Title: La nobiltà delle donne 
Author: Domenichi, Lodovico (1515–1564) Date of publication: 1552 Edition transcribed: (Venice: Gabriel Giolito di Ferrari, 1552) Source of edition: Google Books. < https://books.google.ca/books/about/La_nobilt%C3%A0_delle_donne.html?id=seRQAAAAcAAJ&redir_esc=y > Transcribed by: Tanya Ludovico, Marco Piana and Cassandra Marsillo, McGill University 2017. Transcription conventions: This is a semi-diplomatic edition that seeks to reproduce as many features of the original text as possible. All abbreviations have been resolved, yet no other orthographic rendering has been made. Some notable mistakes have been kept and flagged with a [sic] tag. “V”s and “u”s are as they appear in the original text. Status: Completed and corrected, version 1.0, March 2017. Produced as part of Equality and superiority in Renaissance and Early Modern pro-woman treatises, a project funded by the Social Sciences and Humanities Research Council of Canada. TEXT BEGINS FOLLOWING THIS LINE Fol. 148v LIBRO IL QVARTO LIBRO DELLA NOBILTÀ DELLE DONNE DI M. LODOVICO DO MENICHI, DOVE RAGIONANO IL SIG. AGOSTO D’ADDA, IL S. MVTIO GVISTINOPOL. LA SI GNORA VIOLANTE BEN TIVOGLIA, IL CONTE CLEMENTE PIETRA, E’L S. PIERFRAN. VISCONTE. 
PERCIOCHE le similitudini et gli esempi sogliono essere di grandissimo potere a ritornare sulla dritta uia coloro che l’hanno smarrita; io ho meco proposto di uolere prouare con esempi, quel che nei libri disputando mi sono sforzato sostenere con auttorità et con ragioni. Molti sono ueramente quelli, che di modesto et ragioneuole intelletto essendo, tosto che alcuno probabilmente ha loro mostrato il uero, incontanente li danno fede, o che cio sia uirtu della uerità, et forza dell’honesto, o facilità de gli ingegni; de i quali l’uno è piu che l’altro aggeuole et acconcio a riceuere cio che ui s’imprime. Ma non di meno si ritrouano alcuni tanto ostinati et saldi Fol. 149r nell’openioni loro che ne per ragioni cedono et ne ad auttorità prestano fede: ma replicando sempre, et ripigliando i propri fondamenti, a gli autrui non porgono orecchio. Di questi adunque, c’hoggidi sono cresciuti in grandissimo numero, rispetto all’infinita quantità di quei che per se non sanno, ne da altrui uogliono essere ammaestrati; compassione uenendomi, poi che per molte ragioni filosofiche, et auttorità della scrittura sacra ho sostenuto inquanto le forze del mio ingegno s’estendono la nobiltà del sesso Donnesco; mi sono ancho disposto prouarla per esempi. Iquali parte raccogliendo dagli Auttori Greci et parte da Latini, u’ho finalmente piu fatica, che giudicio adoprato. Doue non aspettando io altra maggior lode di quella, che si suol dare a chi raccoglie le cose da altri sparse; assai mi parrà hauer fatto, se non ne riportando honore, come di cosa d’ingegno, me ne uerrà almeno scusa, come d’impresa laboriosa. Scrissero molti assai parcamente; et per alcuni anchora n’è stato trattato con maggiore confusione, che ordine. Perche di quello che haurò fatto io, non uoglio raggionare altramente, contentandomi ch’a coloro tocchi farne giudicio, iquali talhora scriuendo anch’essi, et leggendo le fatiche di quelli altri che scriuono, sogliono giudicare modestamente, et col freno della compassione. Ben mi contento anchora, che giudicio ne facciano quegli huomini ueramente saui et circospetti, i quali non scrissero giammai, ritenuti dalla seuerità de gli intelletti loro perche d’un’altra terza specie, non faccio stima alcuna, iquali ne scriuono, ne discretione hanno o giudicio per misura Fol. 149v re gli altrui scritti. Ma ritornando, dico che uenuta la quarta sera, che si douea ragionare in honore delle Donne; et essendo gia compariti all’usato luogo tutti gli altri signori, che soleuono ragunarsi, solo s’aspettaua il Signor Mutio Giustinop. Il quale poiche pure un poco piu tardi del solito comparue; tutti riuolse in se gli occhi di circonstanti: iquali quasi non s’erano accorti ch’egli fosse stato l’ultimo a uenire. Perche il Signore Agosto facendogli luogo appresso di se cosi gli prese a dire. AGOSTO. Noi credeuamo quasi, che per questa sera s’hauesse a spender tempo in altro, che intorno alle Donne: il che non sarebbe dispiaciuto a tutti. Ma poi che pur qui sete, fuor d’aspettatione uenuto, fie bene, che osseruiate la promessa alle Donne, et a noi. MVTIO. Sappiate però, Signori, ch’io non m’era fugito ma perche io non haueua cosi pronti alla mano ui esempi et l’historie; io m’era dato a riuolgere alcuni libri, per rifrescar la memoria. VIOLANTE. Anchora che uoi d’ogni profonda materia poteste copiosamente ragionare sproueduto; habbiamo pero piu caro che ci siate uenuto ben fornito: doue ci fate fede dell’affettione et desiderio uostro di seruirci. CONTE CLEMENTE PIETRA. Egli non è pur’hora, che’l Signor Mutio ci ha fato conoscere per proua il ualore e’l buono animo suo: tanto che questa dimostratione ci fara piu cara che nuoua. MV. Hauendoui io sta sera a raccontare di molti essempi di molte donne ualorose et illustri, et deuendo principalmente ragionare per piacere alle Donne come io lascerò da parte quella copia grande, et uana del dire; et farò piu tosto Fol. 150r ogni sforzo mio per gir dietro al frutto sodo dell’oratione, che al fior uano delle parole. Ne in cio uoglio imitar le fanciulle, che per inghirlandarsi colgono i piu uaghi et piu odoriferi fiori, che sono per li campi, cosa ueramente piaceuole et soaue; ma di nessun frutto et che in quel di istesso ua uia. Muouomi piu tosto con lo essempio delle pecchie, che uolando per lo piu ne’prati, et giardini pieni di uiole, di rose, et di hiacinti; lasciano questi fiori, et uanno a corre il thimo aspero et amarissimo; delquale fanno poi dolce mele; et toltone quello, che fa per loro, uolando se ne ritornano a lor domestici negotii. A questo modo sarò io casto, et diligente; et lasciaro i dilicati et fioriti ornamenti delle parole, et quella certa efficacia delle cose istesse, che ha un certo modo applaude, et piace; no altramente che herba d’oratori, della quale non si possa cauare il soaue mele. Et perche di quelle cose c’hoggi ho da raccontare, io non son proprio auttore, ma puro et mero recitatore; io non uoglio, che questi Signori, i quali hanno studiato et letto le historie antiche et moderne, et Greche et Latine, si marauiglin punto ch’io non ragioni di cose nuoue et non piu udite da loro; ma facciano pensiero d’udirmi leggere Plutarco, Giouanni Boccaccio, o alcuno altro auttore, c’habbia scritto delle Donne illustri: et cio m’ingegnerò io di fare il piu che potrò breuemente, per noiarui meno. Non rimanendo di pregarui tutti, che doue ui occorra alla memoria qualche famoso essempio o uecchio o nuouo, non ui sia graue a riferirlo in confermatione del proposito nostro: che in questo mi reputerò io grandemente aiutato da uoi, et terrouene Fol. 150v obligo infinito, Percioche lamente nostra non et capace di poter ritenere tutto quello che ella ha udito o letto. VIO. Et accioche piu uolentieri aiutate il Signor Mutio, uoi non pure u’obligherete lui, ma le Donne anchora: lequali ui prometto io, che ue ne saranno piu che molto tenute; et ui si mostreranno percio grate. P.F. ecco un poco di quella esca, che fa impazzar gli huomini. MV. A uoi dunque Signor Agosto. Et Conte Clemente consorti miei d’openione, ricorro per aiuto; accioche per uoi si finiscano di confondere gli auersari nostri: iquali essendo prima abbattuti dalle ragioni, et poi confusi da gli essempi, credo che finalmente alzeranno le mani, et renderanno l’armi per uinti. P.F. Quando anco io potessi ualermi delle ragioni et de gli essempi, non so chi n’hauesse copia maggiore et migliore. ma potrebbesi undi fare nuouo et piu sincero giudicio, che questo non ha da essere. VIO. Ma ecco a uoi Signor Mutio, per troncare le ciancie. MV. Fu gia openione di Tucidide, che quella Donna sia ottima, la quale non è ne lodata, ne biasmata da strani istimando che si come il corpo, cosi non debba il nome d’una Donna da bene uscire dai termini dalla casa. Da questo parere sono io molto lontano; et parmi, che Gorgia Leontino assai meglio dicesse: cio è che non la bellezza d’una Donna, ma il suo nome buono debba essere appresso de molti noto. Onde io giudico eccellente legge quella di Romani, che non meno permette, che si possano lodare con orationi publicamente le Donne buone da parenti loro; che si faccia de gli huomini. La onde io mi metto hora a raccontar breuemente molte historie quasi Fol. 151r conclusione del mio ragionamento et confermatione di quel c’hanno detto questi signori: et spero, che cio debba molto giouare a mostrarui piu chiaro quello, che ci sforzauamo di prouarui; cio è che una medesima uirtu fosse quella, de gli huomini et delle Donne. Ne ui pensate ch’io habbia queste cose raccolte solamente per diporto: ne, se nel prouare di cio, la diuersità de gli essempi da qualche gusto di piacere; dee gia per questo il mio ragionamento, parere meno efficace; o men uero: che anzi non suole poco giouare la piaceuolezza del dire nel uolere persuadere, et far fede: et quando ne i raggionamenti s’accompagnano le Muse con le Gratie insieme, fanno una troppo soaue melodia; et col uaghissimo congiungimento loro, ageuolmente, si come dice Euripide, per la piaceuolezza, che ui si troua, tirano gli animi de gli auditori a credere. Onde se io, uolendo prouare, ch’una arte medesima, è quella che dipinge le huomini et che dipinge le Donne; cauassi fuora molti ritratti eccellenti di Donne dipinte da Michele Angelo, o da Francesco Saluiati, chi giustamente mi potrebbe riprendere; quasi ch’io cercassi piu tosto per questa uia di aggradire all’occhio per mezo delle pitture, che di prouare l’intentione mia? Et s’io uolessi mostrare, che la poesia quella istessa è nelle Donne, che ne gli huomini; et per cio paragonassi i uersi della Marchesa di Pescara con quei del Molza; chi potrebbe ragioneluolmente biasmare questo modo di far chiaro il mio intento; anchora che con qualche diletto inducessi gli auditori a credermi? Certo e, che per altra uia non si possono conoscere meglio le somiglianze, et le differenze Fol. 151v della fortezza, et ualore delle Donne, et de gli huomini; che recando in campo le uite e i fatti de gli huomini et delle Donne: et uedere se ha un medesimo segno uanno la magnificenza di Semiramis, et quella d’Alessandro magno; l’astutia Tanaquil, et quella di Seruio Tullo; o la prudentia di Portia, et di Bruto, o quella di Pelopida, et di Timoclia: perche le uirtu istesse pare che tolgano certe loro proprie differenze (quasi certi propri colori) dalla natura di quegli, oue si ritrouano, et facciano ne’corpi di quelli qualche somiglianza, o diuersità, secondo, che si sono aleuati uariamente et essercitati; percioche altramente si dee dire, fosse ualoroso Achile, altramente Aiace; d’una maniera prudente Nestore, et d’un’altra Vlisse; ne a un medesima modo giusti Agesilao, et Catone; come ne anco Argia amò a quel modo il marito, che fu Artemesia; ne a quella guisa magnanima Olimpia, come fu Cornelia. Ne però diremmo, che fossero diuerse prudentie, ne diuerse giustitie, o fortezze: ma che differiscano solo secondo la disagualianza delle nature di coloro, oue si trouano. Lasciando dunque i fatti assai diuolgati di molte Donne, ragionerò solamente di quelli; ch’essendo degni di memoria, non si trouuano ricordati da gli historici, che hanno le cose comuni, et chiare a ogniuno, solamente scritte. VIO. Deh di gratia, Signor Mutio, non ci siate di scarso di parole ma raccontateci quante ne sapete; perche a noi non è cosa alcuna uolgata; ne habbiamo letto historie ne poesie. MV. Io pensauo questo, dubitando di fastidire gli huomini et essendo anco cosi grande il numero, che non mi darebbe il core Fol. 152r di uenirne cosi facilmente a fine in una sera. VIO. Poi che questa fatica hauete preso per piacere alle Donne,  non ui curate di quello che n’habbia a parere a gli huomini; et se non ui basta una sera u’ascolteremo uolentieri di molte altre. MV. In fine io mi risoluo di compiacerui, et d’esser piu breue ch’io potrò. Ma percioche molte cose egregie sono state operate in comune dalle Donne; molte altre da priuate in particolare; toccherò prima quelle, che sono da molte state in comune operate.             Dopo che fu presa et ruinata Troia; di molti Troiani, iquali si saluaranno, alcuni dopo molti trauagli et pericoli patiti per mare, giunsero alla fine in Ialia, alla foce del Teuere; et entrati su per lo fiume et smontati in terra, tosto si diedero attorno cercando di mangiare; perche haueuano patito molto per la fame. in quel mezo le Donne, ch’erano rimase in naue pensarono prima, et poi comunicarono insieme, assai meglio et per loro et per gli huomini fosse, hoggimai por fine a tanti pericoli et trauagli; et poi che piu non c’era speranza di ritornare a Troia si facessero una ferma habitatione. Perche lodando tutte il consiglio proposto, non indugiarono punto ad essequirlo: et cosi tolto del fuoco arsero tutta l’armata. Et dicono, che la prima Donna che questo propose, hebbe nome Rhoma. Correndo dunque gli huomini per liberar le naui dal fuoco; tutte le Donne si gli fecero incontra; et perche pur temeuano l’ira l’oro, chi abbracciò il padre, et chi il marito, per placargli: onde facilmente si placarono tutti i Troiani. Et durò lungo tempo questo costume Fol. 152v in Roma, che le Donne incontrando qualche parente loro, l’abbracciauano et baciauano. I Troiani dunque ueggendosi costretti rimaner quiui, poi che i nauigli erano arsi; et oltra cio ueggendo la humanità et beniuolenza dei paesani uerso loro, si contetarano che le Donne gli hauessero fatto mutar pensiero, et quiui si fermarono ad habitare insieme co i popoli Latini. CLE. Assai debil principio hauete fatto per lodare le Donne illustri: ma credo che miglior sarà il mezzo et ottimo il fine. MV. Ve n’auedrete poi. Però udite questo altro.             Era una guerra mortale tra i popoli Phocesi et quegli di Thessaglia; perche hauendo Phocesi amazzato in un di tutti i magestrati Thessagli ch’erano nel lor paese; quegli di Thessaglia per uendicarsi di cio fecero morire 250. Phocesi c’haueuano per ostaggi; ne bastando loro questo raunarono un grossissimo essercito, et tutti publicamente si mossero, per pigliare la città loro, et mandare tutti gli huomini a filo di spada, et le Donne, e i fanciulli uendere per ischiaui. Allhora uno detto Diaphanto figliuolo di Barillo, che insieme con due altri gouernaua allhora Phocesi; persuase a cittadini suoi, che ualorosamente con tutte le loro forze andassero a incontrare i nemici; et le Donne, e i fanciulli raunati si mettessero in qualche luogo segreto della città, con buona prouigione di legna; accio che accadendo, ch’essi hauessero il peggio della battaglia, per alcuni a cio fare deputati ui s’attaccasse il fuoco, et ardesserui le Donne, e i fanciulli. Piacque a tutti i cittadini il consiglio di Diaphanto; però leuossi, et disse; ch’era bene domandarne Fol. 153r il parere delle Donne, et uedere s’esse erano contente, perche contentandosi, si poteua essequire; et non piacendo loro, non era però honesto farle morire per forza. Cosi fattolo a sapere alle Donne, elle di buonissimo animo et allegre lo accettarono, lodando molto Diaphanto, che cosi utile et honorato consiglio per la città loro hauesse ritrouato. Il medesimo piacque a i fanciulli, non meno animosi nella età loro. Che si fossero gli huomini et le Donne. Andarono i Phocesi poi ualorosamente ad affrontare i nemici, et gli ruppero, et ne hebbero gloriosa uittoria. Or ui pare egli, Signora, ch’io uada migliorando ne gli essempi? VIO. Certo che questo si puo lodare per grandissimo core; et non ho dubbio alcuno, che se gli huomini loro erano posti in rotta, che le Donne coraggiosamente haurebbero posto ad essecutione si fiero proponimento. MV. Ma io non ho da perdere tempo: et pero continuando,             La cagione; perche gli Sciotti habitarono la città di Leuconia, fu questa. Menandosi moglie a casa in carretta, secondo l’usanza del paese, un giouane nobile de primi di Scio; Ippoco Re molto suo amico, insieme con altri giouani l’accompagnaua per fargli honore; et essendo egli allegro et riscaldato dal uino et dal giuoco, montò sulla carretta, la doue era la sposa, non gia per farle uilania, ma per cinciare et motteggiare con essolei. Perche gli amici, e i parenti dello sposo, temendo di qualche atto uillano, furiosamente si gli furono adosso, et l’amazzarono. Per la cui morte furono da diuerse infirmità trauagliati: onde cercando di rime- Fol. 153v dio, fu loro dall’oracolo risposto, che bisognaua placare l’ira de gli Dei con la morte di coloro, che haueuano ucciso Ippoclo. Et hauendo tutti i cittadini confessato, che tutti insieme haueuano messo mano nel sangue, rispose loro l’oracolo; bisogna dunque, che tutti la città sgrombriate; poi che ui fate colpeuoli della costui morte. Quelli adunque che uscirono di Scio, essendo et molti et ualorosi huomini, entrano in Leuconia; laqual città poco inanzi era stata loro tolta per forza: et l’abitauano in quel tempo Coronesi, che con l’aiuto d’Eritresi l’haueuano ricuperata. La onde di la a poco tempo coronesi, chiedendo un’altra uolta aiuto a gli Eritresi, che erano molto potenti; mossero per causare gli sciotti di Leuconia; i quali non potendo stargli incontra, si resero loro con patto di potersene uscire, lasciando ogni altra cosa, che’l giubbone et la camicia. Perche furono dalle Donne loro aggramente ripresi, che cosi uilmente si fossero accordati, et lasciatisi indurre aporsi disamati in mano del nemico uincitore et armato. Ma perche l’accordo s’era serrato col giuramento, essi non lo poteuano distornare. Le Donne, a cui troppo doleua questo partito, tanto adoperarono, che essi gli persuasero a non uscire a patto alcuno senz’arme; et insegnarono loro, come nondimeno haurebbono seruato il giuramento: mostrandogli come a ualorosi huomini la lancia serue per cammicia; et lo scudo per giubbone. Vscendo essi dunque il giorno deputato tutti a un tempo, tanto spauento diedero con l’ardimento loro a nemici; che i coronesi non furono arditi di negargli il passo, ne di andargli adosso; contenti che s’an- Fol. 154r dassero con Dio, et la città con le sustanze loro gli lasciassero. Fu adunque la uirtu delle Donne cagione di ricoprire la uilta de mariti. Ne fu minor segno di ualore questo altro, ch’io ui dirò hora;             Hauendo Philippo figliuolo di Demetrio assediata la citta’ di Scio: esso per fare ribellare i serui, ch’eran dentro, mandò un superbo et barbaro bando, promettendo a tutti i serui, ch’erano Scio, se si ribellauano, mettergli in libertà, et dargli per moglie quelle donne, che piu gli piacessero: facendosi a credere, che ciascuno aurebbe domandato la moglie del padron suo. Onde tanta fu l’ira et lo sdegno delle Donne per questo uituperoso bando, et de serui anchora, che l’hebbero molto per male; che tutti insieme corsero alle mura portantdo portando pietre, et altra materia da difesa et da offesa, a i mariti et padroni, iquali ualorosamente combatteuano; et sempre gli fecero animo, che si difendessero infino alla morte. Ne si perderono mai di core, infin che Philippo, ueduto ritornar uani tutti i suoi disegni, non si leuò dall’assedio, senza che pure un seruo solo della citta’ si fosse ribellato. P.F. Simil prodezza non farebbono le Donne dishoneste, et molto meno i seruitori ribaldi de nostri tempi. Et credo che per minore occasione, che quella non fu l’une et gli altri, farebbono assai maggior tradimento; se dagli essempi priuati si puo far congiettura nell’occorenze pubbliche. Ma io non uuo dir piu oltra; che forse direi troppo. CLE. Non s’hanno da fare cosi larghe consequenze ne i delitti; anzi questa materia s’ha sempre da interpretare strettamente, si come uogliono le nostre leggi. Et però, Fol. 154v Signor Pierfranceso, parlate honestamente, come a nobile huomo conuiene. P.F. Et certo che il rispetto di queste ualorose Donne assai mi fa ritenuto. VIO. Ben ue ne habbiamo gratie: ma segua il Signor Mutio.             MV. Delle cose fate per le Donne in comune, non n’è forse alcuna altra ne piu lodeuole, ne piu marauigliosa di quella, che operarono le Donne Argiue sotto la scorta di Telessilide, contra Cleomene Re di sparta. Dicesi, che questa Telessilide fu moltò dotta nella Poesia: percioche essendo nata di nobilissimo legnaggio, et stando di continuo inferma della persona, hebbe per consiglio dall’oracolo, che s’ella uoleua diuentar sana, s’accompagnasse con le Muse: onde riuolgendo tutto l’animo agli studi della Poesia, ui diuentò eccellente, et famosa, et rihebbe la sanità. Hora hauendo Cleomene crudelissimo Re di Sparta fatto morire una grand quantità d’Argiui; che, come uogliono alcuni, furono settemila settecento et settanta; andò con l’essercito sopra Argo, per hauere ancho la città in mano. Perche le Donne giouani deliberate di uoler difendere la patria, fatta lor capo Telessilide, s’appresentarono con l’arme in mano sulle mura. Di che si marauigliò molto il nemico; ilquale hauendo piu uolte, et sempre con perdita di molti de suoi dato l’assalto in uano, fu finalmente costretto ritornarsi adietro. Le medesime Donne parimente ributtarono et cacciarono fuora Demarato un’altro Re, che haueua gia occupata una parte d’Argo, chiamata Pamphilia. Essendo adunque per lo ualore delle Donne mantenuta la città d’Argo nella sua libertà; tutte quelle, che mori- Fol. 155r rono in battaglia, furono per pubblico decreto sepolte nella strada, che chiamano Argia: et quelle; che rimasero uiue et uittoriose, alzarono una statoa a Marte, in memoria del ualor loro. Et quiui in rimembranza di questa uittoria soleuansi fare il primo di d’Aprile alcuni sacrificii, ne iquali le Donne andauano uestite da huomini, et gli huomini da Donne con ueli in testa, et gonne in dosso. Et per riempire la città di huomini si fecero uenire, non serui, come uuole Herodoto, ma di piu nobili uicini loro: et fattigli cittadini, si gli tolsero per mariti et Signori. P.F. Di questo ultimo mi marauiglio, et sto*ne in dubbio, credendo ad Herodoto perche essendo uero, che le Donne sempre s’appigliano al peggio loro, si come dice il prouato prouerbio; io non crederò mai, ch’elle hauessero tanto di giudicio, ch’elle sapessero fare elettione di huomini nobili et ualorosi per mariti; ma si bene che si prendessero della fecia del mondo, si come i serui sono. CLE. Se non auete altro fondamento di biasmar le Donne, che i prouerbi dell’ignorante uulgo uoi non potete macchiare la fama loro; et massimamente hauendo all’incontro testimonio di famosi auttori et dignissimi di fede. Perche se quelle ualorose Donne hebbero animo et forza da difendere la patria, uerisimile è anchora ch’elle fossero dotate d’altre uirtu, cioè di prudentia et di honestà. MV. Hora ui uuo raccontare una historia, laquale non pure è in honor delle Donne, ma in biasimo de gli huomini, uditemi dunque. Facendo guerra Ciro Re de Persi con Astiage Re de Medi; et essendo in un fatto d’arme messo in rotta, Fol. 155v fuggiuano i Persiani nella città per saluarsi: et gia era loro cosi sopra le spalle il nimico, che piu non era dubbio, che in un medesimo tempo e i uincitori e i uinti sarebbono entrati nella città; quando uscendo le Donne a grande schiera fuora; et alzandosi i panni dinanzi, cominciarono gridare a persiani; doue fuggite uoi poltroni? Doue n’andate codardi? Credete uoi forse potere ritornare a saluarui qui dentro (et mostrauano loro le parti genitali del corpo) onde una uolta, come la natura uolle, n’usciste? Vergognaronsi molto i Persiani di queste parole, et parte sdegnati, uolgendo il uolto doue haueuano le spalle, tornarono a rinouar la battaglia; et perche il nimico, si come uincitore, ueniua disordinato, ageuolmente lo misero in in rotta. Onde si fece poi una legge, che sempre la prima uolta, che il Re di Persia entraua in quella città; fosse tenuto donare una moneta d’oro à tutte le Donne, che ui sono: et dicesi che Ciro fece questa legge. Et per questa cagione Ocho Re di Persia, che oltre a gli altri suoi uitii fu anco auarissimo, caualcò molte uolte intorno a questa città, ne mai uolle entrare dentro, per non usare questa cortesia alle Donne. Ma Alessandro Magno u’entrò due uolte, et ambedue le uolte, come che non fosse obligato se non la prima, fece loro questo dono; et alle grauide fece pagare il doppio. P.F. Io ueniuatestè pensando della cagione che fece riuoltare quei soldati, et tor la uittoria di mano a i nemici: et non credo che alcuno di uoi facilmente s’apponesse al uero. AGO. Quella che disse il Signor Mutio, cioè la uergogna c’hebbero delle parole et de gli atti delle Donne, gli fe tornare indietro. P.F. Et Fol. 156r uoi, Signora Violante, indouinate. VIO. Se non è questa istessa, io non saprei che dirmi altro: ma uoi penserete subito qualche male, secondo l’usanza uostra. P.F. Male non è egli gia; ma ne anco bene. Sappiate, Signori, che quei ualent’huomini hebbero piu paura, che uergogna. CLE. Et che domine direte uoi di paura? P.F. Pura si. Voi douete sapere, che uenendo uedute loro quelle parti horribili et spauentose di ualcaua, essi n’hebbero tanto spauento; che si risolsero di uolere piu tosto ritornare a incontrare i nemici, che abbracciare le loro Donne. Et cosi caso, ipiu che uirtu diede loro la uittoria. Ne ui marauigliate, che gli huomini n’hauessero paura: perche io mi ricordo hauer letto in un libro di un Moro, che descriue il sito dell’Africa; ilquale fra le altre cose mirabili di quel paese, racconta come u’è una specie di ferocissimi leoni, iquali hanno per nulla l’andare ad affrontare i cani e i cacciatori con gli sp*di et altre armi da caccia; et le Donne alzandosi i panni dinanzi, et mostrando loro le parti uergognose gli mettono in fuga, senza uoltarsi mai. Perche non è gran fatto che gli huomini per questo fuggissero anch’essi et piu tosto eleggessero d’andarsi ad esporre incontra l’arme de nemici. VIO. Vedete che io pur m’apposi all’inuention uostra; laquale non poteua riuscire altro per l’antico costume di uoi. MV. Il Signor Pierfrancesco non sarà fuor di proposito, se ui uenisse sonno, atenerui deste con le nouelle sue: perche il mio continuato ragionamento di leggiero ui potrebbe noiare. VIO. Non habbiate questo dubbio; ma seguite di buona uoglia. MV. Hora ui uuo contare Fol. 156v una opra pia d’alcune Donne, lequali posero pace fra gli huomini ch’eran per amazzarsi. I Celti, prima che passassero l’alpi, per uenire in Italia; oue hoggidi sono molto colonie di loro, si come Brescia et Bergamo, et dell’altre città, per loro discordie ciuili uennero alle mani; et usciti in campagna, con due grossi esserciti, mentre, che stauano tuttauia per azzuffarsi, si appresentarono in mezo le Donne loro; et tanto adoprarono preghi, et pianti; che piegarono gli animi loro ostinati, et gli indussero a far pace; et ciascuno se ne ritornò a casa. Onde appresso di loro nacque una lodeuole usanza, et ui durò poi lungo tempo; che in tutti i negocii importanti et di pace et di guerra, ui chiamauano le Donne: et nascendo alcuna differenza fra loro confederati, le Donne n’erano esse arbitre. Onde nelle conuentioni, ch’essi fecero con Hannibale, si ritroua anco a questo modo conchiuso; SE ALCVNO de i Celti si lamenta, che gli sia fatto ingiuria da qualch’uno de i Carthaginesi; di simil causa siane giudice il Senato di Carthagine, o i capitani loro, che si trouaranno in Hispagna. Se ueruno Carthaginese sarà ingiuriato da alcuno de i Celti in alcuna cosa; di cio habbiano a giudicare le Donne de Celti. AGO. Nel uero il gran benificio, che le Donne fecero a quei popoli, meritaua questo et maggior fauore. P.F. Et a me pare, che essi poco amassero il ben suo, fidando al consiglio di Donne i piu importanti loro negotii; quasi ch’eglino per se stessi non s’hauessero saputo gouernare. MV. Poi che uoi cosi poco apprezzate il consiglio Donnesco, et non credete che in loro sia discorso ne ragione, io ui uuo ragionare Fol. 157r dell’ardimento et taciturnità d’alcune ualorose Donne. Non hauendo i Melii che mangiare per il poco territorio loro, diedero l’impresa di menar fuora una colonia a un bellissimo giouane chiamato Nimpheo; come anco gia fecero i Gotthi, quando uscirono dell’Isola di Scandinauia, per essere in troppo numero cresciuti; si che il paese loro non gli bastaua a pascere. Et essendo stato loro predetto dall’oracolo, che douessero nauigando cercare nuoua terra; et quiui fermarsi, doue perdessero i Nauigli; auenne, che arriuati in Caria, et dismontati in terra, per fortuna di mare perderono tutti i legni sul lito. Perche il popolo di Chriassa città della Caria, o per compassione, o per tema che di loro hauessero, molto grate accoglienze fecero a Melii; et cortesemente gli pregarono a fermarsi seco, consegnandogli una parte del territorio loro per lauorare: ma auuedutisi poi, come in poco spatio di tempo erano grandemente moltiplicati, pentendosi tardi della liberalità loro, riuolsero gli animi a fare una scelerata opra: onde deliberarono di tagliargli tutti a pezzi a un conuito. Questo si fiero proponimento loro fu per auentura inteso da una leggiadra giouanetta chiamata Caphena, laquale era innamorata molto di Nimpheo. Alla quale non sofferendo il core di uedere il suo caro amante cosi crudelmente hauere a morire; gli palesò la congiura de cittadini suoi. Inuitati dunque per l’altro giorno i Melii a mangiare con Carii; disse Nimpheo, che uolentieri accettauano il lor cortese inuitto; ma che ui sarebbono andati senza le Donne; perche costume de Greci era di non menare le Donne a publici conuiti: nondimeno astretti da preghi a Fol. 157v douer menare con esso loro le Donne; Nimpheo, che solo questo tradimento sapeua, lo scoperse a tutti gli altri; et poi gli fece auertiti, che andando essi disarmati, douessero ciascuno far portare alla sua Donna il ferro sotto la ueste, et farsela sedere a lato. I Barbari facendo in mezo del mangiare il segno ordinato, trouarono i Greci proueduti anch’essi; iquali dato di mano a gli stocchi nascosi per le Donne, senza lasciarne un uiuo tutti gli tagliarono a pezzi. Et cosi fatti Signori del paese, spianarono quella città, che u’era prima, e un’altra ui edificarono, laquale chiamarono Chriassa. Nimpheo prendendosi per moglie Caphena, le fece honore degno del suo amoreuole effetto. VIO. Fu ueramente lodeuole et mirabile l’aridre et la taciturnità di queste Donne; poi che fra si gran numero non ue ne fu pure una, che scoprisse ne il trattato de suoi; o che spauentata non essequisse quanto fu loro imposto. P.F. Maggior fu l’amore di Caphena sola, laquale si puo dire, che per amar troppo uno stranio, facesse tradimento a suoi propri cittadini. VIO. Ecco malo animo contra le Donne; poi che le biasma anchora dalle uirtuose operationi; et, come dice il sacro Euangelio, le lapida per una opra buona. P.F. Se questa buona fanciulla hauesse, come era suo debito, amato la patria, non haurebbe consentito alla ruina de suoi: ma quando il furore amoroso entra nelle Donne, elle non hanno piu rispetto alcuno, et poco stimano tutte l’altre cose, mentre che possano conseguire il loro lasciuo intento. VIO. Con costui ci sarebbe che dire fino a domani; che pur uorrebbe restar superiore: però non rompete il uostro dire. MV. E non Fol. 158r è male affatto, che egli ci contradica talhora; et fa piu dolce udire un poco di contrasto, che passarsene tutti d’accordo. Ma udite un’altro bel consiglio di Donne, che fu per cagione della salute de gli huomini. Hauendo alcuni Tirreni preso l’Isola di Lenno, et quella d’Imbro, hebbero alcuni figliuoli delle Donne delle uille d’Athene; iquali in processo di tempo furono poi come mezi barbari cacciati da gli Atheniesi di quelle Isole. Costoro uenuti in Tenaro, ualorosamente aiutarono i Lacedemonii nella guerra c’hebbero co i serui: et percio ne furono in guiderdone raccolti a parte nella città, et concessogli poter pigliare per moglie Donne Spartane; però gli fu fatto diuieto da tutti gli offici: Poco dapoi entrati i Lacedemonii in sospetto, che essi non tentassero cose nuoue nella città, tutti gli fecero con buone guardie prigioni; intendendo in quel mezzo con buoni indicii chiarirsi dell’animo loro, et tutti fargli morire. La onde uenendo spesso le loro Donne alla prigione, dopo molti preghi ottennero finalmente di potere entrare a fauellare co’mariti. Lequali entrate dentro persuasero a mariti, che cambiassero ueste con loro, et n’uscissero in habito da Donne, et col capo coperto, si come andauano esse. Cosi le Donne si rimasero nella prigione, disposte a sofferire ogni tormento per la libertà de i mariti; et gli huomini uscendo a quel modo ingannarono le guardie; et subito presero Taigeta; doue promettendo la libertà a i serui, si sforzauano di mettere la città in romore. Di che dubitando molto gli Spartani, gli fecero intendere, ch’essi erano contenti restituirlgi et le Donne et le robbe; et Fol. 158v di piu gli offersero nauigli et danari, pure che se ne uscissero del paese, et andassero a cercare di nuoua habitatione: con questo che si chiamassero Colonia et parenti de’ Lacedemonii. Di questo si contentarono i Tirreni; et hauuto per capi et guide di questa nauigatione Polli et Crataide due fratelli Spartani; si furono al lor uiaggio; et una parte si rimase in Melo; gli altri con la scorta di Polli, desiderosi di ubidire l’oracolo; dalquale haueuano hauuto per auiso, che si fermassero, doue perderebbono la Dea et l’ancora; giunti al Cheronneso di Creta, et smontati aterra, spauentati la notte da un subito tumulto, frettolosamente ritornarono in naue, et si scordarono sul lito la statua di Diana, laquale era da loro tenuta in gran ueneratione, come cosa antichissima, che insino da Lenno sempre haueuano portata con esso loro. Ora mentre che nauigauano, s’auidero di non hauerla in naue; et in un medesimo tempo Polli s’accorse anch’egli, come l’ancora del suo nauiglio hauea perduto un dente, che haueuano lasciato in quegli scogli; quando con tanta uiolenza et furia tirarono su l’ancore per partirsi. Alhora Polli ritornatogli in mente l’auiso dell’oracolo, disse a compagni suoi; torniamo a dietro; percioche questo è il luogo mostratoci dall’oracolo per habitation nostra. La onde hauendo con molte battaglie superato quei popoli, ui edificarono una città chiamata Litto, et fecero sue tributarie alcune di quelle città uicine; chiamandosi da parte di Donne parenti de gli Atheniesi, et Colonia di Spartani. Che direte uoi hor qui? Non ui par’egli, che grande… Fol. 159r fosse l’amore di queste Donne uerso i mariti et gli huomini loro, a imprigionare uolontariamente si stesse, per ritornar in libertà quegli? Certo che questo fu raro essempio di pietà; et degno di perpetua et honorata memoria. P.F. A questo non ho io che ui potere opporre. VIO. Di che mi marauiglio, hauendo uoi sempre mille modi da calonniare. Ma non ui fermate, Signore Mutio. MV. Benche paia una fauola quello che si dice, ch’auenne nella Licia; è però stato da molti scritto per uero. Amisodaro, c’hebbe anco nome Isara, uenendo da Zelia colonia di Licii con un gran numero di corsali; il cui Capitano era detto Chimarso ualentissimo in guerra, ma fuor di modo crudele, nel cui nauiglio era per insegna sulla proda un Leone, et sulla poppa un Drago; costui andaua molto trauagliando le riuiere della Licia; talmente che non pure non ui si nauigaua punto. ma ne ancho si poteuano habitare le città di marina. Costui finalmente fu superato et morto da Bellorophonte, ilquale andaua sopra il Pegaso; questo era un uelocissimo suo legno. Cacciò parimente Bellorophonte di Licia le Amazzone, lequali ueniuan quiui a fare di molti danni: ne di tante ualorose opre, che fece, hebbe egli guiderdone alcuno; anzi ne riportò dal Re suo ingiurie et uillanie. Perche sdegnato uenne sulla riua del mare, et pregò Nettuno, che uolesse fare tutto quel paese infruttuoso et sterile: et dopo i preghi, uolte le spalle al mare, quanto egli caminaua uerso terra, tanto sempre gli ueniua dietro il mare gonfiando: talmente, che cosa et marauigliosa et horribile a uedere… Fol. 159v era uedere tanto paese coperto dell’acque. Uennero adunque i primi huomini della Licia a pregare Bellorophonte, che hauesse loro compassione, et uolesse porfine a tanti mali; iquali a nulla giouarono. Vennero poi le Donne co i panni alzati dinanzi et scoperte: perche uergognandosi Bellorophonte, riuolse il uolto al mare; et subito si dice che l’acque tornarono al lor luogo. P.F. Al fine la uirtù et possanza delle Donne sta tutte in quelle parti: et credo che anco queste altre fossero auezze a combattere co i Leoni, si come l’Africane: che cosi tosto seppero trouar modo a mitigare la colera di Bellorophonte. Ma io l’intendo allegoricamente in un altro modo; cio è, ch’alcuna di quelle ualorose et belle Donne facesse copia di se a Bellorophonte, et cosi gli cauasse la bizarria di capo, ottenendo ageuolmente da lui quel che gli huomini con mille sorti di preghi non impetraron mai. VIO. Io mi marauiliaua bene, come non ci diceste qualche dishonesta parola; ma noi ue le ricorderemo tutte a un tratto. MV. Io non ho però finito l’historia mia, benche sia stato interrotto. Alcuni interpretano questa fauola, et dicono, ch’egli non fece entrare l’acque nella Licia, per questa uia di scongiurare il Dio del mare: ma che la uerità fu questa; ch’essendo il fertilissimo paese della Licia posto in luogo basso, et molto soggetto all’acque; Bellorophonte rompendo alcuni ripari fatti a mano, aperse la uia al mare, che occupò il tutto: et che non giouando nulla i preghi de gli huomini, fu quasi per uergogna piegato dalle Donne. Altri dicono, ch’essendo il paese della Licia grandemente molestato dal monte Chimera, ilquale… Fol. 160r con suoi spauentosi strepiti et fuochi, non ui lasciaua ne crescere alberi, ne nascerui biade; Bellorophonte con l’industria sua, facendo tagliare la piu bassa parte del monte, leuò quegli horribili rumori, et prouidi a tanto danno. Ma che poi non ne trahendo in premio pur ringratiamento di parole, non che cortesi effetti, si come et meritaua, pieno di mal talento et fellone s’apprestaua per far uendetta di tanta ingratitudine, quando fu dalle Donne mitigato. Ma la cagione, si come scriue Nomphi nel quarto libro de i fatti di Hercole, non pare fauolosa: cio è che Bellorophonte amazzò un grossissimo Porco seluaggio, che nel territorio de Xanthii tutte le biade, et i frutti guastaua. Et non essendo chi pur di tanta fatica gratia li rendesse, pregò Nettuno, che contra a quegli ingrati facesse sua uendetta: la onde per tutto quel paese zampillò uno humor salso, che ogni cosa che ui nascesse, corrompeua. Ne prima si ritrouò rimedio a quel danno, fin ch’egli mosso da i preghi delle Donne, non ritornò a pregare Nettuno, che uolesse leuarlo. Il perche in premio di quel beneficio, che n’haueuano riceuuto, i Xanthii fecero poi una legge, che il nome del parentado si pigliasse dalle madri, et non da i padri. Ma comunque la cosa s’andasse, chiaro è, che le Donne prouidero a quel danno causato dalla ostinatione d’uno huomo. VIO. Chi puo negare col uero, che le Donne non siano sempre state d’infiniti beni cagione? MV. Appresso intendo ricordarui un bello essempio di ualore et fortezza d’animo et di corpo. Hauendo deliberato Annibale di mouer guerra a Romani; prima, che passasse in Italia, pose l’assedio… Fol. 160v a Sagunto ricchissima città della Hispagna: perche Saguntini impauriti uennero a patti, offerendosi di uolersi arrendere, et pagargli trecento talenti d’argento, et dargli altretanti ostaggi: ma non cosi tosto Annibale le uò l’assedio, ch’essi pentiti d’hauer tanto promesso, non uollero attenergli nulla. Ritornò dunque Annibale all’assedio, et sdegnato diede le città in preda a soldati suoi; iquali cosi fortemente la strinsero, che Saguntini furono sforzati a rendersi salue le persone, et solo una ueste per ciascuno. Le Donne accorte essendo certe, che il nemico non haurebbe consentito, che Saguntini fossero usciti armati (et cio era nelle conuentioni) se ne uscirono tutte insieme con gli huomini, portando il ferro nascoso sotto le gonne. Annibale, essendo gia tutti i Saguntini usciti, pose una squadra di caualli a guardia della porta; et diede a gli altri licenza d’entrare a saccheggiare la città. Questi caualli ueggendo gli altri carichi di preda, furono mossi da inuidia a un tempo et di sdegno; perche abandonarono la porta, et essi parimente entrarono a rubare. In questo le Donne messo un terribil grido, et dato l’arme in mano a gli huomini, tutti insieme con incredibil furia mosser contra il nemico: et dicesi, che una di loro tolto per forza la lancia di mano a un certo Hannone, ualorosamente lo inuesti per amazzarlo; ma perch’era armato, non lo puote ferire. I Saguntini colto il nimico in disordine, et carico di preda, molti ne uccisero, et molti ne fecero fuggire: poi con le Donne loro si uscirono della città. Inteso cio Annibale, gli mandò alcuni caualli dietro, liquali ne presero alcuni, ch’esso fece crudelmente morire: Fol. 161r ma la maggior parte ricouerandosi a i monti uicini, fu salua; i quali mandando un di loro con Annibale, ottennero da lui facilmente perdono, et di potor nella città ritornare. Non fu questo grande animo et ardire delle Donne, che non si puo negare? Certo poche altre furono simili alle Saguntine. P.F. Non è dubbio alcuno, che le Donne furono sempre ualorosi ne gli incontri a corpo a corpo: et benche elle uadano sotto, non però s’arrendono mai per uinte. VIO. Eccoui a ingiuriarci. MV. Quel ch’io intendo raccontarui hora, sarà uno essempio di honestà grandissima. Furono le Donne Milesie assalite un tempo da una certa infermità mirabile, et da si terribil furore; che non se ne poteua ritrouare ne cagione, ne rimedio. Et di cio era dato la colpa, che l’aere fosse corrotto et contagioso, onde aggirandosi loro il ceruello, ueniua loro uno strano desiderio di morire, ilquale affogandosi da se stesse metteuano ad effetto. A questo male non giouauano lagrime di madre, ne di padre, ne di madre, non preghi ne ricordi d’amici: anzi tanto era incredibile questa pazzia, che per tenergli guardia, non si faceua nulla: et elle in cio ingannauano coloro che le guardauano; in tanto che si teneua ferma openione, ch’elle fossero indotte a far cio da qualche mal genio: onde non reputauano altro rimedio douerui giouare, se non l’aiuto da gli Dei. Ma ne per questa uia ui fu giamai rimedio, finche un sauio huomo di consentimento del popolo ordinò una legge, che i corpi di quelle uergini, che s’affogauano da se stesse, fossero publicamente Fol. 161v strascinati ignudi et portati in piazza. Fu di tanto ualore il rispetto della honestà ne gli animi di queste fanciulle, che non pure bastò a raffrenare, ma spense in tutto cosi pazzo furore. VIO. Grande argomento di uirtu et nobiltà d’animo di queste Donne; poi che piu ualse in loro la paura della honestà, che tutte l’altre cose. Et che non istimando elleno punto il dolore della morte, ch’è reputato l’ultimo de i terribili, che possa auenire a gli huomini; tanto il cor gli pungesse la uergogna, che ne anco potessero soffrire di essere a quel modo dopo la morte uergognate. MV. Ma credo che questo altro che io ui dirò appresso, ui farà testimonio di maggiore honestà. Soleuano le uergini di Chio in certi giorni solenni, trouarsi per alcuni di insieme; et gli amanti loro in schiera le seguiuano per uederle et scherzare et danzare fra loro: la notte poi le istesse fanciulle entrauano per le case di ciascuna di loro, a far seruigi a padri, o fratelli, in cio che bisognaua: et spesso accadeua, ch’una fanciulla era da molti giouani amata et uagheggiata; ma però di si honesto amore, che tosto, che per matrimonio ella era fatta d’uno, tutti gli altri si rimaneuano di piu amarla. Et qui si puo uedere gran segno di temperanza et honestà di queste Donne, che mai non fu tra loro adulterio, ne alcuno non legittimo coniungimento. P.F. Dio sa come la cosa andaua fra quei giuochi di notte, et forse al buio. Io per me non ardirei affermare con giuramento questa si rara honestà. Et le buone fanciulle per auentura non erano sciocche affatto, che uolessero perdere le uenture. VIO. Voi haureste che Fol. 162r opporre al Vangelo, non che all’historie. ma non si perda tempo a contendere con lui. MV. Questo altro essempio sarà pur d’honestà, ne punto minore. Quando i Tiranni di Phocesi occuparono Delpho, Thebani mossero loro guerra, laquale chiamarono Sacra. In quel mezzo le sacerdotesse di Baccho, ch’essi chiamauano Thiade; andauano secondo usanza loro, furiose et senza ordine alcuno per tutto discorrendo: perche giungendo una notte a caso nella città d’Amphissa, et non essendo anchora ritornata in ceruello, si gittarono sulla piazza in terra a dormire: Onde le Donne d’Amphissa temendo non a queste Thiade fosse da i soldati de Tiranni usata qualche uillania; fatta una schiera di loro se ne uennero in piazza, et senza strepito alcuno si posero a fare la guardia alle addormentate Thiade, fin che elle furono deste. Allhora menandolesi a casa chi una, et chi un’altra, li souennero molto amoreuolmente di cio c’hauean bisogno: ne contente di questa cortesia, ottennero licenza da mariti di fargli compagnia infino a monti, onde elle poi securamente se ne ritornarono alla patria loro. P.F. O quante ce ne sono anchora hoggi sacerdotesse di Baccho, lequali poi c’hanno il capo pien di uino, si recan là come huom uuole. MV. Ma non ui pare egli, che grande honestà fosse quella delle Donne d’Amphissa? P.F. Io non so, se questo atto sia degno di cosi bel nome: perche chi sa che mouesse a far cio gli animi loro? Forse per non lasciar godere a queste pazze tutto il piacere intero, andarono anco esse a trastullarsi co i soldati et qui si potrebbe dire, che inuidia, et non honestà le mouesse. Et in somma, Fol. 162v come gia u’ho detto, quel ritrouarsi le Donne fra gli huomini al buio, non mi fa argomento di badar a orationi. Et non è marauiglia, che elle l’accompagnassero fuora: perche qui s’ha da credere ch’elle non uolessero compagnia d’altre Donne ne i loro amori: percioche gli animali, che uiuono d’un medesimo cibo, uogliono male l’uno all’altro. CLE. Vedi huomo, ch’anchora ardisce calonniare opre si uirtuose. MV. Poi che ho parlato di molte Donne insieme, bene è giusto, ch’io ui ragioni d’alcuna particolar Donna; perch’elle non pure son ualorose poste insieme, ma ciascuna anchora sola fa cose degne di memoria et d’honore. Et prima ui racconterò l’historia di due fanciulle. Tarquino superbo, che fu il settimo Re in Roma, fu per la forza fatta a Lucretia cacciato del Regno: perciò ch’essendo costei di nobilissimo sangue, et maritata a Collatino parente del Re; fu da un de figliuoli di Tarquino sforzata: et ella narrata l’ingiuria a i parenti et amici suoi, et pregandogli a farne uendetta, amazzò se stessa. Per questa cagione dunque fuggito Tarquino di Roma, andò chiedendo aiuto a molti popoli contra Romani, per ritornare in casa, et specialmente a Porsenna Re di Thoscani, ilquale con grande essercito pose l’assedio a Roma: onde trouandosi Romani condotti a mal termine, et confidando in Porsenna, c’haueuano per cosi giusto et humano, come ualoroso et potente; offersero di rimettere in lui la lite, che haueuano con Tarquino, et di dargli ampia auttorità di giudicare. Ma Tarquino non uolle acconsentirui, dicendo, che male poteua sperare nella giustitia di Fol. 163r colui, che nella guerra haueua poco fedele conosciuto. La onde Porsenna, abandonato Tarquino, s’accordò, et fece pace, et stretta amistà con Romani; iquali si restituirono tutto i paese, che in Thoscana gli haueuano tolto, et tutti i prigioni ch’erano in man loro; et altra cio gli diedero uenti ostaggi, dieci giouanetti, et altrettante fanciulle, tra lequali una ue ne fu chiamata Valeria figliuola di Valerio Publicola Consolo. Ma non essendo anchora ben del tutto accommodate le cose, il Re Porsenna staua ancho appresso Roma; quando le fanciulle, che gia erano state condotte nel campo di Thoscani, fingendo di uolersi lauar nel fiume, a poco a poco s’allontanarono da gli alloggiamenti: et giunte al Teuere, canfortate [sic] dalle parole di una di loro chimata [sic] Cloelia, entrarono pian piano nell’acqua, et rauuoltisi i panni in capo, presasi l’una l’altra per mano, dopo molto pericolo et fatica, giunsero all’altra riua. Alcuni dicono, che Cloelia era a cauallo, et che ella con parole, et con fatti aiutò le compagne à nuotare. Romani quando l’hebbero uedute passate a saluamento, molto se ne marauigliarono; et benche grandemente le comendassero come ualorose et ardite; non di meno per non mancare della lor fede, pensarono di rimandarle a Porsenna: ma nel passare del Teuere poco mancò ch’elle non fossero ritenute da i Tarquini, iquali haueuano fatto di loro una imboscata. Ualeria figliuola del Consolo, con tre altre fanciulle si saluò nel campo Thoscano; le altre furono come tolte di mano al nemico da Arunte figliuolo di Porsenna, che ui corse in aiuto con la caualleria. Giunte che elle furono dinanzi al Re Fol. 163v Porsenna domandò, qual fosse stata la prima a indurre l’altre a fuggire; tutte stauano chete et paurose, dubitando che’l Re non facesse lor male; et parte guardauano Cloelia; laquale tutta secura et animosa, confessò d’hauere spinto l’altre a fuggirsi. La doue Porsenna lodato l’ardir suo, le donò un bello et riccamente guarnito cauallo: et tutte insieme cortesemente le licentiò, et rimandò a i padri loro. Et per questo dono, che il Re le fece, alcuni hanno uoluto credere, ch’ella passasse il fiume a cauallo. Altri dicono, che il Re le donò un cauallo, per honorarla come caualliere, hauendo ella fatto cosa da huomo ualoroso. Et per questa cagione fu rizzata in Roma nella uia sacra una statoua di bronzo di Donna a cauallo; laquale alcuni dicono che fu fata in nome di Cloelia, et altri di Valeria. P.F. Se Romani hauessero hauuto a fare con huomo piu seuero, che non era Porsenna, si sarebbono aueduti, se la bestialità delle Donne fosse stata degna non pure di scusa, ma anchora di premio et di lode. Et questo non mi pare da comendare per atto di ualore, ma ben di troppo ardire: anchora che Romani l’honorassero di statoua: percioche per ogni minima cosa faceuan tali honori. VIO. Ogniun poteua uedere, pur che hauesse hauuto lume di discorso, come i Romani in cio non haueuan colpa; et ch’essi non mancauano di fede. Et Porsenna in questo fece ueramente ufficio di Re et di Re magnanimo. MV. Se questa altra historia, ch’io son per raccontarui, ui paresse anzi lunghetta, che no, et però noiosa, prego che mi scusiate, ne uogliate interrompermi: percioche ella è tale, che non ui Fol. 164r pentirete d’hauermi dato cortese ubienza. VIO. Le cose belle non furono mai lunghe ne noiose, et molto meno a chi prende piacere d’ascoltare, si come faccian noi. MV. Aristotimo fatto Tiranno di Elide, si manteneua in stato col fauore del Re Antigono: et facendo quanto male et poteua, ogni giorno affligeua piu quello infelice popolo: et oltra che egli era per natura dispietato et crudele, era anco molto piu per li consigli de Barbari; i quali et dello stato et della sua persona haueuano il gouerno. Ma tra l’altre sue crudeltà una se ne racconta crudelissima, ch’egli usò a Philodemo. Haueua costui una bellissima et molto ualorosa figliuola chiamata Micca, di cui era grandemente innamorato un certo Lucio della guardia del Tiranno: se pure questo non merita piu tosto nome di sfrenata lussuria, che di amore. Costui fece intendere alla fanciulla, che a un certo tempo andasse a ritrouarlo: et anco era dal padre et dalla madre, che non poteuan altro, stimolata ad andarui: ma la fanciulla, ch’era non meno uirtuosa, che bella, gittatasi a i piedi loro, gli pregò, che a uerun patto non la uolessero mandare a cosi uituperoso affare; et che piu tosto uolessero uederla honestamente morire, che uergognosamente uiuere. Hora perche questa fanciulla non andaua si tosto, come haurebbe uoluto, Lucio fieramente infiammato di lussuria et di furore, uolse andare egli in persona a casa della fanciulla; et ritrouatala inginocchioni dinanzi al padre, le comandò con un mal uiso, ch’ella andasse con lui: et perch’ella si staua pure, et non uoleua andare, squarciatole Fol. 164v i panni di dosso, et spogliatala quasi ignuda, le diede sulla carne di molte et crudeli staffilate: ma ella tanto costantemente le sopportaua; che non fu pur sentita aprir bocca al dolore. Il padre, et la madre mossi stranamente nel core per cosi horribile spettacolo, piangendo, poi che hebbero ueduto, che i prieghi loro non giouauano nulla; ad alta uoce incominciarono a chiamare soccorso d’huomini et aiuto di Dei, per una cosi grande ingiuria, ch’ingiustamente era lor fatta. Allhora quel barbaro spinto dall’ira, et dal uino trasse la spada, et quiui amazzò la fanciulla in grembo al padre. Il Tiranno non che punisse questo si crudel fatto, non ne fece pur segno alcuno; solamente riuolse l’animo contra quei cittadini, che questa cosa riprendeuano, et parecchi n’uccise, et molti ne bandì; de iquali ottocento s’andarono per auentura tutti insieme a saluare in Etolia; et facendo pregare il Tiranno, che fosse contento mandar loro figliuoli, et le mogli, non poterono impetrar cio da lui. Ma poco appresso fingendo d’esser mitigato, mandò un bando, che in un certo giorno assegnato potessero le mogli de banditi insieme co figliuoli, et con tutte quelle cose che piu piaceuan loro, andare a trouare i mariti. Onde le suenturate; ch’erano bene un numero di seicento; furono tutte allegre, credendo che cio fosse uero. Perche uenuto il giorno assegnato: tutte si ritrouarono alla porta della città, onde haueuano a uscire, con le cose loro. Altre haueuano i piccioli figliuoletti in collo; altre i piu grandicelli per mano, et altre su i carri; et quiui si fermauano l’una l’altra aspettando; quando essendo già Fol. 165r tutte raccolte per partire, anzi essendosi gia inuiate subito le giunsero dietro i ministri del Tiranno, gridando; ferma ferma, aspetta aspetta; et facendole per forza ritornare adietro, i manigoldi salirono essi su i carri, et girandoli hor qua hor la per mezzo di quelle suenturate, non li dauano strada di poter ritornarsi; ne anco di potere in luogo alcuno fermarsi. Et quello che cosi fiero spettacolo piu degno di compassione faceua era, che trouandosi le afflitte Donne in quelle strette oppresse; non poteuano soccorrere i lor figli, iquali o si moriuano, o uedeuano posti a manifesto pericolo di morire; perche molti che cadeuano da i carri, erano dalle ruote calpestati: tutti gli altri raccolti con le madri, furono a guisa di pecore da quegli scelerati ministri cacciati a furia di mazzate in prigione: et tutte le faculta loro andarono in mano del Tiranno. Questa si gran crudeltà di Aristotimo piegò molto il core de gli Eliesi: onde le sacerdotesse di Baccho, chiamate da loro le Sedici, ornate sacerdotalmente, et con le cose sacre in mano, s’appresentarono dinanzi al Tiranno, ilquale era in piazza: i ministri, ch’erano alla guardia della sua persona, mossi a riuerenza, s’allargarono, et le lasciarono passare. Il Tiranno ueggendo ch’elle haueuano in mano le cose sacre, tutto cheto da principio si stette ad ascoltarle: ma poi che udi, com’erano uenute a pregare per le Donne prigioni, come furioso gridando prima riprese i ministri che le hauessero lasciato uenire: poi comandò che tosto le facessero sgombrar la piazza: onde con gran furia et con spinte et con bastonate anchora ne furono mandate: et anco poi furono condannate Fol. 165v a pagare due talenti per ciascuna. Mosse questo crudelissimo atto, Hellancio, benche assai uecchio fosse, a pensare di cacciarne il Tiranno: ilquale per l’età graue di costui, et perche di gia gli haueua ammazzato due figli, non ne haueua alcun sospetto. In questo mezzo gli Elisiei, ch’erano ricouerati in Etolia, con quelle poche genti, c’haueuano potuto mettere insieme, haueuano occupato una parte del territorio di Elide uicino alla città; doue securamente poteuano starsi, et far guerra al Tiranno: quiui ogni di rifuggiuano molti, iquali o cacciati o uolontariamente usciuano della città: talche quasi haueuano fatto uno essercito giusto. Di che impaurito il Tiranno, se ne uenne alla prigione, doue erano quelle misere Donne: et si come quel che naturalmente era fiero, piu tosto con minaccie, et con paura, che non preghi, o con humanità comandò loro che scriuessero a mariti; pregandogli che s’andassero con Dio, et leuassero l’assedio: altramente egli prima crudelmente haurebbe ucciso i loro piccioli figliuoli su gli occhi loro; et dopo diuersi tormenti le Donne anchora. Stauano tutte le Donne chete, guardando in uiso l’una l’altra, ne rispondeuano cosa alcuna al Tiranno, benche egli molto le sollecitasse; mostrando di non temer punto di quelle minaccie. Quando Megistona moglie di Timoleonte, laquale et per la nobiltà del marito, et per proprio ualore, era prima fra l’altre; ch’alla uenuta del Tiranno s’era sdegnata leuarsi in piedi a fargli honore; et il medesimo a tutte l’altre haueua ordinato; costei dico senza mouersi di terra, dou’ella era a sedere, rispose in questo modo al Tiranno. Se ti fosse pure un poco di senno Fol. 166r rimaso, tu non ci comandaresti hora, che noi scriuessimo a nostri mariti il tuo bisogno; ma noi stesse, come a nostri Signori mandareste a negotiare in miglior modo, et piu lealmente, che non facesti dinanzi, quando tu ci ingannasti. Che se tu trouandoti hora fuor d’ogni speranza di potere scampare dalle loro mani, ti hai forse imaginato di uolere ingannare anch’essi per mezzo nostro; tu sei forte errato; percioche ne noi ci lascieremo da te di nuouo ingannare; ne essi sono cosi ageuoli al credere, che per liberare dalla morte i figliuoli et le mogli, uogliano rimanere di ritornare in uita e in libertà la patria loro: perche tanto non perderanno, perdendo noi, et questi fanciulli; che molto piu non acquistino, liberando dalle tue mani la patria e i cittadini loro. Parlaua tuttauia l’animosa Megistona, quando il Tiranno piu non potendo contenersi, furiosamente commandò, che gli fosse portato inanzi il fanciullo di lei, quasi per uolerlo amazzare dinanzi a gli occhi di lei. Mentre gli arrabbiati ministri n’andauano cercando fra la turba de gli altri, che giocauano insieme la madre lo chiamò a se, et si gli disse; Vien qua figliuolo, accio che tu muoia prima, che per la età habbi a prouare et sentire la dispietata fierezza del Tiranno: perche maggior dolore è il mio uederti seruo contra la dignità del tuo grado; che morto. Ragionando animosamente Megistona in questo modo; il Tiranno infiammato di rabbia, messo mano alla spada, si mosse per andare ad ucciderla ma un suo famigliare detto Chilone, si gli oppose; et lo impidi si, ch’egli non fece cosi uituperoso atto. Costui fingendo d’essergli grande amico, gli era sempre… Fol. 166v dintorno con gli altri domestici suoi; ma nel secreto del cor suo grande odio gli portaua; et era uno di quegli, che insieme con Hellanico gli haueuano congiurato contra. Egli fu dunque, che ritenne Aristotimo, mostrandogli come era cosa uile, et del tutto indegna di principe, imbrattarsi le mani nel sangue d’una Donna. Ma il Tiranno a gran pena con tutti questi ricordi si puote ritenere, et lasciate le Donne s’andò uia. Dopo questo non passò molto tempo, che auenne un tal prodigio: mentre ch’egli era in camera con la moglie; i famigli, che egli apparecchiauano da mangiare, uidero subitamente uenire un aquila uolando sul palagio del Tiranno; et calando pian piano, lasciare cadere quasi a studio un gran sasso sopra quella parte della casa, che rispondeua sopra la camera, doue dicemmo, che il Tiranno si staua con la moglie: et poi lauendosi con grande strepito et grida usci degli occhi a tutti. Destato dunque il Tiranno dalle uoci di coloro, che haueuano uisto l’aquila; et intesa la cosa, tutto stordito si fece chiamare uno, di cui esso si seruiua, et si fidaua molto; et pieno di spauento lo dimandò, che uolesse dir questo. l’indouino lo confortò a stare di buono animo, dicendo, questo essere un segno, che Gioue teneua gran cura di lui, et lo uoleua aiutare in tutti i suoi bisogni. Cosi disse egli al Tiranno; ma d’altro modo parlò a i cittadini; facendo loro intendere, come il Tiranno era per tosto incorrere in un grandissimo pericolo di perdere lo stato et la uita. I congiurati adunque non gli parendo di prolungare piu il tratto, deliberarono di uolerlo assaltare il giorno seguente. Et quella notte, che ui… Fol. 167r fu in mezzo, parue ad Hellanico uedere un de suoi figliuoli, che Aristotimo gli haueua fatto morire, et dirgli in questo modo. Perche stai tu dormendo, o mio padre; or non sai tu, come dimane tu sarai signore di questa città? Per questa uisione diuenuto piu animoso Hellanico, andò la mattina a ritrouare i congiurati, et a sollecitargli, che non mettessero tempo in mezzo. Aristotimo essendo stato auisato, che Cratero con grosso essercito ueniua in suo soccorso, et ch’era gia arriuato in Olimpia, s’era tanto assecurato; che gli bastò l’animo di uenirsene in piazza senza guardia insieme con Chilone. Hellanico uedutosi presentare si bella occasione a suoi disegni, senza dare altro contrasegno a congiurati; leuò le mani al cielo, et con chiara, et altissima uoce, disse; che fate, o fratelli, che non mostriate hora un bellissimo spettacolo nella uostra città? Allhora Chilone fu il, primo che messo mano alla spada, amazzò un di quegli che accompagnauano il Tiranno. Trasibullo, et Lampido corsero adosso Aristotimo: ma egli fuggi nel tempio di Gioue, ch’era quiui presso; doue fu da coloro, che lo seguitauano, ammazzato. I congiurati trassero poi il corpo morto sulla piazza, et chiamarono gli Eliesi in libertà; et benche a quel rumore subito corresse il popolo; pochi però ui giunsero inanzi delle Donne; le quali alla prima uoce, che se n’udi, tutte allegre tosto corsero in piazza; et quiui faceuano segni di allegrezza con coloro, che u’haueuano ritrouato. In questo mezzo corse un gran numero di cittadini al palagio; doue la moglie di Aristotimo serratasi con due sue figliuole in una camera s’appiccò per la gola. Fol. 167v Haueua il Tiranno due bellissime figliole, et gia da marito; le quali alcuni uoleuano trar per forza della camera, doue erano, et prima uituperarle, et poi farle morire. Ma incontrandosi per auentura in Megistona, la quale ne ueniua in compagnia delle altre Donne; ella biasmò forte coloro, dicendogli; che pazzia grande è la uostra, c’hauendo tanto in odio la crudeltà tirannica, uogliate poi anco uoi far cose peggiori assai? Doue fermatisi tutti per la riuerenza, che le portauano, ella pensò far bene a trarle quelle fanciulle di mano, et rimettere a loro la morte, ch’elle uolessero fare; et cosi fece. Onde la maggior nata, scioltasi una cintura, si fece il laccio per appiccarsi, et confortò la sorella che il simile facesse, ricordandole a guardarsi da ogni atto utile, e indegno del sangue loro. Allhora la piu giouane togliendole la cintura di mano, pregaua la sorella, che lasciasse prima morire di lei. Ne mentre io uissi, disse allhora l’altra, le hora ch’io son per morire ti son per negare cosa, laquale tu mi domandi: onde poi che pur cosi ti piace, resterò dopo te uiua; et quello, ch’assai piu che la morte ti duole, uedrò te carissima sorella prima di me morire. Et cosi dicendo le diede la cintura, ricordandole di accostar bene il nodo del laccio alla spina del collo, accio che non penasse a morire. Et poi ch’hebbe ueduto la sorella gia morta ricoperse con la ueste il corpo morto, come puote il meglio; et uolta a Megistona la pregò, che quando ella fosse morta, non la lasciasse ignuda, ne dishonestamente in terra. Et detto questo col medesimo laccio appiccò se stessa. Io non credo, ch’allhora fosse alcuno cosi dispietato, ne si nemico Fol. 168r al Tiranno, che per pietà non si sentisse tutto struggere dentro, ueggendo morire quelle fanciulle di si magnanimo et generoso corre. VIO. Tutta la uostra hisotria n’è sommamente piaciuta, et piu d’una uolta ma tratto le lagrime agli occhi, se ne che pure n’è s’incresciuto udire la morte delle due fanciulle: et fra me stessa grandemente riprenderei la crudeltà di quella Meggistona, laquale potesse sopportare di uederle morire: che c’io non mi parue mai atto di ualorosa Donna, ne pure di Donna; lequali sogliono tutte essere compassioneuole et pietose, molto piu che uoi huomini non sete. MV. Haueuano il quei tempi et meritamente, tanto in odio leggenti il nome di Tiranno; che non era stimata crudeltà perseguitargli con ogni maniera di supplicio. Et però se quella Meggistona non usò ufficio di Donna, in cio non merita ella riprensione, ma piu tosto esser lodata hauendo risguardo al ingiuria che l’era stata usata: et ueramente chi non ha prouato l’ingiuria, non sa quanto sia dolce l’atto della uendetta. Ma basti fin qua auer raggionato in commune i questi di molte Donne insieme, benche siano quasi infinite le cose, che se ne potrebono oltre che se ne gia dette, dire. Vengo hora a raggionare del ualore d’alcune in particolare, senza seruare in cio l’ordine dei tempi, ma secondo che piu mi occorrerà prima o questa, o quella. Degli Ioni, che habitauano in Mileto, alcuni per una gara che hebbere co’figli di Nileo, s’appartarono in miunte: doue fecero pensiero di fermarsi: ma sendo poi molte stati dalle continue correrie de’Milesi, era- Fol. 168v no sforzati a star sempre con l’arme in mano: non dimeno perche tutti haueuano origine da una medesima città, et le ingiurie, che i Milesi gli faceuano, erano solo di partialità, et non per inimicitie capitali; incerti disoleni usauano le Donne de Miunte andare pacificamente in Miletto; fra le quali u’andò’ un giorno fra gli altri alla festa di Diana una fanciulla assai bella, chiamata Pieria, figliuola di Pithe de piu richi et piu nobili di Miunte. Di costei s’innamoro’ forte Phrigio il maggiore de figliuoli de Nileo: ilquale accostattolesi la pregò, ch’ella uolesse dirgli, in che l’haurebbe potuto fare seruigio, che le fosse stato in piacere la fanciulla a queste parole tosto rispose, ch’ella non uoleua altro da lui, se non ch’egli adoperasse in modo, ch’ella potesse et spesso e in compagnia di molti uenire a Miletto. Conobbe l’innamorato giouane per quelle parole, ch’ella desideraua la pace: onde ragunato il consiglio dei cittadini suoi, fece stabilire amaicita’ et pace perpetua con quegli che habitauano in Miunte: onde dall’ una et l’altra parte ne fu perciò molto amato et riuelito il nome di Pieria: talche le donne poi uolendo dire gran cose desiderauano di essere tanto amate, quanto Phrigio amò la Pieria. VIO. Il desiderio delle Donne gentile et uirtuose e’ di uedere amicitia et pace; come per lo contrario le scelerate et uili altro non amano che uedere oddio et guerra. MU. Questo altro ch’io intendo raccontarui non farà forse le minor ualor. La cagion della guerra, che fu fra i Milesi, et i Naxii dicesi che fu per Neera moglie di Hipsicreonte a que- Fol. 169r sto modo. Costei innamorata di Promedonte da Naxo, che praticaua in casa sua col marito, fattogli per uia secreta intendere l’amor suo. Si domesticò seco: ma percioche parte haueua paura del marito, et parte anchora non le pareua potere satiare a sua uoglia il suo amore, se ne fuggi col su amante in Naxo; doue entrò in un monistero d’alcune uergini a seruire a desta. Il marito fece piu uolte proue di rihauerla; ma non gli uene mai fatto; perche i Naxii, non uolendo dispiacere a Promedonte, non glie le uolsero giammai restituire, allegando ch’ella era al seruigio di Vesta: onde facilmente si suscitò guerra, et discordia fra loro. Nellaqual guerra molti Ioni s’accostarono co’Milesi; ma dagli Eritrei, molto piu che dagli altri furono aiutati. Ora poi che fra l’una et l’altra parte erano successi di molti danni, si come per una maluagia femmina haueua questa guerra hauuto principio; cosi per mezzo d’un altra hebbe fine. Hauendo Diogneto Capitano de gli Eritrei con fosse et bastioni serrata la città di Naxo: uolto a dare il guasto al territorio, ui fece un gran bottini; nelquale ui furono fatti prigioni molte Donne, et fanciulle libere; fra lequali una et bellissima ui fu chiamata Policrita; laquale essendo amata molto da questo Capitano, era da lui tenuta non come prigionera, ma a guisa di carrissima et legittima moglie. In questo tempo celebrando i Milesi una solenità grande; i soldati e il capitano perche non stimauano. Il nemico, si diedero a far conuiti, et a pigliarsi piacere: ilche ueggendo Policrita pregò Diogneto di potere mandare ai suoi fratelli, ch’erano nella città assediati, qual Fol. 169v che particella delle reliquie de’ sacrifici loro: et essendone cio facilmente concesso; pose una piastra di piombo dentro una torta, et con alcune altre cosette da mangiare, la mandò per un seruo a i fratelli; auisandogli che, solo quegli a chi si mandaua, ne douessero mangiare. Quando i fratelli mangiando trouarono quel piombo et uidero, come la sorella scriueua et che la notte seguente con ogni sforzo uscissero della città; perche haurebono in mano la uittoria dei nemici; iquali stanchi, et senza alcun sospetto, et pieni di uino senza alcun dubbio disordinati si starebbono addormire: riguagliato di tutto questo i Capitani loro, la notte uscirono della città con ogni sforzo; et senza alcuna fatica ammazzando molti di nemici, presero amansalua gli allogiamenti: poi si diedero a cercare di Diogneto, et di Policrita; laquale pregando i suoi, che non uccidessero l’amante suo, ottene ch’egli securamente se ne ritornasse a casa sua. Ora ritornando ella insieme coi fratelli in Naxo, tutta la città l’andò a incontrare, et farle festa, alzanda fino al cielo la prudentia e’l ualor suo; quando non potendo sostenere tanta alegrezza sua, presso alla porta della città in presenza d’ognuno mori subito: doue alle spese del commune le fu ordinato un bellissimo sepolcro; che fu chiamato poi il Sepolcro del Fascino; quasi che il malignio occhio di qualche inuidoso fosse stato cagione di non lasciarle godere i tanti honori, che dalla sua patria l’erano fatti. P.F. voi hauete creduto raccontarci uno essempio d’una Donna ualorosa et prudente, et apunto ce ne hauete riferito due di due femine dishoneste. AGO. Il primo Fol. 170r di quella che andò con suo amante so bene io, che non merita l’ode; ma il secondo di Policrita, che libero la patria, è degno d’ogni honore. P.F. Voi non mi potete negare, che l’uno et l’altro non fosse tradimento, et però riprensibile. VIO. Lasciamo andare il primo; ch’io per me non difenderei mai una, che abbadonasse il marito, per andare con l’amante; ma chi non l’oda il secondo, ha torto: perche uoi pur sapete, quanto siamo tenuti alla patria. Et perche io non so disputare, il Signor Mutio, ui sosterrà bene egli, che cio non fu tradimento. MV. Ma chi lo fa meglio di lui, che pur dee sapere, come non è tradimento, doue non è obbligo di seruar fede: costei era prigionera, in mano di nemici;et poteua et doueua tutte le cose fare, che fossero in benificio per la patria: et facendole non era chi ne la douesse gli biasimare. Ma ci sarebbe facenda fino a domane, chi uolesse rispondere alle false calonnie: però sia bene, ch’io la lasci nella sua ostiantione, essendo incorrigibile; et ch’io continui il mio raggionamento si come ho comminciato. Erano in Phocide due fratelli discesi da Codro, chiamati l’uno Phobo, et l’altro Blepsu: et Phobo fu quello, che primo ardì precipitarsi giu dalla pietra Leucadia in mare. Questo Phobo essendo ualoroso molto et di real presenza, nauigò per sue facende nell’isola di Paro: doue essendo accarezzato grandemente da Mandrone Re di Bebricii, andò seco alla guerra, ch’egli per auentura allhora apunto aueua mossa a certi suoi uicini. Preso mandrone da questo amoreuole atto di Phobo, oltra che gli donò nella partita sua molte cose Fol. 171v in testimonio d’amore et di beneuolenze; gli offerse anchora parte dela territorio, et della città sua, s’egli uoleua menare di Phocide una Colonia ad habitar quiui. Tornato Phobo a casa, persuase a molti, che uolessero andar secco ad habitare in quel luogo; et con essi mandò suo fratello: et fu loro da Mandrone osseruato quanto gli hauea promesso. Ora hauendo spesso guerra questa Colonia di Phocesi co i Barbari loro uicini et richiti molto della preta, et delle spoglie di quegli; prima cominciarono a essere odiati, et poi anco a uenire in sospetto a Bebricii; iquali cercando percio di cacciarli, prima fecero proua con uarie suspitioni di fargli nemico Mandrone: ma essendo egli molto piaceuole, et humano, non gli uolle ascoltare. In questo mezzo occorendo a Mandrone andare fuor del Regno, i Bebicii si deliberarono da salire alla sproueduta i Phocesi: ma cio intendendo Lampsace figliuola di Mandrone, uergine anchora et fanciulla, si sforzò prima di leuare di corre questo maluagio pensiero a gli amici et domestici suoi facendo loro conoscere, quanto farebbon male a fare ingiuria a chi hauea fatto loro tanti seruigi et benifici; et ch’eran gia diuentati come loro fratelli, et d’un luogo medesimo cittadini: ma poi alla fine accortasi, che le parole di lei non ualeuano appresso di loro; fece secretamente il tutto sapere a Phocesi; iquali fingendo di uoler fare una certa loro festa, inuitarono a desinare seco fuora della città a un magnifico conuito i Bebricii: et fatto di tutti loro due parti, quando li parue tempo, una andò a pigliare le porte della città; un’altra poi ch’hebbe uinto et preso tutti gli inuitati, Fol. 171r andò a prendere il resto nella città medesima. A questa maniera fatti Signori assoluti di quel luogo, mandarono tosto a richiamare Mandrone, affine che prouedesse a tutto. In questo mezzo ammalando et morendo Lampasce, la piansero, et Sepelirono con grandissimo honore; et per amor di lei chiamarono quella città Lampasco. Mandrone sospetto hauendo di tradimento, et per cio non uolendo habitare insieme con loro; fece uenire a se i figliuoli, et le mogli di quei Bebricii, ch’erano stati morti: e i Phocesi gliele rimandarono tosto, senza far loro alcun dispiacere, o mancargli in nulla et poi fatti heroici honori a Lampasce, la posero secondo usanza loro nel numero dell’altre Dee, ordinandole publicamente sacrifici, iquali da i discendenti loro le furono sempre poi religiosamente osseruati. VIO. Sempre s’è ueduto, cha tutte le Donne sono dispiaciuti i tradimenti et l’opre scelerate: et però non è gran marauiglio, che Lampasce non potesse uedere traditi i Phocesi. P.F. Intanto la buona fanciulla per i schifare uno inconueniente, ne incorse in uno altro maggiore; et cio fu, ch’ella diede cagione alla ruina de suoi: il che mi pare tradimento da non potersi difendere ne scusare. CLE. Coloro che haueuano prima pensato di assassinare i Phocesi, erano d’egni dogni male: et la fanciulla prima operò di leuargli con buoni et uirtuosi consigli dal lor fiero proponimento: ilche non le succedendo per la maluagità loro, bisognò poi de i due mali elegere il minore. P.F. Doueua Lampasce, come tutte l’altre persone, amar piu la patria, che gli strani: ma ella mostrò tutto il contrario; perche Fol. 171v non merita lode. VIO. Sempre chi opera a intentione di bene, è degno di lode: l’intentione di costei fu ottima et lodeuole; et però non merita biasimo. MV. Lungo sarebbe a uolere imporgli silentio: però s’io interromperò la uostra disputa, m’haurete per iscusato; che la promessa mia mi sollecita a seguitare. Aretaphila Cirenea, non è molto antica; percioche fu a tempo di Mitridate; ma cosi illustre et degno, quanto alcuna altra antica; fu figliuola di Eglatore, et moglie di Phedimo giouane de i piu ricchi et piu nobili, che fossero nella città sua: et ella non solo era bellissima di corpo; ma con la prudentia, et ualor suo auanzaua la sua propria bellezza: ella fu anco eloquente et faconda: ma molto piu chiara la fecero le suenture della patrie sua. Percioche hauendo Nicocrate preso la tirannide in Cirene; oltra molti altri cittadini, ch’egli fece morire, amazzò anchora di sua mano Menalippo Sacerdote d’Apollo; usurpando esso per se la dignità et auttorità del sacerdotio; et hauendo similmente con suoi inganni ucciso Phedimo marito di Aretaphila; si prese lei benche per forza, et contra suo uolere, per moglie: et usando ogni di infinite crudeltà co’ suoi sudditi, questa fu una delle piu notabili; che pose le guardie alle porte della città; perche dando i suoi di molte punte con gli stocchi, o pur cuocendo con lame inforcate di ferro i corpi morti, che ne usciuano, mettessro cura, che in luogo de morti, i uiui senza saputa sua non si facessero portar fuora. Tutte queste crudeltà, oltra i suoi propri et particolati affanni, crociauano grandemente l’animo di Aretaphila: benche il Tiranno, Fol. 172r che l’amaua quanto il cor suo, le compiacesse molto: et come che con ogni altro fosse arrabbiato, et durissimo con lei sola nondimeno era piaceuole et cortese: perche cosi uoleua Amore: ma il grande et generoso animo di questa Donna che piu si sentiua tormentare nel core per la tribulatione della patria sua, ch’ella non hauea di contento per l’amore, che costui le portaua; nel suo secreto era tutta dolorosa, ueggendo cosi crudelmente trattati i suoi cittadini; massimamente ch’ogni di uedeua nuoue maniere di tormenti et di morti farsi nella città sua, senza alcuna speranza di rimedio: perche que pochi ch’erano fuor usciti, erano poco potenti, et sparsi in uari luoghi. Ella sola dunque senza altro aiuto si deliberò tentare questa uendetta publica; facendosi specchio dell’ardire della molto lodata Pherea Thebana: et benche, non hauesse compagni et aiuto come hebbe colei, da potere esseguire l’intento suo, pensò di farlo col ueleno: ma ui hebbe di molti impedimenti. Perche essendole fallite molte uie, fu finalmente scoperta, et con si chiari indicii, che non puote negarlo. Caluia dunque madre del Tiranno Donna animosa, et senza compassione alcuna, commandò, che Aretaphila subito fosse fatta morire con grandissimi tormenti: ma il grande amore, che Nicocrate le portaua, gran parte del furore gli ammorzaua; tanto piu ch’ella corraggiosamente rispondeua a quei che l’accusauano, et concerte sue ragioni si difendeua, allegando di hauer temprato il ueleno non gia per amazzare alcuno con esso; ma solo perche sapendo, diceua ella, che molte altre Donne m’haueuano inuidia; percioche da uoi Signor mio era sommamente amata; et trouauami Fol. 172v in tanta gloria et grandezza; temendo io de tradimenti, et loro maluagi artificii; uolea con questo liquor, s’io potea; stabilirmi piu l’amor uostro. Gia non niego io d’hauerlo per tal chione fatto: che se cio per auentura fosse riputato da’alcuno cosa Donnesca et leggiera; non però si dee giudicare cosi graue peccato; ch’io ne meriti la morte; saluo se uoi, carissimo consorte et signor mio, non uoleste condannare a morte uostra moglie, perche ella con incanti habbia cercato d’amarui, piu che uoi non uorreste. Non le giouaranno nulla queste scuse: che pur finalmente il Tiranno la consegnò in mano della madre, perche ella con tormenti ne cauasse il uero: la quale usò tutte le sorti di tormenti; ma ella sempre si mantenne salda in un proposito; ne da lei mai si puote hauere altro, che quello c’hauea prima detto: et piu tosto si stancò Caluia di tormentarla, ch’ella di sofferire. Allhora Nicocrate la fece lasciare, et hebbela per innocente, pentendosi d’hauerla fatta tormentare in quel modo. Et poco dopoi ritornando in lui, anzi crescendo piu l’amore, con ogni qualità d’honore et di cortesia; s’ingegnaua di placarla, et di ritornarlasi, come prima, amoreuole. Ma ella, che cose di leggiero, por seruigio et honore, che le facesse il marito, non poteua scordarsi le ingiurie e i tormenti, che sua cagione haueua patito; uolta tutta et per l’antico, et per questo nuouo sdegno alla liberazione della patria, dissimulando cominciò a tentare nuoua uia, per uenire al suo intento. Ella haueua una figliuola del primo marito hoggimai grandicella: con questa, come si fa con l’esca a pesci, allacciò il fratello del Tiranno detto Leandro, molto incli- Fol. 173r nato di sua natura a i piaceri amorosi; et di piu (come disser molti) sforzatoui anchora da Aretaphila con incanti et beuande amatorie. Costei tanto fece pregare il Tiranno, che finalmente gliela diede per moglie. La fanciulla dalla madre informata; non fu si tosto col nouello sposo, che cominciò a pregarlo, che uolesse ritornare in libertà la sua uolere, et senza consentimento del Tiranno, non haueua potuto hauer moglie, cosi non era certo di poterla possedere lungo tempo; mostrandogli ancho che Aretaphila di cio n’haurebbe gran piacere. Essendo dunque in questo modo ogni di sollecitato Leandro, sempre con nuoue querele et sospetti contra il Tiranno; gli andò un poco piu auanti il pensiero: percioche finalmente con l’aiuto d’un suo famigliare detto Daphnide, di chi potea fidarsi, amazzò il fratello; ma non gia per questo liberò la patria. Perche parendogli pur bella cosa esser Signore, trasferì in se tutta l’auttorità del fratello, et uolle egli essere il Tiranno, facendo di molte cose ingiuste a sua uoglia. Vsaua nondimeno qualche rispetto ad Aretaphila; laquale non ueggendo percio, come desideraua, libera Cirene, cominciò di nascosto a tendergli aguati; et prima indusse un certo Arrabbo della Libia a far correrie nel paese di Leandro, poi appressarsi alla città con l’essercito. Dallaltra parte biasimaua poi pubblicamente et riprendeua come uili et codardi, et poco atti alle guerre gli amici, e i capitani del genero suo. Onde a me pare, cominciò a dire ella, che se tu hai caro stabilirti nello stato, et esserne in tutto padrone; che tu faccia Fol. 173v di uiuere in pace, lasci le guerre: et io mi offero, et confido prima di farti far tregua con Anabo; et poi uenendo seco a parlamento, pacificarui ancho insieme; prima che la guerra piu si uenga a inasprire co i danni, che l’un l’altro ui fate. Ora ueduto che Leandro a cio facilmente acconsentiua; inanzi che uenisse il giorno assegnato di ritrouarsi insieme a parlamento; mandò segretamente a fare intendere ad Anabo, et a pregarlo, che in questo abboccamento facesse morire Leandro; promettendogli in premio per cio gran quantità d’oro. Accettò Anabo il partito: et gia uenuto il giorno d’abbocarsi. Leandro con diuerse scuse l’andaua prolungando et fuggendo: ma uergognandosi alla fine, perche Aretaphila s’offerse d’accompagnaruelo; pure si lasciò condurre a uscire della città disarmato, et senza guardia alcuna. Veggendosi poi uenire incontra Anabo, n’hebbe sospetto, et non uoleua passare piu inanzi, dicendo che uoleua far uenire la guardia della sua persona. Ma Aretaphila parte facendogli core, et parte riprendendolo, et tirandouelo ancho per mano; il condusse pure auanti, et diello prigione al nemico: onde egli fu ben guardato, finche gli amici d’Aretaphila gli portarono l’oro promesso: et con essi uenne anchora gran numero di cittadini, perche gia s’era publicata la cosa, aralegrarsi con Aretaphila; et parte a pregarla, che tosto facesse morire il Tiranno: ma ella poi chel’ uide giunto a quella miseria, se ne quasi penti; come le Donne fanno, che tutte compassioneuoli sono; et u’andaua lenta. Ma egli furono tanti i preghi et pianti di tutti, che l’hebbero pure in mano; et si lo condussero nel- Fol. 174r la città, per farlo, come egli haueua meritato morire; lodando sopra modo, et honor andò Aretaphila. Et prima arsero uiua Caluia madre de i dui fratelli Tiranni; et poi cacito Leandro in un sacco, lo macerarono in mare. Uoltisi poi a dare ordine alle cose dello stato, assai pregarono Aretaphila, che insieme co i principali della città uolesse accettare il gouerno: ma ella, che gia per proua assai ben conosceua, quanto maleageuole fosse potere in un regimento sodisfare interamente a ogniuno; tosto che uide adempiuto il desiderio suo, ch’era di ritornare la patria in libertà; si ritirò in una compagnia di Donne sacre; con le quali uisse pacificamente l’auanzo di sua uita, senza uolere a uerun modo por mano a gouerno di stati. VIO. Hora che ui pare, del ualor di questa Donna; haureste uoi per auentura, onde poterla tassare? P.F. quando lo mie ragioni fossero ascoltate, non mi mancherebbe doue poter riprenderla: perche costei non pure ne fece uno, ma molti tradimenti; si come è cosa chiara. Et benche, secondo la sentenza di Augusto, i tradimento si lodino, non pero i traditori si debbono amare. Ella prima uolle far morire il marito di ueleno: poi non le uenendo cio fatto, lo fece assassinare dal fratello: ultimamente fece anco amazzar lui: et pure era dal marito tenuta carissima et amata; di ch’egli n’hebbe assai tristo guiderdone. MV. Io u’ho gia detto, che l’amor della patria, et l’obligo uerso lei nostro, son cose troppo grandi: per laquale non si dee curar pericolo alcuno: anzi siamo tenuti preporre l’amor di quella fino al nostro particolare interesso: come hanno Fol. 174v molti huomini saui lasciato scritto, et massimamente incontra la crudeltà de Tiranni. Ora poi che u’ho ragionato de gli strani, ui raccontero alcuna cosa delle Donne Italiane. Vna Donna chiamata Epichari, essendole per auentura uenuto a gli orecchi la congiura Pisonicana fatta contro Nerone, diuenuta piu animosa et piu ardita, che le Donne ordinariamente non sono: non le bastando hauer notitia di cosa tanto importante; uolle anco essa numerarsi fra i congiurati. Andata dunque a Pozzulo in terra di Lauoro, adopero in tutti modi per fare entrare nella congiura Volusio generale dell’armata. Ma essendo egli di uilissimo animo, scoperse tutta la cosa a Nerone. perche essendo Epichari con uarii et grauissimi tormenti crucciata; benche ella hauesse inanzi Volusio, che’le faceuate stimonio contra di cio, ch’ella hauea detto; non però fu possibil mai farla confessare cosa alcuna. Ma hauendo gia stanco i ministri e i tormenti, et tutta stracciata il corpo, uenutagli la uita a noia, s’appiccò da se stessa. Et cosi uenne a mostrare in un fragil sesso, che non era armato da dottorina alcuna, piu ualore et uirtu, che infiniti philosophi non fecero giamai. Ne fu punto minore la uirtu et la patientia di Quintilia Mima, benche ella molto piu felice fine hauesse. Perche quantunque infino a quel tempo ella fosse nodri ta ne’ giuochi de theatri; et però fosse stimata Donna di poco ualore; nondimeno essendo stata accusata da Diuidio, d’essere partecipe dell’animo et de consigli di Pompilio senatore contra l’Imperatore Caligula: sempre negò di non saperne cosa alcuna, quando ella era Fol. 175r menata al luogo de tormenti. Et mentre ella passaua oltre, premendo il piede a uno de congiurati, ch’era quiui, gli fece segno, che stesse di buono animo: perch’ella non era per nominarlo. Et cosi stando salda in questa deliberazione, resse a tutti i tormenti; ne mai confesso nulla: et finalmente fu liberata, come quella ch’era accusata a torto, et fattole di molti doni, in ricompensa de i tormenti, ch’ella haueua patito. Hauendoui ragionato della costanza d’animo ui dirò alcuna cosa della continenza et della honestà, ch’è molto maggio uirtu. Che honestà dobbiamo credere noi, che fosse nella moglie di Gieron Siracusano? laquale dolendosi il marito, che mai non gli hauesse detto che il fiato gli putisse; et percio n’era stato auertito da altri, et non senza uergongna; gli rispose, che’ella pensaua, che tutti gli huomini hauessero quel medesimo odore. Questa medesima risposta fece ancho Bilia: a Duellio suo marito; ilquale fu primo, che menò triompho nauale in Roma. Zenobia Reina de Palmireni, oltra ch’ella si guardaua da ogni altra qualità di lussuria, non dormiua mai col marito, quando per li segni delle Donne si conosceua grauida di lui. Et dopo la morte del marito, uisse lungo tempo guerreggiando fra soldati senza alcuna infamia. Gran cosa ueramente, perciò degna di grandissime lodi, che da quel s’astenesse, ch’è nel matrimonio concesso. Et che uiuendo libera fra gli huomini di guerra di corrotti costumi, non cadesse in uituperio ne uergogna alcuna. Laqual lode di contentia a tempo nostri dalle Sacre Uergini costodite da tanti ripari, da tanti oc- Fol. 175v chi, et da tante mura, è rade uolte meritata. P.F. Potrebbe essere, ch’anch’io, udendo a uoi riprendere le Donne, mi prenderei questo ardire. CLE. cio non è lecito a uoi, che fate per dir male, non a correttione, come il Signor Mutio. MV. Hora uoglio contarui alcuni essempi dell’amore delle mogli uerso i mariti. Hauendo Nerone dato a Seneca l’elettione, di che morte e uoleua morire, et hauendo esso eletto farsi tagliar le uenne, et di lasciare la uita insieme con sangue in un bagno. Paolina sua moglie mossa da maritale amore, (benche Seneca non uolesse) s’era deliberata anch’essa di uoler morire: per tenere fidissima compagnia nella morte al marito, come hauea fatto in uita. Ma hauendo inteso cio Nerone, mandò subito persone a fermarle il sangue, et ritenerla in uita. La onde essendogliene gia uscito molto, ella sempre fu pallida; et sempre ritenne in uolto il segno del suo pudico amore. Triaria moglie di L. Vitellio fratello d’Aulo Vitellio Imperatore, non altramente, che Hissicratea Mithridate, armata seguitò il marito nella guerra ciuile, che i Vitelliani fecero contra Vespasiano. E in quella notte, che il marito con gran numero di soldati usci di Taracina, anch’ella ualorosa et ardita fra le spade ignude, mentre scorrendo di man propria amazzaua i nemici, mostrò d’hauer fortezza, quanto alcuno altro soldato. Cotanto haueua la fiamma del maritale amore ripieno il feminil petto di ardire et di valere. Phila moglie del Re Demetrio mostrò non pure grande amore uerso il marito suo, ma anchora grandezza Fol. 176r d’animo. Perche hauendo inteso ch’egli rotto in battaglia, et spogliato de i regni s’erà ricouerato in Cassandria; ne potendo sopportare di uedere priuato del regno quel, ch’ella haueua amato Re famoso per molte uittorie; mossa da amor grandissimo s’amazzò col ueleno. Durando anchora la legge de i triumuiri, nella quale incorreuano una medesima pena co i proscritti, coloro, che dauano ricetto a i proscritti; per la paura dellaquale infiniti haueuano tradito i fratelli, i mariti, i padri, e i figliuoli; Ligario fu uno de proscritti; ilquale fu lungo tempo tenuto secreto in Roma dalla moglie et da una serua sola. Ma finalmente dalla serua accusato, fu da coloro, che n’haueuano cura, amazato. Onde la moglie, che molto l’amaua, tenendo dietro al marito, mentre ch’era menato a morire; pregaua i ministri, che amazzassero anchor lei: perciò che ancho ella secondo la legge meritaua la morte: perche lungo tempo hauea tenuto in casa il marito proscritto. Et cosi gridando et pregando arriuò fino a doue erano i triumuiri. Ma non essendo alcuno, che la uolesse udire, tornata a casa s’astenne dal mangiare; et cosi in grandissima tribulatione tra la fame et le lagrime fini la sua uita. Questa marital fiamma inspirò prudentia anchora ad Annia Romana, essendo confortata, che giouane et uedoua si maritasse di nuouo. Laquale rispose, ch’ella non uoleua accadendole hauer buon marito, com’era stato il primo, stare in continuo affanno et sospetto di perderlo. Et se per lo contrario si fosse abbatuta in cattiuo marito, Fol. 176v che troppo le sarebbe paruto graue quel male, che da se stessa, senza ch’alcuna occasione la sforzasse, s’hauesse procacciato. Dicesi anchora, che Valeria maggiore sorella de i fratelli Messali, in simil termine rispose quasi nel medesimo modo, ma con altre parole. Percioch’ella disse, che Seruio suo marito, benche a gli altri paresse morto, non dimeno appresso di se uiueua anchora. Gran testimonio anchora di uero maritale amore fu quello che mostrò la moglie di Stratone principe di Sidonia, quando essendo assediata la città da Persiani ella dubitò, che’l marito non uenisse in mano de nemici. Et cio deliberò fuggire con la morte, se possibile era. Perche hauendo gia inteso, che i nemici erano entrati nella città, et che non erano molto lungi, a prendere il suo marito, toltogli la spada, con le sue mani l’uccise; et al corpo di lui fece quel maggiore honore, che’l tempo le concesse. Et essa poi su quel corpo con la medesima spada amazzò se stessa; per mostrare quella carità nella morte al marito, che uiuendo gli haueua portato. Non fu punto minore segno d’amore maritale quel che narra Plinio in una epistola nella moglie d’un pescatore, laquale insieme col marito habitaua nell’isola del lago di Como. Percioche hauendo il pescatore una infermità nelle membra genitali, che gli pareua incurabile: hauendo lungo tempo la moglie domandato al marito, ilquale si uergognaua di quel male, che le mostrasse il luogo della malattia, finalmente l’ottenne, hauendogli promesso di dirgliene liberamente il parer suo. Laquale come l’hebbe ueduto, et conosciuto che non poteua guarire; Fol. 177r Tutta piena d’animo et d’amore, disse fedelmente al marito quel ch’ella credeua. Et poi lo confortò, che non uolesse sempre uiuere in tanto tormento, ma finire il dolore insieme con la uita. Perche essendo egli di cio contento, strettissimamente si legò col marito; et cosi ambidue si gettarono nel lago. Mostrò similmente Arria grande amore uerso il marito. Percioche essendo nominato Peto nella congiura Scriboniana, et preso in Schiauonia, menato a Roma; essa fece ogni sforzo con preghi, con lagrime, et con doni per essere menata con lui: perche ella desideraua molto seruire Peto in naue. Il che hauendo ella tentato indarno, con una barchetta tenne dietro fino a Roma alla naue doue era Peto: doue diligentemente guardata da i famigliari suoi, iquali dubitauano, ch’ella non si amazzasse per il grande amore che portaua al marito: non ritrouando alcuno altro modo rizzata et con furia corse col capo nel muro. Perche impedita da quei, ch’eran presenti, non hauendo potuto adempire il desiderio suo; si passò il petto con un pugnale: et non meno forte d’animo, che piena d’amore, animosamente tratto fuora il pugnale, lo porse al marito. Dicendo per fargli animo col suo essempio, che la ferita sua non le doleua punto: et con queste parole confortando il marito, cadde morta. Gran cura mostrò d’hauere dell’honore la moglie di Pantheo Lacedemonio. Percioche hauendo seguitato il marito in Egitto, doue egli era andato insieme con Cleomene: hauendo Tolomeo dopo la morte del marito commesso, che anco ella insieme con l’altre Donne Spartane, Fol. 177v ch’eran quiui, fosse morta; prima che l’amazzassero, diligentemente s’inuolse la ueste a i piedi, et copersesi ogni altra parte del corpo, lasciando ignuda la gola; accioche honestamente cadendo, lasciasse inuiolato l’honor suo, ilquale ella uiuendo sempre hauea conseruato. Furono in Galatia due gentilhuomini grandi, iquali non pure eran parenti, ma amici anchora; ilche rade uolte auenir suole. L’un de iquali detto Sinatto, si prese per moglie una fanciulla chiamata Camma; non solo di corpo bellissima, ma tanto uirtuosa, che pure era una marauiglia a pensarlo. Era costei modestissima, amoreuolissima uerso il marito, sauia, et d’alto, et generoso core. et così humana et piaceuole con tutti gli altri; che n’era sommamente amata, anzi adorata: oltra di cio era consacrata a Diana; ilche in Galatia è tenuto a grandissimo honore: et nelle feste di quella Dea si portaua cosi splendida, et diligentemente, che tutta quella contrada ne stupiua. Ora essendo grandemente innamorato di costei quell’altro giouane chiamato Signorige; ne potendo con preghi piegarla, ne usarle forza uiuendo Sinatto; si deliberò per ottenere il suo desiderio; di ucciderle il marito: et cosi incontanente al maluagio pensiero segui il crudele effetto: et di là a poco la fece richiedere per moglie, essendosi ella ritratta nel tempio di Diana. Non s’era questa ualorosa giouane punto auilita per la morte del marito; anzi hauea disegnato di uendicare la sua morte. Stimolauala ogni di piu questo scelerato facendole intendere, come egli non era men nobile di Sinatto; et ch’egli non l’hauea gia fatto morire per odio, ne per altra cagione; ma solo per l’amore Fol. 178r ch’a lei grandissimo portaua: onde parendo a lui d’hauer poco errato, et percio meritarlo, le ne chiedeua perdono. Camma dopo l’essere molto sollecita, et richiesta, et ancho da suoi parenti medesimi, ch’a cio grandemente la confortauano, et oltra i conforti minacciauano all’ultimo di uolerla sforzare, per piacere a Signorige, quando ella non uolesse farlo: fece uista d’essersi al quanto mitigata, et inchinata alla uolontà loro. Onde fatto uenire Signorige nel tempio di Diana, come per uoler celebrare le nozze, allegramente lo raccolse; et quasi c’hauesse uoluto fare la Dea riconciliatrice, et capo di questo matrimonio; lo menò all’altare; doue fattasi recare una certa sua beuanda dolce come in segno di sacrificio, ne beuuè la metà; il rimanente diede di sua mano allo sposo; et egli il si beuuè tutto. Vedutosi Camma riuscito il pensier suo, tutta lieta, inginocchiata a pie dell’imagine della Dea, disse queste parole. O Dea, tu che uedi il secreto del cor mio, siami testimonio, com’io non sono restata fino ad hora in questa misera uita per altro, se non per la speranza di fare quella uendetta, ch’io ueggo del mio caro et amatissimo marito; ilquale hora tutta contenta, et lieta me ne uo a ritrouare nell’altra uita. Ma tuo perfido, in cambio del letto matrimoniale, nelquale credesti douere entrar meco; fatti prouedere il sepolcro. Inteso cosi fiero annuntio Signorige stordi tutto; et gia sentendosi penetrare nelle uissere il ueleno, si uolse a rimedi; et fattosi portare in lettica, credendo con quel dibattimento mandarlo fuora; ueduto che non giouaua, si fe portare in carretta; ma tutto fu uano; ne molto andò che mori. Fol. 178v Camma hauendo buona parte della notte combattuto col ueleno, inteso che’l suo nemico era gia morto, tutta lieta, sempre hauendo in bocca il nome del suo caro marito, l’andò a ritrouare nell’altra uita. VIO. Voi ci hauete raccontato molti essempi dell’amore delle Donne uerso i mariti; hora noi uorremmo udire dell’altre lor uirtu; che s’acquista ben pregio altro che d’amore. MV. Non correte a fretta, Signora mia, che ben ci sarà tempo da lodarle in altro. Due altre eccellenti Donne furono pure in Galatia, Stratonica moglie di Deiotaro; et Chiomara, di Ortiagonte. Ora Stratonica ueggendosi sterile, et che questa non era colpa del marito, ma difetto di lei; lo pregò, ch’egli si procacciasse d’hauerne d’ogni altra Donna, che ella gli alleuerebbe come suoi. Deiotaro marauigliatosi della bontà di lei, disse, che l’haurebbe contentata. Ella medesima dunque gli elesse una delle sue serue assai bella, et chiamata Elettra; et i figli, che ne nacquero, ella gli alleuò come legittimi suoi, con la maggior carità, et beniuolentia, che fosse mai ueduta. Chiomara moglie di Ortiagonte fu nel tempo, che Romani soggiogarono questi Gallati dell’Asia, fatta prigionera: et toccò in sorte a un certo Colonello; ilquale, percio ch’era et soldato, et dishonesto molto, le usò forza; ma perche oltra gli altri suoi uitii, egli era anco auarissimo, ragionandosi di riscatto, non la toccò mai piu. Era per auentura fra il campo di Romani, è il luogo doue habitauano i parenti di Chiomara, un fiume in mezzo. Or fatto il riscatto di lei nel campo; il Colonello la uolse accompagnare fino al fiume: perche hauendo Fol. 179r ella gia secretamente ordinato a uno suo seruo quel ch’egli haueua à fare; il buon seruo quando uide l’occasione del tempo et del luogo, amazzò il soldato Romano. A cui Chiomara leuò il capo, e se lo auolse in seno; et giunta doue era il suo marito, gliele lasciò cadere a piedi. Di che spauentato colui, et dicendole; oime che hai tu fatto? Or non sai tu, come bella cosa è seruare la fede? Ben lo so io, rispose ella; ma questo pare a me piu lodeuole atto; accio che un medesimo tempo non uiua se non uno di quegli c’hanno usato meco. Questo scriue Polibio hauere inteso da molti, mentre ch’egli era in Sardi; et celebrarsi per cosa degna di Donna uirtuosa et ualente. P.F. Anco io lodo piu costei, che quelle sciocche, le quali essendogli stato fatto forza s’hanno uoluto amazzare da se stesse. Bello è uccidere altri, et far le sue uendette. MV. Questa medesima Galatia mi da materia di ragionare piu oltra. Mithridate fattisi uenire sessanta de primi della Galatia, sotto colore di amicitia, in Pergamo; gli trattò molto male, onde si gli inimicò molto. Era fra questi Galati un giouane detto Toredorace, grande, ualoroso, et ardito, il quale di consenso de gli altri, hauea deliberato di pigliare Mithridate a forza di braccia, quando egli andaua a rendere ragione nella curia; et dirruparlo per un certo fosso iscosceso, ch’era iui presso. Ma non uenendo per auentura quel di Mithridate nella curia, fece chiamare questi Galati in casa; a iquali di nuouo Toredorace fece animo; che se si metteua mano adosso ad alcun di loro, gli altri tutti andassero sopra Fol. 179v il Re, et si lo amazzassero. Ma il Re fatto auertito da uno di loro di tutto questo, salito in grandissimo furore comandò, che ciascun ministro hauesse cura di far morire un di loro. Ricordandosi poi, che tra loro u’era un nobilissimo et bellissimo giouanetto, glie ne nenne compassione; et desiderando di saluargli la uita, benche credesse, che fossero gia tutti morti; mandò alla uentura a uedere, che essendo anchora uiuo, non si facesse morire. Era questo giouanetto chiamato Vepolitano, et s’era trouato, allhora che fu preso con una bellissima ueste in dosso: perche uolendo il manigoldo hauerla netta, et senza punto di sangue, gliela facea tuttauia spogliare, appunto quando sopragiunse gridando colui, che ueniua per saluare la uita al giouanetto: onde l’auaritia, ch’a molti suole essere cagione di ruina, et di miseria; a Vepolitano procacciò salute. Fra questo giacendo Toredorace molto in terra; et non osando alcuno sepelirlo; una Donna da Pergamo, che per la sua bellezza era stata molto da Toredorace amata; mosse senza paura; et tolse il corpo dell’amante suo; et gia s’apparecchiaua a sepelirlo piu honoratamente che poteua; quando ueggendo cio gli scelerati ministri impetuosamente la trassero dinanzi al Re. Ilquale marauigliatosi della bellezza, della semplicità, et della fede di lei; conoscendo ch’ella a cio fare si mouea per amore commandò che fosse lasciata; et perche ella potesse piu splendidamente honorare il suo amante, le fece dare uesti, et altri ornamenti, che u’erano di bisogno. AGO. In tutti i modi s’è sempre conosciuta la carità et la dilettione assai maggiore nelle Donne, che ne gli huomini; le quali… Fol. 180r non pure amano in uita, ma dopo morte anchora. P.F. In somma le Donne hanno tutte le uirtu, et gli huomini ci sono per nulla. MV. Di questo s’è ragionato a bastanza, et con grandissimo honore delle Donne: et tuttauia m’ingegnerò di prouarlo con bellissimi essempi. Teagene Thebano, che fu della medesima auttorità nella republica sua, che hebbero Epaminonda, Pelopida, et gli altri nobili; mori nella battaglia, che si fece per la difesa comune della Grecia in Cheronea; hauendo egli gia messo in rotta lo squadrone, con cui s’era azzuffato: qui seguendo forte un de nemici principali; et gridando costui, fin doue mi perseguiterai? Infino in Macedonia, rispose Teagene. hora rimanendo egli morto in quella giornata; Timoclia sua sorella mostrò ancho, per quanto dalla miseria di quei tempi le fu concesso, in parte il ualore et la grandezza del suo magnanimo core. Perche essendo stata presa da Alessandro la città di Thebe, et messa a sacco; per sorte in casa di Timoclia s’auenne un dispietato et crudel capitano di caualli Thraci; ilquale essendo parente d’Alessandro, et del medesimo nome, gli era però ne costumi differente molto. Perche non usando egli alcun rispetto ne alla nobiltà, ne alla passata pudicitia di Timoclia; la sforzò la notte a giacersi con lui. Et perch’egli era anco auaro, cominciò diligentemente a tentarla, s’ella hauesse sotterato in qualche luogo oro, o argento; et parte le usaua minaccie, parte anco con lusinghe prometteuale di pigliarla per moglie. La Donna, ch’era sauia, et di gran core, prese uolentieri l’occasione, che le si parò dauanti, Fol. 180v et disse; Hauesse piaciuto a Dio, ch’io fossi morta il giorno inanzi questa calamità; perche me ne sarei col corpo mondo, e inuiolato passata all’altra uita: ma poi che uolontà di Dio è, ch’io pur t’habbia per signore, per difensore, et per marito; non ti posso, ne debbo piu nascondere quello, che non è meno tuo, che mio. Ascoltami dunque come sta il fatto; hauendo io molto oro, et molti uasi d’argento, con ricchissime uesti, et gioie da Donne; quando io uidi perduta ogni speranza di poter piu difenderci contra le forze, et presso che presa la città; trassi tutte queste cose dentro un pozzo senz’acqua, et copersiui sopra con di molte spine. Tutte queste ricchezze dunque uenendo alle tue mani, faranno le fortunatissimo; et saranno anco buon testimonio della antica grandezza, et nobiltà del mio sangue. Inteso costui queste parole, non puote aspettare tanto, che uenisse di chiaro; ma tosto uolse, che Timoclia li mostrasse il luogo: et perche non uenisse impedito da alcuno, si fece chiudere la porta del giardino, oue era questo pozzo; nel quale pozzo guidato dal suo mal genio, et della giusta uendetta di questa Donna, si calò in giubbone; la quale come lo uide arriuato nel fondo, cosi ue lo fece morire con l’aiuto d’alcune sue damigelle, trahendoui sopra gran quantità di sassi. Risaputosi poi questo fatto, et cauato fuora del pozzo il corpo morto; percioche Alessandro haueua mandato un bando, che niuno ardisse piu d’amazzare alcun Thebano; menarono questa Donna alla presenza del Re, accusandola di quello homicidio. Perche giudicandola Alessandro, tosto che l’hebbe ueduta, generosa, et magnanima, cosi… Fol. 181r per la bellissima dispositione di corpo, et dal suo intrepido uolto, come dell’andar suo, et dalla grauità de costumi; le dimandò chi ella era; la quale con uiso saldo, et costante gli rispose; io fui sorella di Teagene, il quale mori combattendo contra di uoi in Cheronea, per la comune salute della Grecia; et accioche noi non hauessimo a giungere in quelle sciagure, nelle quali pur siam giunti. Et poi ch’io sono sforzata a sofferir quello ch’al sangue mio si disconueniua, desiderio uolentier morire: perche assai meglio mi è la morte, che prouare un’altra notte simile alla passata. Mossero queste parole a piangere per pietà la maggior parte di quelli, ch’erano quiui presenti: ma Alessandro disse; me non moue gia compassione di tal Donna; ma piu tosto mi marauiglio et del ualore et della uirtu sua; onde commandò, che non fosse piu a casa nobile alcuna usata uillania; et che Timoclia con tutti i suoi parenti fosse rispettata da tutti, et riuerita. Quanto piu di rado si troua la fortezza dell’animo nel sesso feminile, tanto piu doue egli è merita marauiglia et lode. La onde all’altra ualorose Donne, di che u’ho ragionato, aggiungerò Theselide femina Argiua. Costei ritrouandosi in Argo patria sua, la quale era rimasa priua d’huomini; si mise a confortare l’altre Donne, che prendessero l’armi: et cosi con la uirtu sua difese la patria da Cleomene Re quegli Spartani, il quale la combatteua con un grossissimo essercito. Hauendo Tolomeo fatto morrire a tradimento suo suocero Simone Pontefice et Principe di Giudei; et preso ancho la suocera insieme con due figliuoli ritiratosi Fol. 181v nella rocca di Dracone: Hircano figliuolo di Simone, ilquale hauea fuggito la furia del cognato, stabilito l’imperio del padre, mentre che si sforzaua far nendetta[sic] delle ingiurie riceuute; assediò Tolomeo in quella rocca, doue s’era saluato; et gia l’haueua condotto a tale, che la cosa andaua molto stretta. La onde Tolomeo aggiungendo nuoua crudeltà alla prima ribalderia, mentre ch’egli era combattuto da nemici; incominciò con crudelissimi tormenti a cruciare sulle mura la suocera sua madre d’Hircano. Ma la Donna ne per infermità del sesso, ne per la uecchiezza si perdè mai d’animo; anzi con chiara uoce pregaua suo figliuolo, che per li tormenti suoi non rimanesse di combattere. Iquali tormenti nel suo uecchio corpo cosi costantemente portaua, che ben pareua ch’ella non gli sentisse: Ma potendo molto piu la materna pietà nell’animo del figliuolo Hircano, che’l giusto dolore di uendicarsi si leuò dall’assalto confidandosi in quel modo di trouar fine al tormento della madre. Ma Tolomeo leuato l’assedio, et ritrouato uia di fuggire; morto ch’egli hebbe la madre e i fratelli d’Hircano, andò in Philadelphia a ritrouar Zenone. Altrettanta uirtu et patientia si ritrouò in un’altra Femina meretrice. Et certo la infermità del sesso, et la dishonestà della passata uita, pareua che la douessero ritrarre da ogni atto di patientia, et di fortezza, essempio di questa marauigia sarà Lena meretrice; la quale essendo consapeuole del trattato d’Armodio et di Aristogitone, i quali houeuano congiurato d’amazzare Hipparcho, benche acerbamente, et per lungo spatio Fol. 182r di tempo fosse tormentata; non perciò uolle mai confessare alcuna delle cose che sapeua. Zenobia Reina de Palmiresi, mantenendo ella in Oriente l’imperio abandonato dalla uiltà di Galieno Augusto; preso animo della uirtu, et da suoi ualorosi fatti; ogni uolta ch’ella uoleua fauellare all’essercito armata si uestiua da huomo; et si mostraua in quell’habito, che gli altri Cesari e Imperatori Romani. Et non solo la ueste, ma si usurpaua anchora il nome imperiale. Veramente singolar cosa debbe essere stimata la modestia de gli animi, che in alcuni huomini eccellenti si ritroua: ma molto piu è da stimare, quando nel sesso Feminile (a cui la natura ha dato desiderio di ricchezze et d’honori) non meno che ne gli huomini auiene, che si ritroui. Di questa cosa mostrò nobile essempio Xenocrita Cumea: per opra della quale essendo stato amazzato Aristotino, ch’era marito di lei, et tiranno di Cume, et uolendo i cittadini perciò farle honore et benifici infiniti; hauendosi ella per amore della patria priuato del marito, che l’amaua molto, et della signoria: per la modestia dell’animo, ch’era in lei, rifiutate tutte quelle cose, che l’erano offerte, uolle solo il corpo d’Aristotino suo marito per sepelirlo. P.F. Gran cosa parmi, che per opra delle mogli siano stati traditi molti mariti; et che uoi nondimeno perciò me la uogliate celebrare, come s’elle hauessero fatto sacrificio a Dio. MV. Tutte quelle Donne, che per amor della patria, alla quale dopo Dio siamo tenuti, fanno tradimento a i mariti, meritano comendatione; et ben fanno elle sacrificio a Dio, si come dite uoi Fol. 182v leuando gli huomini scelerati del mondo. Hora ui conterò qualche essempio della castità Donnesca. Perche quanto piu la natura ha fatto il sesso Muliebre in ogni modo, et specialmente nelle cose amorose piu fragile, che non è il uirile; tanto piu sono da lodare quelle Donne, che in quel sesso si ritrouano hauer superato gli huomini di continentia. Fra queste merita d’essere annouerata. Monima Milesia; laquale benche non fusse nata di gran sangue; essendo con di molti danari, et promesse grandi richiesta d’amore da Mithridate Re d’Armenia; mai non gli uolse acconsentire, se prima Mithridate non la pigliaua per moglie, et non la faueca reina. Certo che l’honestà difese un casto petto contra due gran nemici auaritia et lussuria. I quali due mali non solo haurebbono potuto uincere l’animo d’una debil Donna, ma gli huomini istessi, e i philosophi: ma che dico io? I regni, et tutto l’uniuerso. AGO. Se si potessi lecitamente allegare gli essempi moderni, ue ne adurrei uno stato a nostri giorni, simile in tutto a questo. VIO. Et perche non lo ditte? AGO. Io non uoglio interrompere il Signor Mutio, ilquale continua gli antichi. VIO. Bene hauete fatto a ricordarmi questa distintione; ch’io uoglio in ogni modo pregare alcun di uoi, che fauelli delle Donne ualorose de nostri tempi, che sono degne di memoria, percioche io non ho l’età nostra per cosi pouera, che ella non possa paragonarsi in qualche modo all’antica. AGO. Il Signor Mutio, c’ha fatto hoggimai una fatica, si degnerà fare ancho l’altra: anzi hauendo egli hauuto il primo Fol. 183r honore, haurà similmente il secondo. MV. Poi che l’hauete per honore, io non sono tanto arrogante, ch’io non uoglia cederne parte a un’altro. Però sarà ufficio della Signora Violante honorarne chi piu le parrà meritarlo. VIO. Io non uoglio con la mia sentenza pregiudicare ad alcuno: onde sia bene o che s’elegga a sorte, o si metta a partito. Intanto finisca il Signor Mutio le sue historie. MV. A me pare hoggimai hauer detto tanto, ch’io chiederei di gratia poter riposarmi: oltra che s’io ne uoglio dir quel chio sento, non che io creda che ui sia caro il piu udirmi; ma dubito non u’habbia noiato quel c’ho detto. VIO. Tolga Iddio si mala openione dell’animo uostro: ne ci uogliate far credere, che cosi crediate: percioche uoi ben sapete il diletto, che naturalmente le Donne sentono d’esser lodate: benche il medesimo piacere, et forse maggiore habbiano gli huomini anchora d’udire le lodi loro. MV. Poi ch’io pur conosco per le parole uostre di piacerui; diche bene haueua io ragione di stare in dubbio, conoscendo me stesso; aggiungerò alcuno essempio senza seruare ordine di tempi, ne distinguere uirtu; come mi si faranno inanzi. Però che in ogni modo tutto ritorna a honore del sesso uostro. Olimpia madre di Alessandro Magno, hauendo comandato Cassandro, ch’ella fosse amazzata; usò grandissima diligenza di non scoprire morendo alcuna parte del suo corpo, di quelle che l’honestà della Donna uuole, che stiano coperte. Di gran potere è l’amore, che le Donne portano a i mariti; ma non è però minore la beniuolenza loro uerso Fol. 183v i padri et i fratelli: il che ui mostrerò con una notabile essempio. Haueua Dario Re di Persia per alcuni graui delitti condannato a morte Itapherne, i figliuoli, et tutto il suo parentado. Perche la moglie d’Itapherne se n’andò al palazzo di Dario, et quiui ogni cosa riempieua di lamenti et di pianti; tanto che mosse Dario a compassione. Là onde il Re le mandò a dire, che le donaua la uita d’uno di quegli ch’erano stati condannati alla morte; et essa lo eleggesse. La Donna domandò il fratello, ch’era nel numero de dannati. Marauigliatosi Dario, ch’ella hauesse proposto il fratello al marito e a i figluoili, la domandò della cagione. Laquale rispose; che non hauendo ella padre, s’ella perdeua questo fratello, non poteua piu sperare di douere hauerne altro: et ch’essendo ella anchor giouane, poteua bene sperare di ritrouare marito et figliuoli. Dario mosso per questa risposta, laquale gli parue tutta piena di fraterna carità et di prudentia, oltra il fratello donò anchora a questa Donna il suo figliuol maggiore. P.F. Certo ch’io non mi marauiglio punto, ch’ella non eleggesse il marito: perche naturalmente le Donne desideranno ogni di far nuoue nozze; di maniera che s’a loro stesse, ciascun giorno cambierebbono marito. Et ancho è uerisimile, ch’auendolo gia goduto qualche tempo, hoggimai le fosse uenuto a noia. Ma ch’ella non chiamasse piu tosto un de figliuoli, questo è ben piu degno di marauiglia: perche questa deurebbe essere in loro maggiore beniuolenza. CLE. Ella medesima leuò la cagione d’ogni marauiglia, quando rispose che de Fol. 184r figliuoli non curaua, però che essendo assai giouane anchora, haueua il modo di rifarne de gli altri. AGO. Questo medesimo hebbe a dire la contessa di Forli, ma non piu braue parole a coloro, che la minacciauano di far morire i figliuoli. MV. Io per me non ho dubbio alcuno, ch’ella facesse sauia et giudiciosa elettione: et ben lo conobbe Dario, che piu le concesse, ch’ella non hauea domandato, si come quel che la giudicò sauissima et amoreuole Donna. Or benche io u’habbia ragionato di molti essempi, per li quali hauete potuto intendere la carità delle ualorose Donne uerso la patria; io ue ne dirò pure ancho uno. Haueua Cleomene Re de gli Spartani fatto una lega con Tolomeo Re d’Egitto, contra Antigono Re dell’Asia et gli Achei: et gli haueua dato per ostaggi la madre e’l figliuolo di douer mantenere la fede con lui, cioè, di non far pace con nemici senza lui. Perche hauendo inteso la madre, che gli Achei offeriuano la pace a Cleomene con honoratissime conditioni; gli scrisse che a patto ueruno non uolesse perdere quella pace, per saluare il corpo d’una pouera uecchia; essendo quella pace honesta et utile alla patria sua. Et ueramente, che con animo grande, et maggiore, che le Donne non sogliono hauere, offerse ella la uita per amor della patria. P.F. Non fu gran cosa, che una debil uecchia mostrasse d’amar piu la patria che se stessa: perche in ogni modo si conosceua di douere stare poco al mondo. VIO. E non è alcun si dapoco, che non ami et habbia caro assai piu la propria uita, che tutte l’altre cose del mondo: et però prezzandola poco questa animosa Donna, Fol. 184v parmi ch’ella hauesse grande amore alla città sua; et che perciò meriti grandissima lode. MV. Al Signor Pierfrancesco ogni cosa per grande ch’ella sia, pare poca; et massimamente doue interuiene uirtu delle Donne; che come uoi ben sapete da lui sono stimate nulla. P.F. A me pare questa la maggior ingiuria che uoi mi poteste fare: et riserbomi a uendicarmene del pari. MV. Et io non mi reputata hauer detto cosa, che questi di non habbiate piu d’una uolta udito; anzi che uoi medesimo piu uolte non l’habbiate detto, et molto peggio assai. P.F. Io non mi ricordo hauer mai pensato di dire, non che detto, che le Donne da me siano stimate nulla. Ma bene piu d’una uolta ho detto, ch’io le stimo appunto quel ch’elle uagliono, et nulla piu, altramente di quel che fate uoi altri difensori, anzi adulatori delle Donne; ch’a ogni parola le mettere non che di sopra a gli huomini; ilche è contra ogni debito et ragione; ma sopra i cieli. MV. Certo, per quel ch’io ueggio, noi ritorniamo indietro. Ma cosi uada, poi che ui piace. Se uoi dite, che stimate le Donne appunto quel ch’elle uagliono; et molte uolte hauete detto, ch’elle non uagliono nulla; non fate uoi consequenza, che non le stimate nulla? Veramente che la mia loica m’insegna a cosi conchiudere. P.F. Io ui concedo la prima, cioè, ch’io apprezzi le Donne secondo il lor ualore; ma ui nego la seconda, cio è ch’elle non uaglian nulla. Vedete uoi hora, se anch’io so usare i termini loicali. VIO. Per Dio uscite hoggimai do coteste dispute ma lasciate Fol. 185r ch’io faccia prima il mio argomento uerso il Signor Pierfrancesco; ilquale sia questo. Che se egli non ama et non apprezza le Donne, anch’elle giudiciosamente operando, poco ameranno et apprezzaranno lui et cosi saremo patti et pagati. P.F. Cosi fosse uero, che io non le hauessi care, anzi non l’adorassi, come io mi crederei di hauer la gratia di tutte: perche elle sono comprese in quei uersi del uostro Petrarcha, quando e dice; Alcuno è, che risponde a chi non chiama: Altri chi’l brama si diligua, et fugge; Altri al ghiaccio si strugge: Altri di et notte la sua morte brama. Prouerbio, ama chi t’ama, è fatto antico. Anchora io, benche io non sia il Petrarcha, so quel che mi dico. CLE. Non fu gran marauiglia, che’l uostro ragionamento terminasse in biasimo delle Donne: perche cosi solete sempre fare. P.F. Ma che male n’ho io detto, se non ch’elle corron dietro a chi fugge, et fuggono chi le segue, et chi l’adora? AGO. Ecco che pure l’hauete fatto dichiararsi da se stesso. VIO. E non è pure hora, che s’ha dichiarato, et fattosi conoscere quali egli è. Ma non si perda tempo in cosi uil tenzone, di cui poco honore si spera: et piu tosto continui il Signor Mutio; ilquale mi pare c’hoggimai uada allentando. MV. Anzi m’apparecchio io di dire alcuna cosa appresso alle gia dette, che non sia punto di minor lode degna. La madre di Antistia moglie fi Gneo Pompeo, si mostrò piu feruente in amare la figliuola, che Catone: percio Fol. 185v che uegendo che Pompeo aueua ripudiato la figliuola, et che il cambio di lei aueua presa per moglie Emilia, tanto dolore n’hebbe, che s’amazzò da se stessa. Essendo stato Aranto proscritto anco egli dai Triumuiri, et auendo dileberato d’andarsene in Sicilia per conforto della moglie mandò inanzi un suo figliuolo, ilquale medesimamente era proscritto. Il quale essendo montato in naue, et cacciato dalla fortuna del mare, non potendo andare auanti, ne ritornare adietro in terra; uolendo cosi la sua mala sorte si mori di fame. Perche quando la madre cio intese, tanto fu il dolore, ch’ella n’hebbe, percioche da lei era proceduto questo consiglio; ch’anco ella non molto da poi s’ammazzò da stessa. P.F. Ella fece bene, et drittamente a gastigare il suo proprio errore: et però di cio non merita ne biasmo ne lode; si come quella che fece appunto quel ch’era obbligata di fare AGO. Ella poteua ancho con suo honore restar uiua: che non era chi per cio meritamente l’hauesse hauuta a riprendere: atteso che il consiglio suo era stato afine di bene, et non per far capitare male il suo figliuolo. P.F. Colui che opera, dee sempre preuedere il fine, et considerare diligentemente tutto quel che ne puo seguire. MV. Ma uoi siete troppo circonspetto; et ordinariamente non si mette consideratione a ogni cosa; che troppo ci sarebbe che pensare. Ma non piu di questo. Io u’ho gia ragionato di molte cose honorate et grandi, che le donne hanno fatto per amor della patria; ma questa, ch’io son per raccontarui, ui parra di piu importanza. Fol. 186r Hauendo Pausania Lacedemonio conspirato coi Persi contro la patria sua, et percio richiamato nella città dagli Ephori, conoscendo, che essi ogni cura metteuano, per farlo sostenere, si fuggi nell’asilo di Pallade. Era questo un luogo sacro, et talmante riuerito; che sarebbe stato reputato fare ingiuria alla Dea chi ne l’hauesse cauato; essendo egli in franchigia sotto la sua protettione. Perche deliberarono gli Ephori di rinchiuderlo la entro, et farlo morire di fame. Intendendo cio la madre di lui et ella medesima inanzi tutti gli altri uolle portar materia per serrar le porte del tempio. Et questa seuerità uolse usare ella contro il suo figliuolo per la patria: benche questo solo auesse senza piu; ilquale oltra molte uirtu che l’ornauano, haueua anchora molte acquistato molte onorate uittorie. Non fu meno seuera Damatriona, spartana uerso il figliuol suo; laquale hauendo inteso, che egli era d’animo uile et da poco, ritornando da poco a casa l’ammazzò di sua propria mano: et con parole Greche scrisse nel suo sepolcro in questa sentenza; DAMATRIONA fu la madre, che qui ripose il suo figliuolo: et perche ella lo uide timido et poltrone, et indegno della madre, et di Sparta sua patria, ella medesima di propria mano l’uccise. Similmente un’altra femina spartana fu seuerissima uerso il suo figliuolo. Laquale hauendo domandato il figliuolo, che ritornaua dalla battaglia, in che stato fossero le cose della patria: et costui rispondendo, che tutti gli altri erano morti; preso un tegolo l’auuentò di tal modo nella testa al figliuolo; ch’egli si mori di quella fe- Fol. 186v rita. Et in quello atto gli disse; hanno dunque mandato te solo, perche tu habbia apportare si dolorosa nuoua? P.F. Io son d’openione, che questo atto meriti piu tosto nome di crudeltà, che di grandezza d’animo: et anco quella che ammazò il figliuolo, per esser poltrone, fu troppo dispietata. Io ui so dire, che s’hoggi fossero di molte Donne tali, ch’elle haurebbono facende; et molti figliuoli si guarderebbono dalle mani loro. VIO. Voi non potete negare ch’elle non fossero di grande animo: et potete ancho giudicare quali douessero essere gli huomini degni figliuoli di ualorose madri. MV. Io ue ne uoglio pure raccontare un altro d’una Donna Spartana: Essendo uenuti alcuni fuorusciti Chii a Sparta a richiamarsi a gli Ephori di Pedareto loro gouernatore; tosto che Talantia sua madre l’hebbe inteso, fece uenire a se quelli Chii; et poi che dilligentemente udita la querela loro, ella hebbe molto ben conosciuto, che’eglino non si lamentauano a torto; essa uolle prouedere all’honore del figliuol suo; et gli scrisse una lettera di questo tenore. Di due cose risoluiti farne una o di portarti meglio nel gouerno di Chio; o costi perpetuamente resta, ne mai ritorna a casa. Et se tu pur uoi ritornare a Sparta, sappi certo d’hauere a uiuer poco. CLE. Grande amore hanno sempre hauuto le donne all’honesto; et però non è da marauigliarsi, se elle talhora sono parute seuere, amando la giustittia. P.F. Questa non ci adoperò altro che parole; et parue animosa. MV. Da gli essempi dell’altre si può congietturare, ch’ella ci haurebbe anchora adoperato i fatti: si come fece un’altra ualorosa, che per farsi Fol. 187r conoscere per tale, ci espose la uita. Smisurato amore fu quello di Panthea uerso il suo marito Abradata percioche militando egli nell’essercito di Ciro contro i Babilonii, morto nella battaglia da gli inimici, poiche secondo l’usanza di quella natione fu pianto et hornato dalla moglie ne restando altro piu che fare al mortorio, se non che fosse sepolto; ella medesima s’ammazzò sopra il copro del marito morto. Non ui marauigliate, ch’io habbia talhora confufo l’amore delle Donne uerso i mariti con quello uerso i figliuoli, et con la caritet alla patria; perche come io u’ho gia detto, io non m’ho proposto da principio seruare altro ordine, se non come mi si presentano gli esempi: et anco questo mescolamento forse ui deurà parere men noioso, che non parrebbe il continuar tuttauia una istessa materia. VIO. A noi altre basta sentir raccontare l’opere uirtuose delle Donne; senza porcura a tanti ordini; s’ha gli huomini incresce ascoltarui, non importa; poiche la fatica se presa per piacer solo a noi. AGO. Et ancora per sodisfattion nostra; che essendo noi uostri serui, habbiamo pure quello contento d’animo di seruire persone degne, et desser reputati percio giudiciosi. La onde in tutti i modi che ui lode et honori il Signor Mutio, tutto dee a noi piacere et esser caro; et maggiormente facendo cio egli con tanta eloquentia et arte di dire. MV. Perdonatemi s’io non mi pongo a ringratiarui delle lode, che mi date; perche io non le riconosco per mie. P.F. Et però deuresti uoi molto piu ringratiarlo, facendoui egli dono di cosa, che non et uostra, ma del hu- Fol. 187v manità et cortesia di lui. Benchè hauendoui tutto il mondo per tale, et migliore quegli non ha detto, non potete negarlo, se non con molta modestia. MV. Voi uorreste lusingarui talemente col suono delle mie proprie lodi, ch’io rimanessi preso all’incanto: ma non ui uerrà fatto; perch’io ritorno alle Donne riserbandomi a rendere gratie a uoi et al Signore Agosto, per quando io mi sentirò atto di poterlo farlo. Furono tanto illustri le Spartane in ogni uirtuosa et lodata attione, che non ui deurete marauigliar; se cosi spesso ue le pongo inanzi. Benche l’astinenza del dolore nella morte di figliuoli in ogni sesso meriti lode; sarà per auuentura astimata minore ne gli huomini, iquali di piu’ gagliarda complessione sono, et più confermati sono per la dottrina et per la seuerità di quel si ritroua scritto; che in una Donna Spartana: percioche la natura uiolentemente tira il sesso loro a contrarii affetti. Hauendo costei cinque figliuoli in quella, battaglia, doue si combatteua poco longhi dalla città, domandò un soldato, che di la ueniua alhora, in che termini si ritrouasse lo stato de Lacedemonii. Et colui le rispose, come tutti cinque i suoi figliuoli erano morti. Perche la donna riuoltasili contra, in tua mal’hora, disse, io non ti dimandai questo, ma come staua la patria. La onde hauendole soggiunto che staua benissimo, la Donna disse, come non le doleua piu la morte dei figlioli. Similmente un’altra donna Lacedemonia come hebbe inteso, che’l suo figliuolo era stato morto nella battaglia; mandò a dire, che lo seppellissero si come egli staua: percioche ella n’haueua un altro da mandare per lui alla Fol. 188r battaglia. Simile a quella, di cui u’ho ragionato fu la patentia di Blandina Lionese nella morte del figliuolo, laquale ualorosamente lo confortò a sopportare la morte in Lione al tempo ch’era imperatore Antonin Vero. Ne molto stette dopo il figliuolo ch’anchora ella, per la medesima cagione, cio è per la fede catholica fu morta. VIO. Infinite sono state le Donne sante, ch’anno costantemente sofferto la morte per la santissima fede di CHRISTO; lequali meritamente sono honorate dalla chiesa dei fedeli. MV. Di queste non è mia intentione a ragionare, perche io non me ne sento degno. AGO. Ricordateci almeno quelle, che son nominate nelle historie antiche et moderne. MV. Questo mi ingenierò ben di fare con tutte le mie forze. Gran uendetta fu quella che fece Ciane uergine siracusana per la uerginità, che le tolse il padre ubriaco. Percio che essendo per cosi graue peccato uenuta una grandissima pestilenza in Siracusa; et hauendo risposto gli oracoli, che bisognaua far sacrificio d’uno scelerato: non u’era alcuno, ch’intendesse, a chi toccasse questo. Perche Ciane preso suo padre per li capegli lo strascino all’altare, et quiui di sua mano lo sacrificò come una uittima: et poi c’hebbe cio fatto, ammazzò se medesimo sopra il corpo morto. P.F. Io per me non saprei mai lodare, ch’ella mettesse mano nel sangue di chi l’haueua generata: perche quantunque il padre hauesse molto ben meritato questa morte; c’era nondimeno il luogo della giutitia che l’haurebbe esequita con minor crudeltà: et ella che non ci Fol. 188v haueua colpa, poteua restar uiua. CLE. Sappiate, ché gran dolore uedersi fare ingiuria, et massimamente da chi deurebbe piu tosto far beneficio: laquale è molto piu graue. Però giusto fu il suo dolore, che la spinse a si horribil uendetta. MV. Io ue ne uoglio raccontare un’altra quasi simile a questa. Medulina uergine Romana fu sforzata dal padre ubbriacco nelle feste Bacchanali in un luogo oscuro: laquale per conoscere l’auttore di quello stupro, di trase uno anello di dito; et lo serbò tanto, finche fatta gia grande dal segno dell’anello conobbe che suo padre era stato auttore di quella ingiura. Perche hauendolo ritrouato di nuouo ubbriacco, pensò di cauargli il uino di capo: onde in quel modo ch’egli era inghirlandato, lo strascinò all’altare del folgore; et quiui bagnatolo di molte lagrime, lo sacrificò come uiolatore della sua pudicitia. P.F. Assai più mi piaque questa, che seppe giudiciosamente punire chi haueua errato. Et lodo anchora, ch’ella ui piangesse sopra, quasi che pur glie ne dolesse; benche le lagrime sogliano costar poco alle donne, si come quelle che l’hanno preste ad ogni suo uolere. VIO. Essendo noi piu molli et piu dilicate che uoi huomini non sete, piu facilmente ci mouiamo a pietà et compassione. Ma uoi dispietati et crudeli non piega alcuna cosa a misericordia; però non piangete. AGO. Io mi son marauigliato, Signora Violante, che in altro modo non ui siate uendicata dell’ingiuria, che ha pensato di farui il Signor Pierfrancesco. VIO. Egli me ne ha fatto hoggimai tante, et all’altre Donne insieme, c’habbiamo deliberato, che la pena del suo peccato sia Fol. 189r la penitenza; et che egli da se medesimo se la dia col dispiacere, ch’egli proua ogn’hora conoscendosi nemico delle Donne. MV. Bella sorte di supplicio. Et simile a quella dell’anime dannate; ma forse troppo graue al suo leggier peccato; et massimamente essendo egli in termine di emendarsi, et uenire alla congnitione del uero. A che l’hauranno forse hoggimai condotto le tante prediche, che questi di si gli sono fatte all’orecchie: che a me sarebbe carissimo, per l’amore et riuerenza, ch’io gli porto. P.F. Piacemi che m’amiate, et me ne allegro molto; ma ben mi duole che uorreste uedermi nell’errore, doue siete uoi con questi altri Signori: di che a me uiene compassione grandissima in seruigio uostro. CLE. Per Dio lasciamolo nell’ostinatione sua; ch’ogni fatica sarebbe opra perduta, essendo egli incorrigibile: et non perdiamo tempo. MV. Ma udite un bellissimo atto d’una Donna Romana. Sophronia Romana nobilissima matrona, la quale essendo Imperatore Massentio era moglie del perfetto era solecitata molto da Massentio, il quale uoleua pigliarsi amoroso piacere da lei; et talmente astretta; che se ella di suo uolere non consentiua a Manssentio, chiaramente uedeua che le sarebbe stata usata forza. Costei raccontò tutta la cosa al marito. Perche conoscendo, che’l marito per la paura o forse per uiltà d’animo consentiua a quella dishonestà, ella quanto piu pote s’ardornò d’oro et di gioie. Et essendo aspettata da gli huomini mandati da Massentio, accompagnata da una fante sola, entrò nella camera dell’Imperatore doue poi che con una lunga oratione s’iscusò appreso Dio, perche ella Fol. 189v usciua di questa uita anzi il giorno ordinato; con un coltello s’ammazzò da se stessa. In una cosa merita ella d’essere preposta a Lucretia Romana; perche essa per non imbrattar d’alcuna macchia il corpo ne l’animo, iquali rispendeuano ambidue di chiarissimo candore d’honestà; s’uccise di propria mano. Ma quella per iscusare la gia offesa pudicitia, uolle spandere il sangue insieme con la uita. VIO. Io non la preporrei gia a Lucretia: perche se ben mi ricordo dell’historia sua, ella fu sforzata a consentire al Tiranno, per non perdere l’honore et la uita. Che s’hauesse potuto fare, come questa Sophronia fece, haurebbe certamente preuenuto l’infamia con la morte. P.F. E io per me tengo che s’ella hauesse creduto, che Tarquino non se ne fosse uantato, si sarebbe stata cheta et uiua: ma temendo, ch’egli fosse stato il primo a uituperarla, fece quella prodezza sforzata; essendo certissima, che se il fatto fosse andato agli orecchi del marito, ch’ella u’aurebbe portato la pena con perpetuo scorno. MV. Non è si chiara historia, che non intorbidaste. Ma bisogna daruela uinta per andare innanzi. Essendo stata presa et ruinata la città di Thebe da Nichatore, costui s’innamorò d’una uergine Thebana; et credettesi fermamente, ch’ella douesse riputarsi a uentura l’essere amata da lui; et hauer di gratia a far gli piacere. Non di meno poi che lungo tempo et pregando et minacciando non hebbe operato nulla; la uergine dubitando, che non le fosse fatto uillania, tiratasi in disparte, fingendo di uoler far altro, s’ammaz- Fol. 190r zo’ di sua mano. Il medesimo fecero anchora a cinquanta uergini Spartane. Perch’essendo elle per cagione d’alcune feste et sacrifici, alla città de Messinii, si come era lor concesso per l’accordo che haueuano insieme: i giouani Messenii le tentarono d’amore: et elle per fuggire alla uiolenza loro, preponendo l’onestà alla uita, s’ucciser da se stesse. Bellissimo essempio di pudicitia fu quello anchora, che mostrarono due uergini a Leutre in Boetia figliuole di Scedaso. Percioche hauendo in absenza del padre alloggiato in casa due giouani, i quali soleuano spesso uenire ad albergarui, furono da loro sforzate onde il seguente ambedue d’accordo con un medesimo ferro, seruendosene l’una et poi l’altra s’ammazzarono. Facendo con questo testimonio chiaramente conoscere, che quantunque fosse stata usata forza a i corpi; che non di meno gli animali loro erano restati liberi d’ogni colpa. Essendo Imperatore Diocletiano Augusto, ilquale perseguitaua grauemente il nome Christiano, la madre con due fanciulle per commandamento di Diocletiano presa et posta sopra un carro, era menata in Antiochia, et di la (perche si diceua ch’elle erano Christiane) al luogo publico dishonesto, Doue finalmente non uolendo sacrificare a quegli idoli, che commandaua l’imperatore, fossero tutte amazzate. Queste Donne non uolendo a patto alcuno uiolare la pudicitia, ne rinunciare al nome Christiano, mentre che cosi erano menate giunsero a un certo fiume. Domandarono dunque d’esser poste giu’ dal carro, perch’elle erano costrette sodisfare ai bisogni della natura. Quiui adunque essendosi ritirate alquanto Fol. 190v dai guardiani, gettatosi col capo innanzi nel fiume, senza difetto alcuno diedero il corpo all’acque, et l’anima restituirono al Signor Iddio. Due altre Donne anchora essendo menate dal medessimo luogo, et per l’istessa cagione per mare in Antiochia, lanciandosi di naue affogarono nell’acque. AGO. Io sto in dubbio, hauendoui udito dire, ch’elle resero l’anima a Dio, che cio non fosse uero: perche la nostra santissima fede tien per fermo, che chi s’ammazza da se stesso, in un madesimo tempo perda l’anima e’l corpo. Et uoi che ne credete, Signor Mutio? MV. Ne io posso credere altramente: nondimeno in questo taso ch’elle morirono per la fede di Christo, et per conseruare la uerginità loro, direi ch’elle fossero salue et martiri. Pure lasciamo questa quistione a Theologi. Mostrossi similmente Martia figliuola di Varrone molto diligente in custodire la sua pudicita. Percioche mantenendo ella intero il candore della uirginità, et essendo singolare nell’arte della pittura et della scoltura: conciosia che in quel tempo, come ancho è ritornato in uso a giorni nostri, le statoue et le pitture per la maggior parte si faceuano ignude, et senza alcun uestimento: Essa per la uergogna di non hauere a fare le membra genitali ne gli huomini, o per cio non lasciare l’opera imperfetta: non uolle mai formare alcuna figura uirile. P.F. E si uorrebbe intendere per gratia, se questa buona fanciulla hauesse per auentura toccato alcuna di quelle cose, che uoi Donne cotanto ui uergognate di nominar fra gli huomini? Certo ch’io mi credo, ch’ella non Fol. 191r haurebbe hauuto punto di paura a toccarle con mano. VIO. Non ha egli detto ancho il Signor Mutio, ch’ella si stette uergine, et uisse honestamente? Dunque ui pare di motteggiarla, mala lingua che sete. P.F. Che so io, che questa non fosse ancho una di quelle, che piu s’ingegnano d’apparere, che d’essere; et cui piu pesano le parole, che i fatti. VIO. Et pure tornate a motteggiar le Donne. Ma troppo ci sarebbe che fare a uolerui correggere. Pero seguitate il uostro lauoro. Signor Mutio. MV. Benche la pudicitia con un certo special candore, sia reputata illustre, ella però non sdegna d’habitare anchora ne i petti seruili: si come quella, che non rifiuta alcuno, che desideri hauerla. Questo mostrò che per esperimento esser uero Phitomena uergine Alessandrina; laquale essendo serua d’un cittadin Romano, et per la bellezza, et per la uirtu sua era da lui gramdemente amata. Perche hauendola lungo tempo il padrone et con doni et con promesse combattuta indarno, hauendo finalmente couertito l’amore in odio, l’accusò a i giudici per Christiana. Ma non mouendosi per questo punto la fanciulla della uirtuosa intention sua posta in un grande uaso di pece bollente, uolle piu tosto con fiero tormento abbandonare la uita, che uiolare la sua pudicicia. Veramente marauigliosa honestà. Percioche chi facilmente crederebbe mai, ch’una serua nel fiore fiore dell’età sua, hauendo inanzi a gli occhi la morte; et perche ella le paresse piu graue, publicamente et fra grauissimi tormenti (mostrandosele d’altra parte ogni uolta ch’ella hauesse consentito, libertà et ricchezze) a tutto facesse Fol. 191v resistenza? Non ch’ella pure in una minima cosa uolesse aconsentire? P.F. O quante uergini de nostri tempi si uergognerebbono affatto, s’elle udissero hoggi quel che di lei si dice? Et se udendo lo considerassero bene? Fra lequali infinite ogni di se ne ueggono, non pure doue interuiene pericolo o minaccie, non uolere contrastare; ma uolontariamente abandonati i parenti, et sprezzato l’honore delle famiglie, delle quali son nate, con maggiore animo seguire la dishonestà; che questa, per non essere impudica, non sofferse tutte le piu spauentose cose, che si prouino in uita. MV. E non m’è dispiaciuto questo poco d’inuettiua, c’hauete fatto contra le dishoneste Donne: et so che le uirtuose non lo hauranno per male. Ma udite, ui prego. Combattendo Attila Re de gli Hunni, che fu chiamato flagello di Dio, la città d’Aquileia; Dugna nobilissima et castissima Donna di quella città, ueggendo che i Barbari entrauano gia dentro; iquali haueua inteso, che nel faccio delle città et crudelmente et auaramente si portauano; et di piu, che non haueuano rispetto alcuno all’honor delle Donne; per non incorrere nel furore di quelle bestie; hauendo la sua casa posta sulla riua del fiume, ui si gettò entro giu dalle fenestre. Animo grandissimo di ualorosa Donna, laquale preuenir uolse ogni infamia con la morte. Et perche ho ragionato molto dell’animosità delle Donne in non curar la morte per saluar l’honore; dirò alcuna cosa di quelle, che sono state ardite in fauellare secondo che dettaua loro la uirtu. Si come fu la libertà Fol. 192r del dire d’una uecchia Macedonica contra il Re Demetrio; et d’un’altra uerso Adriano Imperatore. Lequali quantunque fossero al mondo in diuersi tempi, nondimeno per la similitudine m’è paruto congiungerle insieme. Essendosi queste due Donne sdegnate, che hauendo domandato di poter parlare; questi due principi gli haueuano fatto rispondere, ch’essi non haueuano comodità di poterle ascoltare; dissero loro; non siate dunque Re. Laqual parola hauendogli caldamente punto, ambidue nell’auenire si mostrarono poi con tutti gli altri piu facili et cortesi. AGO. Se non che sarebbe un porre la bocca in cielo questo medesimo si potrebbe dire hoggi ad alcuni principi dell’età nostra. MV. I Signori grandi, c’hanno moltitudine di negotii importanti, hanno ordinato ualorosi ministri, ch’ascoltino et rispondano per essi: Et non è però bene, ne honesto, che per ogni minima cosa, si tolga il capo al principe, c’ha cura di maggiori imprese. VIO. Parlisi d’altro, ui prego, c’hoggi non siete qui per instituir principi; ma per lodare et difendere le Donne. MV. Et io non rifiuto di farlo et per ufficio et per desiderio. Vditemi adunque con la solita cortesia. Arcesilao fu figliuolo di Batto detto per sopranome felice; ma gia non fu simile al padre ne’costumi; percioche tentò ancho uiuendo Batto, di edificare alcune torri, et difese intorno a casa sua; ma cio gli fu impedito, et egli fu condannato in un talento. Or poi che fu morto il padre, essendo egli di sua natura crudele, et seruendosi de i consigli dell’audace et scelerato Learcho; di Re si fece tiranno: ma Learcho con animo di af- Fol. 192v frettare la ruina di lui, faceua morire, o bandire tutti i migliori cittadini di Cirene; et di tutto daua la colpa ad Arcesilao. Caduto finalmente in una infermità mortale, Learcho gli diede a bere dell’echino di mare, et fello morir piu tosto: et preso esso il gouerno diceua di uolere conseruare lo stato per Batto figliuolo di Arcesilao. Ma essendo questo fanciullo zoppo da un pie, et assai picciolo di persona, era poco stimato da Cirenesi; onde tutti haueuano uolto l’animo alla madre di lui detta Erissonna, Donna sauia, et di grande auttorità, si per le uirtu sue, si per li molti parenti, et amici, ch’ella haueua. Perche Clearco ueggendola cosi reputata, prouò d’hauerla per moglie, promettendole di adottarsi Batto, et lasciarlo dopo se successore nel regno; ma ella mostrando di hauerlo caro per marito, gli fece intendere, come sopra di cio uoleua ragionare: et consigliarsi co’fratelli; i quali a bello studio menauano in lungo la pratica, per deliberare quello, che haueuano a fare. In questo mezo Erisona mandò per una sua damigella a fare intendere a Learcho; che poi che i suoi fratelli non si risolueuano ne si, ne no, in questo parentato; se essi due si potessero ritrouare insieme, farebbono in modo, che non potendo i fratelli piu dire di no, hauerebbono di gratia quel che si fosse fatto; onde il parere di lei era, che esso le uenisse una notte in casa; perche speraua, che ad un buon principio tosto seguir douesse uno ottimo fine. Piacque questa ambasciata fuor di modo a Learcho; ilquale preso dall’amore di lei, le rimandò a dire, ch’egli era presto ad ogni suo uolere. Erissona haueua tutta questa trama ordito con consentimento di Fol. 193r Poliarcho suo fratello maggiore; il quale uenuto il tempo, che colui doueua essere con la sorella; pose secretamente due giouani armati nella camera di lei; a iquali poco auanti Learcho haueua morto il padre. Venendo dunque Learcho solo all’inuito della Donna; fu da questi giouani, si come meritaua, con molte ferite amazzato, et poi da una finestra gittato sulla strada: perche fu tosto come Re ornato Batto il fanciullo; et Poliarcho resse la patria nel suo antico et primiero stato. Erano in quel tempo in Cirene molti soldati mandati da Amaside Re dell’Egitto; de iquali molto si seruiua Learcho, et con essi teneua il popolo a freno. Costoro dunque auisarono Amaside di quel ch’era successo, di cio forte biasmando Poliarcho. Di che sdegnato il Re, s’apparecchiaua per mouere guerra a Cirenei, quando fu dalla morte di sua madre impedito: fece però intendere a Poliarcho il mal’animo, ch’egli haueua contra di lui, et dalla patria sua: onde temendo costui non gli auenisse peggio, che parole, deliberò d’andare egli stesso in persona ad iscusarsi col Re; oue uolse ancho Erissona sua sorella fargli compagnia, et con lui ritrouarsi in ogni suo pericolo: et Critola lor madre, anchora che molto uecchia fosse, uolle andare seco; perche amaua l’uno et l’altro sopra modo. Era questa Donna di molto riputatione appresso il mondo, si per le sue rare uirtu, come per essere stata sorella di Batto il felice. Giunti costoro in Egitto marauigliauasi ogniuno, come fossero stati arditi di uenire, hauendo amazzato Learcho: ma il Re, che ualoroso era, poi c’hebbe inteso il fatto, considerando la uirtu et la prudentia di Erissona, et di Fol. 193v tuttatre insieme, gli rimandò a Cirene, hauendoli molti doni et cortesie reali fatto. P.F. Grand esca è l’amore delle Donne a far capitar male gli huomini: et non è cosi sauio, che a quel laccio non rimanga preso. Ma bene hanno elle il torto a usare la bellezza, che ha dato loro Iddio in tradimenti et simili ribalderie. AGO. Peggio assai fanno gli huomini a uiuere sceleratamente, et delle opere loro maluagie aspettar premio et guiderdone; la doue degni sono di supplicio et tormento. Oltra che in un nemico non s’ha d’hauer risguardo a usargli malitia ne inganno. MV. Non è dubbio alcuno che costui meritaua ogni male; et che ne fu ciuilmente trattato: come ben sententiò il Re dell’Egitto premiando la giustitia che l’haueua operato. ma ascoltate quest’altra bella historia. Non fu punto minore loda quella, che meritò Xenocrita Cumana, per quello, ch’ella operò contra Aristodemo Tiranno; ilquale per le delitie sue fu da alcuni chiamato molle; ma essi s’ingannano; percioche questo sopranome (uolendo ancho appresso di loro questa parola significare senza barba) l’acquistò; perche essendo giouinetto, si portò ualorosamente nell’impresa, che fece contra Barbari, et col ualore, ch’egli mostrò nella battaglia, et con la prudentia, ch’ancho lui mostrò molta; onde ne sali appresso i suoi in gran riputatione; iquali perciò lo mandarono poi capitano in aiuto di Romani, aiquali haueuano i Thoscani mosso guerra a persuasione di Tarquino superbo. Ora perche questa impresa fu lunga, non si potrebbe dire, quanto egli diuentasse caro a tutti quegli, che militarono seco. Fol. 194r Perendogli dunque d’hauergli tutti a sua uoglia, persuase loro di douere mandare a terra l’auttorità del Senato, et di bandire a Cuma la nobità [sic], e i grandi: ilche messo ad effetto, facil gli fu intirannirsi della città. Era costui lussuriosissimo con le Donne, ne meno co i fanciulli; iquali si faceua ornare d’oro, et di gioie, et uestire dilicatamente da Donne; et le Donne si faceua uestire da paggi, co i capegli tagliati, et con le uesti corte. Amaua egli molto fra le Donne Xenocrita, laquale s’haueua subito fatto uenire in casa, senza prima richiederla altramente hauendole gia bandito il padre: credendo ch’ella s’hauesse reputato a grandissima uentura di potere in qualunque modo starsi con l’altre in casa del Tiranno. Ma ella, che haueua altro animo et maggiore et troppo le pesaua essergli in casa concubina, et non moglie; non meno aspiraua alla libertà della patria, che quegli, che haueuano piu in odio il Tiranno. Fra questo tempo auenne, che il Tiranno disegnò una impresa di grandissima fatica, et di nessun bisogno, ne comodo. Egli deliberò circondare d’un gran fosso tutto il territorio di Cuma, non per necessità alcuna, si come gia s’è detto; ma solo per tenere occupati i sudditi in continua fatica, senza che hauessero mai occasione di riposo alcuno. Haueua dunque compartito a ciascuno tanto spatio di terreno, che douessero cauare, et gittare la terra molto di lontano. Ora Xenocrita, qualhora Aristodemo non era in casa, soleua andare con la testa coperta, nella piu secreta parte del palagio; onde un di per giuoco domandata da un di quei giouani, ch’erano col Tiranno; perch’ella riuerisse tanto Aristodemo solo, che non degnaua Fol. 194v pure di fauellare con gli altri; ond’ella non scherzando, ma da douero rispose; ch’altro huomo che Aristodemo non conosceua in Cuma. Questa parola passò al core di tutti quei che l’udirono; et gli animi piu generosi destò a un gran desiderio della libertà. Dicesi anchora, ch’ella dopo un lungo pensiero hebbe a dire; deh quanto amerei piu tosto essere io insieme con mio padre a zappare con gli altri la terra, et portare, come gli altri, il terreno in spalla; che stare qui in queste dilicatezze, et in tanta grandezza con Aristodemo. Queste parole accrebbero maggiore animo a i congiurati; de iquali era capo Thimocle; iquali, essendoli da Xenocrita aperto il palagio, trouando il Tiranno disarmato, et senza guardia, l’amazzarono: et cosi per mezo d’una doppia uirtu di costei, Cuma rihebbe la libertà; perche ella fu prima a porlo in core a Cumani, et poi gli aiutò anchora a far l’effetto. Voleuano i Cumani per cio fare supremi honori a Xenocrita; ma ella non uolse alcuno; solamente domandò loro di poter sepellire Aristodemo morto; ilche facilmente le concessero; et oltra cio la fecero sacerdotessa di Cerere, istimando, che cio non douesse essere meno caro alla Dea, ch’a lei l’honore del sacerdotio. VIO. Poteua questa giouane uiuere in quella delitie, et in quella suprema grandezza, doue l’haueua posta Aristodemo: poteua farlo; et molte se l’haurebbono reputato a grandissima uentura; ma ella amò piu la libertà della patria, che la felicità propria. P.F. Et però si suol dire, che le uenture uengono solo a chi non le conosce. VIO. Ma ch’ella le conoscesse, et non Fol. 195r le prezzasse, testimonio ne rende l’hauer rifiutato gli honori, che le offersero i suoi cittadini; iquali hauendo essa molto ben meritati, poteuagli ancho modestamente accettare: ma no’l consenti la sua molta uirtu. MV. Ma ricordiui di tener ben amente questo altro ch’io son per dirui appresso, forse niente meno lodeuole de gli altri. La moglie di Pittheo, che fiorì a tempo di Xerse, è celebrata anchora per ottima, et sauissima Donna. Haueua il suo marito ritrouata una miniera d’oro, nella quale con troppa attentione, et curiosità teneua occupati tutti i suoi cittadini, altri a cauare, altri a fondere, et purgare l’oro; et altri alla guardia di quello, che se ne cauaua: intanto ch’essendo tutti in questi lauori occupati, et morendone molti per le fatiche grandi; si mormoraua forte di lui: onde uennero un di tutte le mogli di quei meschini insieme a pregare la moglie di Pittheo, che hauesse di loro mercè; et mettesse hoggimai fine a questa loro miseria. Costei cortesemente rispose a tutte, et confortolle a stare di buono animo, et in speranza di rihauer tosto i mariti loro; poi le licentiò: appresso si fece uenire alcuni orefici; che ue n’haueua molti nella città, per l’abbondanza, che u’era d’el l’oro: et si fe lauorare et pane, et tutte l’altre cose, che si mangino, d’oro; et specialmente quello, ch’essa sapeua, che piu soleua piacere al marito. Ritornando poi Pittheo, ilquale era stato alcuni giorni fuora della città, la buona Donna in cambio di pane, et dell’altre cose, che si mangiano, gli fece porre solo a tauola cose d’oro. Rallegrossi tutto Pittheo nella prima uista, ueggendo come tutte quelle cose eran ben lauorate: poi satio Fol. 195v di guardare, domandò da maggiore; et facendoli pure la moglie arrecare inanzi cose lauorate d’oro; egli s’adirò forte, et comincio a gridare; Donna, io ho gran fame, et per hora non uoglio piu oro; fammi tosto uenire alcuna cosa, ch’io mangi. Disse allhora la sauia Donna: di questo hai tu colpa; che fai, ch’altro non si puo hauere che oro; poi che tutti gli huomini et tutte le arti per tua commissione sono occupati solamente in cumulare oro; tal che piu non si lauora terreno; piu non si semina; ne si pianta; senza che molti, per le fatiche grandi, che tu loro imponi intorno a questo oro, se ne muoiono. Penetrarono queste parole al core di Pittheo; perche le conosceua uere: onde non però lasciando il cauare dell’oro, fu contento, che solo la quinta parte della città fosse occupata in questo essercitio; il rimanente desse opera all’agricoltura, et alle altre arti. Volendo poi Xerse passare nella Grecia; Pittheo gli mandò un bello essercito; pregandolo, che di molti figli, ch’egli haueua, ad un solo desse licentia di restarsi secco; per consolatione della sua uecchiezza, et per gouernare le sue cose famigliari. Ma Xerse sdegnato per questa dimanda, fece morire, et smembrare quel figliuolo, che Pittheo hauria uoluto seco, et portarlo poi per tutto il campo; et gli altri tutti uolle che andassero seco alla guerra. Perche Pittheo dolorosissimo, et come suole a chi teme, et è fuor di se, auenire; hauendo a noia la uita, ne sapendo come lasciarla; si elesse un misero modo di uiuere quel poco che gli auanzaua di tempo. Era nella città un monticello di terra, a lato al quale scorreua il fiume, che si chiama Pithopolite: or qui presso al corso Fol. 196r dell’acqua s’edificò egli una sepoltura; et dato tutto il gouerno de la città alla moglie, si sepeli [sic] uiuo; ordinando, che non si lasciasse mai niuno, mentre ch’egli era uiuo; entrare in quel sepolcro; ma che ogni di gli fosse posto il mangiare presso alla bocca dell’auello: et quando uedessero, ch’egli non hauesse preso il mangiare del di innanzi, allhora tenessero certo, ch’egli fosse morto. Di questa maniera l’infelice menò quel poco di dolorosa uita, che gli era rimaso. Ma la sua donna pigliando ualorosamente la bacchetta del regno pose fine a quelle disgratie de cittadini suoi, di conuenirgli di continouo stare nella minera dell’oro occupati. P.F. Io aspettaua certo intendere, che questo Tiranno facesse peggior fine, come ben meritaua; et per dirne il parer mio, giudico, che s’usasse con lui cortesia a no’l leuare con qualche uituperoso modo del mondo, doue egli non era degno stare. CLE. Tanto è piu da lodare il sauio accorgimento della ualorosa sua moglie; laquale con una parola sola prouide alla miseria de cittadini suoi, senza lordarsi le mani nel sangue de quel ribaldo huomo. Ilquale pur finalmente n’hebbe quel gastigo, che la giustitia di Dio, benche lo’ndugi, suol sempre grauissimo dare a chi l’ha meritato: ch’egli si uide sbranato il figliuolo, ilquale si serbaua a corforto della sua uecchiezza. MV. Ora quel ch’io uoglio dire, è un testimonio del ualore, che non pure nelle nobili, ma si ritroua anchora spesso nelle Donne di basso et uile stato. Guerreggiando i Sardiani con gli Smirnei, et posto gli l’assedio alle mura della città, gli fecero intendere, com’essi non erano per partirsi mai, se prima non dauano Fol. 196v in suo potere le mogli loro. Onde gli Smirnei per questa uergogna, ch’essi aspettauano di douer riceuere, non potendo resistere; una certa bella serua n’andò dal suo padrone detto Philarcho, et si gli persuase, che mandassero nel campo de nemici tutte le serue loro co i uestimenti delle padrone; et cosi gli ingannassero. Perche essendo cio fatto, mentre che i Sardiani stanchi per la fatica hauuta nel trastullarsi con le serue, si stauano tutti lenti, et pigri, gli Smirnei uscendo tutti gli fecero prigioni a mansalua. Et per questa cagione gli Smirnei faceuano una gran festa a Venere, nella quale le serue portauano indosso le uesti, et gli altri ornamenti delle padrone. Qui potete uedere, come l’ingegno d’una serua liberò la sua patria da quella infamia, che l’era apparecchiata. P.F. Potete ancho conoscere l’astutia d’una serua, che con poca fatica a se medesima et all’altre seppe procacciare cosi fatta uentura, come fu quella, che hebbero. VIO. L’intentione sua fu di liberare la patria, come ella liberò, di uituperio; et non di satiare i suoi dishonesti appetiti. MV. Io ue ne uoglio raccontare un altro simile in tutto a questo. Atepomaro capitano di Francesi guerreggiando con Romani, mandò loro a dire, che mai non erano per allentar la guerra, se prima non haueuano in mano le lor Donne. I Romani cosi consigliati dalle serue, mandarono loro le serue istesse; et inteso, come questi barbari stanchi profondamente dormiuano, uscendogli adosso con poca fatica gli posero in rotta. Eretana, laquale era stata capo in fare uscire le serue di Roma; anch’essa poi Fol. 197r montando sulle mura di Roma per un fico seluaggio, auisò i Consoli, che uscissero sopra i nemici. Et in premio di questo fu ordinata in Roma una festa, che si chiamò delle Serue. P.F. Io porrei pegno ogni bella cosa, che le padrone hauranno poi tenuto lungo tempo la fauella alle serue, per quella buona notte, ch’esse gli tolsero di mano. Et forse che le ualorose fanciulle indugiarono molto a consigliare i padroni, che le mandassero esse. Ne anco ue ne fu alcuna, che per cio s’impiccasse. VIO. Sempre ci riuscite uoi piu mordace, et piu dishonesto, uolgendo a mala parte quel che fu fatto a buon fine. P.F. Io per me non credo, che mi sia amico, chi mi toglie il mio. MV. Non perdete le uostre buone usanze. Soccorremi alla memoria uno essempio di grandissimo ardire in una Donna, ch’io ui uoglio raccontare, a confusione de gli huomini adulatori; iquali essendo all’orecchie de i Principi, non ardiscono mai parlargli di cosa, che dispiaccia loro anchora che uituperoso et dishonesto pongono in cielo con le marauiglie et l’esclamationi: onde causano poi tanti inconuenienti, quanti ogni di si ueggono occorrere tutti per colpa loro. Elpinice sorella di Cimone usò parole molto libere et animose uerso Pericle; quando egli ritornando dall’isola di Samo da lui uinta con un gran mortorio honoraua coloro, ch’erano stati morti nella battaglia; et con le lodi inalzaua la uirtu loro. Percioche ueggendo ella, che le Donne Atheniesi gettauano secondo l’usanza fiori et ghirlande sopra i roghi, con grandissimo sdegno diruppe in queste parole. Son queste cose, o Pericle, degne Fol. 197v di ghirlande, et di fiori? hauendoci tu priuato di tanti huomini ualorosi. Ne questa guerra s’è mossa contra Phenici o Medi, come fece il mio fratello Cimone: ma tu ci hai sottoposta una città e una isola, ch’era con esso noi di beniuolenza et di uicinità congiunta. Hebbe costei animo piu che uirile a riprendere in publico Pericle, ilquale con gratia et con arte s’haueua usurpato il gouerno di ogni cosa in Athene. Bench’io u’habbia gia piu d’una uolta ragionato del ualore di costei, non resterò per questo ricordarla, ogni uolta, che le uirtu sue me ne daranno occasione. Essendo stata presa Zenobia Regina de Palmiresi da Aureliano Imperatore; esso le domandò, in che si fosse confidata ella, c’hauesse hauuto ardire di aguagliarsi all’Imperatore Romano. Laquale benche si uedesse prigionera, et ridotta in estrema fortuna, nondimeno animosamente rispose. Io conosco te, che sai uincere, per Imperatore; ma non ho giamai riputato Imperatori Galieno, Aureola, ne gli altri simili a loro. Perche se la fortuna hauesse secondato i desiderii miei, io uoleua in ogni modo esserti consorte et compagna dell’Imperio. Veramente fu mirabil cosa, che una Donna et prigionera hauesse ardimento di far mentione di participare l’Imperio con uno Imperator Romano. Anchora ch’io u’habbia molte cose detto della beniuolenza et amore delle moglie uerso i mariti; io però ui uuo dire anchora alcuna cosa della fede loro; perche questa è una uirtu peculiare in esse, et forse la maggiore, di che uantar si possano. Fu Chilonia moglie di Clembroto Re Spartano, et figliuola di Leonida, ilquale Fol. 198r era anch’egli Re di Sparta. Costei hauendo Cleombroto suo marito per le discordie ciuili, mandato in bando Leonida suo padre, impetrò dal marito la restitutione del padre. Ma poi che mutata la fortuna Leonida hebbe cacciato Cleombrotto fuor della città, Chilonia usando la medesima opera appresso il padre in pro del marito: et ueggendo che non haueua giouato nulla; anchora che felicemente fosse potuta restare nella patria appresso suo padre, uolle piu tosto accompagnare il marito nello esiglio suo. AGO. Se costei fosse stata Christiana, io direi ch’ella hauesse osseruato la parola dell’euangelio: ma in tutti i modi ella operò da ualorosa Donna. MV. Ma udite questo altro, che gli è simil molto. Essendo stato cacciato Cleomene Re di Sparta da Antigono Re di Macedonia, egli se ne andò in Egitto a ritrouare il Re Tolomeo. Perche uolendo la moglie seguitar Pantheo, era da suoi parenti ritenuta, et con gran diligenza guardata. Nondimeno essa con sottile astutia ritrouato un cauallo, la notte se n’andò al mare: et quiui incognita: entrata in naue andò a ritrouare il marito in Egitto; doue ambidue uissero insieme. Marauigliosa anchora fu la fede et l’amore di Sarra uerso Abraham suo marito. Laquale ueggendo se e’l marito hoggimai uecchi, et senza figliuoli, persuase il marito, che usasse con Agar sua fante, et prouassesi; se di lei poteua generar figliuoli. Il che hauendo fatto Abraham, et essendone nato Ismael, Sarra se lo alleuò non altramente che se fosse nato di lei. Percioche ella oltra il costume dell’altre, Donna prudente, et amantissima Fol. 198v del marito, prepose il rispetto di paragonare la descendenza del suo marito alla gelosia, grauissimo difetto nelle Donne. Assai maggiore di gran lunga fu la fede et la beniuolenza di Liuia uerso Augusto suo marito. Laquale sapendo, che Augusto molto si dilettaua di fanciulle non anchora mature, cercandone di nascosto con diligenza grande, secretamente faceua ch’elle erano menate a lui. Concedeua ella questo al marito per la troppa fede et amore, che gli portaua; per cagione delquale alcune altre non potendo sopportare una concubina, hanno talhora amazzato i mariti: et perciò merita ella di essere tanto piu lodata, quanto piu rari si ritrouano simili essempi. Merita anchora Liuia d’essere preposta alla fede di Emilia uerso Scipione suo marito, quanto è piu degno di lode far uolontariamente una cosa, che sopportarla quando è fatta da un’altro contra la mente sua. P.F. Poi che le Donne sono tanto cortesi et amoreuoli uerso i mariti, che gli compiacciono, anzi gli inuitano a pigliarsi amoroso piacere con l’altre; deurebbono similmente gli huomini non si lasciare uincere di cortesia da loro: anzi talhora ueggendo che le Donne hanno desiderio di qualche bel giouane, menargnene in casa, et lasciarle cauarsi una uoglia senza peccato: et cio alla fine sarebbe poi una fauola. Et tanto piu facilmente gliel’deurebbono concedere, quanto esse sono piu bastanti a sodisfare a molti huomini, che noi non siamo a seruire molte Donne. Certo che sopra cio non disdirebbe un poco di una pragmatica Imperiale; poi che la seuerità de i mariti non ui si sa accomodare; et è tanto Fol. 199r uile, che di cortesia si lascia uincere dalle Donne. VIO. Noi altre non siamo cosi sfrenate, che uengano in noi questi lasciui et dishonesti desiderii: et però non che accettassimo in cio la liberalità de mariti, ne gli riprenderemo come persone infami. P.F. Leggesi pure in Xenophonte, che quel sauio Legislatore Ligurgo fece una legge quasi in questa materia, et ch’ella era diligentissimamente osseruata. VIO. Voi potete dire, cio che ui pare; ma la uerita è, che l’honestà delle Donne non la uolle usare; anzi la fece cancellare come dishonesta et licentiosa. P.F. Et ueramente fu per lo migliore; poi che elle in ogni modo, benche non ui sia legge che glielo comporti, si sanno nondimeno, come prudenti che sono, prouedere ne bisogni loro: et quelle sono piu sauie reputate, che piu secretamente et con minore scandalo ui si adoperano. AGO. Signor Pierfrancesco habbiate cura di non arriuare alla satira; che qui non ui sarebbe honesto, per la riuerenza, che sete tenuto portare alle Donne. MV. Assai et pur troppo se l’ha egli prouocate contra, senza che faccia loro nuoua ingiuria. Però sia bene, ch’io lo interrompa, seguendo l’ordine mio. Hauendo Antonio rimandato sua moglie Ottauia a Roma, Augusto suo fratello la confortaua, che non habitasse in casa d’Antonio. Percioche s’era gia fra loro cominciata la guerra. Gli rispose dunque Ottauia, ch’ella non haurebbe mai potuto indursi ad habitare in altra casa. Per la qual cosa col medesimo animo uide gli amici d’Antonio, ch’ella soleua prima; et amò i figliastri non altramente che se fossero stati ingenerati de lei, sforzandosi Fol. 199v in quanto l’era concesso di fare, di rimanere il fratello da far guerra contra Antonio. Percioche ella diceua, che era grandemente dishonesto, che due gouernatori del mondo guerreggiassero insieme, l’uno, perche l’altro preponesse una amica alla sorella sua, et l’altro, perche uoleua troppo bene alla concubina. Gran fede dimostrò anchora Herodiade a suo marito Herode Tetrarcha: quando andata con lui alla città di Roma, per accusare il fratello Agrippa, uide tutta la cosa andare al contrario. Percioche essendo stato confinato il marito a Lione nella Francia, bench’ella fosse molto pregata dal fratello, et per conto del fratello da Caligula Imperatore, che uolesse ritornare nella patria; essendogli offerta parte della signoria, che teneua il marito; uolle piu tosto abandonata la patria uiuere in pouertà col marito in Francia; che senza lui possedere gran ricchezze nella patria. Il medesimo fece Archoria Flacilla; quando Prisco suo marito consapeuole della congiura Pisoniana, accusato a Nerone, fu condannato a perpetuo esilio. Perche potendo la moglie starsi in Roma con ricchezze grandi, prepose l’esilio col marito alla patria, et alle ricchezze. Similmente Gnacia Massimilla, seguendo l’essempio di Flacilla, abandonato ogni cosa uolle andare col suo marito Gallo, il quale per la medesima conspiratione era stato condannato insieme con Prisco. Fra gli essempi delle Donne nobili, lequali usarono fede, numererò due serue fedelissime alla padrona loro. Era et Carimonio serue della Reina Cleopatra, essendo insieme con essolei, quando ella si diede la morte; poi Fol. 200r che l’hebbero adornata con ornamento reale; Era per lo dolore caddè morta inanzi a i piedi di Cleopatra. Et Carimonio, mentre che le accomodaua la corona in testa, suegliata dal grido della guardia, morì anch’ella, inanzi che finisse la risposta. Ma udite questo grande essempio di fortezza d’animo, simile a qual si uoglia ualoroso huomo, che sia stato giamai. Zenobia moglie di Radamisto Re dell’Armenia, fuggendo insieme col marito per la ribellione de popoli, et essendo nella uia soprapresa dal dolore del partorire; ne potendo andare piu inanzi; pregò il marito, che uolesse amazzarla, ne la lasciasse uenire nelle mani de nemici. Il marito dopo molte lagrime abbracciando la moglie, perche ella non rimanesse uergognata appresso i nemici, le cacciò la spada nella gola; et credendosi ch’ella fosse morta, la gittò nel fiume Araxe, il quale era quiui uicino; accioche i nemici suoi non hauessero ancho il corpo morto. Ma meritò la sua uirtu, che ritrouata da alcuni pastori, i quali conobbero ch’ella non era morta, fu portata a Mithridate nemico del marito. VIO. Grande animo ueramente fu di questa Donna domandare la morte da se stessa: et quasi ch’io chiamerei crudeltà quella del marito, s’io non considerassi il rispetto, che l’indusse a fare. AGO. Ben potete uedere, come contra sua uoglia l’uccideua; poi che prima la pianse, et poi la feri di maniera, che la ferita non fu mortale: si che la mano di lui ubidi all’animo, che non la uoleua morta. Nondimeno io credo, ch’a lei increscesse restar uiua; poi che pure contra sua uoglia et del marito, peruenne in mano del nemico. MV. Io u’ho gia ragionato Fol. 200v di molte uirtu delle Donne antiche; hora ui ragionerò d’alcune, che furono eccellenti in Dottrina. Essendo cosa molto piu lodeuole, che le Donne siano state di eccellente dottrina, et che scriuendo habbiano pareggiato i philosophi et i poeti; che non è, ch’elle habbiamo orato dinanzi a i magistrati, et difeso la cause; di queste non fauellerò molto. Percioche et l’ardimento, et la eloquentia dalla natura al sesso Feminile, ancho la necessità di difendere se stesse, l’ha potuto condurre a trattare publicamente le cause. Ma senza spirito diuino non hanno gia potuto conseguire la singolar dottrina, ne la uena di poesia. Di cio fa testimonio la giouinetta Sapho Lesbia, la quale non essendo punto inferiore a molti poeti Greci, ne contenta d’hauere et dottamente et soauemente cantato uersi con sublime ingegno; fu inuentrice anchora di quella maniera di uerso, che dal nome suo Saphico fu chiamato. Imitò Sapho come maestra sua una Erinna Rhodiana, o come alcuni uogliono, Theia, o uero Lesbia; la quale scrisse un poema in lingua Dorica; ilqual poema per l’eccellenza del uerso fu tenuto che concorresse con Homero. Damophila anchora compagna et imitatrice da Sapho nella dottrina, compose libri amatorii in uerso, et infiniti hinni; come scrisse Philostrato per relatione di Damide Soriano. Corinna similmente fu tanto singolare in dottrina, si come scriue Suida, che oltra quelle cose ch’ella scrisse con grandissima lode, disputò di poesia in Thebe con Pindaro; et cinque uolte (che fu gran marauiglia) lo uinse. Fol. 201r Benche non si sappia certo, che Themistoclea scriuesse alcuna cosa; nondimeno ella fu reputata non meno dotta di quelle ch’io u’ho detto di sopra. Percioche si come scriue Aristoxeno philosopho, Pithagora fratello di Themistoclea scrisse di molte sottilissime cose, lequali haueua imparato dalla sorella, si come piu dotta di lui. Aretha Cirenaica seguendo il dogma d’Aristippo suo padre, il quale era Socratico, diuenne tanto eccellente, che morto il padre, fu reputata sofficiente a reggere la scuola del padre in philosophia; et cosi mentre che uisse con gran gloria la resse. Leontio giouanetta Greca non si contentò d’acquistare tanta dottrina, ch’ella potesse paragonarsi a i dottissimi philosophi: percioche affine di mostrare piu chiaramente il suo ingegno, scrisse anchora con singolar lode fra Greci, contra Theophrasto philosopho poco men che diuino. Cleobulina Lida anch’ella unica figliuola di Cleobulo philosopho, s’acquistò con lungo studio tanta dottrina et eloquentia; che lasciò scritte molte cose in uerso con rarissima lode: onde i chiarissimi philosophi non dubitarono d’allegar i suo scritti et detti per testimonio. Theselide Donna Argiua (il ch’è rarissimo in quel sesso) fortissima, oltra l’altre uirtu ch’ella hebbe, fu ne tempi suoi riputata anchora dottissima. Scrisse eloquentemente epigrammi, et uersi d’altra sorte. Ne punto meno illustre fu Hipparchia nella philosophia. Ma perche non si creda, che solamente i Greci habbiano hauuto Femine singolari in dottrina, ui ragionerò appresso d’alcune barbare et latine. Fol. 201v Trouasi scritto, che Argentaria Pola moglie di Lucano fu Donna di tanto ingegno et dotrina, ch’ella fini molti uersi incominciati dal marito, con la medesima grauità et elegantia di stilo; et scrisse anchora elegantissimamente epigrammi. Il medesimo scriue Plinio Secondo di Calphurnia sua moglie. Cornificia giouanetta Romana al tempo dell’Imperatore Augusto, fu stimata tanto eccellentemente dotta; che in ogni sorte di poesia era creduto da ogniuno, ch’ella andasse al paro di Cornificio suo fratello singolarissimo poeta. Quanto fu grande anchora la dottrina di Sulpitia Romana? Laquale con laudatissimo uerso heroico pianse i tempi di Domitiano Imperatore: et fu riputata hauere tanta eruditione, et simplicità di uirtu; che Martiale si tenne a honore celebrarla con uno suo epigramma. Proba giouane Romana fu similmente dottissima nelle lettere Greche et Latine: di maniera che de i uersi di Vergilio spezzati, et tessuti insieme a diuersa materia, compose una nobilissima opera della uita et passione di CHRISTO. Ilquale poema per la somiglianza chiamò Centone: dicesi anchora ch’ella fece il medesimo co i uersi d’Homero. Quanto fusse grande la eruditione et sapientia d’Amalthea sibilla Cumana, fu facilmente mostrato in quei libri, ch’essa lasciò al popolo Romano. Percioche a questi libri fu sempre dal popolo Romano nel gouerno dell’imperio creduto, come a diuini oracoli. Forse che in quelle Donne, delle quali io u’ho ragionato, perch’elle uissero priuata uita, non pare che la Fol. 202r dottrina fosse tanto mirabile; quanto in Zenobia Reina de Palmiresi, ricordata hoggi da me piu d’una uolta. Percioche parte il gouerno del regno, et parte le delitie, lequali per lo piu seguono gli huomini posti ne i regni, et nelle grandezze, sogliono leuare altrui la comodità di potere attendere a gli studi delle lettere: oltra che a coloro, che in simil luogo si ritrouano, suole increscere la fatica; senza la quale gli huomini non possono far frutto nelle discipline. Zenobia dunque superate queste difficultà, non contenta d’essere dotta nelle lettere Greche, imparò la lingua Egitta, et la Persiana; et con lodatissimo stile ridusse in compendio l’historia delle cose Alessandrine. Sono state alcune Donne tanto infiammate d’ardore di imparare; che ne dalla lunghezza delle uie, ne dalla grandezza del regno, doue elle erano poste, furono ritenute; si che elle non andassero peregrinando ad acquistar dottrina. Essempio di cio fu Nicaula Reina dell’Egitto, et dell’Ethiopia: laquale udita da fama della sapentia di Salamone, uenne dall’estreme parti del mondo in Giudea, per udirlo parlare. Et hauendogli secondo il costume di quei tempi domandato alcune cose sottili; Salamone risolse quelle difficultà. Et questo fa, che noi ci marauigliamo meno, che Pithagora, Platone, et Apolonio peregrinassero per il mondo: poi che costei, la quale fu Femina et Reina, non si spauentò ne per la debilità del sesso, ne per la paura di perdere la dignità sua; ch’ella per lo studio d’imparare non cercasse tanto spatio di terra. Di questo medesimo studio di scientia arsero Lasthenia Mantinea, et Axiotea Philiasia; le quali Dicearcho Fol. 202v scrisse, ch’elle si uestirono in habito da huomo, per potere piu espeditamente seguitare la dottrina di Platone. Queste non furono punto impedite dalla fragilità del sesso, si ch’elle con gli altri discepoli di Platone non facessero frutto nello studio, et nelle scienze. Si come Crate Thebano disprezzò le ricchezze, accioche elle non gli impedissero lo studio d’impaare [sic] ch’egli haueua grandissimo: cosi Hiparchia Maronea et ricca et bellissima Donna, infiammata dello studio della dottrina, sprezzò i mariti, ch’ella poteua hauere con honoratissime conditioni insieme con le ricchezze loro, solo per seguire Crate pouero philosopho. Col quale per imitare in tutto la setta Cinica, a piedi ignudi philosophando andò per il mondo. P.F. Hauendo costei marito, non è marauiglia, ch’ella rifiutasse ogni altro per ricco et nobile che si fosse: perche il philosopho si come diligente inuestigare de i segreti della natura, assai meglio doueua supplire a i bisogni suoi, che gli altri huomini piu dilicati non haurebbono fatto. CLE. Gran cosa è pure, che uogliate tassare ogni uirtuosa attione: ma troppo lungo sarebbe rispondere alle uostre calonnie. P.F. Io m’ho pigliato a tutti questi giorni piacere di fare ingiuria di parole alle Donne, non gia per malo animo, ch’io habbia loro; ma solo per la certezza ch’io n’ho per proua, ch’elle non curano ingiuria ne uillania, che si dica ne si faccia loro. VIO. Tosto ue n’auedrete se tutte queste gentildonne uorranno meco uendicarsi contra di uoi con altro, che parole. P.F. Ah Signora Violante non uogliate priuare Fol. 203r uoi et tutto il uostro sesso di quella lode et uirtu che poco dianzi io u’ho data, cioè della patientia. AGO. Perdonategli, Signora, se non per altro, almeno per amore della uirtu. VIO. Et io mi contento insieme con queste Donne; con patto ch’egli ci prometta di non prouocarne piu contra lui con nuoua sorte d’ingiurie: et se pure non ci uuole ne lodare ne difendere, non ci uituperi almeno, et non ci offenda, come egli è usato fare, P.F. Et io cosi ui prometto, mentre che uoi Donne mi ritorniate nella gratia uostra, se me n’hauete cacciato. VIO. A questo ci bisogna piu matura deliberatione; che non è cosa da risoluerci senza il consiglio di tutte quelle che uoi hauete offeso. Ilche non si puo fare, se prima il ragionamento del Signor Mutio non ha fine. MV. Io penso per istasera auerlo presso che finito; et Dio uoglia ch’io non habbia cominciato a noiare ancho uoi: di che temendo piu che d’altro, pregoui che ui piaccia, che per hora le mie parole habbiano fine. IL FINE DEL QVARTO LIBRO.