuando ogni impedimento, che prohibisce lo splendore, et la gratia di quella: et se i capelli sono lodati da scrittori, et da Poeti cosi antichi, come moderni di colore simile all’oro augumentando la beltà: perche non deue la donna ciuile, non dirò santa, renderli biondi? et per maggior ornamento innanellati, et crespi? Diremo dunque in questo modo, che alle donne, come creature belle si conuiene conseruar la beltà et la mancheuole perfettionare in modo però, che non diuengano mascheroni con l’impiastricciarsi il uiso: perche è cosa indegna, et stomacheuole lo hauere quattro dita di biancho, et di rosso sù il uiso, non biasmorno in tutto i Santi Padri l’adornarsi, et il lisciarsi nelle donne, ma vituperorno l’eccesso di quello. Come scriue il dotto Augustino nella Epistola 73. ad Poss. onde permettono alle donne maritate l’adornarsi, et il rendersi polite con proposito però di piacer solamente à i lor consorti. Conuiene adunque alle donne L’adornarsi, et è da Padri Dottori permesso per conseruar la propria beltà, ò per parer più belle di quello, che sono. Ma che diremo noi de gli huomini? à i quali la beltà non è propria, et pur continuamente si sforzano di parer belli, et leggiadri non solamente con uarii uestimenti fregiati di seta, e d’oro, in guisa che molti si trouano, che spendono tutto il loro hauere intorno à un uestimento, ma con collari à merauiglia lauorati. Che diremo de medaglioni che portano nelle birette, de bottoni d’oro? et de i gioielli di perle? de Pennoni, et Pennini, che chiamano Argironi, ò Aeroni, et delle tante liuree, Con le quali mandano le case in ruina? vanno con i capelli inondati, lucidi, et profumati. quanti ne sono? che paiono hauere una Bottega di profumiere con esso loro, ò quanti uanno alle barbarie ogni quattro giorni per mostrarsi rubicondi, tersi, et giouinetti, anchor che uecchi? quanti si tingono le barbe quando cominciano per l’horrido uerno della vecchiezza à biancheggiare? quanti con pettini di piombo si pettinano, per tingere le canitie? quanti si cauano i peli canuti per parere anchora in età fiorita? tralascio de pendenti all’orecchie, che portano i Francesi, et altri oltramontani, et de manili pur de Galli inuentione, come si [page 181] legge in Titio Liuio. ò quanti se ne stanno tre, et quattro hore ogni giorno à pettinarsi, et à lauarsi adoprando quante Balle di Sapone che vendono i Ciaratani in piazza? del profumarsi, et del porsi le scarpe non accade parlarne, che bestemmiano tutti i Santi; perche sono strette, et i piedi grandi, et vogliono, che i piedi grandi stieno nelle scarpe picciole, cosa ridiculosa. Ma bisogna, che io adduca alcuno essempio accioche non paia, ch’io habbia detto la falsità. Ortensio Oratore famosissimo tutto il giorno staua à uagheggiarsi nello specchio, et à comodarsi le falde delle vesta. Non merita silentio Demostene gloria della greca eloquenza, il quale quando doueua orare in publico, si componeua la faccia allo specchio, cosa degna di biasmo, che in cambio di essere occupato nella grauità delle sentenze, gettasse il tempo in vanità sciocche. Ma doue resta Lisocrate, che spendeua tutto il giorno in biondeggiarsi per parere bello? Doue Aristagora? che tanto si imbellettaua, et lisciaua, che fù chiamato Maddonna Aristagora? Doue Mecenate? che di odoriferi unguenti, di belletti, di Margherite, et di ogni sorte di ornamento auanzaua la più lasciua femina, che al mondo fosse. Sardanapalo Rè de gli Assiri doue rimane, il quale metteua carestia ne belletti, et nell’altre uanità? Et i popoli Massiliensi si imbellettauano, et biondeggiauano; et etiandio i Valentiani, i quali solamente uiuono con delitie, lasciuie, et piaceri, et però l’Ariosto paragono Ruggiero ornato con mille uanità à costoro dicendo. Tutto ne gesti era amoroso come, Fosse in Valenza a seruir donne auezzo. Et come dice il Bottero gli Spagnuoli per natura si dilettanodi uaghezza, di attilatura, et di apparenza come poi stieno nelle altre cose non pensano. Non merita d’essere lasciato à dietro Commodo Imperatore, ilquale benche fosse crudo, et scelerato, era nondimeno uano, lasciuo, et molle. Il suo maggiore studio era intorno al biondeggiarsi, et dispensaua il tempo in bagni, et altri piaceri, et benche fosse maluagio non si uergognò però di prendere il nome di huomini inimicissimi de vitii, come fece pigliando il nome di Ercole, doue che in uece di Commodo Antonino figliuolo di Marco Aurelio Antonio si faceua chiamare Ercole figliuolo di Gioue, et quello, che più faceua mouer le risa, era, che intorno si mise una pelle di Leone, et prese una mazza in mano, et andaua notte, et giorno dando fiere mazzate uolendo imitar Ercole. Et alcuna uolta si lasciaua uedere tutto uestito alla usanza di una Amazone; ma ornato di perle, e d’oro. Cosi questo valoroso Imperatore spendeua il tempo in queste sciocchezze: ma che diremo noi degli Agrigentini? i quali tanto si dilettauano di pompa, et di uestimenti fregiati, che spendeuano quasi tutto il loro hauere? Che di Lucullo, che uiuea tanto lasciuamente, che fù cagion di questo prouerbio, Viuit vt Luculus. Et Eliogabalo era più di ogni altro uano, scioccho, et lasciuo, costui, come scriuono gli Historici, imponeri [page 182] con le sue uanitadi, et sciocchezze, l’Impero Romano, anchor che ricchissimo fosse. Portaua i manili di perle, collane, et anella di grandissimo pretio, uestimenti di seta, e d’oro tempestati di perle, et di altre pretiose gemme. fino sopra le scarpe haueua pietre di ualuta immensa: ma lasciamo costui, percioche è tutto vanità, e ritrouiamo Ercole, ilquale come dice Ouidio nella Epistola, che li manda Deianira era uano, molle, et gran lisciatore, i versi del quale tradutti in uolgare da Remigio Fiorentino tali sono. Vidi i monili à quello Erculeo collo, A cui picciola già fù soma il Cielo; Non ti parue vergogna hauer d’intorno, Le perle, e l’oro à le gagliarde braccia, Ardisti anchor d’ornar l’hirsute chiome, Di nastri, e frange. E veramente sono inumerabili gli huomini, che attendon alle vanità, et à rendersi con arte lucidi, et tersi. Ma non voglio, che il tempo inuoli la memoria di un legiadro giouinetto di età più verso à gli ottanta, che à i settanta anni, gentilhuomo di Lombardia Illustre, et nobile, et de beni di fortuna ricco. Costui s’inamorò di una gentildonna bellissima della sua propria Città; il Fanciullo, che di poca leuatura era si diede à credere, che la gentildonna lo riamasse, et per lei faceua le maggiori pazzie, che mai si udissero nominare: rare erano le notti, che il buon giouinetto col suo dolce liuto in braccio sonando, et cantando non facesse secondo quel tempo le serenate, et matinate sotto la finestra della camera, doue la gentildonna dormiua, et cantaua assai, reputandosi di cantare benissimo, e di hauere una soauissima voce: ma faceua ridere le brigate, hauendo una voce di ranocchio, et spesso, spesso mentre racontaua le sue amorose passioni faceua il tremulo, con ilquale il canto più gratioso rendeua. Costui per celar le Chiome, che già per l’età erano uenute d’argento, ogni mese le tingeua, la barba nò; percioche alhora non si usaua, ma bene ogni dui giorni ordinariamente si radeua. Certo, ch’egli era un gratioso spettacolo, uedere sotto quelle zazzera di giouine lucida, pettinata, et fatta à onde col ferro caldo, una fronte crespa, rugata, et negra, et duo occhi scarpellati, et riuersi, il naso gocciolante, le guancie ritirate in dentro, La bocca isdentata, le labbra liuide, smorte, et tremanti, et per non andar più oltre pareua un uiso di angelo da far fuggir il gran Diauolo dell’inferno. Quando era in casa, staua sempre allo specchio, et mirandosi andaua nelle maggiori chollere del mondo, et diceua, ch’egli era un traditore, et un bugiardo, che non mostraua la uera natura, et che se mentiua per la gola, et pieno, di sdegno li faceua far la penitenza gettandolo in terra, et pestandoli sopra con piedi. Del vestire, che diro io? percioche seco hauria perduto la [page 183] più gran fiera di Crema portaua un birettino rosato tutto tagliato con cordoni, et cordelle d’oro, et d’argento gli uestimenti tutti fregiati, et ricamati con le maggiori bizzarie, che ueder si potessero, certo disconuenienti ad un buffone. Del ballare poi che diremo noi? la prima danza in tutte le feste della Città era la sua, anchor che à pena si reggesse in piedi, era più giotto di giuocare alla palla da uento, che l’Orso del mele, et doue ritrouaua giouani giuocatori, spogliauasi in farsetto, et alcuna uolta in camiscia per mostrar meglio la bella disposition del corpo, in niuna parte contraria alla bellezza del uolto: ma non rimanea di seguitare l’amata donna più pertinace da un cane in seguitar la fiera. Il Carneuale ogni giorno si trauestiua mutando ogn’hora abiti, et foggie. Lungi da lui stauano i salterii, et l’orationi, sempre parlaua di cose amorose, et liete. qusto [questo] Babione fù pazzo in uita, et dopo morte; percioche morendo fece questo testamento, cioè che sopra la sua sepoltura fusse incisa per man di famoso mastro l’Historia di Piramo, et di Thisbe, tauola [fauola?] amorosa; et anchora un cupido alato, il quale con l’arco teso saettaua un core. Si può sentir meglio? certo nò. A frigi, che dice Numano nel libro 9. dell’Eneide di Virgilio, che si adornauano, et lisciauano? Voi con l’ostro, et co fregi, et co le giubbe, Immanicate, et coi fiochetti in testa, A che valete? à gir cosi dipinti, Et cosi neghittosi? à far balletti. Et il Tasso ragionando della gente Egittia dice nel Canto. 17. La turba Egittia hauea sol archi, e spade, Nè sosterria d’elmo, ò corrazza il pondo, D’habito è riccha: ond’altrui vien, che porte Desio di preda, e non timor di morte. Nerone era oltre modo lasciuo, pomposo, et ornato, et mai non si metteua vesti intorno, che non valessero gran quantità d’oro, et stando nello specchio lodaua le chiome; perche pareuano d’oro, et etiandio gli occhi; perche li haueua lucidissimi. Ne voglio che resti à dietro Alessio Comneno Imperatore, il quale, come racconta Niceta Acominato, sempre si mostraua con bellissimi vestimenti d’oro, con lauori di perle di grandissima importanza, et come dice Plutarco Aristotile di dilettaua di star pulito, et attilato oltre modo; portando vestimenti bellissimi, et tutte le dita piene di anella. Non uoglio, che’l tempo inuoli la memoria di un Cortigiano Ferrarese, il quale hauea quanti saponetti, profumi, acque odorifere, et uanità, che erano in Italia: costui spendeua tutta la mattina in pettinarsi, pulirsi, et scopettarsi, et spesso bestemmiaua, che non li pare- [page 184] ua di essere giunto al segno, che desideraua. Non v’era ne in Spagna, ne in Italia, chi meglio di lui calzasse bolzacchini, et era tanto amatore della nettezza, che in uenti anni mai fu visto mangiare insalata senza guanti, che ui pare? credete che trouar si potesse il piu gentile di costui? ma non cede a lui Galieno Imperatore, il quale portaua sempre uesti pretiosissime piene tutte di gemme: Era tanto sciocco il miserello, che si spargeua li capelli di limature d’oro; accioche rilucessero; si lauaua il uiso con uarie acque per diuenire bello, nè si lasciaua uedere, se prima non era stato un’hora con lo specchio, à consigliarsi, mangiaua, sopra mantili d’oro, et con tutti i uasi d’oro con grossissime perle, nella primauera si faceua fare le camere, et i letti di rose, nell’Autunno i Castelli di pomi. Nel più bel dell’Inuerno haueua i melloni in tauola, insegnò come tutto l’anno si potesse hauere mosto [molto?]. De gli huomini Heretici, et inuentori di nuoue sette. Cap. XXIII. Stupisco fra me stessa, come alcuni Scrittori ardiscono di affermare, che le donne habbino inuentate nuoue sette, et ritrouate nuoue heresie; percioche se noi parliamo innanzi la uenuta di Christo, non ritrouaremo donne, che fossero inuentrici dell’Idolatrie, ne meno, che hauessero in quelle false religioni opinione alcuna strauagante. Della Idolatria fu inuentore Belo, et però il Petrarca dice: Belo, doue riman colmo d’errore. Et Nabucodonosoro, non fece una statua d’oro, et uolse, che fosse adorata? Gli huomini di Babilonia non posero il giusto Daniele nel lago de’ leoni? perche haueua loro ucciso il drago, et destrutto il loro Idolo Bel? et mille altri, ch’io tralascio, come coloro, che haueuano poca fede ne’ Dei: se delle heresie ritrouate doppo la uenuta di Christo ragioniamo, gli inuentori furono infiniti, et tutti huomini, et Santo Agostino nel libro delle heresie fa mentione di nonanta famosi inuentori di quelle, i seguaci de i quali seruano il nome loro; come Simoniani da Simon Mago, Cerinthiani da Cerintho, Cerdoniani da Cerdone, Origeniani da Origene, Manichei da Manin Persiano, Arriani da Arrio, Floriniani da Florino, Tertullianisti da Tertulliano, Pellagiani da Pellagio Monacho, Nestoriani da Nestorio, et cosi da molti altri, che per breuità tralascio; ma quanti doppo Santo Agostino ne sono stati, et hora sono, come Caluino, Ugo, Martin Luthero, et tanti altri, che hanno hauuti per seguaci i Regi, et i Prencipi, et [page 185] poi le prouincie intiere, et i regni, et se si ritrouano donne, che sieno heretice: non è, perche sieno state inuentrici di heresie, ma perche da gli huomini hanno imparato, et anco sforzate furno, et sono da quelli à seguitarle contra la propria uolontà. De gli huomini lagrimosi, et teneri al pianto. Cap. XXIIII. Il pianto, io credo, che non sia uitupereuole, quando è fatto per la morte de’ carissimi genitori, ò per altra causa honesta, et degna, ma poco laudabile egli è, quando è sparso per lieui, et sciocche cagioni; ma vitupereuole, et biasimeuole è, quando per ingannare altrui si sparga, come fanno tutti gli huomini amanti, i quali l’Ariosto uolendo mostrare, che sono lagrimosi ingannatori, dice: Siate a i preghi, et a i pianti, che ui fanno, Per questo essempio à credere piu scarse. Sono molti, che dicono, che le donne facilmente piangono, et però voglio, che uediamo, se ritrouiamo huomini ancor noi lagrimosi: Vno di questi, io credo che fu Silla Imperatore, il quale era tanto piegheuole, che li veniuano le lagrime da gli occhi per ogni picciolissima causa, et un giorno essendoli raccontata la guerra delle rane, et de’ topi piangeua, che pareua, che hauesse il padre dinanzi à gli occhi morto, parendoli che una rana fosse stata la pouerina troppo malamente trattata. Alessandro, come scriue Plutarco, pianse copiosamente la morte del suo cauallo Bucefalo, et per consolarsi in parte fece una città, et la chiamò Bucefalia. Pianse ancora Clito, ma con assai manco dolore, che egli stesso ucciso hauea. Achille nel primo Canto dell’Iliade d’Omero piange alla mamma, che pare un fanciullino; per li fù tolta la figliuola di Briseo premio delle sue fatiche, et lamentandosi, piange, come dice Omero in quei uersi, i quali tradotti in lingua volgare da Luigi Grotto d’Adria, tali sono: Hor altro non riman, che perder questa Vita, e perduto haurò ciò, che mi resta, Così dice egli, e d’uno humor secondo Gli occhi li colma il suo dolore intanto. Ma che dirò io del Petrarca? che sempre piangeua per amore di Laura, come egli stesso dice in questo, et in tutti gli altri Sonetti? Tutto il dì piango, et poi la notte quando Prendon riposo i miseri mortali, Trouomi in pianto, et raddoppiarsi i mali: Cosi spendo il mio tempo lagrimando, In tristo humor vò gli occhi consumando. [186] Et altroue: Piuonmi amare lagrime dal uiso. Et in quello altro Sonetto. Fiume, che spesso dal mio pianger cresci. Et in molti altri luoghi, et etiandio Lodouico Martelli si lamenta, et piange per la sua donna, che li pare, che sia piu de l’usato seuera: dicendo in una sua Canzone: Sì ch’io taccio, e piangendo, Ogni martiro attende. Erano i pianti miei Cari compagni fidi Ad impetrar mercede, e darmi aita. Corsamonte, come dice il Trissino, piangeua, et assai, mentre che Burgenzo li raccontaua di Elpidia: Così dicea Burgenzo, e Corsamonte, Per la pietà de la sua cara donna, Piangea, come se fosse una fontana Copiosa d’acque, che con larga vena Sparga i liquori suoi fuori d’un sasso. Tancredi pur gran guerriero, et capitano, et benche sapesse, che Clorinda era in luogo di pace per opera sua, come ella medesima in sogno li disse, nondimeno piangeua, come dice il Tasso di lui: Al fin sgorgando un lagrimoso riuo, In un languido ohimè proruppe, e disse: Et Rinaldo, come mostra il medesimo Autore nel Canto 17. piangeua; E’l pianto amaro Ne gli occhi al tuo nemico, hor che non miri? Ma che diremo di Orlando, che piangeua, et lagrimaua tanto, come dice l’Ariosto nel Canto 23. Di pianger mai, mai di gridar non resta, Nè la notte, nè il dì si dà mai pace. Et Orlando stupefatto del suo largo pianto, dice: Queste non son più lagrime, che fuore Stillo da gli occhi con sì larga vena, Non suppliron le lagrime al dolore Finir, che mezzo era il dolore à pena; Dal foco spinto, hor hà il uitale humore Fugge per quella uia, ch’a gli occhi mena. Mi souiene etiandio di Vlisse, il quale essendo dalla Dea Calipso, piangeua come un fantolino, per amore, che non uedeua il padre, et la moglie, come dice Omero nel lib. 7. il quale tradotto in uolgare da Girolamo Bacelli, così suona: Quiui io dolente per sette anni intieri [page 187] Stetti, che sempre hauea bagnate, et molli Di lagrime le uesti, che Calipso Diuine m’hauea date, et immortali. Tutti i poueri Poeti sono sempre lagrimosi, non accade, che si spremano ne gli occhi succhi di cipolla per lagrimare, che sempre piangono. Fu già non molto tempo in Padoa un gran Signore Francese nominato Enrico, il quale era tanto tenero al pianto, che nulla più, alcuna uolta si faceua leggere il Morgante, et quando sentiua la morte di Orlando, il cuore li si liquefaceua in lagrime, et tanto piangeua, che moueua alle lagrime ogn’altro, che fosse stato presente considerando la sciocca tenerezza di quel signore; ma quando udiua il venerdì Santo à predicare la passione di Christo hauea gli occhi asciuti, come un carbone di quercia; Sacripante doue resta? il quale piangeua tanto per Angelica, come dice l’Ariosto di lui, che gli occhi suoi pareuano doi fonti: Sospirando piangea, tal che un ruscello Parean le guancie, e’l petto Mongibello. De gli huomini giuocatori. Cap. XXV. FV ritrouato il giuoco da gli antichi, non solamente per ricreare gli animi da diuerse passioni trauagliati, ma etiandio per essercitar la mente, ò il corpo, per renderlo più robusto. Si essercita nel giuoco della palla da vento, nella lotta, et nell’armeggiare, et per allontanarsi da certi pensieri noiosi, alcuni giuocauano à scacchi, al sbaraglino, et à dadi, et ancora à carte; ma il tutto per ricreatione, et senza auidità di guadagno; ma non mi pare, che ne’ nostri tempi il fine del giuoco sia il diletto, ma il guadagno solamente, et una semplice cupidità di spogliar il compagno del proprio hauere. Onde Aristotile numerò i giuocatori fra gli auari, et il giuoco fra i dishonesti guadagni; et è peggiore il giuocatore del ladro; percioche egli ui mette l’honore, et la uita; ma il giuocatore cerca di guadagnar con gli amici al sicuro. O di quanti mali è cagione: restando molti per il giuoco nudi delle proprie facoltà, come dice Oratio. Quem damnosa venus, quem praeceps alea nadat. O quanti sono priui della uita per causa dì [di] questo; percioche gli scelerati giuocatori uinti dalla rabbia fanno, come dice Flauio Alberto, Lelio Ferrarese: Quanti da stizza, e da dolor compunti, D’hauer perduto il suo, col crudo ferro, Hanno ammazzato i suoi più cari amici, E toltogli i denar, etc. Ma più diffusamente ne i uersi superiori dimostra, che il giuoco è cagione di tutti i mali, dicendo: [page 188] Del giuoco adunque ragionare intendo, Scelerato inuentor di tutti i mali, Nato da l’otio, et d’auaritia humana, Sol per furare altrui, la robba, e’l tempo, Di cui tesor non u’e piu caro al mondo, Onde è seguito sol da scioperati, Da gente uana, e da color, che spesso, Per non saper che far, la uita istessa Hanno in fastidio: tal che dall’Accidia Vinti, o giuocare, o dormir son costretti. Con lui nacquer gl’inganni, e i tradimenti, Le malitie, le insidie, et le rapine, Le bestemmie, il dispreggio de li Santi, La menzogna, il liuor, le risse, e l’odio. Chi potria numerar gli errori enormi, I scandali, i delitti, e l’opre triste, Causate sol da questo empio tiranno? E gli ha già a tal furor le cieche menti De gli huomini condotto, che trouati Si sono alcuni di pietà si priui, Si crudeli a se stessi, che i capelli, La barba, e i denti s’han fatto cauare, Sol per giuocarli, nè qui s’è fermata La rabbia lor; ma il proprio sangue han sparso, Ne restandoli al fin, se non la uita, L’han posta in seruitù, uenduti gli anni. Da questo si può conoscere quanto nociuo, pessimo, et dannoso sia il giuoco, ma ueniamo a gli essempi. Gran giuocatore era Antonio, che talhora giuocaua giorno, et notte; onde contra lui parlando Cicerone, disse. O hominem nequam, qui non dubitaret, uel in foro alea ludere. Et Licinio fu condennato à restituire al perditore le cose uinte; come scriue l’istesso Cicerone. Fu un grande ingannatore nel giuoco Caligula; percioche confermaua, per uincere, la bugia col giurare; et si occupaua gran parte del tempo in quello. Ma che diremo di Claudio, il quale non solamente perdeua il tempo nel giuocare: ma nello scriuere anco del giuoco de i dadi, cosa indegna di un Prencipe, come dice Agostino da Sessa. Nerone consumaua tutto il tempo, che auanzaua alle altre sue dishonestà, in giuochi; perche molto li piaceuano. Domitiano etiandio spendeua una gran parte del giorno in questo. Galba faceua il simile, et anco peggio. Nerua, quando staua un giorno senza giuocare, li pareua essere morto. Che diremo noi di questi buoni giuocatori del nostro tempo? i quali spinti da l’auaritia, non pensano ad altro, sempre si uanno ingegnando, come potrebbono fare per ingannare il compagno, et si scor- [page 189] danno fino il mangiare, et il beuere. Onde piu uolte si sono ueduti uecchi decrepiti, paralitici, con gli occhi scarpellini, che non haurebbono ueduto uno Elefante in uno campo di neue con dua para di occhiali al naso, mettere al punto, poiche non poteuano altrimenti giuocare. altri pur uecchi, et infermi; perche non possono muouere le mani, fanno, che alcuno altro giuochi per loro, et spesso bestemmiano, dicendo, se noi potessimo, assai meglio giuocaressimo. et qualche uno di loro dice, quando era giouane, in tutta la mia città non u’era alcuno altro per ualente giuocatore, che fosse, che giuocasse meglio di me: malediscono quelle infirmitadi, che hanno; perche non possono gettar i dadi, et maneggiar le carte, come faceuano per il tempo passato, et cosi uanno giuocando fino alla morte. Cabilone Lacedemonio essendo mandato ambasciatore a Corinto per far lega, trouò i principali, et i più uecchi di Corinto, che giuocauano à dadi, et se ne partì scandalizato, dicendo, che non uoleua macchiare la gloria de’ Spartani con questa infamia, cioè di hauer fatto lega con giuocatori; et ueramente chi dice giuocatore, tanto fa, che dica un’ingannatore, et un peggio che ladro, come dice Flauio Ferrarese, ragionando de’ giuocatori: Non sappiam noi, che molti per giuocare Hanno ardito con le scelesti mani, Senza timore, o riuerenza alcuna, Del grande Iddio rubbar le cose sacre, Et profanar la santità de’ Tempii, Quando poi, che giuocato hanno i danari, Si son posti alla strada, masnadieri Son diuenuti, assassinando altrui, Infin che la giustitia in su le forche, Gli ha poi mandati à dar de i calci al vento. Et per dire il uero è tanto cattiuo, et scelerato, ch’io non credo, che alcuno per eloquente che fosse, bastasse à descriuere la minima parte della vituperosa arte del giuoco, degna solamente di huomini, che non sieno buoni da cosa alcuna. Dante fa mentione di quel barattiere nato in Nauarra, nel Canto 22. dello Inferno, il quale risponde à Vergilio, dicendo: Io fù del Regno di Nauarra nato, Poi fu famiglia del buon Re Tebaldo, Quiui mi misi à far baratteria, Di che rendo ragione in questo calde. Et altroue dice di Gomita gran barattiere, tai parole: Denar si tolse, et lasciolli di piano. Si come è, dice, e ne gli altri uffici anche Barattier fu non picciol, ma sourano. Et l’Ariosto fa mentione de alcuni giuocatori, che Cloridano uccise, dicendo nel Canto 18. E presso à Grillo un Greco, et un Tedesco, [page 190] Spegne in doi colpi, Andropono, e Corrado, Che de la notte hauean goduto al fresco, Gran parte, hor con la tazza, hora co’l dado. Horsù, io uoglio dar fine à questa mia fatica, scusandomi però con gli Istorici, i quali, son sicurissima, che mi biasimaranno, essendo io stata mancheuole, et pouera nella copia de gli essempi, ch’io haurei potuto addurre in biasmo de gli huomini, ma il poco tempo ne è stato cagione: Oltre à questo essendo io donna, la cui natura è benigna, cortese, et affabile, ho fuggito, et schiffato di scoprire i copiosi diffetti de gli huomini, cosa che non fanno gli scortesi maschi uerso le donne. Il fine della presente opera.