La nobiltà delle donne Book 5

by Lodovico Domenichi
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Title: La nobiltà delle donne
Author: Domenichi, Lodovico (1515–1564)
Date of publication: 1552
Edition transcribed: (Venice: Gabriel Giolito di Ferrari, 1552)
Source of edition: Google Books. < https://books.google.ca/books/about/La_nobilt%C3%A0_delle_donne.html?id=seRQAAAAcAAJ&redir_esc=y >
Transcribed by: Tanya Ludovico, Marco Piana and Cassandra Marsillo, McGill University 2017.
Transcription conventions: This is a semi-diplomatic edition that seeks to reproduce as many features of the original text as possible. All abbreviations have been resolved, yet no other orthographic rendering has been made. Some notable mistakes have been kept and flagged with a [sic] tag. “V”s and “u”s are as they appear in the original text.
Status: Completed and corrected, version 1.0, March 2017.

 

Produced as part of Equality and superiority in Renaissance and Early Modern pro-woman treatises, a project funded by the Social Sciences and Humanities Research Council of Canada.

 

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Fol. 203v

LIBRO

IL QVINTO LIBRO DELLA NOBILTA DELLE

DONNE DI M. LODOVICO DO

MENICHI, DOVE

RAGIONANO

LA SIGNORA FAVSTINA SFORZA,

LA SIGNORA VIOLANTE BENTI

VOGLIA, IL SIGNOR MVTIO

SFORZA, IL SIGNOR MVTIO

GIVSTINOP. IL SIGNOR CAMIL

LO LAMPVGNANO,

E’L CON

TE GIOVANNI TRIVVLCI

 

 

Forse saranno alcuni piu tosto inuidiosi de gli honori delle Donne, che giusti estimatori delle fatiche altrui, iquali hauranno ardiredi riprender mi, quasi ch’io mi sia troppo diffuso nella presente materia: ilquale giudicio si come è seuero, cosi è maligno anchora. Perche hauendo io ne i libri di sopra ragionato circa il ualore delle Donne antiche, lequali fecero gia la loro età fiorire; chi potra essere se non maluagio, et reo huomo colui ch’ardirà dire; che il presente secolo non habbia Donne per ualor d’animo, et per bellezza di corpo degne di nominarsi; lequali

 

Fol. 204r

Donne non meno hanno leuato la ruggine all’età nostra ferrea, con la propria uirtu; che gia s’aggiungessero splendore quelle tanto nominate al loro illustre secolo dell’oro. Duolmi; ch’a nostri tempi sia piu stimata la openione di Thucidide, che non si conuerrebbe: ilquale non uoleua che le Donne uirtuose fossero pur conosciute, non che nominate per cagione d’honore da gli huomini strani: che se ciò, non fosse, io, che pur conosco et per relatione di molti gentili huomini dignissimi di fede, et per il testimonio, che me n’hanno fatto gli orecchi et gli occhi miei alcune gentildonne cosi libere et sciolte, come legate al uincolo del matrimonio et consacrate al seruigio di Dio; forse haurei preso ardire di ricordarne molte, lequali con le loro nobilissime conditioni honorano i di nostri, et fanno scorno a i passati; si come elle passeranno in essempio a quegli che uerran dopo noi. Nondimeno sapendo io, che in tutti i luoghi, et per ciascuna occasione la  uirtu merita et memoria et lode, non uoglio in tutto ascondere delle infinite che mi si fanno inanzi, quelle poche almeno, ch’io posso celebrare salua l’honestà loro: et ben ne prego quelle et gli huomini insieme, che perauentura daranno a credere altrui d’hauere cio per male; che mi uogliano perdonare questa licenza, laquale contra uoler loro forse io m’ho presa: scusandomi che ancho della grandezza et infinita di Dio si ragiona, benche per lingua humana esprimere, ne da intelletto imaginare si possa. Harei ueramente mancato a me stesso, se hauendo io cosi largamente spiegato l’ali del mio temerario ingegno per l’aere della nobiltà Donnesca: io non hauessi anchora per

 

Fol. 204v

quanto puo reggere la mia lena, disteso il uolo di quelle. Il quale finalmente benche debile et stanco, è pure arriuato al suo destinato segno, non so se con maggior lode che inuidia. Nel qual uiaggio per hauere io hauuto molti pellegrini intelletti che m’hanno fatto la scorta, io non aspettaua mai ne l’uno ne l’altro: essendo certo, che se honore di cio si poteua trarre, quello tutto a i primi si doueua attribuire, et cosi tirar seco l’inuidia, perpetua compagna delle imprese honorate. Ora come cio mi sia riuscito, ne lascierò dar giudicio al tempo; che d’ogni humana fatica è giudice legittimo et senza passione. Ma per non mi dilungare troppo dal mio proposito, ilquale è di raccontare il ragionamento del quinto giorno et ultimo fra i sopradetti gentilhuomini, del medesimo luogo, et sopra l’istesso soggetto; dico, ch’essendosi tutti quei giorni inanzi quasi sempre cercato della Signora Violante, et de gli altri gentilhuomini; uenne a gli orecchi della Signora Faustina nouella sposa, et dell’Illustrissimo Signor Mutio Sforza, come quella honesta brigata s’era appartata dalle danze, et ridottasi a ragionare et nouellare fra loro. Et fu pure ancho da alcuno di quei Signori, iquali u’erano interuenuti, raccontato loro alcuna particella et della materia et de i ragionamenti hauuti; ma non in modo, che gli animi loro restassero sodisfatti. Perche si come tutti gli huomini sono desiderosi sempre di sapere piu oltra; si deliberarono anch’eglino gli sposi di uolere udire parte di quei begli discorsi, quali essi s’imaginauano che douessero passare fra compagnia di si ualorose Donne, et honorati caualieri. Onde senza far di cio accorti nella Signora Violante, ne gli altri

 

Fol. 205r

Signori, ueduto che gli hebbero ritirarsi quasi che di nascoso; et eglino destramente con alcuni altri gentilhuomini s’auiarono lor dietro, tanto che non si tosto l’usata compagnia si fu posta et accomodata a sedere, et gia fatto silentio per udire fauellare il Signor Mutio Giustinopolitano: che eccoti sopragiungere loro adosso con un piaceuole strepito la Signora Faustina; e’l suo carissimo sposo il Signor Mutio Sforza: iquali con gli altri personaggi, ch’eran uenuti secco, accomodatisi a sedere, cosi incominciò la Signora Faustina a dire. FAVSTINA. Signori, uoi no ui potete piu nascondere, che gia u’habbiano colti. Parui egli, che sapessero fare le feste senza noi? Non marauiglia, ch’a ogniuno putiuano le danze, gia che s’haueuano proueduto d’altro maggior piacere. Ma questa uolta tanto haurà saputo altri, quanto uoi. VIOLANTE. Voi ci mostraste, Signora Sposa, riconoscere male la nostra cortesia; poi che quello che noi per modestia habbiam fatto, uoi l’imputate a uillania. Noi pensammo lasciarui trastullare con quegli altri Signori sulle danze, et non uolerui quel diletto leuarui, per darui in cambio questo disagio d’udire dispute et contese di philosophi et d’huomini scientiati: et uoi mostrate quasi hauerlo hauuto a male, come s’hauessimo uoluto inuidiarui questo piacere; che nel uero non fu da paragonare col uostro, rispetto hauendo all’età di uoi, et alla nostra. MVTIO SFORZA. Non ci uogliate per gratia, Signora madre, benche giouani siamo, tenere per poco giudiciosi: che noi sappiamo bene quanto piu da prezzar sono i dolci et accorti ragionamenti

 

Fol. 205v

che tutti gli insipidi balli et diletti, che tanto sogliono dilettare le persone uolgari. Io per me sono certissimo d’hauer perduto assai, essendo stato priuo di potere ascoltarui: ma per non perdere affatto, intendendo che pure ci restaua istasera alcuna cosa a dire, me ne son qui uenuto piu che uolentieri. Et cosi prego uoi, et questi altri signori, che la uenuta mia non u’apporti nouità alcuna, se non d’accrescere il numero di piu d’uno, che sia per ascoltarui: atteso ch’assai mi pare l’esser degno di udirui, senza che io piu u’interrompa col parlare. MVTIO. A noi fa molto piu bisogno l’hauer ragionatori, che uditori: però se uolete, che la presenza uostra ci habbia fatto fauore disponeteui d’aiutarci parlando, et massimamente che tutti questi signori hauranno piu caro udire fauellare una persona nuoua et illustre, che un par mio, ilquale oltra le altre indignità mie, ho tanto ragionato questi giorni adietro; c’hoggimai son quasi uenuto a noia a me stesso. CAMILLO LAMPVGNANO. Ogni promessa è debita. Signor Mutio, non ci uogliate mancare della uostra: che ci fareste ingiuria. Il principal ragionamento d’istasera tocca a uoi; et uoi foste auisato di douer uenire prouisto: non ui uarranno scuse: e’l Signore Sposo non si recherà a uergogna lo stare in riposo a udirui; poi ch’egli ha da faticar per altra uia. MV. Io potrei bene scusarmi di non hauer promesso a tanti; et potrei ancho domandar soccorso ueggendo souragiunte persone di nuouo. Ma poi ch’io ueggio le Donne et gli huomini uenuti insieme, crederò che siano amici; et che questi huomini nuoui habbiano piu caro udir lodare le Donne, che

 

Fol. 206r

gli altri presenti non hanno hauuto in questi di passati. Pero fatto piu securo, et piu animoso dell’usato, quasi ch’io m’habbia sentito sopragiungere aiuto, continuerò nella mia cominciata materia, lasciando a dietro gli essordi come souerchi. Et perche mi ricorda che hiersera m’auanzarono alcuni essempi delle Donne antiche, prima ui dirò questi; et poi senza indugio passero a i piu freschi. Hauendo i Liguri Appuani tenuto gia l’assendio per due anni alla città di Pisa, finalmente per mezzo d’un certo Cluentio Trentino, ilquale era dentro, di mezza notte introdotti per la porta palatina, doue egli staua alla guardia; assaltarono il palazzo: et mentre quiui con fuoco, et con armi si sofrzauano pigliarlo; i Pisani ch’a quel romore trassero all’improuiso, parte furono morti, parte presi, et parte messi in fuga. Fra iquali ui fu anchora quel Marco Bronchi, ilquale haueua ruinato Birachio. Ilquale ueggendo Martia sua moglie lanciare una hasta, fattasigli incontra gli disse; che c’è, dolcissimo marito? Et egli a pena potendo trarre il fiato, le rispose: gli inimici hanno preso le mura. Noi siamo tutti morti. Ma se tutti siamo morti, disse ella, perche cerchi tu fuggendo di saluarti la uita? Essendo cosa da Pisani il saper morire. Misera me, che ben uoglio morire io, accioche il mio honor non muoia: et sforzarommi anchora di non lasciar morire senza uendetta con esso meco la patria, e i figliuoli. Detto queste parole, et lasciatosi andarei capegli giù dalle spalle, si mise in testa l’elmo del marito. cinsesi la spada, perse un a hasta in mano; et come furiosa passò fra i nimici.

 

Fol. 206v

Era Martia bellissima et giouane molto, et perciò amata, et uagheggiata da infiniti; iquali ueggendola gridare et correre in quel modo, soprapresi da uergogna si diedero a seguirla fino alle case de Neroni, lequali era non gia abbrusciate: quiui attaccosi una crudelissima battaglia; doue i Liguri erano molto male conci da i sassi tratti dalle fenestre. Onde gia tolti in mezzo da ongi parte, furono sforzati fuggirsi. Et cosi la città fu liberata dallo assedio; et piu fece Martia in una notte, che le migliaia de Pisani in spatio di due anni. Riceuette però tre ferite, delle quali fu tosto guarita. Per laqual cosa il popolo Pisano per non parere ingrato di tanti benefici a lui fatti, fece publicamente una statoua alle porte del palazzo in memoria et honore di Martia Bronchia liberatrice sua.

  1. SF. Io non so qual fosse maggiore o l’aridre di questa Donna, o la uiltà del marito. CA. Il marito fece il debito suo; ma molto piu la moglie: nondimeno ogniuno di loro merita lode. FAV. Voi ci uorrete tosto rubar la gloria nostra. CA. Questo non uo fare io. FAV. Anzi mi pare, defraudando questa ualorosa Donna della sua debita lode. MV. La uirtu sempre si loda da se stessa, et però non cura l’altrui comendatione. Questo essempio si troua scritto nel primo libro delle historie di Sempronio Tantalo antichissimo auttore al capitolo undecimo; ilquale mi fu, non ha molto tempo mostrato in Fiorenza per cosa notabile dallo eccellente dottore delle arti, et delle medicine M. Pietro Orsilago Pisano. Et io ue l’ho raccontato apunto fedelmente come l’hebbi da lui.

 

Fol. 207r

 

Vallasca donzella di Bohemia, laquale fu creata da Bussa terza Duchessa di Boemia, Donna di grandissimo ualore: con tanto studio si sforzò d’imitare i costumi della padrona; che dopo la morte di lei, sdegnando piu di seruire ad alcuno, con l’essempio delle Amazoni, et delle Donne di Lenno, spinse molte altre Donne Boheme a discacciar gli huomini; et cosi preso l’armi in mano, per insignorirsi di quel paese, assediò Primislao Duca de Bohemi nella rocca di Visegrado, laquale era fortissima. Laquale impresa poi ch’ella conobbe, ch’era difficile sopra le forze sue, poco lontano di quiui in un securissimo luogo subito edificiò un castello, ch’essa chiamo Dieuizo. Ilqual nome in quella lingua significa uergine. Ma non molto dapoi attaccando la battaglia con Bohemi per uera uirtu gli uinse, et gli mise in fuga; hauendo morto di sua mano in quella battaglia sette huomini. Laqual Donna essendo riputata di ualore inuitto, colta tradimento da Primislao insieme con l’altre Donne, lequali erano seco; ualorosamente combattendo non prima perdè la libertà, che la uita. CONTE GIO. TRIVVLCI. Di questa Donna, Signor Mutio, per honore de gli huomini pareua a me, che non deueste far memoria; perche si puo far giuducio, che huomini uili fossero quei sette, iquali si lasciarono miseramente amazzare da una Donna. MV. E non fu uergogna a quegli huomini morire per man di Donna, ualorosa, ne noi uergognarci dobbiamo di honorar le uirtu, doue elle si ritrouano. Ma poi ch’io mi son posto a ragionare delle Donne ardite, et ualorose nell’arme; dirò di due sorelle.

Martesia, et Lampedone l’una dopo l’altra Regine

 

Fol. 207v

delle Amazone, lequali essendo gloriose in guerra si chiamarono figliuole di Marte. Delle quali per essere l’historia antica, e a pochi conosciuta, piglierò piu alto il principio.  Il paese di Scithia posto nell’oriente, da una parte è circondato dal mare, dall’altra da i monti Riphei; et di dietro ui s’include l’Asia, et il fiume Tanai; et è molto largo, et lungo. Era questo paese gia molto saluatico, et poco securo a forastieri. Perche quiui, secondo che si dice, uennero due giouani nobili, et di sangue reale, cacciati fuora di casa per le fattioni, con una parte de popoli insino a Termodoonte fiume della Cappadocia: l’una era chiamato Plinos, et l’altro Scolophito: et quiui fermatosi, et preso parte della contrada, incominciarono a danneggiare gli habitatori, uiuendo di ladronecci, et di assassinamenti. Et tanto di male ui fecero, che in processo di tempo gli ucciser quasi tutti. Onde le mogli loro dolenti per essere rimase uedoue, et accese in desiderio di uendetta; insieme con quei pochi huomini, ch’eran restati uiui, presero l’armi in mano, et nella prima furia cacciarono i nimici del paese: poi crescendo loro animo mosser guerra a i uicini. Finalmente conoscendo, che se elle hauessero preso mariti forastieri, cio era piu tosto seruitù, che matrimonio; et reputandosi non meno ualere nell’armi, che gli huomini si facessero, tutte d’accordo gli uccisero: poi uolte contra i nimici, dieder loro tanta noia, ch’essi hebbero caro far seco pace. Et cosi stabilito l’imperio quando una, et quando l’altra si congiungeua co’uicini, per hauerne figliuoli; et tosto ch’erano pregne, ritornauano a casa. Venendo poi il tempo del partorire, i maschi che nasceuano

 

Fol. 208v

gli faceuan morire, et le femine nodriuano, et con dilgenza ammaestrauano nell’essercito dell’armi; toccando con fuoco, o con altra medicina la poppa destra, accioche ella non crescesse, et crescendo uenisse a impedire l’essercitio del saettare, et del maneggiare l’altre armi. Ma la poppa sinistra lasciauano crescere, per alleuare le fanciulle, che nasceuano; et per cio furono dette Amazone; il che uuol dire con una poppa sola. Et diuerso costume da noi teneuano in creare le fanciulle loro; perche non come noi facciamo alla rocca, al fuso, all’ago, ne alle danze l’ammaestrauano; ma in caccie, a correre, a domar caualli, in continue fatiche, et essercitii d’armi. Con lequali arti non solo conseruarono il paese posseduto prima da gli antichi loro; ma anchora con l’armi gran parte dell’Asia, et dell’Europa acquistarono, facendosi temere da tutti i uicini. Et perche oltra le forze hauessero ancho il gouerno, senza, ilquale lungo tempo l’imperio loro durato non sarebbe; morti i mariti s’elessero Regine due sorelle Martesia, et Lampedone; et con la scorta di quelle grandemente allargarono il dominio loro. Et per compartire le fatiche, l’una attendeua al gouerno del regno: l’altra preso seco l’essercito delle Donne a guerreggiare co’ popoli uicini; et cosi alternando per buono spatio di tempo conseruarono, et accrebbono il loro imperio. Ma finalmente hauendo Lampedone guidato uno essercito contra i nimici, Marthesia uscendo fuori fu tolta in mezzo; et con le Donne, lequali erano seco tagliata a pezzi. Quel che seguisse poi di Lampedone, non mi ricordo il alcuno auttore hauer letto.

 

Fol. 208r

  1. Et anco a nostri giorni ci sono delle animose Donne, et simili alle Amazoni, in una cosa almeno. FAV. E in quale? CA. Voi sarete contenta perdonarmi, s’io parlerò troppo securo. VIO. Dite pure, che u’assicuro io. CA. Poi che ho il consenso uostro, Signora Violante, non mi pare potere errare. Dico adunque, che alcune Donne de nostri tempi, uolendo forse in qual che parte assomigliarsi alle Amazoni, si studiano d’imitarle nel cercare i congiungimenti de gli huomini stranieri. VIO. E non ci sia pericolo, che ci habbiano a mancare mai auersari, et nimici. CA. Io non ho però detto mal delle Donne. M. SF. Ne ancho le hauete lodate. MV. Hora quel che non ha fatto il Signor Camillo, mi sforzero di farlo io, secondo le mie forze.

Trouasi nelle historie antiche, che gia furono in Egitto due fratelli, figliuoli di Belo; a iquali apparteneua il grande imperio paterno: l’uno haueua nome Danao, l’altro Egitto; il primo haueua cinquanta figliuole, il secondo altrettanti maschi. Era stato Danao auisato dall’oracolo, ch’egli haueua ad esser morto da un nipote suo figliuolo del fratello; perche nel suo segreto era da grandissima paura tormentato; non sapendo in cosi gran numero di chi hauer sospetto, et guardarsi da lui. Auenne ch’essendo gia cresciuti i figliuoli, Danao ricercò il fratello, che gli uolesse dare le sue figliuole per mogli; allaqual cosa Danao tosto fu contento, hauendo nell’animo suo disegnato un crudel tradimento. Cosi date le figliuole per ispose a i nipoti, egli segretamente impose loro, che s’elle haueuano caro la saulte propria et del padre, ciascuna la prima notte, et nel

 

Fol. 209r

primo sonno deuesse amazzare il marito. Perche elle tutte nascoso nel letto i coltelli, tosto che i giouani si furono coricati et addormentati, essequirono il fiero commandamento del crudelissimo loro padre. Sola Hipermestra fra tante non lo uolle ubidire. Percioche la buona fanciulla tosto ch’ella hebbe ueduto il suo sposo chiamato Lino, o Linceo, come uogliono alcuni: in lui pose l’animo suo, et cominciò grandemente ad amarlo. Onde percio hauendogli compassione, con suo grandissimo honore dallo scelerato homicidio s’astenne; insegnando al giouane fuggire per la uia piu secura. Venuta la mattina il maluagio padre a tutte l’altre rese gratie alla dishonesta opera; et fece loro smisurate accoglienze: sola Hipermestra fu suillaneggiata, et per alcun tempo posta in prigione, doue ella pianse la pietosa et lodeuole opera ch’ella fece.

GIO. Io non so qual piu meriti biasimo, et lode, o il tradimento delle quarantanoue scelerate sorelle, o la bontà d’una sola uirtuosa Hipermestra. Ben direi, che a me non pare tanto lo splendore della uirtu di questa; che non uenga oscurato dalle tenebre del uitio di quelle: conciosia cosa che questa è forse una delle maggiori crudeltà, che si trouano scritte. CA. Sappiate, che costei merita tanto maggior lode, quanto ella fu sirocchia di tante ribalde. GIO. Et io direi, ch’ella non fosse degna di lode ueruna, hauendo fatto solo quel che le conueniua. FAV. A questo modo nessuno sarebbe degno d’honore, uirtuosamente operando; poiché essendo tutte le persone tenute a far bene, facendo ciò, fanno l’ufficio loro. GIO. Ci sono alcune cose, lequali quando

 

Fol. 209v

altri le fa, merita comendatione; perche fa piu che non deue: et questa non è tale. Percioche ciascuna moglie è tenuta a conseruar la uita al marito: costei dunque non l’amazzando, fece quel che deuea. Ben’è uero, che l’altre sono dignissime d’ogni biasimo; ilquale rispetto, come contrario effetto dell’altre, è forse cagione della gloria in Hipermestra. VIO. Deh, lasciamo andare le dispute, come souerchie, et troppo sottili; et torni il Signor Mutio a gli essempi suoi.

  1. Hisiphile fu figliuola del Re Thoante, ilquale regnaua nell’isola di Lenno; nel qual luogo entrò nell’animo alle Donne un pensiero di domar gli huomini, et tor loro di mano l’imperio e’l gouerno. Perche sprezata l’auttorita del Re Thoante, ilquale era hoggimai uecchio, et di nessun ualore; tutte d’accordo insieme con Hisiphile deliberarono una notte amazzare tutti i maschi et al pensiero incontanente segui lo scelerato effetto. Sola Hisiphile fra tutte l’altre non uolle metter mano nel sangue; ma le uenne nell’animo un piu benigno pensiero. Perche riputando cosa crudele et fiera lordarsi le mani nel sangue del suo caro padre, fattogli intendere la deliberatione dell’altre; lo mise in naue; et lo confortò a fuggirsi in Chio l’ira delle Donne. D’altra parte facendo uista di fare l’essequie al padre, diede a uedere all’altre di hauerlo morto: et esse credendolo, la misero in luogo del padre; et la crearono regina. Santissima è ueramente la pietà de i figliuoli uerso i padri: ne cosa è piu onorata, piu giusta, o piu lodeuole, che rendere il cambio d’humanità et d’amore a coloro, i quali ci hanno dato l’essere, et gli alimenti; ci hanno

 

Fol. 210u

con diligenza difesi, con continuo amore ridotti a piu ferma età, et ammaestrati ne i buoni costumi. Merita dunque Hisiphile di essere annouerata fra le Donne illustri, poi ch’ella pose in opera cosi pietoso ufficio uerso il padre.

  1. Io sto quasi per dire, come ha detto il’Conte Giouanni d’Hipermestra; che questa Donna non facesse cosa di raro essempio, perch’ella meriti luogo tra l’altre famose. FAV. Or non ui pare egli, che la humanità di lei sia degna di comendatione? CA. Non Signora, perche chi sarà tanto crudele, ch’ardisca uccidere il padre? Costei non hebbe cuore di amazzarlo; ne uolle fare quello che una fera non haurebbe fatto: et cosi s’astenne di fare una opera scelerata, perlaquale haurebbe meritato mille morti. VIO. Io non saprei non lodare chi bene opera; pure il parer mio non pregiudica all’openione de gli huomini giudiciosi, si come uoi sete. M. SF. Signor Mutio, non perdete tempo; accioche noi che non u’habbiamo anchor piu udito, possiamo hauer la parte nostra. MV.

Aragne d’Asia fu Donna plebea, et figliuola d’Idomonio Colofonio tintor di lana. Laquale benche nascesse di bassa conditione, merita però con le sue uirtu di essere inalzata. Affermano gli antichi, ch’ella fu inuentrice d’adoprare il lino; et la prima, che facesse le reti; non sapendo affermare s’elle fossero da uccelli, o da pesci. Hebbe un figliuolo chiamato Cleostre, che trouò i fusi da filar la lana. Molti dicono, che costei tenne in quel tempo il primo luogo nell’arte del tessere; et ch’ella fu di si sublime ingegno; che con le dita, le fila, la

 

Fol. 210r

spuola, et l’altre cose conuenienti a tale ufficio, fece quello, ch’apena un dipintore haurebbe fatto col pennello; ufficio, et arte ueramente bellissima, in una Donna. Ma non solo in Colofone, doue ella habitaua, diuulgatasi la fama del ualor suo, anzi quasi per tutto il mondo; ella perciò ne salse in tanta superbia, c’hebbe ardimento di uenire in proua con Pallade inuentrice di quell’arte: et dispiacendole d’esser unita da lei, tanto dolore n’hebbe; che da se medesima s’appiccò per la gola. Di qui presero occasione i poeti di fingere, che si come l’essercitio e’l nome di Aragne era simile a quegli animaluzzi, che Ragnateli si chiamano; ch’essa per compassione hauutale da gli Dei si tramutasse in uno di quegli, et per la continua cura manchi in quello ufficio. GIO. Tutte le uirtu  sono da essere lodate in ogniuno, ma nelle Donne con marauiglia riguardate; perche piu di rado in loro si sogliono uedere. Non è gran fatto adunque, che uoi habbiate fatto mentione di Aragne, come di Donna rara, et illustre. MV. Et io ui niego, che le uirtu rade uolte siano nelle Donne; anzi per lo esserui spesso et sempre, non se ne tien conto alcuno per gli huomini. VIO. Di questa materia gia s’è fra noi diffusamente ragionato, però parlisi d’altro di gratia; per non replicare le cose gia dette. M. SF. Forse non sarebbe male per rispetto di noi, che non u’habbiano udito, riandare alcuna delle materie principali, et delle piu piaceuoli: il che non dispiacerebbe forse, come io mi credo, a questi signori. VIO. Deh non per Dio, Signor Mutio, che non mancano tuttauia cose nuoue da dire. MV. Ragionando io di presente in fauore delle Donne mi par

 

Fols. 211r

ben giusto, che io ubidisca loro piu tosto, che gli huomini: et però gli prego ad hauermi per iscusato, se pure essi sono et uogliono esser conosciuti serui delle Donne.

Erithrea, ouero Eriphila fu una delle Sibille: le quali dicesi, che furono dieci; et a ciascuna dassi il suo proprio nome. Et cosi furono chiamate Sibille, perche elle indouinauano, et conosceuano i segreti diuini. Questa fu la piu celebrata fra l’altre, et nacque in babilonia, molto tempo inanzi la guerra Troiana. Il suo nome proprio fu Eriphila, ma perche ella habitò lungamente nell’isola Erithrea; fu chiamata Erithrea. Fu costei di si sublime et diuino ingegno, et la sua oratione tanto grata a Dio; che con studio continuo, et con la gratia Diuina, le fu concesso (se pure è uero quel che si legge di lei) scriuere si chiaramente, che le sue cose piu tosto paiono euangelio, che pronostico. Et essendone stata interrogata da Greci, si manifestamente predisse le fatiche loro et la ruina d’Ilion; che nulla non successe poi, che prima apertamente non fosse stato conosciuto. Comprese similmente in pochi uersi lo Imperio de Romani, et diuersi successi, molto prima che il principio loro; si che a noi pare, che piu tosto n’habbia scritto un breue compendio, che predetto l’auenire. Et ch’è molto piu da stimarsi, il segreto della diuina mente aperse; ilquale non si conosce in altro modo, che per figura del testamento uecchio, et per l’oscure parole de i Propheti, anzi dello Spiritosanto; che parlaua in loro. Dichiarò l’incarnatione del Verbo di Dio, prophetò, la uita del figliuolo, le opere, il tradimento fattogli, la cattura, il disprezzo, et la crudel morte, insieme con la resurressione

 

Fol. 211v

et ascensione, et finalmente il giudicio a uenire: onde chiaramente si uede, ch’ella piu tosto scrisse una historia, che non predisse gli atti successiui. Perche si fa giudicio, ch’ella fosse gratissima a Dio, et pero fra tutte l’altre Donne gentili dignissima di memoria, et d’honore. Vogliono alcuni, ch’ella uiuesse sempre uergine, argomento facendo, che in un corrotto petto non sarebbe potuto risplendere tanto lume delle cose, c’haueuano a uenire.

Voi douete hauere udito piu uolte fauoleggiare di Medusa, et forse non mai inteso il uero; però ho pensato raccontarui la sua historia. Fu Medusa figliuola et herede di Forco Re ricchissimo, et regina d’un grandissimo regno nel mare Atlantico; il quale alcuni tengono che fossero l’isole Hesperide. Costei fu di cosi mirabil bellezza, che non solo tutte l’altre auanzaua, ma di piu tiraua infiniti huomini a uenire a uederla. I suoi capegli ueramente somigliauano oro, i quali sogliono essere principale ornamento del uolto Donnesco; et era oltra cio di statura grande, et ben proportionata. Haueua tra l’altre belle parti cosi uago, et piaceuole splendore ne gli occhi suoi; che coloro i quali benignamente erano da lei guardati, restauano insensati, et come sasso immobili. Vogliono alcuni, ch’ella fosse diligentemente instrutta nell’arte dell’agricoltura, onde ne acquistò poi il nome di Gorgone. Et con la sua mirabile industria non solamente conseruò le proprie richezze, ma in guisa le accrebbe; ch’ella per cio fu riputata auanzare di thesoro tutti gli altri Re d’Occidente. Talche per la sua gran bellezza, et per le infinite et grandissime

 

Fol. 212r

ricchezze diuentò famosa appresso le piu lontane genti. Arriuò il nome suo fino a i popoli Argiui, tra i quali Perseo nobilissimo giouane dell’Achaia, udito il nome di lei, si deliberò di uedere questa singolar Donna, et acquistare quei thesori. Però montato su una naue, c’haueua per insegna un cauallo alato, con mirabil prestezza si fe condurre in ponente. Quiui adoperando l’armi, et la prudenza sua, prese la Regina; et spogliatola delle ricchezze sue, se ne ritornò alla patria. Di qui nacque la fauola, che Medusa Gorgone faceua diuentar sassi coloro, che la guardauano; l’altre cose de i suoi capegli mutati in serpenti, et del caual Pegaseo.

  1. Quante Meduse sono hoggi anchora, che quei medesimi effetti fanno con gli occhi loro, che di costei gia si finsero: a gli sguardi dellequali bene è bisogno opporre lo scudo della prudenza, per non capitar male. FAV. Il difetto è di uoi altri troppo uaghi delle cose belle; et non è nostra colpa; che uoi male arriuiate. M.SF. Deh, non si parli di colpa; perche ella è forse egualmente partita fra gli huomini et le Donne; come ben disse il leggiadro Ariosto;

Vn medesimo ardore, un desir pare

Inchina, et sforza l’uno et l’altro sesso.

GIO. gia non so io uedere per me, perche costei habbia meritato hauere per bocca del Signor Mutio luogo fra l’altri illustri. VIO. Per la sua mirabil bellezza. GIO. Questo è dono di natura, liquale non s’acquista per industria nostra; et pero come di cosa, che non uien da noi, non ce ne dobbiamo gloriare: altramente bisognerebbe anchora uituperar quegli che brutti fossero

 

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quasi che cio fosse difetto loro. VIO. Io ui risponderò come Donna che sono, et non come philosopho. Non riputate uoi piu degno di honore, colui c’ha piu lodeuoli et uirtuose parti? GIO. Signora si. VIO. Non sapete uoi ancho, che noi dobbiamo egualmente riconoscere da Dio tutte le cose et belle, et buone, senza attribuire nulla a noi, cosi i beni dell’animo, come quei del corpo, et di fortuna? GIO. Certo si. VIO. Se cosi è dunque, si come noi lodiamo altrui per le uirtu dell’animo, cosi lo dobbiamo honorare per le bellezze del corpo: poi ch’egli non ha parte maggiore in quelle, che in queste. CA. Questa disputa andrebbe troppo in lungo però sia bene ragionare d’altro. MV.

La Sibilla Amalthea, laquale alcuni dicono, ch’ebbe nome Deiphobe; et hebbe origine da Cume, città di Campagna; però fu chiamata Cumea, fiori al tempo della ruina di Troia, et uisse tanto; et arriuò fino al tempo di Tarquinio Prisco Re de Romani. Conseruò sempre intatta per si lungo spatio di secoli la uirginità sua da ciascuno atto, o congiuntione d’huomo. Et benche i poeti dicano ne lor uersi, ch’ella fu amata da Phebo; et per cio da lui hebbe in dono cosi lunga uita, et la diuinatione: io però credo, che per la uirginità sua meritasse dal uero sole, che illumina ogni huomo, il lume dello indouinare; onde predisse molte cose a uenire. Per questo dicono, che il suo famoso oracolo fu appresso il lito di Baia, et il lago d’Auerno. Ilquale benche sia per la antichità, et poca cura, che di lui si tiene, roso, et quasi ruinato; conserua però in se una certa maestà antica: e’nfino ad hora fa marauigliare chi u’entra della

 

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sua grandezza. Scriue Virgilio, ch’ella mostrò l’entrata dell’inferno a Enea; ch’io non credo. Vogliono coloro, che dicono lei esser uissuta tanti secoli; ch’ella uenisse a Roma, et portasse a Tarquinio Prisco noue libri: de iquali chiedendo essa un gran prezzo, et essendole negato, abbrucciò tre libri. L’altro giorno di sei domandò l’istesso prezzo; et l’hebbe. I quali essendo stati conseruati con gran cura, si ritrouò, che conteniuano in loro tutti i fatti de Romani. Perche con molta diligenza furono guardati da loro; et secondo l’occorrenze delle cose future, da quei libri, come da uerissimo, et presente oracolo pigliauano consiglio.

  1. Io mi marauiglio, che non facciate particolare mentione anhora [sic] delle altre Sibille, poi che tutte egualmente hebbero dono di prophetia. MV. Non ue ne marauigliate, Signor Camillo, perche le due, ch’io ho ricordato, furono le piu illustri; et poi oltra questo la materia grande, c’ho alle mani, e’l tempo breue, il quale m’è concesso, mi sforzano andare ristretto. Hora io uoglio raccontare la gran fede d’una moglie uerso il marito.

Argia fu figliuola di Adrasto Re de gli Argiui, la quale si come per la sua gran bellezza diede a quei del suo tempo lieto, et gratioso spettacolo; cosi a quei, che uennero dopo lei, lasciò chiaro et perpetuo testimonio di saldo et fedelissimo amore uerso il suo caro marito: di maniera, che la sua fama è giunta illustre fino a i giorni nostri. Costei fu moglie di Polinice figliuolo di Edippo Re di Thebe, ch’era allhora in esiglio; et di lui hebbe un figliuolo chiamato Thessandro: et conoscendo che

 

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il padre per inganno del fratello era crucciato di cattiue parole, et maluagi pensieri, fatta partecipe del tutto, non solamente consolò, et pregò il padre gia uecchio con lagrime, et prieghi; ma l’armò anchora insieme col fratello oltra le conuentioni, contra Etheocle; ilquale tirannescamente possedeua il regno di Thebe. Et accioche per fatal risposta non riceuesse alcun danno, diuenuta liberale sopra il costume di molte Donne, donò a Euridice moglie di Amphiarao, indouino un pretioso monile: per merito del quale ella mostrandole doue era ascoso il suo Amphiarao, s’andò all’impresa di Thebe, ma con poco felice augurio. Percioche dopo che ui furono morti tutti gli altri capitani, et rimasto solo, et senza aiuto Adrasto mezzo in fuga; udendo la fedel moglie il corpo di Polinice restare fra gli altri puzzolenti, et morti senza sepoltura; subito lasciara ogni pompa, et ornamento reale, et messa da parte ogni Donnesca paura, con poca compagnia passò fin dentro a gli steccati a pigliarlo: ne le fecer paura le guardie delle nimiche sentinelle, non le fere, non gli uccelli, diuoratori de i corpi morti, non gli inquieti, ne uolanti, (come dicon gli sciocchi) spiriti de gli amazzati, ne quel, ch’era molto piu da stimare, il terribile editto del Re Creonte, il quale sotto pena di perder la testa, comandaua che alcuno non ardisse fare essequie funebri a i corpi morti: anzi con interpido et afflitto core, da mezza notte, entrando nel luogo doue sera fatta la battaglia, andò a riuolgere questo, et quel corpo de gli amazzati gia puzzolenti et guasti; tanto che con l’aiuto d’un picciol lume riconobbe il freddo, et sanguinoso uolto

 

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del suo carissimo marito. Gran cosa a dire, che la faccia coperta, et spezzata da piu sorti d’arme, tutta poluerosa, et tinta hoggimai di corrotto sangue; la quale per alcuno altro mai non si sarebbe potuta riconoscere; non puote stare ascosa alla fedelissima moglie: ne la uicina turba morta, ne il uolto sanguinoso, et pieno di lezzo, la ritenne dal dargli gli ultimi baci. Non le uoci, non le lagrime, non il seuero commandamento di Creonte la puote leuare dal suo proponimento. Percioche affaticandosi tuttauia, ma indarno, di richiamare lo spirito co’baci, et hauendolo gia tutto lauato col pianto; parlando a quel corpo morto, come se fosse stato uiuo; per fornire uerso quello ogni pietoso ufficio, essendo acceso il fuoco, quiui l’arse, et le ceneri pose in sepoltura. Et poi che per le fiamme fu scoperto quello amoreuole atto, non hebbe paura d’entrare in seruitu, et sotto il ferro del crudel tiranno. Molte Donne sono state, lequali spesse uolte hanno pianto le infirmità, le prigioni, la pouertà, et le miserie de mariti sperando sempre di ritornare a migliore stato; lequai cose benche lodeuoli siano, et segni d’amore, non però meritano chiamarsi ultimi segni di fedele amore; come si possono chiamare gli ultimi effetti usati da Argia. Costei andò a ritrouarlo nel terreno de nimici, et lo poteua piangere nella patria: et con le sue proprie mani uolle ritrouare, et riuolgere il puzzolente corpo; et poteua per altri fare il medesimo effetto: gli fece honor reale, contra il commandamento del Re; potendogli bastare hauerlo segretamente sepolto, et riserbatosi il fargli dell’essequie a piu securo tempo. Mandò fuor del suo petto le strida

 

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Feminili, doue poteua chetamente passare; non aspettando ne sperando piu nulla dal marito morto, ma temendo molto dal nimico uiuo. Et cosi si conosce il uero amore, l’intera fede, la pura castità, et la santità del matrimonio. Per li quai meriti fu degna Argia d’essere essaltata, honorata, et riuerita.

Pantasilea fu Reina delle Amazone, et successe a Orithia, et Antiope. Costei sprezzato ogni ornamento, et unita la dilicatezza Donnesca, si uesti l’arme de suoi maggiori, coprendosi la chioma con l’elmo, et ornandosi il fianco col turcasso; et secondo l’uso della guerra montando sulle carrette, et su caualli, uinse di forza et d’arte non pure tutte le Donne, ma molti ualorosi huomini anchora. Hebbe ancho acuto, et prontissimo ingegno: percioche di lei si legge, ch’ella ritrouò le scuri, et che fu prima a porle in uso; instrumento fino a quel tempo incognito. Costei, come uogliono alcuni, udita la fama del Troiano Hettorre, senza hauerlo ueduto, gli pose grande amore; et tratta dal desiderio d’hauer figliuoli ualorosi di lui, che succedessero nel suo regno; richiesta d’aiuto da Troiani nella guerra contra Greci, si mosse uolentieri con buon numero di gente in loro fauore. Ne punto hebbe paura del ualore de Greci: perche desiderando, di piacere ad Hettorre, cosi per uirtu, et armi, come per bellezza, spesse uolte entrò fra le piu folte squadre de nimici a combattere hor con la lancia gettando a terra questo et quello, et quando con la spada facendosi far uia; et molte fiate con l’arco, et con gli strali cacciando in fuga gli esserciti, facendo per si belle prodezze marauigliare Hettorre, ilqual staua fiso

 

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a mirare l’inuitto ualore di lei. Finalmente combattendo questa ualorosa Donna contra i fortissimi nimici, per dimostrarsi degna della gratia di tanto amante, rimanendo morte molte delle sue compagne, anch’ella cadde morta in mezzo a molti Greci uccisi di sua mano. Alcuni uogliono, che dopo la morte di Hettorre, ella uenisse a Troia; et che quiui in una gran battaglia fosse morta. Ma sia come si uoglia, chiaro è, ch’ella fu non meno inuitta et ualorosa nell’armi, che bella et leggiadra di corpo. M. SF. Alcuni forse si potrebbono marauigliare che Donne hauessero hauuto ardire d’affrontare huomini con l’arme in mano; se non gli leuasse questo l’uso ilquale diuenta un’altra natura. VIO. Et pur si uede, che Pantasilea, et molte altre sono diuenute nell’armi huomini coraggiosi; come ancho si trouano infiniti fatti dalla natura maschi; et dall’otio, et dalle delitie cangiati in Femine, o pure in lepri armati. MV. Hauendo io ragionato della guerra di Troia, m’è uenuto in mente una Donna Troiana degna di memoria.

Cassandra figliuola di Priamo Re di Troia, come si troua scritto, fu indouina; ma non si sa certo, come ella s’acquistasse per arte, o per studio, o per gratia di Dio, o piu tosto per Diabolici inganni: nondimeno questo è affermato da molti, che lungo tempo inanzi, con chiara uoce, et molte uolte predisse il rubamento di Helena, l’ardire di Paride, la uenuta di Tindaro, il lungo assedio della patria, et finalmente la ruina di Priamo, et la destruttion di Troia. Ma non essendo dato fede alle sue parole, uogliono che dal padre, et da i fratelli fosse battuta; et poi trouarono una fauola, che essendo Apolline

 

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innamorato di lei, la ricercò del suo amore; et ella promise contentarlo, s’egli le concedeua prima di potere indouinare le cose a uenire: et cosi dicono, ch’ottenuta la gratia, ella gli negò l’amor suo. Ma Apolline non potendo priuarla di quello che gia le haueua donato, u’aggiunse, che cio ch’ella dicesse, non le fosse creduto: onde tutti i suoi pronostichi erano stimati, come di persona pazza. Fu costei data per sposa a un nobil giouane, chiamato Corebo, ilquale fu morto in battaglia, prima che si congiungesse con lei. Et ella finalmente dopo la ruina di Troia, toccò in sorte ad Agamennone. Dalquale essendo menata a Micene, l’auisò, come Clitennestra sua moglie gli haueua ordito un tradimento per farlo morire. Ma egli non prestando fede alle sue parole, dopo molti pericoli corsi in mare arriuò a Micene; doue per tradimento della moglie fu morto dall’adultero Egisto. Et poi Cassandra ancho ella pur di commissione di Clitennestra fu parimente scannata.

Fu Camilla donzella famosa, et degna di memoria, figliuola di Metabo antichissimo Re de Volsci, et di Camilla sua moglie; laquale essendo stata nascendo cagione della morte di sua madre, rimase picciola in gouerno del padre. Fu la fortuna dal di ch’ella nacque crudelissima uerso questa donzella, percioche subito dopo la morte della madre, Metabo per riuolta de suoi primi cittadini cacciato dello stato, fuggendo altro non tolse secco, che la sua cara, et da lui singolarmente amata picciola fanciulla: doue l’infelice fuggendo a piedi, et portando in braccio Camilla, giunse al fiume Damasceno, ilquale per le continue pioggie era molto cresciuto: quiui

 

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per il caro peso della fanciulla ueggendosi impedita di poter nuotare, Iddio che non uolle lasciar perire una tanto famosa uirginità, c’haueua a uenire da questa donzella; gli pose in animo un pensiero, ilquale hebbe effetto. Perche subito la riuolse in alcune scorze d’alberi, et legatola intorno ad un bastone, ch’egli portaua in mano; et facendo preghi, et uoti a Diana, le offerse la figliuola, si ch’ella gliela seruasse senza alcuna offesa. Onde con tutte le sue forze lanciò il bastone insieme con la figliuola sull’altra riua: et egli subito la segui nuotando: doue per uolere d’Iddio trouandola senza offesa allegro, benche in miseria, si dispose d’habitare in mezzo i boschi: et quiui con grandissima fatica alleuò la figliuola col latte delle fiere. Laquale cresciuta in piu forte età, cominciò a uestirsi di pelli d’animali, s’essercitò a lanciar dardi, et tirar frombe, et archi, a contendere di corso co i cerui, co i capri, et con gli altri animali, sprezzando gli essercitii Donneschi; et sopra ogni altra cosa conseruò sempre inuiolata la sua uirginità. Rideua gli amori de giouani, et rifiutaua del tutto i matrimonii di qualunque si fosse nobile, et grande huomo, disposta intieramente al seruigio di Diana; a cui il padre l’haueua consacrata. Per queste sue rarissime uirtu fu la donzella richiamata nello stato, doue regnando mantenne sempre il suo lodeuole intento. Vltimamente hauendo Enea fuggitosi da Troia, et uenuto in Italia preso Lauinia per moglie; et perciò nata guerra fra lui, et Turno Re de Rutuli; et ragunandosi gente armata dell’una, et l’altra parte; Camilla con di molta gente uenne in aiuto a Turno. Doue piu uolte

 

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combattendo contra Troiani, et con loro gran danno; auenne pure una uolta, che hauendo Camilla ucciso molti Troiani, desiderosa d’annouerare con gli altri un certo sacerdote di Cibele chiamato Corebo, si diede a seguitarlo: doue da uno de nimici detto Arunte ferita a morte de saetta sotto una poppa, mori con danno grande de Rutuli.

GIO. Io uorrei, Signor Mutio, che le giouani de nostri tempi togliessero essempio da questa ualorosa donzella, et se la recassero inanzi armata. Piacerebbemi molto, che per suo diletto, elle si mettessero talhora a correre per le campagne aperte; hora con l’arco, et gli strali andassero a ritrouar le fiere, et con fatica continua uincessero gli stimoli della carne, le morbidezze, et gli agi; et con animo inuitto fuggissero gli abbracciamenti de gli dishonesti giouani, et non pure gli abbracciamenti, ma anchora gli atti, et le parole lasciue, et amorose. Vorrei dico, che imitando costei conoscessero quel che conuenga loro usare in casa, nelle chiese, ne i theatri, doue si riduce moltitudine di uagheggiatori, et di huomini anchora, iquali serueramente fanno giudicio de costumi. Quiui uedrebbeno, come elle deriuano negare ancho l’orecchie alle cose honeste, et tacendo tener la lingua a freno, chinar gli occhi a terra, et hauer compagnia di buoni costumi, ornare tutti d’honestà gli atti suoi, fuggire l’otio cagion di tutti i mali, le delitie, le danze, i suoni, i canti, et le pratiche de giouani: considerando bene, che non cio che piace, ne tutto quello ch’è lecito di far loro, è conueniente alla sua pudicitia. Accioche diuenute piu sauie, et fiorite di santa uirginità, secondo

 

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il uoler de i padri, si facessero spose grate a Dio, et dilette al Mondo. M. SF. Certo, Signor Conte, che uoi douete hauere imparato queste sante parole da qualche colo torto, et non posso credere, che cosi sentiate nell’animo, come il uostro parlar suona: altramente bisognerebbe conchiudere, che uoi l’intendeste male. GIO. Io, Signor Mutio, cosi ragiono appunto, come ho dentro del core: et son certissimo anchora, che l’honestà nella fanciulle et nelle altre persone piace a uoi. M. SF. Ma la uostra riforma sarebbe troppo seuera, et passerebbe forse a quel uitio, che si domanda melensaggine, o uogliate con piu nuouo uocabolo chiamarla gofferia: del qual uitio, senon se alcun poche, si potrebbono tassare le Donne nobili del nostro tempo. FAV. Signor mio, non uogliate fare questa ingiuria alle Donne, ne al giudicio uostro; o se pure ui pare, non uogliate dar titolo di nobili ne di gentili a quelle Donne melense, che non ardiscono ragionare doue huomini sono. VIO. Io per me tengo insieme con la Signora Faustina: et che piu, non chiamerei questi tali Donne, ma feminuccie uili. Ma non s’interrompa per rispetto nostro il ragionamento del Signor Mutio. MV. Penelope figliuola d’Icaro, et moglie di Vlisse, fu santissimo et eterno essempio di pudicitia, et castità Donnesca. Combattè la fortuna con gran forza l’honestà di costei, ma sempre indarno. Percioche essendo anchora donzella, et per la sua gran bellezza uagheggiata da molti, fu dal padre maritata ad Vlisse: ilquale hebbe di lei un figliuolo chiamato Thelemaco: quando ecco ch’el marito sforzato da Greci di andare all’impresa di Troia

 

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la lasciò col padre Laerte, et la madre Anticlia uecchi, insieme col picciolo bambino. Et cosi mentre che durò l’assedio di Troia, si stette quasi uedoua per spatio di diece anni. Distrutto che fu Ilion, uenne la nuoua, che quei Signori Greci, iquali tornauano alla patria, parte dalla fortuna del mare erano portati in paesi lontani, et parte affogati: solo d’Vlisse non s’intendeua alcuna cosa. Onde essendosi lungo tempo aspettato, senza hauersi nuoua di lui; fu tenuto per fermo, ch’egli fosse morto. Per laquale openione la sua misera madre Anticlia s’impiccò per la gola. Ma Penelope benche male ageuolmente tolerasse l’assenza del marito, lo portò però meglio in pace. Et dopo molti pianti, chiamato spesse uolte indarno il suo carissimo Vlisse; si fermò di menar sua uita in perpetua castità col uecchio Laerte, e’l giouane Thelemaco. Ma essendo ella di singolar bellezza, di leggiardi costumi, di nobil sangue prouocò molti d’Ithaca, di Cephalonia, et d’Etolia ad amarla; et fu lungo tempo da i loro preghi stimolata: di modo che cessando ogni di piu la speranza della uita, et del ritorno di Vlisse, auenne che per la noia et seccagine d’alcuni innamorati, partitosi Laerte, et andato in uilla; essi per forza entrarono nel palazzo d’Vlisse; et quiui adoperarono preghi et carezze, domandando Penelope per moglie. Onde la sauia Donna ueggendo, che non u’era piu uia di potergli lungamente negare; si pensò per alcun tempo ingannargli: et cosi gli pregò che fosser contenti aspettare il marito, fin che ella hauesse finito una tela; laquale secondo l’usanza delle Donne reali haueua incominciato. Ilche essendole ageuolmente da suoi

 

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innamorati conceduto, ella con astutia Donnesca, tutto quello che tesseua di giorno la notte poi disfaceua. Perche hauendogli con questa arte menati molto in lungo, ne potendo piu molto ingannargli; percioche essi non usciuano mai del palagio d’Vlisse; ma quiui si stauano consumando i beni suoi, in feste, e in conuiti: auene, finalmente, che per uolontà d’Iddio, Vlisse dopo il uentesimo anno della sua partita, solo et sconosciuto giunse in Ithaca. Et andato a ritrouare i suoi pastori secretamente; et in habito pouero, da loro intese a che termine fosse lo stato suo. Allhora uide Thelemacho suo, ilquale ritornaua da Menelao, onde segretamente datosigli a conoscere, gli aperse tutto il suo pensiero; et cosi sconosciuto si fe menare da Siboote suo antichissimo porcaro nella città. Quiui ueggendo che gli innamorati consumauano il suo, et contaminauano l’animo casto della sua pudica moglie; pieno di furore, con Siboote, Philicia, et suo figliuolo Thelemaco, serrate le porte cominciò menar le mani adosso quei, che pasteggiauano, et festeggiauano: insieme con Melantheo suo capraio, che haueua apparecchiato dell’armi a suoi nimici, amazzò molti di quegli innamorati, che in uano gli domandauano perdono, non usando rispetto a huomini, ne a Donne di casa sua, lequali conosceua hauer tenuto pratica con gli innamorati: et cosi liberò Penelopea [sic] sua dalla noia di coloro. Laquale appena conosciutolo con grandissima allegrezza lo raccolse, hauendolo cotanto tempo aspettato, et desiderato.

  1. Io mi riccordo hauer letto, che questa Penelopea [sic] per mezzo di non so chi Nauplo compiacque ad alcuni di tanti suoi innamorati. M. SF. Et forse l’Ariosto

 

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haueua letto anch’egli quel medesimo auttore, perche scrisse; Et che Penelopea [sic] fu meretrice. MV. Io non posso però credere facilmente, che Penelope da molti degni scrittori celebrata per castissima, et honestissima, per uno che in contrario scriua, dishonesta sia stata. VIO. Et certo la uirtu sua tanto è piu chiara, et lodeuole, quanto men si ritroua; et quanto maggiormente combattuta da molti, non fu da alcuno espugnata. MV. Hauendoui raccontato uno essempio antico di rarissima honestà, m’appresto a diruene un’altro di non minor ualore.

Didone, prima chiamata Elissa, fu edificatrice, et Reina di Carthagine; alla quale uolendo io leuare quella falsa openione, che di lei quasi comunemente è tenuta, bisogna alquanto diffondermi in parole, piu ch’io non uorrei, et forse piu che non conuerrebbe, risguardo hauendo alla cortesia uostra. I Phenici partendosi quasi dall’ultima parte dell’Egitto, et uenuti in Soria u’edificarono molte nobili città. Tra iquali ui fu il Re Agenore, dal qual discese il nobil parentato di Didone; il cui padre Belo Re di Phenicia acquistata l’isola di Cipro, uenendo a morte la raccomandò fanciulla insieme con Pigmaleone fratello gia grandicello alla fede de Phenici. Iquali facendo Re Pigmaleone in luogo del padre, maritarono Elissa bellissima Donzella in Aterba, o Sicheo, o Sicario, come dicono alcuni, secerdote di Hercole: laqual dignità dopo il Re era la principale appresso i Tirii. Era Pigmaleone auarissimo, et molto desideroso d’oro, si come Aterba era ricchissimo. Perche conoscendo egli l’insatiabile auaritia del cognato, l’ascose sotto

 

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terra; ma non potendo però nascondere la fama del suo thesoro, tratto Pigmaleone dal desiderio d’hauerlo, fece amazzare Aterba a tradimento: il che inteso da Elissa, apena si puote contenere di non darsi la morte. Ma poi ch’ella hebbe lungo tempo pianto, et spesse uolte chiamato in uano il nome del suo carissimo sposo, pregando ogni male al fratello; o per natural consiglio dell’animo suo, o come uogliono alcuni, auisata in sogno deliberò fuggirsi: temendo forse di non esser morta anch’ella per l’auaritia del fratello. Et cosi fatta d’animo forte, ond’ella acquistò poi il nome di Didone; ilche nella lingua de Phenici, significa uirilità; inanzi ogni altra cosa trasse nel uoler suo alcuni de i primi della città, iquali sapeua ch’odiauano Pigmalone, tolta poi una naue del fratello, subito la fece fornire di marinari; et di notte preso tutto il thesoro, ch’era del marito, et quello anchora, che puote leuare al fratello, segretamente lo fece porre in naue: et pensata un’altra astutia, empiuti molti uasi di arena, fingendo che fossero thesori di Sicheo; in presenza di ogniuno caricò le medesime naui. Onde partiti, et essendo gia in alto mare; marauigliandosi quegli, che non sapeuano il fatto, fece gittare i thesori finti in acqua: affermando con lagrime di hauer ritrouato la morte, laquale haueua lungo tempo bramato; per hauer sommerso quei thesori, uedicando il marito. Ma che le incresceua bene d’una cosa sola, et era cio di ueder patire i compagni: percioche era certissima, che giungendo essi alle mani di Pigmaleone insieme con lei, sarebbono dal crudelissimo et auarissimo tiranno fieramente tormentati, et morti. Nondimeno

 

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gli promise, che se tutti insieme uoleuano fuggire, ella non gli haurebbe mancato giamai. Vdendo cio gli infelici marinari, benche pesasse loro abandonare le proprie case, la patria, i figliuoli, et le sostanze; temendo nondimeno di peggio, accettarono il partito di Didone; et tutti d’accordo presero uolontario bando; et uoltate le prode uennero in Cipro; doue Didone rapi alcune donzelle, le quali secondo loro usanza sul lito sacrificauano a Venere; si per piacere a i giouani, si per generar figliuoli. Cosi partiti di Cipro, et drizzandosi uerso Africa, et Mesalina, entrarono in porto. Quiui parendo luogo assai securo, deliberò fermarsi per rinfrescare i marinari, et gli altri trauagliati dal mare. Doue si come s’usa, cominciando a uenirui de paesani a mercantare, et uendere uittouaglie, ragionando fecero amicitia insieme. Et però piacendo a popoli, che si fermassero ad habitare in quel loco, uennero gli ambasciatori de gli Vticesi, gia detti Tirii; iquali gli confortarono a fermarsi. Didone intendendo, che il fratello s’apparecchiaua di muouerle guerra, senza smarirsi punto; et per non fare ingiuria ad alcuno; richiese da i paesani tanta terra, per li suoi danari, quanto si poteua circondare con una pelle di bue. Conchiuso il mercato pigliò une pelle di bue et fecela tagliare in sottilissime liste, aggiungendole tutte insieme: di maniera, che ingannando i uenditori, circondò grandissimo spatio di terreno: doue edificò una città, laquale chiamò Cartagine, la rocca Birsa dalla pelle del bue, mostrando a i compagni i thesori, i quali hauea nascosti per inanimargli a fuggir seco. Ora subito che fu fatta la città, sparsessi

 

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la fama della bellezza, et honestà sua per tutta l’Africa. La onde al Re de Musicani nacque grandissimo desiderio d’hauerla: perche la domandò per moglie; et giurò, che se non l’haueua, haurebbe ruinato la città. Però alcuni de i primi conoscendo il casto proponimento della uedoua Reina, et temendo molto le minaccie del Re; stauan molto sospesi. Et perche non ardiuano ragionare a Didone quel che il Re uoleua, pensarono d’ingannarla. Perche domandando essa loro, che ambascieria fosse quella; le risposero, che’l Re desideraua ridurre i suoi popoli fieri a uita piu ciuile; et fare che si gouernassero secondo gli ordini di lei. Onde che haueua richiesto sotto minaccie di guerra, che gli mandassero maestri per instiuirgli nelle leggi et costumi loro: et però essi stauano in dubbio, chi di loro pigliasse questa impresa, per andare ad habitare con Re si crudele. Non s’auide la Reina dello inganno, perche riuolta uerso coloro gli hebbe a dire; che paura et che uiltà è cotesta uostra? or non sapete uoi, che tutti siamo nati a benificio del padre, et della patria? Andate adunque tosto, et con poco pericolo uostro spengete cosi graui incendi di guerra. Con queste riprensioni della Reina parue a quei signori hauer l’intento loro, cosi le scopersero la uera domanda del Re; perche udendo cio la Reina, si pensò con le proprie parole hauer confermato il chiesto matrimonio; et tra se fu dolente, non osando d’opporsi all’inganno de suoi. Nondimeno le uenne pensato d’una cosa, che le parue bastare a conseruation dell’honestà sua; et subito rispose, ch’ella era contenta d’andarne a marito, mentre che le fosse conceduto alucno spatio di

 

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tempo. Ilquale ottenuto, et giunto a Carthagine Enea Troiano; deliberata piu tosto di morire, che rompere il suo casto proposito; apparecchiò una grande stipa nella piu alta parte della città; et quiui con diuerse cerimonie, amazzate di molte uittime ui sali sopra: stando un gran numero di cittadini a uedere quel che ella uoleua fare. Hauendo adunque Didone fatto cio che si richiedeua al sacrificio, tratto fuori un coltello; ch’ella haueua portato nascoso sotto la ueste, appoggiò la punta di quello al suo, castissimo petto: et chiamato il nome di Sicheo, disse: si come piace a uoi, carissimi cittadini, me ne uado a marito: et apena finite queste poche parole, con gran dolore di chi era a uedere si passò il castissimo petto, et mori.

GIO. Io uorrei hora, che le Donne uedoue, et massimamente le christiane, uolgessero gli occhi a Didone; risguardassero la sua fortezza, et potendo considerassero il suoi castissimo corpo bagnato di pudico sangue. Et specialmenie [sic] dico a quelle, a cui è paruto poco non due, ma tre, et piu fiate hauer preso marito. CA. Ma che bisogna a noi l’essempio di Didone, o d’alcuna altra antica, se ne habbiamo in casa, et delle moderne? VIO. Deh Signor Camillo ragionate d’altro, ui prego; che non ui manca suggetto. MV. Hora sarebbe tempo, che hauendo io lungamento ragionato de gli essempi antichi, ue ne soggiungessi alcuno altro piu fresco: perche senza perder tempo ui dico; che

Scriue M. Francesco Petrarcha nelle epistole sue d’hauer ueduto a Pozzuolo poco lungi da Napoli una donzella chiamata Maria, laquale per le brighe, che trauagliauano

 

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il paese, s’era uestita in habito da huomo, et messo l’armi in dosso. Et era tanto desiderosa di combattere, che in ogni luogo doue s’haueua à uenire alle mani co’nimici, era la prima a entrare in battaglia; et di continuo uoleua essere l’ultima a ritirarsi, ne prima che hauesse fatte molte belle proue, et date et riceuute parecchie ferite. Questa donzella di grandissime forze ne gli essercitii militari uinceua gli huomini di fortezza di corpo, lanciando il palo di ferro: ilche dice il Petrarcha di hauer piu uolte ueduto: di maniera che faceua marauigliare ogniuno. Ma quel che in lei era degno di maggior marauiglia, fu; che continuamente praticando con gli huomini, fra l’arme, in una gran libertà di uiuere mantenne però sempre salua l’honestà sua. Ornamento certo non solo raro, ma del tutto marauiglioso, ch’essa uincitrice riportasse triompho di quello nimico, ilquale la natura nell’età giouenile ha piantato nelle humane menti; et spesse uolte anchora le genti in quella età lo portano seco; i dico quel nimico, contra ilquale non si puo combattere con scudo, ne con lancia; ilquale quasi sempre riporta uittoria di noi.

Di si fatto ualore fu Margherita figliuola di Vuoldomaro Re di Suetia, moglie di Aquino Re di Noruegia, di questi regni herede per la morte del padre, et del marito; et di Dacia anchora per la morte di Olao suo figliuolo. Costei, hauendole mosso guerra Alberto Duca di Monopoli, messo insieme uno essercito ella medesima armata gli usci incontra, et lo uinse in battaglia, et lo fece prigione; et oltra cio secondo l’usanza Romana

 

Fol. 221v

lomenò preso in triompho.

Ma non pure in battaglia et nell’armi sono state ualorose le Donne, che nell’altre uirtuose attioni grandissimo nome hanno hauuto. Elisabetta figliuola di Andrea secondo Re di Vngheria, et moglie di Lodouico Lantgrauio di Turingia (questo è nome di dignità in Lamagna) dopo la morte del marito, come prodiga, fu da i popoli cacciata di stato. Percioch’ella distribuiua cio che haueua fra i poueri. Perlaqual cosa fuoruscita si ridusse a tanta estremità et disagio di tutte le cose, che s’hebbe a coprir le carni d’una ueste rattoppatta di diuersi panni, et a guadagnarsi il uiuere filando lana: sprezzando tutto quello che dal padre, et da gli altri parenti suoi dopo quella sciagura le ueniua offerto. Et cosi uenne piu pouera di Cornelia questa dignissima Donna, laquale se hauesse uoluto, poteua nondimeno esser piu ricca.

  1. SF. Io non so come possiate ragioneuolmente lodare questa Donna, la quale potendo non uolle esser ricca. MV. Per questo solo la lodo io, ch’ella sprezzò le ricchezze, come sprezzar si debbono; et le compartì fra i poueri di Christo: della quale non so uedere altra opera piu pia. M. SF. Ella poteua anchora con suo honore, et con buona conscienza accettare quelle facultà, che le erano offerte da i parenti, per poter di nuouo usare liberalità, et fare elimosina. VIO Haurebbe potuto, ma uolle piu tosto uiuer pouera, et seruire a Dio. Ma che importa questo? chiaro è, ch’ella uisse et morì santamente, di che ella ha meritato gloria et honore. Ma seguite uoi Signor Mutio, che queste dispute sono souerchie, et poco utili.

 

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  1. Non è la nostra età priua d’illustri essempi di maritale amore, et per questo ue ne racconterò uno molto simile ad Arria Romana. Erasi ribellato da Iacob Re de Persiani, ilquale fu figliuolo di Vssoncassano, uno dei suoi capitani di guerra; c’haueua nome Pandoero. Costui haueua una bellissima moglie, che non passaua sedici anni, dalla quale ardentissimamente era amato. Fu Pandoero lungamente da lei pregato, che non combattesse col nimico; il quale non uolendo compiacere alla moglie essa li domandò in gratia; ch’almeno fosse contento d’amazzarla inanzi la battaglia, accioche ella non rimanesse in uita dopo lui. Perche hauendole ancho negato questo, attaccò il fatto d’arme; nel quale esso fu uinto et morto; et la moglie di lui presa da nimici, fu dal Re data a uno de suoi capitani. Ilquale essendo disposto di pigliarla per moglie, ella lungamente fece contrasto; ma poi ueggendo che alla fine le sarebbe usato sforza, preso tempo a risoluersi sopra di questa cosa; poi c’hebbe scritto in su una picciola carta; Mai non uedranno gli huomini, che la moglie di Pandoero lungo tempo sia uissa dopo lui; s’amazzò con un coltello da se stessa: et uolle morendo seguitare il marito, poi che contra il uolere del destino uiuo non haueua potuto accompagnarlo.

Il medesimo a nostri tempi fece Cecilia Barbariga gentildonna Vinitiana, laquale morto il marito Philippo Vendramino, si sommerse in cosi graue et ostinato dolore; che ne per ricordi ne per preghi de parenti suoi, fu mai passibile, ch’a uerun patto ella uolesse mangiare. Perche senza rispondere cosa alcuna ad alcuno

 

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si morì in quel modo. GIO. Grandissimo segno d’amore fu questo uerso il marito, ma non punto di minore ostinatione; nella qual cosa sogliono le Donne superare ogni uno. VIO. Ci sara sempre dunque chi riprenda et biasimi le pouere Donne. Ma non sarà lecito a ogniuno prouocarci con ogni sorte d’ingiuria. MV.

Alboino Re de Longobardi, il quale primo uenne in Italia; facendo un solenne conuito in Verona, secondo il fiero costume della natione; uolle bere nel teschio di Turismondo figliuolo del Re de Giepidi; il quale era chiamato anch’egli di questo medesimo nome; si come del piu honorato nimico, ch’egli hauesse morto: anchora ch’e sapesse ch’egli era stato padre di Rosmonda sua moglie. Et percioche per auentura s’era troppo riscaldato dal uino, mandò il teschio alla moglie; ricordandole che deuesse bere insieme con suo padre. Rosmonda anchora che sapesse prima, che suo padre morto in battaglia era stato amazzato da Longobardi; sopportaua però questa cosa, come sogliono gli altri huomini sopportare tutti i casi. Nondimeno per quello inuito, che l’era stato fatto, intendendo che suo padre era stato morto per mano di Alboino; mossa piu dalla carità paterna, che dall’amor martiale, deliberò di uendicare la morte di suo padre, et per questa cagione perdere il marito, e’l regno in un medesimo tempo. La onde sapendo, ch’una delle damigelle, ch’erano al suo seruitio, era grandemente amata da un caualier Longobardo, chiamato Himichildo; fece si, ch’egli menato in una camera al buio, credendosi giacere con la fanciulla amata, senza scoprirli punto la cosa, usò con essolei. Poi fece aprire le fenestre della camera, accio

 

Fol. 223r

ch’egli uedesse quel che haueua fatto. Et minacciatolo di uolerlo accusare di quel ch’egli haueua fatto, se non amazzaua Alboino, lo strinse in tal maniera; che egli uinto dalle parole, et dalle minaccie, la notte amazzò Alboino, ch’era in letto. Et poi che fu commesso il delitto, l’uno et l’altro si fuggi a Rauenna, hauendo ella preposto la uendetta della morte del padre al regno, all’honore, et alla uita.

  1. Certo ch’io non so uedere, onde lodiate costei, che fece due cosi grandi sceleraggini, cioè l’adulterio, et l’homicidio. MV. Dall’amore ch’ella portò al padre; ilquale amore la sforzò a farne cosi nobil uendetta. GIO. Quando ella non fosse uenuta alla dishostà [sic] dell’adulterio, la carita paterna la poteua scusare della morte del marito; ma non gia che per questo ella ne meritasse lode: che dallo illecito non s’acquista gloria. FAV. Questi huomini inuidiosi apporrebbono alla uerità del Vangelo: non è da marauigliarsi dunque, che uogliano calonniare l’opre honorate delle Donne. Ma uoi, Signor Mutio, non date loro orecchio; che troppo badereste uolergli rispondere: et essi cio fanno a bello studio, et mandano il tempo in lungo, perche uoi non ci honoriate. MV. et non è pure hora, ch’io me ne sono aueduto, et però fuggo di dargli risposta, come essi haurebbon caro. Ma siatemi cortesi uoi Donne, et datemi cheta udienza; come solete.

Bianca Visconte Duchessa di Milano, benche dopo la morte di Francesco Sforza suo marito fosse stata priua del gouerno dello stato del Galeazzo suo figliuolo

 

Fol. 223v

e in altre cose grandi di lui fosse stata grauemente ingiuriata: anchora che gli altri figliuoli grandemente la honorassero: nondimeno possedendo ella per ragion di dote la città di Cremona; laquale se l’hauesse lasciata a gli altri figliuoli si sarebbe potuta aspramente uendicare di Galeazzo suo figliuolo; uenendo a morte si scordò tutte le ingiurie di Galeazzo, accioche non si seminasse discordia tra suoi figliuoli: et cosi nel testamento hauendo distribuito egualmente tra i figliuoli le rendite della città, a Galeazzo, come a quel ch’era il maggiore di età, lasciò la signoria. GIO. Male haurebbe fatto in tutti i modi questa singolar Donna, quando ella hauesse fatto altramente; et tuttauia merita comendatione del suo auedimento. MV. Questo ch’io ui uoglio dire, è uno essempio di honestà.

Fu senza dubbio animoso studio di pudicitia quello che a tempi nostri usò Francesca Bentiuoglia. Percioche hauendo ella intromesso due, iquali amazzassero Galeotto Manfredi suo marito Signore di Faenza; ueggendo ch’egli difendeua la salute sua con gran forza; con un pugnale, ch’ella s’haueua cinto, aiutata da quei due, et con animo piu tosto uirile, che Donnesco l’uccise. Et a fare questa proua fu sforzata dalla disperatione del suo honore offeso. Perciche nella città di Faenza si teneua per certo, che Galeotto inanzi che lei pigliasse per moglie, n’haueua presa un’altra cittadina Faentina: et tenendo secreta la cosa, haueua fatto poi quest’altro piu honoreuole parentato seco. Iquai ragionamenti non potendo Galeotto in alcun modo tener cheti, daua sospetto che la cosa fosse, si come era, uera.

Hora questo essempio d’hauer caro il suo honore

 

Fol. 224r

benche non somigli il sopradetto; per non essere accompagnato con alcuna crudeltà; nondimeno ho uoluto accompagnarlo seco per lo uedersi in esso una rara et singolar uirtu d’animo. Ritrouandosi Otho quarto Imperatore in Fiorenza, et lodando egli molto fra molte nobilissime et bellissime Donne, ch’erano ragunate alla festa solenne nel tempio di San Giouanni, Gualdrada Berta sopra tutte l’altre: il padre della fanciulla, ch’era quiui presente con altri gentili huomini, che teneuano compagnia all’Imperatore; detto Bellincione, gli offerse che se gli piaceua, haurebbe fatto darle un bacio. Perche hauendo udito cio la fanciulla, rispose arditamente, ch’ella mai non s’haurebbe lasciato baciare ad alcuno, il quale non fosse stato suo marito. Piacque allhora talmente quella honesta risposta al modesto principe, che uillania gli parue lasciare senza guiderdone la fanciulla. Perche subito la diede per moglie a un baron Tedesco detto Guido, huomo non solamente ualoroso nell’armi ma anchora di nobilissimo sangue: et ad ambidue diede in dono tutta quella ualle, che si chiama il Casentino, nel contado di Arezzo. Da i quali discese poi quella famiglia, che si domanda i Conti Guidi. Mostrò similmente la moglie di Giberto da Correggio un singolare essempio di fede, essendo stato cacciato Giberto della signoria di Parma per una congiura de parenti, et di quei ch’erano dalla sua medesima fattione. Trouauasi fra gli altri congiurati il fratello della moglie Orlando de Rossi, il quale pregò in quel tumulto la sorella, che uolesse cansare la furia del popolo nelle case sue, il qual tumulto era di maniera terribile, che haurebbe

 

Fol. 224v

ancho potuto spauentare qual si fosse stato forte huomo. Ma ella con un horribil uolto, uolta al fratello, et chiamandolo traditore, gli rispose. Non piaccia a Dio, ch’io mi lordi, entrando in quella casa; la quale ha usato si fatto tradimento contra il parente suo; ne ch’io mangi quel pane, ilquale i cani anchora per la macchia del tradimento non uorrebbon mangiare, benche hauessero gran fame. Piu tosto uoglio andare a trouare il mio marito, ilquale tu hai tradito sotto la fede delle nozze mie: et inanzi a lui uoglio presentarmi, accioche egli sopra di me pigli uendetta di questa ingiuria, che tu gli fai. Hauendo detto queste parole, a piedi ignudi, et co i capegli sparsi dietro le spalle, se n’andò a Castelnuouo, doue era ricouerato il suo marito; et quiui cominciò a gettarsigli i piedi, et piangendo a pregarlo, che con la morte di lei si uendicasse della ingiuria, la quale gli haueua fatto Orlando suo fratello. FAV. Quanto m’è stato caro intendere questo lodeuole essempio di si nobil Donna; la quale ueramente fece un’atto generoso, et degno del suo nobil core. A questa non sapranno gia che opporre gli auersari nostri. MV. Et molto meno a queste altre, ch’io son per ricordarui.

Hauendo Massimino Imperatore con la grandezza della crudeltà sua lungo tempo spauentato, et finalmente stanco il Senato e’l popolo Romano; lo costrinse all’ultimo a ribellarsigli contra: ond’egli con essercito armato s’inuiò uerso Roma. Et cosi nel uiaggio hauendo posto assedio alla città di Aquilea, percioch’ella ubidiua al Senato; la strinse di maniera, et a tal necessità la ridusse; che non hauendo essi piu corde per gli archi, le ualorose Donne

 

Fol. 225r

si tagliarono i capegli, principale ornamento della bellezza loro, perch’essi in quel bisogno se n’hauessero a seruire. Come si legge anchora, che gia fecero i Romani; iquali per simil cagione consacrarono poi un tempio a Venere calua. Il medesimo fecero i cittadini di Marsilia contra Gaio Cesare: et i Carthaginesi, quando la città loro fu ruinata da Mancino.

  1. Certo non si puo negare, che tutte queste Donne non amassero la patria singolarmente, et sopra ogni altra cosa; poi ch’elle consentirono priuarsi del piu leggiadro ornamento ch’elle habbiano, per difenderla contra i nimici. GIO. Questo atto senza dubbio meriterebbe infinita lode, quando fosse seguito di uolere delle Donne, et non contra lor uoglia, si come è da credere: poi che esse se non tirate a forza non fanno mai opera buona. VIO. Ringratiato sia Dio, che non ci mancherà contrasto. MV. Ne ancho ui manchera difesa. Et doue hauete letto uoi, Signor Conte, che le Donne si lasciassero tagliare per forza i capegli, et uolontariamente non gli offerissero a gli huomini? GIO. Da quel che ne scriuono gli historici si fa argomento, che gli huomini, glie le tagliassero. MV. Forse che gli huomini, iquali troppo ben sanno magnificare i fatti loro, se questo fosse uero l’haurebbono taciuto. Ma chiaro è, che le Donne ueggendo il gran pericolo della patria, se ne spogliarono di buonissima uoglia; come ancho sempre si sono fatte incontra con prontissimo core a tutte le ualorose attioni; ilche hauete potuto manifestamente uedere in tanti notabili essempi, iquali ho raccontato; et potrete ancho conoscere in quei, che sono per dirui: doue farò

 

Fol. 225v

conoscerui, che le Donne quando hanno dato opera a gli studi, sono riuscite eccellenti al par de gli huomini, et forse meglio.

La prima dunque tra le Donne moderne eccellenti in dottrina, ch’io son per raccontarui, sarà Rosuida; la quale nacque in Lamagna nella prouincia di Sansonia, al tempo ch’era sommo pontefice Giouanni ottauo, il quale fu scoperso esser femina, et Imperatore Lothario primo: Costei dottissima in Greco et in Latino di tutte le buoue arti, scrisse infinite cose con grandissima lode et massimamente alle monache sue, mentre ella le confortaua alla uirtu, et al culto diuino. Compose anchora sei Comedie. Oltra di questo scrisse un notabil uolume in uerso de i fatti de gli Imperatori Othoni; e in bellissima prosa la uita, et le lodi della sante Donne, et sopra tutto della beatissima Vergine Maria.

Seguito Lisabetta Abadessa di Sconaugia nella città di Treueri la disciplina et gli studi di Rosuida, et scrisse Latinamente molte cose, le quali le furono inspirate da Dio. Mandò anchora orationi persuasiue alle suore del suo conuento, et ad altre persone molto eccellentemente. Et oltra questo una opera della strade, per le quali si camina a Dio, et un uolume anchora di dottissime et bellissime epistole.

Non solo le Donne religiose, ma le secolari, et principesse anchora hanno dato opera alle lettere; come si uide in Battista la prima figliuola di Galeazzo Malatesta Signor di Pesaro, et moglie di Guido da Montefeltro Conte di Vrbino: la quale fece piu uolte testimonio della mirabil dottrina; ch’era in lei. Percioche ella assai

 

Fol. 226r

piu che spesso non senza lode sua disputò con huomini dottissimi; et scrisse anchora latinamente alcuni graui libri della fragilità humana, et della uera religione.

Isotta Nogarola Veronese facendo professione de i sacri studi di philosophia non solamente in parole, ma ne gli effetti anchora; tutta si diede a gli studi belle lettere, et a uirginità perpetua. Scrisse molte orationi a Nicola quinto, et a Pio secondo sommi pontefici, huomini dottissimi. Et essendo studiosa molto di Theologia, et di Philosophia, fece un Dialogo, nel quale si disputò chi prima et maggiormente peccasse Adamo, o Eua.

Fu reputata anchora al suo tempo cosa miracolosa Cassandra Fedele Vinitiana, per la eccellenza della Dottrina sua. Costei non solo cantaua comodissimamente nella lira uersi Latini, da lei medesima con singolare eruditione composti; ma anchora in Padoua disputando nelle scuole sempre ne riportò grandissima lode, et honore: et per mostrare piu chiaro testimonio del ualore et della dottrina sua, compose un libro dell’ordine delle scienze.

FAV. Io haurei molto caro, Signor Mutio, che ui piacesse lodare le Donne per alcuna altra uirtu, che fosse in loro, et massimamente per quella ch’è loro propria tutta si, che gli huomini non u’hanno alcuna parte; la quale è la continentia. Et perdonatemi, Signori, se pure ui paresse ch’io ui hauessi fatto ingiuria; perche dice un prouerbio, ch’a nessuno fa torto, chi honestamente dice la sua ragione. MV. Se la Signora Faustina fosse stata presente alle dispute di questi di passati, ella haurebbe ueduto, come questa medesima conclusione s’è ottenuta

 

 

Fol. 226v

(come si suol dire) in contradittorio giudicio contra gli huomini. Ma pure ho caro, ch’ella stessa conosca hauer ragione; onde per consolarla meglio, ne dirò alcuna cosa. In Vercelli, si come scriue San Gieronimo, una Donna accusata d’adulterio dal marito, essendo posta al martorio, sempre costantemente negò d’hauer fatto quel delitto. Ma il giouane, col quale si diceua c’haueua adulterato, non potendo reggere al dolore de tormenti; confessò d’hauer fatto quel che non hauea fatto. Et cosi per questa cagione essendo stati ambidue condannati alla morte dal Consolo, nel quale si ritrouaua molto piu rigore, che giustitia, la uerità si scoperse con un miracolo. Percioche il giouane, il quale haueua detto la bugia, solo una uolta ferito con la spada ui lasciò la testa. Ma la Donna essendo stata ferita sette uolte con la spada, et non pure di taglio, ma prouato di passarle la gola di punta; il ferro sempre ritornò indietro dalla carne di lei, non altremente che se hauesse urtato in una uiua pietra; saluo che nell’ultimo colpo. Percioche per salute dell’anima sua ferita, rimase come morta; et fu portata a sepelirsi. Et cosi mentre ella si portaua, ritrouata uiua, et medicata la ferita, fu finalmente liberata in giudicio; essendosi trouato il uero. FAV. O quanto m’è piaciuto intendere questo miracoloso essempio: ueramente l’innocentia è sempre aiutata da Dio. M. SF. Ma quel giudice fu troppo seuero, a non perdonarle piu tosto: ma che dico io perdonare? a non l’assoluere, secondo che uoleua la giustitia; la quale, secondo, che i ho inteso da leggisti, non consente

 

Fol. 227r

che alcuno muoia, se non confessa il delitto. MV. Hora ritorno a dirui d’alcune Donne moderne eccellenti in dottrina.

Fra i piu freschi essempi merita d’essere annouerata Paola Cornelia nata in Roma di nobilissimo sangue; non solamente illustre, perch’ella fu eccellente nelle lettere Hebraiche, Grece et Latine; ma anchora perch’ella seguitando la uera philosophia, et un piu dotto maestro, abandonata la patria, se ne andò in Palestrina, per udire da San Gieronimo, ch’era quiui, la dottrina christiana; della quale non è altra maggior philosophia. Doue per non essere leuata dalla contemplatione delle cose celesti, distribui in opere pie le richezze grandi, ch’ella haueua.

Amalasunta Reina de gli Ostrogothi, figliuola di Theodorico Re de gli Ostrogothi in Italia, fu dottissima et nella Greca, et nella Latina lingua. Et oltra cio distintamente parlò in tutte le lingue di quelle Barbare nationi; le quali trauagliarono mai l’imperio in Occidente. Et poi ci marauiglieremo di Ciro, et di Mithridate, se l’uno sapeua i nomi di tutti i soldati del suo essercito; et l’altro rendeua ragione a uentidue nationi nelle loro lingue proprie. Essendosi ritrouata costei, ch’era Donna, et Reina occupata nel gouerno del regno; la quale fu cosi dotta, et seppe ragionare in cosi uarie lingue.

Benche io sia tuttauia fra gli essempi moderni, io non starò per questo di riferirne uno antico di mirabil grandezza d’animo. Costei fu Rhodope Donna Greca di dishonesta uita in Egitto; laquale hauendosi auanzato col suo infame guadagno un grandissimo

 

Fol. 227v

thesoro; bench’essa fosse nata in humil fortuna (percioche fu serua) mossa nondimeno dal desiderio della fama, edificiò la minor piramide, che si uede. La quale quanto è uinta di grandezza dall’altre, tanto le superò di eccellenza di lauoro; poi ch’una meretrice, et stata serua hebbe ardire di concorrere nella pompa d’una opera grande co i grandissimi Re: et essendo essa desiderosa di fama, cosi mostrò di uolere dare opera al nome, et alla gloria ne i luoghi infami, come essi haueuano mostrato ne i palazzi. La quale di tanto auanzò i medesimi Re nel desiderio del nome, et della fama, di quanto i Re uinceuano lei di grandezza d’imperio, et di ricchezze.

GIO. Fu grande et ueramente bello animo in questa Donna uile, et bene ha ella meritato, che gli antichi auttori, et nuouamente il Signor Mutio habbia fatto memoria di lei: la quale fu nondimeno tanto oscurata dalla sua uituperosa uita, che non basta a illustrar la qual si uoglia notabil’opra, ch’ella facesse giamai. MV. Sappiate, Signor Conte, che questa è di tanto splendore; ch’ella puo dar lume al suo nome: et è tanto maggiormente degna di consideratione, quanto ella uenne da persona piu abietta. Ma poi che i gradi illustri fanno i nomi piu chiari, ui conterò alcune grandezze, le quali sono state grandissime nelle Donne, et per cio degne di marauiglia.

Ad Agrippina Augusta tra le Donne Romane, le quali furono inanzi a lei, solo auenne; ch’ella fu moglie, sorella, madre, et figliuola d’Imperator Romano. Percioche prima ella fu figliuola di Germanico, ilquale Tiberio s’haueua adottato per figliuolo et successor ne

 

Fol. 228r

l’imperio. Hebbe per marito Claudio Augusto. Era sorella di Caligula; et finalmente partori Nerone.

Ma molto piu pare a me che sia da stimarsi Mesa Varia nata nella città d’Emesa, laquale è in Phenicia. Costei fu sorella di Giulia gia moglie di Settimio Seuero Imperatore. Percioche essendo stato morto Bassiano da Macrino, ilquale gli era successo nello imperio; rimandata in Phenicia, con l’astutia, et con gl’inganni suoi operò di maniera, ch’Heliogabalo nipote di lei d’una figliuola sua, non hauendo passato anchora quattordici anni, fu essaltato all’imperio: et ella mentre uisse gouernò sotto di lui l’imperio Romano. Et cio fece essa anchora essendo Alessandro Imperatore, ilquale co’ suoi artifici ella haueua inalzato al principato, si come Heliogabalo, di cui similmente era auola. Con questa gloria diuenne ella illustre, laquale a nessuna altra forse, o a rarissime Donne mai piu non auenne; cio è, che una Donna sedesse in Senato, quiui ragionasse, sottoscriuesse il suo nome, et gli altri uffici de gli Imperatori facesse. Oltra di cio morendo ch’ella fosse sepolta con pompa imperiale, et fosse posta nel numero delle diue Romane; riputata a giudicio d’ogniuno et felice et prudente.

Di due altre Donne fa mentione Plinio nel settimo libro al cap. xli. l’una dellequali fu Lacedemonia; et hebbe nome Lampido: laquale fu figliuola et moglie, et madre di Re. Vn’altra chiamata Berenice; laquale hebbe padre, fratello, et figliuoli uittoriosi ne giuochi Olimpici.

Se Agrippina, et Mesa furono riputate felicissime

 

Fol. 228v

appresso Romani, questo medesimo ottenne Delbora appresso Iddio, e’l popolo Hebreo; ch’è molto piu da stimarsi. Percioche hauendo ella spirito di prophetia, gouernò et giudicò il popolo d’Israele per uenti anni: et accioche non sia chi creda, ch’ella ualesse meno nell’armi et nelle guerre, che nella pace et nella religione nel gouernare l’Imperio della Giudea; essendo capitano Sifara, ma però di suo consiglio, ruppe l’essercito de Cananei.

VIO. Voi ci hauete raccontato molte felicità delle Donne antiche: ma puo egli essere, Signor Mutio, ch’a tenpi nostri non se ne troui alcuna? Deh per gratia, non hauendo rispetto a tanti ordini, contatecene alcuna, se uoi la sapete. MV. Et come potre’io negarui cosa, che ui piacesse? maggiormente non essendo io qui per altro, che per piacere alle Donne; et a uoi sopra tutto.

Non m’accade andar troppo lungi; perche gli essempi gli hauete in casa et su gli occhi, et tanto notabili, che uincono ogni paragone. Viueua poco dinanzi, et hora è ritornata al suo et nostro fattore l’Illustrissima Signora Gostanza Farnese, figliuola di cosi gran Papa, come è Paolo Terzo, sorella di Duca, madre di Cardinali grandissimi, et d’altri ualorosi signori, et signore; iquali non lodo, per non parere di uolermi guadagnare la gratia loro adulando. FAV. Deh Signor Mutio, ragionate ui prego d’altro. MV. Poi che la nobile modestia uostra pregando m’impon silentio, dirò della rarissima et felicissima Donna, laquale la Dio merce, uiue anchora, et è per uiuere molto tempo appresso, per arriuare a quella suprema contentezza, che si desidera in

 

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questo mondo; io dico Madonna Lucretia, laquale fu sorella di Papa Leon Decimo, del Duca Giuliano, cugina di Clemente Settimo, Zia maggiore della Reina hoggi di Francia, et del Signor Duca Cosmo di Fiorenza, Madre dell’Illustrissimo et Reuerendissimo Cardinal Saluiati del Signor Prior di Roma, et di tante ualorose Donne, c’hanno illustrata Thoscana et tutta Italia. Questa sauissima Donna si puo chiamar felice, et molto piu se; come il mondo desidera et spera, di qui a non molto tempo, com’è stata sorella, cosi sarà madre di sommo Pontefice: il che pur Dio uoglia. M. SF. Io odo dire oltra la sua grandezza, cose marauigliose della prudenza, magnanimità, et giudicio acutissimo di lei in tutte le cose. MV. Signor mio, non è marauiglia; perch’ella queste et altre infinite uirtu ha per heredità paterna: percioche, se uoi nol sapete, quel ch’io m’era scordato dirui, ella fu figliuola del Magnifico Lorenzo de Medici uecchio. CA. Raro è, che buono albero non faccio buoni frutti: et le magananime aquile non sogliono mai generare le timide colombe. MV. M’era quasi uscito di memoria uno essempio d’una mirabil grandezza d’animo in una meretrice; laquale per molti rispetti degna mi pare, che si faccia memoria di lei.

Non è dunque male, che fra tanti essempi di Reine, et d’altre Donne illustri, laquali o gia u’ho raccontato, o son per raccontarui, si ricorde Thaide meretrice. Percioche fu tanto singolare la prudenza sua, che basta a honorare et illustrare l’oscura conditione, dalla quale ella discese. Costei nata in Athene seguendo Alessandro, ch’andaua con l’essercito in Oriente, prima ch’ella

 

Fol. 229v

fosse tenuta in delitie da Tolomeo; essendo stata inuitata con alcune altre Donne, et principi a cenare con Alessandro nella città di Persepoli, et nel palazzo proprio di Xerse (percioche oltra la sua bellezza, ella parlaua benissimo) motteggiando dopo cena con Alessandro, gli disse; che delle fatiche della militia, hauendo uista l’Asia, ella n’haueua riceuuto il premio, che desideraua; poi ch’Alessandro le haueua fatto fauore, ch’ella cenasse con essolui nel palazzo di Dario Re de Persi. Ilqual dono ella era per estimarlo molto maggiore, anzi eterno, se le daua licenza, che hauesse anco potuto ardere il palazzo: accioche ella, ch’era una donniciuola, si potesse uantar d’hauersi uendicato d’un cosi gran Re, quanto era stato Xerse: il cui essercito haueua gia abbrusciato la sua patria Athene. Mosso dunque Alessandro dalla grandezza dell’animo di lei, hauendole concesso licenza di fare quel che uoleua; essa pose fuoco nel palazzo; e in quel modo che puote uendicò le ingiurie della patria sua.

  1. Perdonimi la magnanimità di Alessandro, che in questo hebbe poco discorso; ch’assai fauore, et pur troppo haueua fatto a una bagascia, degnandola a mangiar seco, senza che le comportasse una dishonestà si fatta. GIO. Trouerebbonsi ancho hoggi de i Principi in questo simili ad Alessandro, ma non nell’opere uirtuose. VIO. Signor Conte, la materia, di che si ragiona, non ricerca satire. MV.

La uendetta, che fece Thaide, me n’ha fatto souenire d’un’altra fatta con piu ragione da una Imperatrice. Hauendo Petronio Massimo Senator Romano fatto amazzare

 

Fol. 230r

Valentiniano Imperatore da Trasila soldato; et poi ch’egli hebbe occupato l’imperio facendo ogni sforzo di hauer per moglie Eudossa Imperatrice; tanto sdegno prese ella per la morte del marito; ch’affine di potere piu facilmente uendicare la morte di Valentiniano, finse di uolere compiacere al desiderio di Petronio. Sotto colore adunque di scriuere alle legioni, et alle prouincie, per mettere in gratia loro Petronio; mandò un messo in Africa a Gensorico Re de Vandali, ilquale lo confortasse a pigliare l’armi contra Massimo, et uenire a saccheggiare la città di Roma. Ilquale essendo uenuto con una grande armata, amazzò Massimo; prese la città, et la mise a sacco: portandone seco non solamente tutti i thesori, ma anchora tutta gli artefici illustri. Et cio fece egli col consiglio di Eudossa; laquale non contenta della ruina di Petronio, consenti anchora alla distruttione della patria sua.

GIO. Et pur questo è ben ragione, che uoi la lodiate. MV. Io non la commendo, perch’ella facesse ruinare la sua patria; ma perche non solamente non degnò Petronio per marito, come diseguale alla grandezza imperiale; ma anchora lo puni secondo il merito di lui. CA. In questo non haueuan colpa i miseri cittadini Romani. MV. Forse l’uno effetto non si poteua fare senza l’altro: et perauentura il popolo, che non l’amazzaua, anzi lo sopportaua per Signore, meritaua quel supplicio. VIO. Basti senza tanti commenti, che la Donna merita perciò nome di magnanima et d’illustre; et ch’ella non si mosse a cio fare per alcuno atto indegno. MV. Perch’io ho carestia di tempo, non che mene

 

 

Fol. 230v

auanzi da consumare in dispute, me ne passerò di lungo nel proposito mio.

Camiola uedoua Donna bellissima, nobilissima, et d’animo grande; fu Sanese figliuola di Lorenzo di Toringo huomo d’arme. Visse in Messina di Sicilia una uita non meno lodeuole che famosa col padre, con la madre, et col marito suo, mentre uissero, al tempo, del Re Federigo. Dopo la morte di i quali ella restò con ricchezze quasi reali, honorata, et honesta. Auenne che morto il Re Federigo essendogli succeduto il Re Pietro, in Messina si fece una grande armata, della quale era capitano Giouanni Conte di Chiaramonte in quel tempo ualoroso guerriero, per soccorrere Lipari, ch’era assediata. Nella quale armata non solo andarono soldati pagati, ma molti baroni anchora di riuiera, et fra terra uoluntariamente, et senza paga si mossero, per acquistar gloria. Haueua assediato il castello il ualoroso huomo Gottifredi di Squilazzo, generale Capitano allhora dell’armata di mare di Roberto Re di Gierusalem, et di Sicilia; ilquale haueua in modo astretto i soldati di dentro, che di corto speraua, che s’hauessero a rendere. Ma intendendo l’armata de i nimici molto maggiore della sua appressarsi, elesse per lo meglio aspettare quel che haueua a succedere. Onde i nimici senza impedimento soccorsero gli assediati: perche Giouanni insuperbito sfidò Gottifredi a battaglia: laquale accettando l’huomo d’ardito ingegno, et apparecchiandosi bene a difesa et offesa, nello spuntar dell’alba riuolse le prode contra i Siciliani. Giouanni, ilquale non si credeua che’l nimico accettasse il partito, ma piu tosto si deuesse fuggire;

 

Fol. 231r

non s’era messo in punto per combattere, ma in atto di seguitar l’armata, che fuggisse: perche ueggendo l’ardire et l’apparato de nimici esso si perdè quasi d’animo et pentessi d’hauer cotanto offerto. Cosi di se stesso diffidandosi, come puote il meglio per la breuità del tempo postosi a ordine, diede il segno di combattere. Gia s’erano appressati i nimici, iquali entrando animosamente in mezzo de Siciliani, gli incominciarono a mettere in rotta; perche diffidandosi di loro stessi quei, che poterono, riuolsero le prode dandosi a fuggire. Doue parendo la uittoria della parte di Gottifredi, molte naui Siciliane affondarono, molte ne furono prese et poche delle piu leggiere si saluarono a forza di remi. Pocchi morirono in quella battaglia, ma molti ui rimasero prigioni. Fu preso fra gli altri Giouanni generale dall’armata, et con lui quasi tutti i Baroni, che uolontariamente erano uenuti all’impresa; iquali dopo lunghi uiaggi, et fortune di mare furono a Napoli condotti in catene, et quiui tenuti prigioni. Era fra questo numero un certo Orlando figliuolo naturale del Re Federigo, giouane bello, et ualoroso, ilquale essendosi riscattati tutti gli altri prigioni, solo infelice era rimaso schiauo. Percioche il Re Pietro, a cui toccaua la liberatione del fratello, per essersi fatto cio contra la uolontà sua; et lui et gli altri, iquali erano stati in quella battaglia, grauemente odiaua. Standosi egli dunque in quel modo, senza speranza alcuna di libertà, occorse che questa Camiola si ricordò di lui; et pieta le ne uenne, ueggendolo scordato da i fratelli, a iquali toccaua liberarlo di quella miseria. Perch’ella si dispose, se poteua saluo l’honor suo

 

Fol. 231v

in libertà ritornalo. Ne ueggendosi altro piu honesto modo, mandò segretamente a intendere da lui, se con conditione di uolerla per moglie gli piaceua d’esser liberato. Ilquale accettò il patto, et per procuratore la pigliò per isposa. Cosi senza indugio pagato la taglia, Camiola lo cauò di prigione; et egli si ritorno a Messina. Ilquale non andò pure a ritrouare la moglie, non altramente che se fra loro non fosse mai successo cosa alcuna. Marauigliossi prima, poi si sdegnò Camiola, conosciuta l’ingratitudine di lui; ma per non parere d’essere spinta dall’ira, inanzi che altro facesse, modestamente lo fece richiedere, ch’egli osseruasse la promessa sua. Ilquale negando di non hauere a far nulla seco, uenne dinanzi lo stradicò, doue con lettere di sua propria mano, con l’instromento rogato, et col testimonio d’huomini degni di fede lo conuinse per suo marito. Lequai cose dopo l’essersi uergognato confessando, et riconosciuto, ma tardi, il beneficio uerso lui della Donna; ripreso da i fratelli, et da gli amici, s’inchinò alla domanda di lei; et contentossi d’hauerla per moglie. Ma ella con animo grandissimo, et dopo hauerlo confuso, rifiutò di uolerlo per marito; lasciandolo pieno di uergogna maledire la sua discortese ingratitudine.

GIO. E non si puo negare, che costei non facesse un opra pia, et degna di molta lode, ma pare appresso coloro, iquali non considerano troppo a dentro, ch’ella ambitiosamente si moueste a far ciò, aspirando alle nozze d’un giouane di sangue reale, et maggior di lei. VIO. Prima s’ha da considerare la grandezza dell’animo suo, laquale espose tanta somma d’oro per far beneficio a chi

 

Fol. 232r

non conosceua, ne haueua obligo alcuno. Et certa sono, che non l’haurebbe richiesto per marito, se, come ben disse Signor Mutio, ella hauesse potuto liberarlo in altro modo salua l’honestà sua: perche nel fe richiedere di matrimonio per leuare la sospittione d’ogni scandolo de gli animi ignoranti. FAV. Et io uorrei anchora sapere, quale è piu a lodare, o che Camiola oltra il naturale uso di noi altre, lequali a confessare il uero siamo piu tosto auare, che cortesi, con tanta quantità di danari riscattasse il giouane; o che riscattatolo et conuinto, come indegno di lei, animosamente il rifiutasse? CA. Il primo dubbio s’è quasi risoluto col giudicio, che n’ha fatto il Conte Giouanni, cioè che di questo atto non meriti commendation ueruna, per l’ambitione, laquale la mosse a cio fare: per il secondo ella è piu degna d’esser commendata di prontezza di giudicio, che di grandezza d’animo: percioche non tanto fece animosamente, quanto con ingegno: atteso che s’ella lo hauesse accettato per marito, et fidato a lui la sua uita, ben poteua esser certa del pericolo, oue ella si arrischiaua: et tanto maggiormente hauendolo conosciuto per huomo disleale. M. SF. Voi non uolete dunque consentire, che liberalità la inducesse a priuarsi del suo? CA. Non Signore; perche non et liberalità la doue interuiene speranza di premio, come quiui interueniua: disegnando ella di hauerlo per marito, anzi hauendone ogni securezza, prima che sborsasse il suo. VIO. In fine questi huomini inuidiosi le uorranno uincere tutte contra noi pouere Donne, se non con ragione, almeno con ostinatione. Cedetegli adunque, et non sia questa Donna uirtuosa

 

Fol. 232v

perche poco perdiamò, hauendone tante altre uirtuosissime oltra questa. MV.

Essendosi ribellata Padoua al crudelissimo Ezellino da Romano, et uenendo egli per rihauerla, che fu l’anno 1226, giunse a Bassano terra posta sulla Brenta: doue fu una donzella chiamata Bianca figliuola d’uno Antonio de Rossi, giouane di corpo, et d’animo bellissimo, maritata l’anno medesimo in un Battista della porta, da lei ardentissimamente amato. Perche essendosi ribellata et Padoua, et molte altre terre, deliberarono i Bassanesi, a conforti di questo Battista, huomo d’auttorità grande, di non uolere riceuere dentro Ezellino; il quale per inanzi haueua fatto loro di grandissime uillanie. Et benche considerassero per la qualità del luogo non essere bastanti a fargli contrasto, nondimeno sperando che Ezellino non deuesse consumar tempo in cose di picciola importanza, stettero saldi. Ma tutto il contrario del pensier loro hauenne. Percioche egli giunto quiui et con scale, et con altre machine spinse i soldati alle mura. Onde il popolo impaurito si risolse aprirgli le porte, et domandargli mercè per Dio. Bianca e’l marito con altri della terra combattendo alle mura con animo ualoroso fecer conoscere a terrazzani, che se si arrendeuano, tutti sarebbono stati posti a filo di spada. Onde tutto quel di si tennero forti. Ma uenuto la notte, alcuni, ch’erano a guardia d’una porta, tolsero dentro i nimici. Perche Ezellino fatto pigliare Battista, et la Bianca come principali, l’uno fece crudelmente amazzare alla sua presenza; et haurebbe il simile fatto all’altra, se non che tanto ardentemente fu preso della bellezza et ualor

 

Fol. 233r

suo; che cambiò l’odio et la crudeltà in amore. Ma uano fu il pensier suo. Percioche ella ne per preghi, ne per minaccie si mosse mai dal suo carissima et fedel proposito: ma tuttauia chiedeua di gratia la morte per mantenere l’honestà sua, et per seguire il suo carissimo marito. Finalmente non ueggendo modo da resistere al lasciuo et crudel tiranno, si gettò a terra d’una altissima finestra; ne però s’uccise; ma fiaccato un braccio, et una spalla, fu raccolta et medicata: facendola il Tiranno diligentissimamente guardare, fermato a ogni modo di satiare il dishonesto desiderio suo. Cosi risanata la dolorosa Bianca, deliberò, poi che per altra uia non poteua adempire per forzala sua focosa rabbia. Doue fatta legare la giouane sopra una tauola, contentò la sua uoglia. Bianca poi che fu sciolta, et partitosi lo scelerato mostro, come furiosa battendosi il petto, graffiandosi il uolto, et stracciandosi i capegli, si diede a chiamare il nome del suo diletto marito. Et sdegnandosi di piu uoler uiuere, se ne corse alla sepoltura di quello; et fatta alzar la pietra ui si lancio dentro scagliandosi sopra il puzzolente corpo: alquale non altramente che se fosse stato uiuo, domandaua perdono del fallo non suo, et commesso a forza; et tuttauia lo baciaua, et bagnaua di lagrime, pregandolo che degnasse accettare appresso di se quel corpo, che il Tiranno haueua uiolato. Ne mai cessaua di pregare coloro, che l’erano dintorno, iquali si sforzauano, ma in uano, di leuarla da si fiero proposito, che le porgessero ferro da leuarsi la uita. Ma non ueggendo altro modo, leuando da se stessa per sforza i puntelli, che sostengono le pietre de gli auelli

 

 

Fol. 233v

messoui sotto, e in mezzo il capo tutto se lo infranse: et cosi restiuendo l’anima al cielo, lasciò il corpo alla terra, appresso a quello del suo fedel marito.

  1. In fine queste disperationi non mi piacciono punto. Or non poteua ella costei; poi ch’era stata sforzata uiuere dopo il marito con suo honore? certo si poteua, et non era chi la potesse biasimare di quel ch’ella haueua patito contra suo uolere. VIO. La nobiltà dell’animo suo non puote sopportare un’atto cosi uile, et pero sdegnossi di piu uiuere. Che s’ella fosse restata in uita dopo quella ingiuria fattale dal Tiranno, non sarebbe stato chi hauesse fatto di lei memoria alcuna. GIO. Fu dunque meglio perdere l’anima, per acquistar fama? MV. I giudicii di Dio sono a gli huomini occulti, però di questo non tocca a noi cercar ragione.

Fammisi inanzi Orsina moglie di Guido Torello Parmigiano, dignissima di memoria eterna. Costei hebbe origine da i Visconti Duchi di Milano; fu Donna honestamente bella, animosa in parole, e in fatti, humana, magnifica, et generosa. Era liberalissima, et specialmente uerso quelle pouere donzelle, che non haueuano modo mi maritarsi. Non poteua udire ne uedere le Donne dishoneste, et cosi gli huomini lasciui. Haueua in odio, et seueramente puniua i bestemmiatori, et l’altre scelerate persone. Visse sempre con ottimo nome in gratia del marito, et de sudditi suoi; e in tutta Lombardia s’acquistò chiarissima fama. Potrei dir molte cose del ualore di costei, ma sarò contento di poche. Nata una guerra fra i Signori Vinitiani, et Philippo Duca di Milano, uenne l’armata Vinitiana su per il Po fino a

 

Fol. 234r

Bresciello castello del marito di Orsina, et lo prese; nel quale messe le guardie, pose l’assedio a un’altro suo castello sulla riua del fiume. Intendendo cio Orsina, ch’allhora si ritrouaua x.miglia lontana; subito come ualoroso capitano, ragunò piu gente che puote et de suoi sudditi, et d’altri: et armatasi montando a cauallo andò a liberare il castello dell’assedio. Doue affrontata l’armata Vinitiana, l’assaltò con tanto ualore, che in poco d’hora la ruppe et fracassò tutta. Morirono in quella battaglia piu di cinquecento Schiauoni; et dicesi ch’ella ne amazzò molti di sua mano, uolendo uendicare la morte d’alcuni de suoi. Per la qual uittoria non solamente leuò l’assedio dal suo castello, ma racquistò anchora Bresciello. Onde giunta di cio la nuoua al Duca Philippo, et al marito, ch’era seco, fecersi per tutte le terre fuochi, et altri segni di allegrezza. Molte altre cose ui potrei dire del ualor di costei, le quali per breuità lasciò. Hebbe due figliuoli maschi Christoforo, et Pietro molto ualenti in armi, et una femina detta Antonia; che fu poi moglie del Conte Pietro Maria Rosso; laquale non fu punto inferiore alla madre. Percioche leuatesi le parti in Parma, et ribellatasi al Duca Francesco Sforza; Antonia partita da suoi castelli uenneui con di molti huomini armati, et ricuperolla al Duca. Fu dunque Orsina Donna molto illustre; uisse lungo tempo, et morì l’anno MCCCCLI.

Hauendoui io raccontato le  uirtu d’una Donna ualorosa nell’armi, per uariare et per noiarui meno, ui dirò hora alcuna cosa del ualore d’una dottissima Donna; la quale fiori al tempo di Papa Pio secondo, et hebbe

 

Fol. 234v

nome Angela Nogarola Veronese. Costei fu figliuola del caualiero Antonio et moglie del Signor Antonio d’Arco. Era d’honesta bellezza il corpo, et questa illustrò fuor di modo con le uirtu  dell’animo. Fu piaceuole, modesta, et piena di celesti costumi, et principalmente d’una rarissima honestà; la quale è il uero ornamento delle ualorose Donne. Et a questa principal parte aggiunse le lettere, nelle quali fu riputata un’oracolo. Mostraua ne suoi ragionamenti una infinita eruditione: in adducer gli essempi daua segno d’hauer ueduto tutti i libri; et nel rendere la ragione delle cose faceua testimonio d’hauer dato opera a tutte le scienze. Dilettossi molto della sacra scrittura, et piu uolte distese in uersi suoi diuini misteri, et in ogni qualità di uerso, cosa mirabile in Donna. Fece alcune Egloghe con si raro artificio, che senza ingiuria puo caminare di pari con Cornificia Romana: la quale, si come scriue San Geronimo, scrisse eccellentemente in uersi cose sacre et diuine, molto prezzate in quei tempi. Dell’altre uirtu, ch’appartengono a nobilissima Donna, haurei da ragionar molto; ma io ne lascio far congiettura al buon giudicio uostro. Visse lungamente, et morì con illustrissima fama.

Ritornero di nuouo alle forze del corpo, et ui ragionerò d’una Buona, che fu di Valle Tellina posta nel territorio di Como appresso il Lago Lario, Donna di bassa conditione, et nata di pouerissimi parenti. Fu costei prima tenuta per concubina, et poi presa per moglie da Pietro Brunoro Parmigiano, ualoroso molto nell’armi: ilquale passando per quel paese con uno essercito

 

Fol. 235r

e ueggendola pascer le pecore, d’aspetto rozo, di color nero, di picciola statura, ma gagliarda molto, inuaghitosi d’una certa uiuacità, ch’egli conobbe in lei, la fe pigliar per forza, et menolla seco. Fecela poi per suo diletto spesse uolte uestir da huomo, menandola alle caccie, facendola caualcare, et altri simili essercitii; ne i quali ella mostraua in se bella dispositione, et destrezza di corpo. Et benche egli paresse, che la tenesse quasi per pigliarne solazzo, ella però si diede a seruirlo con incredibile amore; di maniera ch’entrò a parte di tutti i trauagli dell’animo, et del corpo con esso Pietro; e in ogni suo uiaggio l’accompagnò sempre amoreuolmente come suo signore. Andò seco anchora a Napoli al Re Alfonso. Percioche Pietro militaua allhora sotto Francesco Sforza, contra Alfonso Re di Napoli. Ma il Re fece in modo con Pietro, ch’egli abandonò lo Sforza, et si rimase seco. Nondimeno il Brunoro mutato di pensiero, deliberò di lasciare il Re Alfonso, et ritornare con lo Sforza cosi mentre che deliberaua fuggirsi, nol puote fare si segreto, che’l Re non se ne auedesse; ilquale segretamente fece ritener Pietro in pregione, doue lungo tempo stette senza speranza d’uscire. Ma Buona amandolo grandemente, deliberò tentare ogni rimedio per trarlo di prigione, et sottoentrare a ogni pericolo per essequire questo suo uirtuoso pensiero. Onde per cio fare andò a ritrouare tutti i principi d’Italia, il Re di Francia, il Duca di Borgogna, et molti altri, da iquali ottenne lettere et raccomandationi per la libertà di Pietro. Onde il Re quasi costretto fu a trarlo di prigione, et lo donò a Buona; la quale riceuutolo per accrescere beneficio a

 

Fol. 235v

beneficio, adoperò in modo co i potentissimi Signori Vinitiani, che Pietro si condusse al seruigio loro con piu di xx mila ducati di stipendio ogni anno. Onde il Brunoro hauendo per tanti benefici conosciuto le uirtu et l’amore uerso se di costei deliberò di non tenerla piu a guisa di bagascia, ma pigliarla per legittima moglie. Et cosi stimandola molto, et in molte cose importanti attenendosi al consiglio di lei, s’acquistò facilmente la gratia de Signori Vinitiani, essendogli tutte l’imprese sue prosperamente successe. Era nelle cose di guerra molto pratica, et spesse uolte ne mostrò gli effetti: et specialmente nella guerra de Signori Vinitiani contra Francesco Sforza Duca di Milano, quando si perdè il castello di Pauone del contado di Brescia. Pericioche ella armata fu cagione, che si ricuperasse. Fu castissima sempre in mezzo de soldati, et de gli esserciti: ne si ritroua ch’altri che’l suo marito la toccasse giamai; cosa di rarissimo essempio. Vltimamente hauendo il Senato Vinitiano grandissima fede nel ualor di Pietro, et nel consiglio di Buona; lo mandò alla guardia di Negroponte: ilqual luogo difese di maniera, che’l Turco, mentre essi ui furono, non ardi mai tentarlo. Finalmente morto il marito, Buona rintornando a Vinegia, per ottenere da quei liberalissimi et amoreuoli Padri la confermatione dello stipendio paterno a due suoi figliuoli, giunse ammalata per le continue fatiche a Modone città della Morea: doue ogni di peggiorando fecesi fare una sepoltura di molto ualore; laquale uide finita inanzi che morisse; et quiui la ualorosa Donna mori, et fu sepolta l’anno MCCCCLXVIII. Trouo molte altre honoratissime

 

Fol. 236r

attioni di questa singolar Donna, lequali io passo con silentio; giudicando che quelle poche ch’io u’ho raccontate, bastino a farla illustre; et di far giudicare alle persone, come uoi, quali fossero le uirtu sue.

Hora mi uerrò accostando uerso casa, poi ch’io sono ito uagando alquanto: et dirò alcuna cosa di Bianca Maria unica figliuola a Philippo Maria Visconte Duca di Milano: laquale fu moglie poi di Francesco Sforza parimente Duca di Milano, Donna di gran ualore, et di mirabil prudenza. Fu piena d’ottimi costumi, di castita, et degna d’ogni riuerenza. Fu bellissima di corpo; et haueua un parlar dolce, et graue, una maestà reale, et le attioni conformi a queste cosi belle parti. Tutti i popoli per la benignità, et clemenza sua l’amauano, et riueriuano sopra modo. Non aspettò mai d’esser pregata, doue poteua giouare altrui, et in quelle cose anchora, che non pendeuano da lei, ma ch’ella poteua ottenere da Principe, o da altra persona grande. Et per non ricordare minutamente tutte le gratie et uirtu, lequali conuengono a tutte le Donne illustri, chiaro è, che non si puo desiderare qualità degna, laquale non fosse in quel nobilissimo animo, et corpo. Fu sola cagione, ch’essendo presa et saccheggiata a la città di Piacenza, i monisteri, et gli altri luoghi fossero risguardati. Fu liberalissima Donna, et nata a beneficio de poueri, piu che di se stessa; et tutti i principi d’Italia l’hebbero sempre in grandissima riuerenza. Onde auenne che morto il Duca Francesco suo marito, i Signori Vinitiani, che forse haueuano alcuna lecita cagione di muouer guerra allo stato suo, per alcuni sospetti d’importanza; per rispetto di

 

Fol. 236v

lei rimasero di darle noia, mentre ch’ella uisse. Anzi benignamente, come fu sempre lor costume, la confortarono a sperare in essi; offerendole ogni aiuto in pro del suo stato. Perche i uicini conosciuto il buon’animo di quella inclita Republica, si astennero anch’essi di turbarla. Volle ella stessa di continuo gouernare i suoi figliuoli, et dar loro quegli ammaestramenti, che forse la philosophia non haurebbe dato. Piu ui potrei dire de i meriti di questa Donna; ma quel ch’è detto basti. Visse quarantaquattro anni; et mori l’anno MCCCCLXVIII. in Marignano.

Gostanza figliuola del Signor di Camerino, et moglie di Alessandro Sforza Signor di Pesaro, fu Donna prudentissima al suo tempo, et fermo appoggio del dominio suo. La quale sin da fanciulla mostrossi tanto sauia, faconda, et d’animo ualoroso, di tanta pietà, giustitia, et estrema bellezza, oltra la cognitione de tutte le cose humane, et diuine, con tutti gli altri beni dell’animo, et del corpo; iquali di continuo crebbero in lei con gli anni; ch’ella non pure nobilissima, ma Donna diuina merita d’esser chiamata. Haueua cosi bello spirito, che non era cosa per difficile et alta; che ella non la capisse. Diede opera a tutte le scienze senza opera de maestri, et tanto auanzò in quelle; che ragionando anchora improuiso, non che pensatamente, o di poesia, o d’orationi, o di philosophia, o delle cose diuine, faceua credere, che non solo l’hauesse ueduto, e imparato; ma ch’ella istessa l’hauesse composto. Haueua di continuo in mano l’opere de i sacri dottori della Chiesa, Agostino, Gieronimo, Ambrogio, et Gregorio; ne per cio si rimase dalla famigliarità

 

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di Cicerone, di Seneca, et de gli altri buoni auttori della lingua Latina. Mirabil cosa era a uedere la sua eruditione nel uerso, et nella prosa. Scrisse di molte orationi, et epistole a diuerse persone: et hauendo acutissime inuentioni, et leggiadro stile, s’essercitò grandemente in tutte le maniere di uersi, et soprattutto nell’Heroico: nel quale non fu ueruno, che le andasse inanzi. Et si come questa cognitione di lettere diede a lei mentre uisse nome illustre, cosi dopo la morte fu di grandissima gloria ad una sua figliuola, di cui ui parlerò appresso. Fu castissima Donna, et piena di tutte quelle qualità, che meritano lode. Hebbe due figliuoli Gostanza, et Battista femina: mori di quaranta anni in Pesaro l’anno del Signore MCCCCLX.

Poi ch’io sono entrato nelle principesse, seguirò di Battista di questo nome seconda, figliuola d’Alessandro Sforza, et della sopradetta Gostanza, et moglie di Federigo Duca d’Vrbino. Costei hebbe si puo dire le uirtu hereditarie; non solo conseruò la dignità et l’honore, ma accrebbe ancho splendore all’altre. Mori la madre Gostanza, essendo ella anchora fanciulla; onde il padre la fece alleuare con molta diligenza in ottimi costumi. Onde instrutta ancho ne gli studi delle buone lettere, si guadagnò in processo di tempo sempiterno nome. Incominciò fin da fanciulla, quando ella imparaua Grammatica, a recitare orationi con cosi bel modo, et si gentil pronuntia; ch’ogniuno stupiua delle uirtu di questa donzella: quando ella giunse poi a piu matura età, non fu oratore, con cui non concorresse, acquistandone singolar fama. Era di picciola statura, come ancho

 

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la madre, ma ben formata: mostraua nell’aspetto grandezza d’animo, onde le ne ueniua amore, et riuerenza da ogniuno. Fu magnifica molto nelle occorrenze sue: hebbe cari gli huomini letterati et uirtuosi; et sempre o appresso o lontano, bramò la conoscenza loro. Gouernò quasi ognhora lo stato del marito, ilquale per essere di continuo alla guerra, non ui potea attendere: et sempre si portò di maniera con humanità et con giustitia; che i popoli le dieder perciò grandissime lodi. Andò a Roma, doue orò alla presenza di Papa Pio secondo, huomo dottissimo, ilquale meritamente la commendò di sapienza et d’eloquenza sopra tutte l’altre Donne, ch’erano in Italia al suo tempo. Fu amoreuole uerso i poueri; et di si gran memoria, che ritornando il marito con bellissimo ordine gli rendeua ragione di cio che era successo. Morì inanzi tempo: che s’ella fosse uissa ordinariamente, ogni honorata Donna haurebbe da portarle inuidia. Ammalò di uentisei anni d’una infermità, che le fu l’ultima; et nella infermità sua mostrò ueramente la diuinità congiunta con quel corpo. Mori nella città d’Agobbio al tempo di Sisto quarto, il quale mosso dalla grandezza de suoi meriti ui mandò da Roma Gio. Antonio Vescouo Campano ad honorarla in suo nome; ilquale nell’essequie fece una oratione, c’hoggi si uede stampata. Hebbe di Federigo prima otto figliuole femine, senza maschio alcuno; onde egli ne staua perciò molto doloroso, ueggendosi rimanere senza herede et successore nello stato. Perche la fedel Donna incominciò a pregar Dio, che uolesse essaudirla, se cosi era per lo meglio. Et hauendo ella buona fede, le parue

 

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una notte in sogno uedersi posta sopra uno altissimo albero, et partorire una Phenice di mirabil bellezza; laquale dimorata nel nido per spatio di trentasei giorni, si leuaua a uolo da se fino al cielo; et toccata con l’ali la spera del Sole s’abbrusciaua, et spariua. Venuto il giorno, et contato il suo sogno al marito, ingrauidò di lui; et a conueniente tempo partorì un bellissimo fanciullo; il quale fu poi il Duca Guido Vbaldo: et come haueua sognato la madre di trentasei giorni, cosi il singolar principe, et ueramente phenice, finiti i trentasei anni di sua uita, mori gloriosamente, si com’era uisso. Molte altre cose ui potrei dire di costei, lequali lascio a studio: per essere scritte da altri, et in piu copioso et miglior modo.

VIO. Io he sentito ragionare delle uirtu et ualore di molte Donne nate di questa illustrissima famiglia Sforzesca; laquale pare, che habbia mandato sempre per mano la bontà dell’animo, et l’altre belle parti, ne suoi felici parti. MV. Ne però l’affettione oscura il chiaro giudicio uostro: perche la medesima openione è sauiamente approuata dal comune parere del mondo: ilquale honora et ammira le diuine qualità della Signora ISABELLA SFORZA per uno de piu singolari oggetti, c’hoggi si possano imitare. CA. Certo che *on pure questa città la predica, ma tutta Italia la celebra; et le penne de piu rari ingegni, c’hoggidi uolino per lo ciel della gloria, si sforzano d’alzarla a uolo, et consecrare il suo nome al tempio dell’eternità. MV. Perdonatemi, Signor Camillo, se poco indiscretamente interrompo il ragionamento uostro, mentre egli è tutto

 

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ardente nelle lodi di si pregiata Donna: che essendo io obligato a ragionare di molte altre, mi conuiene parerui discortese. CA. Me non hauete uoi interrotto di nulla, anzi ui son tenuto, che m’hauete fatto rauedere, come io troppo era ardito; onde si scemaua pregio a lei, et si faceua ingiuria a uoi. MV. Souuiemmi hora fra tante illustri d’una Donna di stato priuato, laquale mi sforza ch’io ragioni di lei.

Fu Laura figliuola di Nicolo Brenzone cittadin Veronese, honestamente bella, di santi costumi, et d’animo uirtuoso; et nelle lettere ottenne grado illustre. Trouansi di costei cose mirabili, et fra l’altre che di dieci anni ella compose buona somma di uersi Saphici, ne iquali hebbe uena copiosa, et stile eccellente. Scrisse ancho epistole, et orationi in lingua Greca, et Latina; et fu nella uolgare ammaestrata molto. Onde auenne, che orando ella una uolta alla presenza di Philippo Trono figliuolo allhora di Nicolo Doge di Vinegia, innamorato della uirtu et dottrina di cosi gentil giouane, la diede per moglie ad un suo figliuolo.

FAV. Io non mi marauiglio punto della eccellenza di costei, ma ben mi pare gran cosa, che tante altre del medesimo nome siano riuscite singolarissime Donne. Io non parlo hora della tanto celebrata Laura per le rime del Petrarcha, laquale uiuerà fin che dura il mondo, ma di infinite Laure: fra le quali singolarissima, et ueramente phenice hoggi appare LAVRA TERRACINA di Napoli. Questa rara et bella giouane non solo per le rime altrui è famosa et illustre; percioche i piu chiari intelletti dell’età nostra hoggi la cantano a

 

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proua ma da se stessa, et co propri inchiostri, si ua acquistando gloriosa fama: come ella ha ben mostrato nelle prime et nelle seconde sue rime; le quali non sono l’ultime di merito et d’honore appresso quelle anchora di molti huomini saui. MV. O quanto mi è caro, che le lodi Donnesche siano diriuate da Donna di si chiaro giuditio. FAV. Se cio ui è caro adunque, rimaneteui uoi che sete huomo, di lodar me. MV. Se la uostra modestia non sostiene ch’io la lodi alla presenza, ella mi consentirà almeno ch’io ricordi di quelle illustri, che benche hoggi non siano uiue al mondo col corpo, uiuranno pero eternamente in bocca della fama; si come è

Violantina Genouese della famiglia de Giustiniani; laquale fu cosi bella di corpo et di uolto, ch’a suoi giorni fu rarissimo paragone di bellezza, et essempio angelico et diuino di Natura. Era la fama della uaghezza sua non solo per tutta Italia, ma in tutta Europa celebrata; di maniera che nessun pittore per eccellente che fosse, bastò mai a dipingere perfettamente l’imagin sua, ne puote arriuare con l’arte a quella uiuacita, ne a quel uiuo colore, che la Natura haueua posto in lei. Et di piu, mettendola essi al paro di tutte le imagini antiche et moderne, fu tenuta di grandissima lunga piu bella. Et fu si nominata a suoi giorni, che molte principesse partendo da lontani paesi, et ancho molti Signori andarono fino Genoua per uederla; i quali uedutala alla presenza, confessarono che la fama era minore del uero: et si tennero hauer fatto grandissimo guadagno portando seco ogni minima somiglianza di lei. Però non è dubbio che la Violantina auanzasse Helena, Faustina, et l’altre

 

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belle antiche, perche ella oltra la bellezza, hebbe la pudicitia anchora non conosciuta mai da loro. Hebbe marito, et si fedelmente amolo, che interuenutogli alcune sciagure, ella se ne afflisse in modo; che si morì di dolore. Ilquale honesto, affetto congiunto alla sua infinita bellezza, la fa dignissima di perpetuo et lodatissimo nome.

So che la nobità [sic] uostra, Signora Violante, mi consentirà ch’io ragioni alquanto delle cose sue; lequali s’io non honorerò, secondo il merito loro, m’iscuserà nondimeno. Et benche io parli di cosa per se nota a ogniuno, et a questa honorata compagnia massimamente, che m’ascolta; non deuria pero questo generar tedio ne gli animi uostri. Gineura figliuola d’Alessandro Sforza Signor di Pesaro fu moglie di Giouanni Bentiuoglio Signor di Bologna, et Donna ueramente singolare. Percioche al tempo suo fu lume et specchio d’ogni uirtu non solo in Bologna, ma per tutta Italia. Fu magnifica, splendida, et liberale sopra tutto, Donna di perfetto giudicio, et aueduta molto, et d’animo generoso, et inuitto: ilquale ne per la prospera fortuna s’inalzaua, ne per l’auersa, s’abbassaua. Fu maritata due uolte, dal primo marito non hebbe figliuoli; del secondo, che fu Giouanni, n’hebbe molti. Nelle attioni sue fu molto graue, et matura, benche ella in propria natura fosse piaceuole et gioconda. Dilettauasi grandemente della solitudine, solo per potere alzare l’animo suo alle contemplationi; et conseruar quelle cose, di cui solo l’intelletto astratto da ogni altra materia è capace. Hebbe carissimo ueder fatta mentione delle Donne illustri per

 

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opre uirtuose, non per altro, si come io credo, per poterle imitare. Et bene in questa, come nell’altre uirtu la somigliate uoi Signora Violante, mostrandoui dignissima nipote sua. Potrei dire di molti rari meriti, che m’hanno mosso a fare memoria di lei, fra iquali non è il minor rispetto, ch’ella fosse auola della Signora Violante, et del molto illustre, et molto mio Signore il Signore HFRCOLE BENTIVOGLIO [SIC], da me tanto osseruato; et amato, et da tutti gli huomini uirtuosi, ma non a bastanza riuerito et lodato: ilquale per cagione d’honore nel mezzo di tante Donne ho uoluto ricordare.

VIO. Hora non potete dire, che mi spiaccia esser lodata; poi che ho sofferto udir celebrare et me, et le cose mie alla presenza mia. Di che non solo ui scuso, ma ui ringratio anchora. MV. Quanto mi duole è, che io non ne ho ragionato diffusamente, com’elle meritauano; ma scusimi in questo il rispetto ch’io haueua di dispiacerui, et noiarui; ilquale m’ha fatto piu ritenuto assai ch’io non doueua. Hora ueggendo qui il Conte Giouanni, m’è souenuto in un medesimo tempo dell’ufficio mio, et del ualore di

Damigella Triuultia della sua nobilissima et antichissima famiglia, laquale fu figliuola di Giouanni Triuulci Senatore di questa città, et di Angela Martinenga potentissima famiglia di Brescia, Donna di gran dottrina. Questa mirabil fanciulla si puo dire, che dopo i primi anni fosse nudrita dalle Muse. Percioche hebbe uno ingegno acuto, et una memoria profonda. Non l’era dato libro in mano, ch’ella benissimo, et con grande

 

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spirito non legesse. Datasi poi alla Grammatica tanto auanzò in essa, che conosceua ogni minimo errore della lingua. Feccesi talmente famigliare l’eloquenza Latina, che quando ella parlaua, era reputata uno oracolo. Nelle orationi hebe bellissimo modo, puro, graue, et facile stilo. Queste uirtu fiorirono in modo nell’intelletto suo, che piu ui furono giudicate infuse dal cielo, che acquistate con fatica di studio. Recitò piu uolte molte orationi composte da lei alla presenza di sommi Pontefici, uescoui, et grandissimi principi; nelle quali mostraua tutte le qualità possedere, che da Cicerone sono nel suo oratore descritte. Non contenta delle lettere Latine, uolle ancho imparare le Grece, nellequali con poca fatica si fece eccellente: poi molto si fermò nella Philosophia cominciò di dodeci anni il suo nome a uolare per bocca de gli huomini dotti, non gia come donzella, ma perche pareggiaua tutti gli huomini letterati. Fu di profondissima memoria, et ne fece proua nella detta età, ridicendo tutta intiera una oratione, laquale haueua udito recitare. Et leggendo ogni libro due uolte sole, lo sapeuo recitar tutto: ne come gli altri, che tosto apprendono, et tosto lasciano, ma dopo lungo tempo lo conseruaua a memoria. Sono state lette dell’opere sue Latine et Greche di mirabil dottrina, et specialmente epistole. Oltra di cio fu di tanta purità, et bontà d’animo, che non fu mai in che poterla correggere: era potentissima [sic] accettando i consigli, et ringratiando chi gli daua. Non hebbe marito, ma sempre si mantenne uergine, et pura. Et senza dubbio credo, che tante uirtu peruenissero in lei, come per hereditaria successione, da molti

 

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suoi maggiori, iquali ualorosi furono, et fra questi ui fu la Zia sorella della madre, laquale hebbe il medesimo nome; et da lei questa seconda Damigella trasse le uirtu sue. Fu la prima Damigella figliuola di Matteo da Santo Agnolo huomo ualoroso nell’armi, et generale delle fanterie Vinitiane, et moglie di Agostin Martinengo nobilissimo Bresciano; Donna ueramente perfetta, et honestissima. Rimase uedoua, ne mai piu uolle rimaritarsi; rispondendo a chi glie ne parlaua, come Portia minore; laquale a una Donna, che seco si lodaua del secondo marito, disse, che Donna felice et honesta non prese mai piu d’un marito.

Hora ui uoglio contare un’atto uirtuoso d’una fanciulla contadinella Padouana, che molto ha da piacerui. L’anno MDIX. quando Padoua fu assediata dall’Imperator Massimiano, et da gli altri potentati Christiani; tutti gli habitatori del contado fuggiuano nella città con le sostanze loro per saluarsi. Occorse in quei tumulti, ch’una contadinella fuggendo uerso Padoua, con molti de suoi, si smarri da loro; et sola finalmente dopo molto aggirarsi peruenne alle porte della città. Doue essendo buona guardia di soldati, et ueggendo questa giouenetta bella, molti di loro le furono intorno, et con buone, et con maluagie parole incominciarono a sollecitarla: et parte uoleuano usarle forza, dormendo la ragione nello strepito dell’armi. Nondimeno la ualorosa fanciulla talmente adoperò, che fuggi loro di mano: et pur tutta uia era perseguitata da alcuni di quei dissoluti soldati, iquali erano disposti spogliarla della uirginità sua. Ma essa giungendo a un ponte della città detto ponte

 

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Coruo, doue passa il fiume Bachiglione, o la Brenta, come uogliono alcuni ueggendosi a manifesto pericolo del suo honore, animosamente si lanciò nel fiume: et procurando molti il suo scampo, ella costantissimamente sprezzò tutti gli aiuti. Cosi rese l’anima a Dio, et portò seco il fior uirginal saluo, lasciando quiui l’immaculato corpo, sepolto ignobilmente su quella riua.

FAV. Chi dirà che costei non sia stata illustrissima, et d’animo ualoroso et grande? Se tanto si commendano Lucretia, Chiomara, et molte altre, che dopo l’hauer perduto uiolentemente l’honestà loro, si sono amazzate de se stesse; quanto piu dobbiamo noi lodar costei, che per conseruare la uirginita sua, preuenne la uiolenza con la morte. MV. A Brasilla da Durazzo non diede il core d’uccidersi di sua mano, per conseruare la uirginità sua; ma uolle ben morire per l’altrui. Percioche ueggendo il uincitore insolente disposto a farle forza, lo pregò che non le usasse uillania; et gli promise in premio, che col suco d’una herba lo farebbe inuiolabile, et securo da tutte le armi. Accettò la promessa il soldato, con animo però di non seruarle fede: et ella allhora della prima herba, che le uenne alle mani fatto liquore, se ne bagnò il collo; et disse che sopra di lei ne potea far la proua. Perche egli cio credendo, al primo colpo le taglio il collo; et quella uirtuosa fanciulla si liberò di pericolo, et d’infamia. Di qui prese argomento M. Lodouico Ariosto della uirtu  d’Isabella, et del furore di Rodomonte. Hora se il nome di costei è durato tanti anni, perche non merita il nome della contadinella esser celebrato? Vogliono i sacri dottori, et

 

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specialmente Ambrogio nel libro della uergini, che sia lecito amazzarsi per saluare la uirginità: et allega Pelagia, laquale di quindici anni insieme con la madre, et le sorelle s’annegò in un fiume per simile occasione. Vn’altro bello et ualoroso essempio ui uoglio raccontare, ch’io lessi nel libro di Benedetto Mastiano della guerra di Pisa; ilquale mi fu mostrato dal molto eccellente M. Pietro Orsilago; di cui era auola la Donna, ch’io son per ricordarui.

Era la città di Pisa assai ben fornita di quelle cose, che fanno bisogno per mangiare, et specialmente di farro, di miglio, et di riso, di carne secca, di melle d’aceto, et d’olio u’era quantita grandissima; di uino, et di formento poco manco: di carboni et di legna copia infinita: bombarde sedici, smerigli dodici, passauolanti diciotto, scoppietti mille et cinquecento, ballestre senza numero, quattro mila fanti a piedi, ducento huomini d’arme. Mancauano solamente persone, che facessero le fosse, e i ripari alle mura della città: ne poteua il senato per carestia d’huomini trouar rimedio a questo bisogno. Percioche sendo le mura in terra, a i soldati tocaua combattere, et fare i ripari; alle quali cose essi non erano bastanti. In questo tempo una certa uecchietta chiamata Madonna Paola della famiglia de Buti, degna di eterno nome, si presentò al Senato; et promise di uolere saluare la città con le ceste, se l’erano date mille [afine/asine]* simili alle sue, mostrando loro Gineura et Lucretia figliuole sue, lequali haueua menato seco. Misesi il partito, et fu uinto; et subito furono ritrouate et le ceste, et le pale, con le quali senza dubbio alcuno le Donne

 

 

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Pisane fecero la città inespugnabile. GIO. Racconta il Conte Baldessar castiglione nel suo Cortigiano molte singolari et ualorose Donne antiche et de suoi tempi; et fa lor grande honore. MV. Il Castiglione, che uoi Conte Giouanni hauete allegato, m’ha fatto ricordare d’uno epigrama suo Latino fatto per una giouane Pisana; laquale difese la sua patria, come quella Madonna Paola, ch’io raccontai dinanzi: et l’epigramma ueramente bellissimo è questo:

Semianimem in muris mater Pisana puellam

Dum fouet, et tenero pectore uulnus hiat,

Nata tibi has, dixit, thaedas, atque hos Hymeneos,

Haec defensa tuo moenia marte dabunt.

Cui uirgo, haud alias theadas, aliosue Hymeneos

Debuit haec nobis grata rependere humus.

Hanc ego sola meo seruaui sanguine terram,

Haec seruata meos terra tegat cineres.

Quod si iterum ad muros accedet Gallicus hostis,

Pro patria arma iterum ossa haec cinisque dabunt.

 

Ho poi ueduto questo leggiadro epigramma tradotto nella lingua Thoscana dal mio carissimo et uirtuoso Domenichi, ilquale se mi tornasse a memoria ui conterei uolentieri, per sodisfare queste gentildonne; lequali non intendendo il Latino haurebbon forse caro udire il Toschano. FAV. Deh si, Signor Mutio, poi ch’egli fu fatto in lode d’una Donna, sforzateui di riduruelo a mente, per piacere a noi Donne: percioche parmi uedere, che questi Signori, si come quegli c’hanno inuidia a gli honori delle Donne, non curin molto d’udirlo. CA. Anzi non è minor desiderio in noi d’intenderlo, che in

 

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uoi si sia. MV. Et pero poi ch’io son securo di piacere all’una, et l’altra parte; ue lo dirò di miglior uoglia; et è questo:

Mentre abbracciaua la Pisana madre

La ualorosa, et quasi morta figlia,

Et l’ampia piaga il tener petto apriua;

Queste le nozze fien, questo il marito,

Disse ella, che tu haurai da queste mura

Difese col ualor de la tua mano.

Cui la donzella; et altre gia non uoglio

Pompe, o marito hauer dal patrio nido.

Sola io’l difesi col mio proprio sangue:

Copra ei difeso dunque il corpo mio.

Che se mai torneranno a queste mura

I nimici Francesi, un’altra uolta

L’ossa mie prenderan l’arme per lui.

 

VIO. Noi altre Donne siamo piu tenute al Domenichi, che tradusse questo epigramma in modo, che lo possiamo intendere; che al Castiglione: ilquale non potendo per debito tacere questo generoso atto della giouane Pisana, lo disse in maniera, che non uolle essere inteso da noi: che ben poteua egli, si come di molti altri haueua fatto, cosi scriuer questo nella sua et nostra lingua natia. GIO. Et di questo modo ringratiano le Donne coloro, che per esse s’affaticano. MV. Ma perche egli è hoggimai tempo ch’io cerchi di por giù quel graue peso, che sulle spalle del mio debil intelletto m’ha posto l’auttorità delle Donne, e’l desiderio, ilquale ho di seruirle; ecco ch’io spero far conoscere a chi m’ascolta, c’hoggi è non meno adorno il mondo di belle, et ualorose

 

Fol. 243v

Donne, che gia si sia stato al tempo antico, et poco inanzi a noi. VIO. Certo ch’a questo non mi curaua io d’affrettarui molto, atteso che mi pareua d’auanzare quel piu che uoi indugiauate a farlo: ma poi che pure sete disposto ragionare ancho di quelle c’hoggidi uiuono, et uiuranno per fama molti secoli a uenire; io ui prego a far cio copiosamente, et con la solita uostra in tutte le cose memoria et diligenza. MV. Se io hauessi dubbio alcuno, che i miei ragionamenti d’hoggi si douessero publicare quando che fosse in qualche modo, certo ch’io mi guarderei molto di nominar persona uiua. M. SF. Et perche ciò? di che dubitate uoi? MV. Della malignità delle persone; perche molti ci sono et huomini, et Donne, iquali hanno piacere d’essere nominati in tutti i modi, ne quasi d’altro hanno desiderio maggiore; con tutto ciò, che, che ne sia la cagione, fingono hauerlo per male. Et questo rispetto me ne farebbe rimanere in tutto, perche intention mia non fu mai d’offendere persona uiuente, ne ancho nelle minime cose. Nondimeno perche io son securo, che delle ciancie mie non s’ha da far conserua, piu che di cosa detta per cagione di giuoco; farò quanto m’è imposto. Et poi che in tutto il mio ragionamento d’hoggi et de gli altri giorni l’ordine mio sempre è stato di non seruare ordin ueruno; non si marauigli alcuno se in quel ch’a dir mi resta sarò poco distinto; et s’io racconterò asciuttamente alcuni pochi nomi senza distintione di luogo ne di grado, secondo quel che per me stesso ho ueduto presentialmente, o sono stato informato da piu curioso et deligente, ch’io non sono. Et per farmi da un capo, comincierò da NAPOLI degnamente

 

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chiamata gentile, anzi le delitie et l’ornamento di tutta Italia. Delle cui lode è meglio assai tacere, che dirne poco; et maggiormente essendo, com’ella ben merita, per altra, et piu eloquente lingua, che non è la mia diffusamente lodata. Questa real città capo d’uno amplissimo regno ha raccolto in se sola tante leggiadre, belle, et ualorose Donne, che ella basterebbe a diffonderle, et ornarne tutto il mondo, non che Italia. In questa principalmente si uede D. ISABELLA VIGLIAMARINA Principessa di Salerno, la cui bellezza è tale, che quando io l’haurò debitamente lodata, haurò honorato quanta bellezza si puo trouare in Donna: et non è solamente questa Donna bella et gentile, che è tuttauia per se grandissima cosa; ma appresso questo ha tante  uirtu  et grandezza, ch’è una marauiglia. Ecci D. GIOVANNA D’ARAGONA, le cui diuine qualità se ricercare uorremo, le troueremo pari alla chiarezza del nome, et del suo sangue reale. Trouasi hora quiui quel glorioso sole, ch’un tempo ha illustrato Milano; et hor partendo ci ha lasciati in perpetuo ecclisse. Di cui uolendo io parlare quanto debbo et uorrei, mi confondo nella ampiezza del suggetto, et nella grandezza del desiderio mio. Questa è quella MARIA DAVALA ARAGONA Marchesa del Vasto, la cui sola beltà et ualore, è la tromba, per cui si diuulga bella, et ualorosa Italia. Ma perche folle ardisco io ragionarui di lei? Se non è qui alcuno di uoi, che meglio di me non sapesse parlane: et quel ch’io ho scritto di lei, farà forse anchor fede se non del suo merito, almeno dell’obligo, et dell’ardir mio. Quiui è

 

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  1. ISABELLA COLONNA principessa di Sulmona, laquale oltra ch’è nobilissima, è la piu gentile, et accorta Signora, c’hoggi uiua D. CLARICE ORSINA Principessa di Stigliano, sauia di sangue nobile, bella di forma, ornata di costumi, di leggiadra honestà piena. D. VITTORIA COLONNA, et la sorella sua. D. GIERONIMA figliuole del Signore Ascanio, ambedue per ogni rispetto dignissime d’ogni honore. D. DIANORA SANSEVERINA figliuola del Principe di Bisignano, non meno nobilissima, che bella, et degna d’immortal gloria, per le infinite uirtu dell’animo suo. Costei è una nuoua Sapho de nostri giorni: come hanno fatto fede le dolcissime rime Thoscane prodotte dalla sua leggiadra uena. D. ISABELLA DI TOLLEDO Duchessa di Castrouillari, figliuola del Vicere di Napoli, et sorella della Signora Duchessa di Fiorenza, nobilissima, magnanima, et prudente. D. VITTORIA GALIOTTA Signora nobilissima, et per le rarissime doti datele da Dio dignissima d’immortale honore. Et ben meriterebbe che la mia lingua pareggiasse il merito suo, e’l desiderio, ilquale ho di lodarla. LA S. CORNELIA DE LIOGORI, bellissima, et gratiosissima Signora, oltra la nobiltà quante altre, che siano hoggi nel mondo. LA S. VITTORIA CAPANNA moglie del Signore Hettore Gesualdo, la cui bellezza uolendo io lodare, sarebbe un uoler giungere dell’acque al mare. Perche tali sono le qualità del suo bello, che il giorno pare hauere splendore dal lume de gli occhi suoi. L’harmonia mostra addolcirsi della melodia delle sue parole. La

 

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primauera fa uista d’inghirlandarsi dell’aprile et del maggio del suo uolto. L’oro confessa hauere il lucido dal biondo de suoi capegli. L’ebano accusa hauer il negro delle sue ciglia. L’auorio dice hauere la bianchezza dalle mani di lei. Le perle testimoniano d’esser uinte dalla candidezza de suoi denti: e’l senno publica di pigliare l’accorgimento dal suo intelletto. VIO. Gran priuilegio certo ha questa Signora fra l’altre; et molto ui diffondete in lodarla. MV. Sappiate Signora, ch’io son certissimo di parlarne parcamente, prestando io fede, come ben si conuiene a quel che me ne scriue il gentilissimo M. Marco Antonio Passero di Napoli; ilquale è perpetua tromba delle bellezze et del ualor suo. Et ben potete giudicare, ch’ella sia d’infinito merito, poi che non pure dalle lingue de gli huomini priuati è lodata, ma celebrata anchora con inusitata qualità di lode dalle penne de i piu giudiciosi caualieri che siano in Napoli: si come è il Signore Don Gio. Vincentio Belprato Conte d’Auersa. FAV. Non uogliate però, Signor Mutio, dir tanto d’una sola, che ui scordiate tutte altre. MV. Io non ho però posto canto la S. ISABELLA GVINAZZA, laquale a chi uolesse lodare, aurrebbe, come auiene apunto a chi cerca riguardarle ne gli occhi; lo splendore de iquali uaghissimi sopra tutti gli altri, non lascia comprendere l’esser loro; tali i raggi sono, ond’essi scintillano; appresso iquali le piu luminose stelle parrebbono fiaccole spente. Essi non sono ascosi dentro, ne superbi o pazzi sporgon fuor del lor luogo; ma cosi bella tessitura hanno ne cerchi loro, si ben globati, et cosi soaui nel bel bianco, et nel nero, che la bellezza

 

Fol. 245v

istessa si glorierebbe di portargli in fronte. Non mi è però uscita di mente la S. VITTORIA CARAFFA, moglie del Signor Giulio della Tolpha, laquale a chi la mira pure una uolta da cagione di marauigliarsi sempre. Percioche la sua bellezza è di tal maniera, che con l’angelico delle fattezze trappassa il conueneuole d’ogni bello. Veramente la beltà del suo corpo è una stampa non pur del sangue, ma dell’animo, et dell’ingegno. Souuiemmi pure anchora, et con mio grandissimo contento, di D. DIANORA SANSEVERINA, Marchesa della Valle Siciliona, dignissima d’honore, et di nome; laquale non pure con la bellezza ornata di mille raggi, ma con la fama dell’esser tale, chiama da lungi mille occhi a guardarla, et con ragione. Percioche la sua uaghissima forma somiglia quella d’un angelo celeste: ne giamai si potrebbe cosi minutamente dipingere, che della sua marauigliosa pittura non auanzasse tuttauia che dire. Et poi ch’io ho detto di questa, eccoci la Signora CAMILLA D’ANGIOLO, moglie del Signor Giouan Paolo Pagano; nella quale difficil cosa sarebbe il uoler sapere, qual sia piu o l’accorgimento delle parole, o la uenustà della bellezza, o la diuinità dell’intelletto. Percioche quando ella parla, ride l’aere ripercosso da gli accenti suoi. La doue ella si mostra gioiscono i cieli, et gli elementi nel mirare cosi uago obietto: et ogni accorgimento, et sia quanto uuole aueduto, è nulla, doue il suo giudicio interuiene. Fammisi inanzi la Signora BEATRICE CARACCIOLA figliuola del Signor Thomaso, et della Signora Laura Egidia; alla quale tutti gli honori ben pare, che si conuengano

 

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per mostrarsi ella ne i belli costumi, et nella costumata bellezza dignissima figliuola di tal madre, et di si chiaro sangue. Ricordomi pure hora, et con mio gran rossore di Donna GOSTANZA DAVALA d’Aquino sorella della felice memoria del mio signore il Signor Marchese del Vasto, et moglie di D. Alfonso Piccolomini Duca d’Amalphi, unico specchio, et raro essemplare d’honestà, di bellezza, et di santità; alle cui rare et celesti gratie ha non minore obligo la sua famosissima Napoli, che s’habbia a qualunque altrui ui sia chiarissima per honestà, et per sangue. Ma perche passaua io con ingratio silentio D. VITTORIA CARAFFA figliuola del Signor Diomede? Vero et proprio soggetto della bellezza; laquale non fora bella, se col suo bello non s’abbellisse, col suo leggiadro non s’ornasse, col suo accorto non comparisse, del suo gentile non s’addobasse, del suo nobile non si fregiasse, et del suo celeste non s’ammantasse. Ma doue ho io lasciato la Signora CAMILLA DI CAPOVA figliuola del Signor Fabritio, et moglie del Signor Giouaniacopo Caraffa? Certo ch’io son si perduto nel numero, che quasi esco di me stesso. I miracoli della costei bellezza sono cotanti, et tali; che il minore è stimato, ch’ella mostri il diuino nel sembiante humano. Io mi confondo tutto in uoler dire di tutte; et prendo dispiacere in torre il primo luogo a una, per darlo a un’altra; poi che ciascuna merita egualmente esser prima. Dirò dunque della Signora LVCRETIA GARACCIVOLA, figliuola della Signora Portia Pignatella, et moglie del Signor Gio. Gieronimo Caracciolo; laquale doue fa apparire la

 

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bellezza del suo honesto ardimento, et la dolcezza della sua ardita honestà, quiui si puo uedere ogni cosa, che diletta la uista, et quanta dolcezza ricerca i sentimenti. Hora conosco io bene, che douea ricordar piu tosto la Signora ISABELLA CARRACIOLA Duchessa di Castrouillari; figliuola del Signor Gio. Andrea Carraciolo, et madre del piu bello et leggiadro caualiere, c’hoggi sia in Napoli; et cio sia detto con buona pace di tutti gli altri; ilquale si chiama il Signor Traiano Spinello Marchese di Museraca: merita bene esser nominata con houore [sic] questa ualorosa Signora; perciòch’ella non pure in terra, et fra tante altre belle Donne, ma sarebbe ancho bella fra gli angeli nel paradiso. Deurei tacere D. BEATRICE GAETANA sorella del Duca di Traietto, perche la sua bellezza si dice dalla sua bocca istessa; et dalle sue uaghezze si ueggono ne gli occhi suoi medesimi: si come io taccio di molte altre gentildonne et principesse Napolitane, per non hauerui a ragionar di tutte; essendo elle tutte dignissime di gloria et d’honore. Ma mi sento chiamare a ROMA, laquale si come gia fu patria de i Signori del mondo, cosi hoggi è madre delle bellezze, et uirtu Donnesche. Et quiui mi si presenta prima la Signora LIVIA COLONNA, che fu figliuola del Signor Marco Antonio, et moglie gia del Signor Martio Colonna; i cui meriti non pure aguagliano, ma uincono di gran lunga l’honeste qualità de i panni uedouili: la onde il nero della sua uedouezza, somiglia chiaramente il candido e’l puro d’una colomba, che spiega l’ali al cielo, per farsi nido doue s’annida la buona fama. Vien poi la Signora

 

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FRANCESCA SFORZA sorella della Signora Faustina nostra, gia moglie del Signor Gieronimo Orsino, et hora moglie del Signor Lelio dall’Anguillara; laquale certo è bellissima, et nel numero delle poche. Et chi minutamente ricerca le sue bellezze, troua il seggio della beltà nel suo uolto. FAV. Voi uolete ch’io habbia troppo grande obligo con essouoi, Signor Mutio, tanto particolarmente lodando, et cosi altamente le cose mie. MV. A me, Signora Faustina, non siete uoi punto tenuta, ma si bene al cielo, che cosi riccamente ui concesse delle gratie sue; onde non pure a me, ma a tutti gli huomini c’hanno lingua et giudicio, è necessario lodarui poi come si conuiene. E’l ringratiarmi, che uoi troppo cortesemente fate, è piu tosto un’accusarmi d’ignoranza; che io non sappia in cio dire, quanto si deurebbe. Appresso questa compare la Signora

figliuola del Signor Gio. Battista Conte da Valmontone, et moglie del Signor Mario Sforza. La quale s’io ui uolessi lodare di bellezza, et ualor d’animo, dubito che uoi stimereste le mie parole meno che uere, et del subietto maggiori: et io temo, che s’ella fosse da uoi ueduta, che allhora un debil laudatore, et pouero di parole mi giudichereste. Si come con nessuna differenza si potrebbe dire della Signora [missing text] figliuola del Signor Pierfrancesco Colonna, et moglie del Signore Giuliano Cesarino. Certamente quanto infinite siano le proprie lodi sue, come che difficile mi sia con parole farne il principio, impossibile mi pare trouarne il fine. Et però non sono ardito incominciare. Basterebbe per Dio se la Bellezza le hauesse inspirato la sua forma. E

 

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se questo è poco alla grandezza di Roma, eccoci la Signora CIELIA figliuola del Signor Giouan Battista Sauello, et moglie del Signor Paolo Vitelli; della quale non ardisco parlare, perche temerario sarei; s’io ui uolessi per le mie parole una cosi marauigliosa figura dipingere: nella quale Apelle, et Phidia, et gli altri pittori, et scultori antichi, non che i moderni; rimarrebbono tutti uinti et confusi: si che l’originale per la debolezza dell’arte mia offender si potrebbe. Et perche di queste ho detto, parmi dire hora della Signora GIVLIA DA FARNESE moglie del Signor Vicino Orsino, laquale quanto honori il nome di bellezza, si conosce, che la nobiltà del germe, ond’ella è uscita, et quella de i nobili rami, doue ella fu innestata, sono le due colonne, che sostengono la nobiltà Romana, tanto piu degne di marauiglia, quanto le ueggiamo intiere; et salde nella chiarezza loro. Et ben si sa conoscere per degna figliuola della Signora ISABELLA; laquale come pianta di bellezza et ualore, forza è c’habbia prodotto frutti simili all’albero loro. Hora mentre ch’io ui ragiono di questo, non mi scordo però d’alcune altre gentildonne Romane; lequali benche di nobiltà di sangue cedano alle gia da me nominate Signore, di bella honestà, et di honesta bellezza, uanno però a un medesimo segno. Et fra queste sono Mad. SETTIMIA moglie di M. Marco Antonio Giacouazzi, Mad. CLELIA SALAMONA moglie del Conte Carlo di Piandimeleto, Mad. LAVINIA DALLA VALLE moglie di M. Thomao de Caualieri, la CINQVINA, cioè, la moglie di M. Alessandro Cinquini,

 

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et Madonna LVCRETIA DE FABII moglie di Messer Horatio Naro; le quali tutte per la uaghezza et leggiadria meritauano di esser poste fra le prime. Ma non si fanno però ultime le bellezze loro, se ben si toglie loro il primiero seggio; et basta bene a perfetta commendatione di tutte loro, che in qualunque luogo elle sono poste, mostrano sempre intiere et inuiolate le bellezze, et gratie loro. Io non u’ho fatto mentione fra le Donne Romane di quelle belle, le quali poco prezzano l’honestà; et le bellezze loro uendono a uil prezzo: perche io dico col Petrarcha;

Che qual si lascia di suo honor priuare,

Ne Donna è piu, ne uiua.

Non ho uoluto ancho lodare alla presenza sua la Signora FAVSTINA per non parere di uolerla adulare; et perche so, che la uirtu di lei come non desidera lode, cosi non n’ha bisogno. Et poi ciascuno di noi, che qui siamo assai meglio di me conosce per se stesso quel ch’io ne doueua dire per l’obligo ch’io son tenuto al uero. FAV. Sarà dunque bene, che parliate d’ogni altra; et saprouene grado. MV. Hora faccio un gran salto, et uengo alla città di SIENA, laquale per hauerui hoggi Venere, et gli amori il lor nido, et per esserui anco il tempio della Pudicitia, bastar deurebbe, ch’io ui hauessi detto sol Siena: e’n questa parola harei compreso il tutto. Ma parendomi pure di farle torto, ue ne nominerò particolarmente alcune di cosi gran numero, si come sono Madonna LAODOMIA FORTEGVERRI, moglie di M. Petruccio Petrucci, la quale è cosi nota al mondo per le sue diuine bellezze

 

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et celesti uirtu; che io non oso parlarne. Oltra che il cielo uolendola perfettamente far felice, le ha concesso cosi chiaro scrittore delle sue lodi, et occultissimo conoscitore delle bellezze sue d’animo et di corpo; che piu non haurebbe saputo desiderare. Et è questi il Signore Alessandro Piccolomini, il quale io ui riccordo con ogni qualità d’honore et di riuerenza. benche questo famoso gentilhuomo bastasse ad illustrare le tenebre del secol nostro, nondimeno il cielo, che tanto l’è stato de suoi doni cortese; non contento di cio l’ha fatta dottissima: si ch’ella giudiciosamente scriue rime Thoscane; et con esse il suo proprio, et l’altrui nome all’immortalità consacra. Viene appresso M. VERGINIA VENTVRI, moglie di M. Matteo Salui, della cui bellezza non solamente in Siena patria sua, ma in tutta Thoscana se ne ragiona: et la bellissima uena sua nel compor rime fa ben’arrossire gli huomini, che nella poesia et ne gli studi delle buone lettere hanno consumato gli anni loro. Che ui dirò io, che non sia poco di M. CAMILLA SARACINI, figliuola di M. Sinolfo Saracini, et moglie di M. Febo Tolomei? percioche se i suoi meriti pongono in stupore chi gli uede pure una uolta, che debbon fare in me, che gli contemplo ogn’hora, ch’io intendo parlare d’una bellezza; laquale col souerchio delle fattezze auanza la misura d’ogni bello? Et ueramente ch’ella si puo accompagnare con M. GIERONIMA CARLI, moglie gia di M. Bartolomeo Carli, con M. ISIFILE SALVI moglie di M. Alfonso Toscano da Napoli, et con M. TRADITA TONDI, figliuola di Iacopo, et moglie di M. Ventura Benuoglienti, le quali

 

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sono quasi come tre stelle del cielo, che ricuopre Siena: et s’io non basto a lodarle con le parole mie, assai loda è la loro, s’elle si mostrano conformi in tutti i pregi loro. Et sono ancho certo che non saprei lodare quanto si conuerrebbe M. ATALANTA DONATI, moglie di Nello, M. FRANCESCA figliuola di M. Agostin Dardi, et moglie di Gio. Battista Baldi, et M. ELISABETTA CAPACCI, tre specchi d’un Christallo tanto chiaro, che tutti gli occhi acquistano luce nel guardarle, ueggendo uisibilmente in loro gli incorporei fregi, dell’anime caste rinchiuse ne i corpi belli. Deurei dire hoggimai di M. HONORATA PECCI, ma a uolere ragionare di lei, mi conuerrebbe imitare Zeusi, quando dipinse Helena nel tempo de Crotoniati, che di tutte le fanciulle di quella città, n’elesse cinque; nelle quali quello di eccellente, che nell’una mancaua, dall’altra raccogliendo, fece si che Helena sua bellissima ne diuenne. Cosi a uolerui ritrarre l’imagine di lei, la quale è perfettissima; mi sarebbe forza pigliare tutte le rare parti delle piu rare Donne, et comporne una rarissima. Ma ecco che pur’hora mi ricorda di M. FAVSTINA BRACCIONI, moglie di Camillo Nelli, di M. CONTESSA MIGLIORINI, moglie di Nicolo Fantoni, et di M. SEMIDEA, figliuola di Camillo Salui, et moglie d’Ottauian Borghesi; con le quali non altramente uanno in compagnia la bellezza, et la gratia, che uada il Sole col giorno, et con la Notte la Luna: et se piu tosto non me ne son ricordato, non però ho uoluto offendere il pregio loro, ne le celesti qualità di M. FRASIA, figliuola di Iacopo

 

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Baldi, et moglie di Claudio Borghesi, di M. LIVIA moglie dello Eccellente M. Francesco Buoninsegni, et di M. FRANCESCA OTTORENGHI, moglie di Horatio Piccolomini; lequali cumulati tutti i fauori, che delle stelle ottenero nascendo, mostrano che per troppa abondanza delle ricchezze loro, mille n’impouerirono, le quali uennero al mondo con esse. Il che debbo anche dire di M. LEONORA PETRVCCI, moglie di Giouan Turamini, et di M. GIVLIA PETRVCCI, moglie gia de Enea Borghesi, delle quali percio non è da tacere fra le nobili: perche di bellezza, et di leggiadria pareggiano il nome delle belle, et delle leggiadre. VIO. Bellissime et ueramente intiere sono queste lodi, che uoi hauete dato alle Donne Sanesi; et deurebbono bastare a Italia tutta, non che a Siena sola. MV. Ma nulla è quel ch’io ho detto appresso a quel c’ho da dirui. Io haueua lasciato M. CATHERINA DELLA GAZZAIA, moglie di Bartolomeo Landucci, M. HONORATA TANCREDI, moglie di M. Ventura Venturi, et M. LAVRA NINI, alle quali uolendo dare le bebite [sic] parti, non sia bisogno di Michele Agnolo Buonarroti, ne di Francesco Saluiati; ne Apelle, et Euphranore, se ci fossero, sarebbono per auentura sofficienti;

Ma miglior mastro, et di piu alto ingegno,

Il quale sia il nobilissimo di tutti i pittori Messer Francesco Petrarcha: lui chiameremo adunque, et questa impresa a fare gli daremo. Il quale primieramente colorirà le chiome, come fece quelle della sua Laura, facendole d’oro fino, et sopra or terso bionde. Et il uolto farà di calda neue, o piu tosto di quelle candide rose…

 

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con uermiglie in uasel d’oro. Le labra parimente di rose uermiglie, et le ciglia di hebano togliendo; et il bel dolce, soaue, bianco, et nero de gli occhi a due lucidissime stelle assembrando, con quel non so che dentro, che in un punto.

Può far chiara la notte, oscuro il giorno,

E’l mele amaro, et addolcir l’assentio.

Le guancie appresso di fiamma, o rose sparse in dolce falda di uiua neue colorendo; et la bianchezza del collo tale facendo,

Doue ogni latte perderia sua pruoua;

et agguagliando le mani bianche, et sottili al colore delle perle orientali, faranno generalmente tre Donne piu belle assai che’l Sole, et piu lucenti; dicendo molto piu ragioneuolmente di loro, che non fece di Laura; Leggiadria, ne beltate

Simil non uide il Sol, credo giamai.

Tali adunque sono queste tre marauigliosissime Donnde [sic], come le mie parole, anzi il nobile Poeta ue l’hanno dipinte. Ma non meno mirabili sono M. VERGINIA BORGHESI figliuola di Lorenzo, et moglie del Caualier de Fantozzi, M. CASSANDRA ARMVLEI, moglie di Agostin Crudele, M. AGNESA SALVI, et la Contessa MARGHERITA D’ELCI, moglie del capitan Riccio Salui. Percioche quello, che soprauanza, et fiorisce in tutte queste quattro, è la gratia, che l’accompagna; anzi tutte le gratie, et tutti gli amori li uanno ballando, et scherzando sempre dintorno; et adornando ogni lor minimo atto, le fanno tali, che appena si puo con la mente comprendere, non che con parole, o con altra arte humana ritrarre. FAV. Diuine

 

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cose ueramente, son queste, che uoi dite: et ben si possono dire questi rarissimi doni dal Cielo alle mondane genti concessi. Ma non ui sia graue ragionarci dell’altre. MV. Voglio però che sappiate, ch’io mi ricordo anchora di M. BEARTRICE [sic] PAVINELLI, et di Mad. GENTIL NINI, le quali egualmente son reputate belle et gentili, et non pure nelle cose, ch’appaiono a gli occhi, ma ne i beni dell’anima anchora; la bellezza della quale è in loro di gran lunga maggiore, et piu diuina di quella del corpo: la onde la Mansuetudine, la Magnanimità, la Temperantia, la Eruditione, assai piu lodo in loro della bellezza, et queste a quella prepongo. CA. Et certo altramente facendo, cosa non ragioneuole fareste, et degna di muouer riso, come se alcuno piu la uesta, che la Donna con marauiglia risguardasse. MV. Ma uoglio hoggimai far fine alle Donne Sanesi: et perche a nessuna si dee leuar la sua lode, intendo di chiudere la squadra di tante Donne honorate con M. PORTIA SIGNORINI, moglie di M. Giulio Palacidi, M. VERGINIA CONI, moglie di M. Marco Antonio Coni, et M. LVCIDA PICCOLOMINI, moglia di Gieronimo Saracini: lequali benche hora da me siano poste in moltitudine, et confusamente se ne ragioni, ciascuna di loro è però sauia, di sangue nobile, bella di presenza, ornata di costumi, piena di leggiadra honestà: et ciascuna meritamente ha luogo fra le prime et le degne. Molte altre belle et ualorose Donne sono hoggi in Thoscana, et fra le molte città di PERVGIA anch’ella n’ha buona et degna parte; delle quali ue ne nominerò alcune poche, ch’io ho sentito

 

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Ricordare: il mio lodarle non uoglia però che pregiudichi a quelle, che non sono uenute a mia conoscenza. Quiui è Mad. CAMILLA di casa CRESPOLTI moglie di M. Bonifatio di casa Corgna, et M. HIPPOLITA de Conti di MARCIANO moglie di M. Federigo Buontempi: le quali con le rarissime doti loro fanno ben conoscere, che la bellezza, et la castità sono alle Donne quella uita, che calpesta la morte. Vengono appresso loro M. DIAMANTE, et M. CASTORA, ambedue sorelle, et figliuole del Capitan Bartolomeo della Staffa; la prima è moglie del Conte Anniballe [sic] dall’Antignolla, et l’altra del Signor Ruggino Ranieri, ambedue bellissime, et nobilissime Donne: alle quali non so dire altro, se non che in loro è il corpo, l’anima, lo spirito, et l’essere della Bellezza. Ricordomi in un medesimo tempo di due altre sorelle, l’una è M. COLONNA, l’altra M. DIAMANTE BALDESCHE; quella è moglie di M. Viuiano de gli All. et questa di M. Antiquario Antiquarii; lequali si come sono congiunte di sangue, cosi sono pari di ualore: et l’una et l’altra ha tanta parte di bellezza, che pare che ella camini co i lor piedi, muouasi co’lor gesti, guardi con gli occhi loro, parli con la lor bocca, haliti col lor fiato, et parli co i loro accenti. Ma eccoui un bellissimo et honestissimo drappello, doue sono M. VINCENTIA BALDESCA, moglie di M. Pompeo Pellini, M. GABRIELLA CORNIA, moglie di M. Buoncambi, M. LIVIA SPERELLA, moglie di M. Guido Fumagioli, et M. MARGHERITA SPERELLA; moglie di M. Malatesta Gratiani. Somigliano queste quattro singolarissime

 

Fol. 251v

gentildonne le tre Gratie, et Venere fra loro; che tale è bene una di esse dotata oltra la sua unica bellezza di musica di uoce, et di stromenti, et di leggiadria nelle danze. Et perche io non taccia di chi piu merita ecco ch’io ui prepongo M. BATTISTA CICILIANA, bellissima, et non meno honestissima Donna, M. LAVRA CORGNA, moglie del Capitano Hercole della Penna gntildonna [sic] d’accortissima eloquenza, et bella parlatrice, M. CLEOFE, moglie di M. Orlandino della Baglioncella, la quale oltra l’incredibil bellezza, è eccellente danzatrice, et eruditissima nell’armonia della uoce, et nella melodia de gli instromenti musicali, et finalmente M. CASSANDRA CORGNA, honore della nobiltà, et ornamento della honestà uedouile. Hora me ne uoglio passare per la uicinanza del luogo, la quale mi ui chiama, all’antica città di CORTONA; doue ho inteso sommamente lodare quattro LVCRETIE per quattro uaghissimi miracoli della madre Natura: delle cui bellezze gia mi fu detto, che un rarissimo cigno di Thoscana cantò diuinissimamente; le note del cui canto mi rimasero talmente per la uaghezza loro nella memoria impresse, che forse non n’usciranno mai. Et se non prese errore chi questo mi disse, il molto eccellente Messer Claudio Tolomei compose questo ingeniosissimo sonetto;

Come nel basso, et fral mondo terreno

Fatto a quattro principÿ il mastro eterno,

Ma di tutti in piu alto, et bel gouerno

Il fuoco ha posto con piu largo seno:

Et come quel celeste cerchio è pieno

 

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Di uaghi lumi bei l’estate e’l uerno;

Ma’l bell’occhio diuino et sempiterno

Del Sol fa gli altri appresso uenir meno.

Come oue i spiriti hanno inuisibil luce

Splendon piu fiamme, me piu chiara è quella,

Laqual d’ogni altro bel la forma è prima;

Tal per quattro Lucretie hoggi riluce

Il secolo nostro: ma colei ch’en cima

Siede al mio cor; di tutte è la piu bella.

GIO. Et a uoi, che debitamente il lodate, et al sonetto, che per se medesimo si commenda, è da credere, che bello sia. MV. Ma uedete quanto possa conformità di nomi; che hauendoui celebrato quattro Lucretie, hora ui uoglio ricordare due, ciascuna delle quali chiamiasi BERNARDINA, l’una CARRARI, di Nino Ser Nini, l’altra SER NINI di Anton Zaccagnini, Et benche la bassezza di questi nomi par che non apporti molto splendore ne suono a gli orecchi, nondimeno l’altezza della beltà loro, infinita luce a gli occhi, et la uaghezza delle parole soauissima armonia porge a chi l’ascolta. Hora me ne uengo alla bellissima città di FIORENZA, et quiui m’inchino humilmente all’altezza dell’Eccellentissima LEONORA DI TOLEDO, Illustrissima Duchessa, et dignissima Consorte dell’Ottimo Duca COSMO: alla quale poco pareua a sublimare la sua incredibil bellezza l’hauerla cosi perfettamente ottenuta; che l’inuidia non le potesse opporre, se quella non accompagnaua, non con l’altezza del sangue, non col titolo del dominio, non con gli honori del marito; ma con la tersa, et pura concordanza

 

Fol. 252r

dell’anima sua: nella quale non restò piu da infondere, quando infusa fu nel bel corpo, che di bisogno fosse alla piu uerace, et incomparabil pudicitia. Et perche la bellezza da per se non uale, s’ella non è da i debiti ornamenti accompagnata, i non dico, ne da gemme, ne da oro, ne da pretiossime uesti, ella però l’ha uoluto unire con la Magnanimità, Temperantia, Mansuetudine, et altre uirtu, et lodeuoli costumi, che da queste nascono. Onde la bontà di Dio ueggendo tante eccellenze in lei raccolte, s’è degnato ancho farla felicissima fra l’altre Donne, c’hoggi sono in terra, et con la fecondità della bella parole, et con la rara concordia et beniuolenza tra il suo santissimo Consorte, et lei. Talche beata si puo ben chiamare hoggi Thoscana essendo gouernata da due si giustissimi et humanissimi Principi; de iquali uno somiglia Numa Pompilio, et l’altra Egeria. Ma ecco mentre che io mi compiaccio ne i meriti di questa rara Donna, uenirmi nella memoria bellissima schiera di Donne Fiorentine, le quali sono alla patria loro quel che le stelle al cielo, cioè, Mad. MARIA DEGLI STROZZI, moglie di M. Lorenzo Ridolfi: le due sorelle et figliuoli di M. Bindo Altouiti, M. LISABETTA, ET MARIETTA, l’una moglie di Gio. Battista Strozzi, l’altra di Gio. Battista de Nerli. Et perche lasciaua io adietro M. CATERINA DE MEDICI, moglie di Gieronimo de Guardi? Dal cui infinito bello, che la ricuopre, pare che tutta risplenda la sua Fiorenza: la quale puo ben per cio da cotal gratia andare altiera: perche douunque la si riuolge nel nido suo, infinite scorge le bellezze sue. Percioche se similmente

 

Fol. 253r

Guardiamo a quelle di M. FRANCESCA, figliuola di Philippo Mancini, et moglie di Pietro Baldouini; di M. MARIA DA SANTACROCE, et di M. ANTONIA DE MACHIAVELLI, moglie di Simon de Corsi, potrebbe a ogni spenta beltà nel mondo dar intiero riparo. Conciosia che tutti i costoro ingegni ad altro non pensano, se non ad adornare gli habiti eletti delle uirtu, con gloriosa perseueranza, con honestissima leggiadria, con costumi modesti, con pure cortesie, con uaghe maniere, e in somma con tutte le piu gloriose cose, et con quella concordia ch’è cosi rara al mondo; mostrandoci infinita honestà con suprema bellezza. Et poi ch’io son uenuto a dire della casta et nobil bellezza, non uo l’asciarmi adietro la Signora MADDALENA D’IVARRA, Contessa del Poggio Santa Maria, moglie del Signor Colonnello Luc’Antonio Cuppano da Montefalco; doue in un medesimo subietto concorrono la uirtu  dell’animo, la formosità del corpo, et la nobiltà del sangue. Da questa pudica guida si ueggono sospinte al cielo le celesti uaghezze di M. GOSTANZA DA SOMAIA, moglie di Gio. Battista Doni; la quale nata et creata in Napoli, mostra chiarissimamente, che l’honorato uanto datole dalla Illustrissima Signora Principessa di Salerno, uenne da ottimo et sano giudicio. M. LISABETTA DA EMPOLI, M. FIORETTA RINVCCINI, et una candidissima perla a gran torto rinuolta nel fango dalla insolente et partial fortuna. Questa è M. PIETRA DA PANZANO, giouane non meno bella et nobile, che honesta et uirtuosa. Ma prima ch’io esca di Fiorenza, benche io non habbia seruato

 

Fol. 253v

ordine, ne precedenza alcuna ui nominò la Signora COSTANZA DE VITELLI, moglie del Signor Ridolfo Baglioni, per la quale piu felice et gloriosa si rende l’età nostra: si come quella che sopra ogni altra puo gloriarsi nel uanto di uera honestà, et di nobil bellezza. Questo è quel uago fregio, per cui s’illustra il secolo, che dal chiaro nome della S. FAVSTINA BAGLIONA sorella del Signor Ridolfo prende lume, et uaghezza. Hora io son giunto a Prato, onde prima ch’io me ne parta, ui uoglio breuemente raccontare un caso; il quale non è molto, che ritrouandomi io in Fiorenza udi narrare dalla gentilissima Madonna Caterina de Lippi gia moglie di Francesco Cambi: la quale diceua in questo modo; Ch’essendo l’anno MDXII presa la terra di Prato, et saccheggiata da i soldati Spagnuoli, quando la famiglia de Medici ritornò in Fiorenza; auenne come in simili casi spesso suole auenire; che fra le molte uccisioni et rapine, che ui furono fatte dalla furia de soldati, et dalla insolenza de uincitori: doue molte Donne di ogni grado furono uiolate, una fra l’altre bellissima giouane, ma di bassa conditione, si come quella ch’era moglie d’un pouero huomo, che faceua le carra, s’abbattè nelle mani di un soldato Spagnuolo de i piu nobili, et principali dell’essercito. Il quale ueggendola bella, et leggiadra molto, molto si rallegrò d’hauer fatto tal preda. Et cosi la dolente giouane, benche contra sua uoglia, fu nondimeno, come molte altre, menata in Hispagna; et quiui grandemente amata, et tenuta carissima del padron suo, si stette seco da quattro in cinque anni; aspettando però sempre occasione di poter un giorno

 

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quando che fosse, uscire di quella cattiuità, et ritornare a miglior uita. La quale occasione quando a Dio piacque, uenne finalmente nel modo ch’udirete. Haueua quel gentihuomo Spagnuolo giuridittione, et feudo nella terra sua, per auentura si ritrouaua tenere allhora in prigione per la uita due malfattori et maluagi huomini; i quali staua di giorno in giorno per punire, come hauean meritato, dell’ultimo supplicio. Auenne che per bisogne di grandissima importanza gli conuenne caualcare alla corte del Re suo signore; percioche douendo partire, et hauendo fede nella giouane Pratese, perch’egli le portaua amore, et percio si credeua ch’essa gli hauesse affettione; a lei raccomandò strettamente la cura della casa, et di tutte le cose sue piu care, confidandole le chiaui di tutti i danari et gioie, si come dell’altre uolte era usato di fare, hauendola sempre ritrouata fedele, et amoreuole sopra modo. Perch’essendo partito il padrone, et sapendo ella che per alcuni giorni non era per ritornare a casa; prese le chiaui della prigione, et andò a parlare a quegli sciagurati, iquali per la prima nuoua stauano aspettando la morte. Et entrata a loro parlò in questo modo. Voi douete molto ben sapere, come non hauete a uscire di qui, senon alla morte; et che l’hora uostra non è gran fatto lontana. Onde se uoi hauete caro di uscire, et camparui la uita, uoi potete ageuolmente hauer l’uno et l’altro, facendo cosa, la quale io sono per imporui. A queste parole i miseri tutti consolati le promisero fare quante ella commandaua, et le obligarono non che una fede, ma mille, se tante ne hauessero hauuto; mentre che l’effetto seguisse

 

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la promessa di lei. La Donna allhora disse loro; gran cosa non è quella, ch’io desidero da uoi; ma solo che uoi uscendo di qui m’accompagniate al mio paese: et io ui darò tanto, che ui potrete chiamare sodisfatti et contento: si fattamente, che mai non m’abbandoniate, fin che m’haurete condotta in Thoscana, et doue io intendo andare. Data dunque et riceuuta la fede, la Donna quanto piu tosto puote fatto sellare tre de migliori caualli dello Spagnuolo, et tolto seco quella maggior quantita di gioie, et di danari, che le parue; uestitasi da huomo con la compagnia de i due masnadieri si mise in camino. Et senza mai tenere strada ne sentier dritto, ma sempre trauersando, et per li piu riposti luoghi passando, non si ritienne mai si fu giunta in Italia, et a Prato. Quiui smontando all’albergo, et a suo bell’agio ragionando con l’hoste, lo uenne domandando, ch’era del suo marito, et di lei medesima anchora quel che ne se ragionaua. Et ben poteua far cio secura di non esser conosciuta da lui, ne da altri, si per la diuersità dell’habito, si per la distanza del tempo, ch’ella era stata absente: et molto piu, perche ne di lei ne dell’altre, ch’al tempo della guerra erano state robate da i soldati, non era speranza alcuna, che mai piu ritornassero. Il buon huomo le diede nuoua, come il marito era anchora uiuo; et che della Donna non era piu memoria in Prato, se non come di cosa morta. Perch’ella con bel modo lo pregò che gli piacesse andare per il marito, et fargli intendere, come un gentilhuomo straniero l’haurebbe uoluto. Ilquale udita l’ambasciata, fu tantosto a lei, non sapendo che fosse: et la Donna uedutolo et subito riconosciutolo

 

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gli domandò molte cose del sacco della terra, et fra l’altre gli ragionò di se stessa. A cui il marito senza altramente raffigurarla punto le disse; gliè uero, Signor mio, c’hoggimai son cinque anni, che Dio ci mandò quel flagello per i peccati nostri; ne d’allhora in qua mai habbiamo potuto leuar capo, si grande fu la ruina nostra. Doue io misero fra gli altri, oltra quel poco ch’io haueua, ui perdei anco la moglie, ch’andò con uno Spagnuolo; laquale era quanto bene io haueua al mondo. Et son ben certo, che la pouerina parti contra sua uoglia; perche oltra che mi uoleua bene, so ch’ella era una buona et honesta fanciulla. Ma ditemi, soggiunse la gionane [sic], et se uoi la poteste rihauere sana et salua, ui sarebbe ella cara? Oime, ma che dite uoi, rispose il pouer’huomo, non ch’io l’hauessi cara, parrebbemi risuscitar da morte a uita. Poi ch’è cosi, come uoi dite, seguitò la giouane, obligatemi la fede uostra, che sarà cio che m’hauete detto; et io andro in parte non molto di qui lontano; et farouela uenir di presente: Ma non mi si manchi poi di quel che m’hauete promesso, che mi dorrei di uoi. In questo modo replicatogli, et fatto piu stretta promessa, la giouane si gli gettò con le braccia al collo, et lui, che forte si marauigliaua di ciò, fece certo, com’ella era sua moglie, stata cotanti anni, et suo malgrado in potere altrui. Il marito lieto per la rihauuta Donna, et per il guadagnato thesoro, non si poteua ueder satio di far caresse alla moglie: et cosi l’uno et l’altro uisse poi lungo tempo insieme in santa pace; et forse uiuono anchora con grandissimo contento d’ambidue. CA. Et onde però cauate, Signor Mutio, i luoghi

 

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da commendare questa giouane Pratese? MV. Dalla beniuolenza, ch’ella portò al marito tornando di si lontan paese, con tanto suo pericolo, per uiuersi con lui; abandonando quel gentil huomo Spagnuolo, che l’haueua si cara. CA. Ella sarebbe stata molto piu la laudabile, se in tutti i modi hauesse fatto contrasto al uiolatore dell’honestà sua, senza andarsene seco, come una bagascia. GIO. Tutte le Donne non possono esser Lucretie, ne Sophronie. MV. Sono hoggi in Prato molte altre belle, et ualorose Donne, si come M. COSTANZA figliuola di M. Iacopo Poluerino, la quale in tutte le attioni sue ha la bellezza per compagna, et la gratie per ministre. Partendomi da Prato uengo per breue, et dritta uia a PISTOIA, doue mi si fa incontra la honesta bellezza, et la cortese creanza in una nobilissima caterua di leggiadre Donne, lequali ui nominerò secondo che mi uerranno a mente: cioè Madonna ANTONINA di Pierlorenzo Rospigliosi, M. FIAMMETTA di Lazzero de Rossi, M. GIVLIA di Antonio Ricciardi, M. CANDIDA di Andrea Alluminati, M. ALESSANDRA di Francesco Panciatichi, detta per soprapone [sic] la Papera; laquale fu gia lodata da Carlo V. Imperatore per bellissima Donna. M. COSA di Gio. Battista Fiorauanti, M. FRANCESCA di Thomaso Rospigliosi, M. HIPPOLITA di Gismondo Arfaruoli, M. SANDRINA di Battista Villani, M. CORNELIA di Giouanni Villani, M. LAVRA de Baldinotti, et M. HELENA DE BRVNOZZI et infinite ch’io taccio, come chiarissime da se stesse. Alla citta di LVCCA mi conosco arriuato, laquale

 

Fol. 256r

et de beni della fortuna, et di bellissime Donne è copiosa. Et s’io ui conterò di poche, non è per cio che il numero grandissimo non sia. Vedesi quiui Mad. PIERA di Alessandro Balbani; allaquale non credo ch’altro diffetto si potesse opporre, saluo chi non dicesse, ch’ella è molto piu bella, et molto piu honesta, ch’alla bellezza et honestà si conuenga. Ecci M. CAMILLA di M. Vincentio. Parenzi, la cui bellezza è tale quale ne mai si uide, ne si uedrà giamai. Appresso questa uiene M. CATERINA di Vincentio Spada, della quale ben si puo dire, ch’è sopra natura, che si bella figura dimori in terra: percioche tosto ch’ella è ueduta, fa di se marauigliar le genti nella maniera che si farebbe in cielo a chi fosse inanzi la uera bellezza. Non mi uorrei scordare di M. FAVSTINA CIAMPANTI uedoua per non offendere con silentio il merito di lei, e’l giudicio di coloro, che conoscono molto le bellezze et maniere Donnesche; lequali tutte si sono unite in lei a fare un perfetto essempio di loro stesse. Io uscirò un poco di strada, et non ui deurà parer marauiglia, ch’io me ne uado a FANO picciola città, ma ben fortunata, et tempio di Fortuna, anzi nido di gratie, et d’amore; doue una sola Donna sceglierò di molte, ch’iui sono belle et gentili; et sceglierolla tale, che ben uincerà l’inuidia. Questa è Mad. GIOVANNA MAGOLINI; laquale hebbe gia testimonio della sua mirabil bellezza due grandissimi huomini, et d’ogni eccettione maggiori: l’uno fu il Giustissimo, et ottimo Signor Duca Cosmo, l’altro l’Illustrissimo Signor Don Diego Hurtado di Mendozza, huomo di sincero giuditio in tutte le cose. Et non pure questi

 

Fol. 256v

due personaggi la giudicarono rara, anzi pure unica, ma la Eccellentissima Signora Duchessa di Fiorenza la confermò per tale; dalla cui matura, et considerata sentenza non è chi debba ne possa appellarsi. Io me ne uengo hora in ROMAGNA, et perche quiui ingiuria capitale sarebbe nominare, ne mostrar di conoscere Donna alcuna di stato priuato; atteso che aguisa d’Argo ciascuno con cento occhi osserua le sue Donne, non perch’elle piu lasciue, ne meno honeste siano dell’altre: ma per esserui tal costume: ardirò di parlare solo della Signora SILVIA DI SOMMA Contessa di Bagno: della quale tutti proprii sono i beni di Castalia, et di Parnaso; et non una cosa sola, come Calliope Clio Polimnia, o l’altre sapere; ma quello di tutte le Muse insieme, et appresso di Mercurio, et d’Apolline esserle manifesto; et di tutte quelle cose, che i Poeti ornano in uersi, gli Historici scriuono in prosa, e i Philosophi nell’uno, et nell’altro ammoniscono, di queste adorna è la Signora Siluia. Non parlo delle uirtu, lequali sono i maggiori beni dell’animo; perche a conchiuderlo in somma, tutta la somma è in lei. Ora per non uscire molto lontano di contrada me ne uengo in VRBINO, doue haurò poco che dire, non uolendo io dire cose dette; et benche tuttauia si ragioni di quelle rare Donne, che uiuono hoggi, io non starò per questo, che non ui dica breuemente alcuna cosa di quelle che gia sono morte, ma uiuranno però sempre al mondo per fama. Di queste è una la Duchessa Lisabetta Gonzaga sorella del Marchese Francesco Gonzaga, padre del Duca di Mantoua morto, del Cardinale, et di Don Ferrante. Fu moglie al Duca

 

Fol. 257r

Guido Vbaldo figliuolo di Federigo, et Battista sopradetti, sotto iquali fiorì quella bella Academia descritta nel Cortigiano del Castiglione: dellaquale fu buona parte Lisabetta. Di costei scriue il Bembo in una opereta, doue sono introdotti a ragionare alcuni galanti huomini, et per uno, se ben mi ricorda il Sadoleto. Gli finge in Roma al pontificato di Giulio, la cui Santità haueua mandato M. Federigo Fregoso, che fu cardinale, in quello stato nella morte del Duca Guido Vbaldo. Leggono una epistola del Fregoso al Papa, che fa honoratissima relatione di Lisabetta, et dopo una oratione funebre hauuta dall’Odasio suo precettore per Guido Vbaldo. Et a questo proposito seguitano a raccontar le uirtu  di questa Signora: talche da quel libro potrete intendere assai della chiara uita sua ella soprauisse al marito parecchi anni con tanta prudeza, che’l Duca Francesco Maria, che successe, perch’egli era nipote di sorella a Guido Vbaldo per adottione, sempre la uolse compagna nel gouerno dello stato. Et quando Papa Leone cacciò di stato Francesco Maria, ella che haueua raccolto i Medici nel loro essilio, ricorse a piedi di sua Santità per ottener pace: et mori ritornata in stato: lasciando di lei tanto desiderio a sudditi, che anchora la piangono. Et pubblicò il suo confessore, ch’ella era morta uergine; perche il marito fu con lei sempre impotente. Viene dopo lei la Duchessa LEONORA, moglie di Francesco Maria, et madre del Duca presente. Credo che la uita sua scriuendola sarebbe alle Donne signore, quale è la di Ciro a Signori; ma perch’ella uiue non ardirei ragionarne. È stata anchora la Duchessa Giulia Varana moglie morta

 

Fol. 257v

del Duca Guido vbaldo d’hoggi. Questa fu cotanto uirtuosa, et prudente, essendo in età giouenil; che misurando la Morte la uita sua passata dalla prudenza, la tolse del mondo per uecchia. Fu parlando senza passione, troppo sauia giouane, et mori tanto santamente che chi l’amaua, che era chi la conosceua, non sapeua come attristarsene: auegna che morisse una delle principal cagioni, ch’hauesse quello stato d’allegrezza. Lo eccellentissimo M. SPERONE recitò per lei una bella oratione funebre in lingua Thoscana; ma non l’ha lasciata ir fuori. Hora senza fermarmi punto, me ne uengo a BOLOGNA madre de gli studi, doue sono infinite Donne di ualore, et bellezza incredibile; le quali tutte meriterrebbono che Virgilio, et Homero cantassero di loro. Nondimeno io non parlerò di tutte, per non ui fastidire. Dirò solamente della Signora M. HIPPOLITA VARRANA moglie di M. Lelio Vitale. Questa incomparabil Donna non pure è bella, ma dotta anchora in ogni sorte di musica: si come le uirtu  dell’animo suo fanno una soauissima armonia fra loro: et le doti del corpo mostrano bene come in si honorata stanza non doueua albergare altro che una purgata et candidissima anima. Quiui è la Signora GIVLIA BENTIVOGLIA, moglie di Conte Costanzo Bentiuoglio, la Signora ISABETTA FELICINA, moglie del Caualier di Castello, la Signora CATERINA FOSCARARA, moglie di Messer Vergilio Ghisilieri, la Signora GIVLIA LEGNANA, moglie di Messer Marco Antonio Carlini, la Signora ALESSANDRA DOLFA, moglie di Messer

 

Fol. 258r

Antonio Saldini, la Signora GIVLIA PASELLA, moglie di M. Andrea Bonfio, la Signora CECILIA BARGELINA, moglie di M. Gieronimo Buoncompagno, la Signora CAMILLA BIANCHINA, moglie di Messer Pompeo Lodouici, la Signora LVCRETIA GRASSA, moglie di Messer Coriolano Ghisilieri, la Signora HIPPOLITA BARGELINA, moglie del Capitan Philippo Maluezzi; et tutte queste gentildonne, ch’io u’ho nominato in schiera, sono rarissimamente dotate delle gratie del cielo; tanto che giustamente si puo dire, essere ogni uirtu, ogni bellezza, ogni real costume giunti in quei corpi con mirabil tempre; o piu tosto quello si puo di ciascuna uerissimamente esclamare, che gia disse il poeta Thoscano della sua M. Laura;

O miracolo humano o uiuo essempio

Di uirtu, di bellezza, et di costumi,

Ch’alteramente il secol nostro honora.

Viene appresso di queste la Signora LAVINIA ROVERELLA, moglie di M. Giouanni Saracini, la S. PORTIA MALVEZZA, moglie di Messer Gio. Sauignani, et M. DIAMANTE DE DOLFI, lequali tutte tre hanno leggiadria et bellezza singolare; et di piu sono ornate di bellissima uena di poesia Thoscana; et molto in quella dimorano. Il parlar loro non è patrio puro, ne puro Thoscano; ma il bello dell’uno et dell’altro hanno scelto, et di quello insieme mescolato dolcissimamente fauellano; et hanno in loro alcune gratie, et alcuni motti oltra modo piaceuoli, et pronti; iquali a tempo detti da loro mai non turbano altrui, ma

 

Fol. 258v

dilettano sempre. Il perche facilmente giudichereste l’ingegno, et la eruditione essere in loro mirabilmente congiunti. Et se Bologna è mirabile per le molte, ch’io u’ho gia detto, quale debbe ella essere con l’hauere anchora Madonna ISABETTA DALLA FAVA, et Mad. LISABETTA DE GESSI, moglie di M. Alamano Bianchetti; lequali per non essere meno belle che honeste, et tanto gentili, et nobili, quanto ciascuna dell’altre, parmi che non debbano far uergogna, anzi accrescere honor grande a si fatta compagnia: onde conchiuderò con esse la uaghissima squadra delle matrone Bolognesi. In MODONA, habbiamo poi la Signora ANTONIA PALLAVICINA consorte del Signor Conte Vguccion Rangone, matrona non meno gratiosa che splendida; et in cui niun uitio di natura si puo uedere: le uedrete sempre appresso la Signora LEONORA sua figlia, di uirtu, di bellezza, et di costumi ornatissima. Vedeuisi poscia la Signora ARGENTINA PALLAVICINA gia moglie della immortal memoria del Conte Guido Rangone; laquale ben debbe ringratiare la maesta della natura, che la fece Donna degna di lui, quanto egli era marito degno di lei. Percioche guardandosi alla mirabile sua uirtu, o dell’ingegno, o dell’animo, o dell’uno, o dell’altro, non è si alto grado di fortuna, che la Signora Argentina di piu sublime non sia degna. Io non mi sento degno di nominarui la Signora VERONICA GAMBARA Contessa di Coreggio; perche ueramente troppo di se presume chiunque ardisce ragionar di lei, laquale è ben degna di poema chiarissimo, et d’historia. Senza che uengo quasi a fare ingiuria

 

Fol. 259r

al giudicio uostro, come se non conosceste l’altezza, e’l merito delle uirtu  sue; nelle quali ella è stata ueramente unica et sola. Hora mentre ch’io sono in queste contrade, non uoglio mancare di ridurui alla memoria i gran pregi della consorte del Signor Leonello Pio; laquale non solamente merita eterna lode per essere della nobilissima stirpe de gli Areniti Principi della Macedonia, come fu il Signor Gostantino Areniti suo felicissimo padre, ma per li rari et uirtuosi costumi suoi; onde ella in tutte le sue attioni si conosce da ogniuno essere liberalissima, honestissima, prudentissima, ausiliatrice, et protetrice d’ogni uirtuoso spirito. S’io uolessi, Signori, entrare nell’amore, nella fede nell’osseruanza uerso il suo consorte, quante et quali inestintabili qualità ui scoprirei del bello, et honorato animo suo. Ma per non dirne poco, io ui conchiudo, che in lei si scorgono tutte quelle rare eccellenze, che si possono comprendere, et desiderare nell’animo di qual si uoglia ualorosa Donna del mondo. Onde io soglio dire, che ueramente di qui nasce la uera nobiltà; perche si come l’arbore non si conosce nella spetie sua, se non per il proprii frutti; cosi la persona non si dee stimare se non per gli effetti, et costumi suoi. Concorrendo dunque in questa rarissima Signora l’antichità del sangue, per esser nata di cosi gran principi, et collocata poi nella casa Illustrissima Pia pure tra l’antiche d’Italia nobilissima, aggiungedosi gl’infiniti meriti suoi; chi non stimerebbe; che tra l’altre nobilissime Donne queste fosse come in una bella ghirlanda un leggiadrissimo, et soauissimo fiore. Dunque fra l’altre la Signora HIPPOLITA PIA adornerà il mio

 

Fol. 259v

ragionamento accioche la maggior parte d’Italia non m’accusi di poca cognitione, et pratica delle cose del mondo. Et certo tacendo io di questa Donna pregiudicaua molto all’obligo, che ha il secol nostro seco, essendo ella oggetto, del Cardinal di Capri suo meritamente Illustrissimo et Reuerendissimo figliuolo: ilquale senza passione alcuna si puo pur liberamente dire che sia specchio di religione, colonna della chiesa, essempio di honestà, padre de i buoni, speranza de i uirtuosi, consolatione de gli afflitti, sostegno de letterati, rifugio de i bisognosi, finalmente honore et riputatione d’Italia. Venuto a MANTOVA, et ricordatomi dell’intention mia, mi sento confondere nel numero et abbagliare nello splendore. Ma poi pensando meglio, ch’io non sono hora qui per illustrarle tutte, ma per accennare alcuna; dirò di quelle che singolari mi paiono non dando però nome di uolgari all’altre, ch’io passo con silentio. Fra queste è la Signora PORTIA GONZAGA, laquale ha degna cagione d’essere posta fra le piu belle; poi che con l’opre delle piu honeste, delle piu saggie, delle piu accorte, delle piu modeste, et delle piu affabili, ha per cio saputo ornare i doni del corpo. La Signora VITTORIA GONZAGA sua cognata, figliuola del Conte Bartolomeo da Villa chiara, honore di tutta la schiera delle Donne honorate, lequali non pure si rallegrano del uederla, ma s’essaltano nell’accoglienza, et nell’amoreuolezza, che riceuono da i gesti suoi. La Signora MARTIA GONZAGA moglie del Caualier Nuuoloni; il bello del cui uiso, et il casto della cui anima sono due cose a lei date in si supremo grado, ch’impossibile è a discerne quale tra le due bellezza

 

Fol. 260r

o castita piu le adorni il nome. La Signora EGERIA SESSA, nata in Regio, figliuola del Conte Gasparo Signore di Roli ualoroso soldato, et della Signora Paola Fontanella. Questa ben si puo dire, c’habbia uera bellezza; percioche tutti i lineamenti del uago molto l’accusano, tanto ben compartiti, et distinti, che un punto solo non è, che non corrisponda. La sua candida et serena fronte ha per ornamento due sottilissime ciglia, con debito interuallo separate, et tanto gratiose quanto esser conuiene. Sono sotto esse due occhi, anzi due stelle, non ascose in dentro, ne palesi in fuora, tanto honesti, et dolci, ch’ogni alta uista appo loro è tenuta uile. Ha il suo uolto le gote di si conueniente lunghezza, et altezza; che la natura quiui uolle uincer se stessa. Veggonsi in lei gli orecchi piccioli et ritondi, il collo honestamente pieno, il naso profilato, et la gratiosa bocca; laquale le contenta del suo breue spatio mostra talhora alcune candissime perle, chiaro testimonio della purità de suoi pensieri. Et per finire l’incomprensibili eccellenza di lei, egli rispondon si bene le soaui parole a i dolci sguardi, al uago portamento, et a gli atti mansueti; che non muoue passo, non drizza sguardo, non esprime parola, ne fa sembiante alcuno, che la maestà della Modestia et della bellezza non facciano stupire gli occhi che la risguardano, e i sensi, che la contemplano. Muouemi hora la uicinità del luogo a far parole di FERRARA; doue piu ualorose, et belle Donne sono, che non a stelle sereno cielo: lequali per hauere io conosciuto di uista, posso affermare, che cosi sono, come io ui dico. Anchora che la fedele informatione, che oltra di cio ne ho per

 

Fol. 260v

lettere del nobilissimo et molto uirtuoso M. Alberto Lollio, ne potesse assecurare ogniuno, il quale ne stesse in dubbio. Ecci principalmente Madama Illustrissima la Signora Duchessa RENATA DI FRANCIA, il cui minor pregio è l’esser stata figliuola di Lodouico Duodecimo Re di Francia, et l’essere hora moglie del clementissimo et ottimo Duca Hercole secondo. Percioche l’altre sue glorie maggiori sono l’esser christianissima, amatrice de poueri, et idea delle principesse, quali esser deurebbono per non perder tempo in parole di lode uolgari. Indora similmente quella città la Signora GIENEVRA VILLAFVORA uedoua uirtuosa, et ben creata: doue io uoglio comprendere quelle qualità, che si conuengono a Donna singolare, et degna d’imitatione. Muoue co i medesimi passi uerso il poggio della gloria, et della uirtu  la S. LVCRETIA ROVERELLA gia moglie del Signor Marco Pio; laquale non lodo altramente, temendo di uituperarla, essendo ella celebrata in una bellissima oratione consolatoria scritta a lei dal Lollio: si ch’a me impossibil sarebbe trouare nuoue lodi oltra le da lui dette, lequali tutte in lei uerissimamente sono. Io non ui ricordo la Signora LAVRA EVSTOCHIA, che fu moglie del Signor Duca Alfonso, perche io mi conosca sofficiente a honorarla; ma perche non parere maligno, et ignorante. Ricordiui anchora la S. GINEVRA MALATESTA, benche il parlar di lei sia un portare acqua al mare, essendo ella tanto honoratamente nominata dal Thoscana Virgilio M. Lodouico Ariosto, et dal singolarissimo M. Bernardo Tasso; ilquale nelle lodi di lei

 

Fol. 261r

mostrò eccellenza d’ingegno, et merito di Donna prudente, et ualorosa. Io m’haueggio ancho, che bene era tacere il nome della Signora MARGHERITTA PIA SANSEVERINA, perche chi non ha letto cio che di lei, et a lei scriue il Signor Gio. Giorgio Trissino, non sa le qualita che conuengono a uita uedouile: ilche ben ha mostrato di sapere con l’attioni sue questa honorata Donna, gioia et ornamento delle matrone dell’età nostra, uedoua, d’ogni  uirtu ornatissima. Non hauranno per male le nobilissime Donne di quella aurea città, se tacendo di loro parlerò di Mad. OLIMPIA, che fu figliuola di Pellegrin Moratto, dottissima non meno nelle lettere Greche, che nella lingua Latina, honestissima, et specchio di ualore. Ma poi che io sono arriuato al mare delle delicie, et delle uirtu, meglio sarebbe, come i Poeti nelle imprese difficili fanno, ch’io chiamasi aiuto a qualche deità nascosta o palese; perche da me non basto a uscirne con honore. Nondimeno io farò quel che sarà possibile per non parere ingrato al merito de i miei Illustrissimi Signori. Et s’io dirò di poche, le molte ch’in VINEGIA sono dignissime di lode mi hauranno per iscusato per la grandezza del numero: et perche gia de gli altri n’hanno con maggiore eloquenza cantato. Ornano dunque quella madre di giustitia et di pace una Madonna Cecilia Cornara moglie del Magnifico M. Marco Antonio Cornaro; allaquale tanto si puo dar lungo principale fra le belle, come al Sole fra le stelle minori. Mad. Helena Barozzi Zantani, laquale in bellezza pareggia la Greca, et nell’honestà la Romana Lucretia. Mad. Lucretia moglie del

 

Fol. 261v

Magnifico M. Gio Battista Capello, la qual con la sua fedele, et modesta bellezza mostra maniere angeliche, et celesti. Mad. Paola Donato, che piu tosto chiamarsi deue con nome di Dea, per la sua mirabil gratia, et infinita bellezza. Mad. Paolina Pisani; laquale è tale, che piu facile sarebbe ascondersi l’aurora nell’apparire del giorno, che celarsi la nobiltà, la bellezza, e’l decoro nel sembiante del suo mostrarsi. V’ho mentouato queste poche fra le innumerabili per non uenirui a noia: et se pur fosse chi maggior numero desiderasse saperne, potrà leggere il tempio d’Amore di M. Nicolo Franco, e’l tempio della Fama di M. Gieronimo Parabosco, doue questi due sublimi ingegni n’hanno celebrato piu che molte. Et benche io hauesti fatto punto, mi uergogno però hauerui tacciuto Mad. Marietta moglie di Messer Francesco Pisani; laquale non puo ringratiare la natura a bastanza, per quella larga parte, che le ha concesso di bellezza: conciosia che in men d’un palmo mostra tanto bello, quanto ne puo dispensare il cortese auttore. Vengo hora a VINCENZA, doue fu sempre, et è hoggi piu che mai bella schiera di ualorose Donne. Quiui è la Signora CATERINA figliuola del Conte Guido da Thiene, et moglie di M. Valerio Chericato, nellaquale tutta la bellezza risiede, per farui uedere de suoi miracoli; et molte uirtu, per non lasciarla sola, le hanno fatto nobil compagnia, concordissimamente unite insieme, con quella dolcezza, che rende l’armonia della sua angelica uoce, et la maestria delle sue bellissime mani. Euui la S. LVCRETIA sorella sua, moglie del Conte Nicola Chericato; laquale

 

Fol. 262r

per riuscire ogni di piu bella, si pare che la natura s’ingegnasse di farla senza paragone. Accompagnassi con le due sopradette la terza lor sorella LVCILLA, la quale ha mille cagioni di mille lodi, poi che nell’acerba età de gli anni suoi mostra i frutti maturi dell’honestà, et della prudenza, insieme co i fiori della leggiadria, et della bellezza. Ne però s’allontana da queste Mad. VERSA DE TRAVERSI, laquale è un drittissimo appoggio di uirtuosa bellezza; ne SOPHONISBA figliuola del Conte Gieronimo da Thiene, laquale chi uolesse tutte le propotioni et misure della bellezza, piglierebbe lei sola, et rimarrebbe sodisfatto. Camina seco con egual lode DIANA del Conte Giouanni da Porto, ben degna di cosi bel nome, poi che’[sic] ella lo rappresenta et col diuino sembiante, et co i celesti costumi. Voglio però farui auertiti, come io mi ricordo della Signora DEA DA THIENE gia moglie di M. Pietro Soderini, ueramente Dea, et piu che Donna; poi che non pure si mostra bella ad ogni paragone, ma madre anchora della Signora LEONORA, che non pure l’honora con le uirtu dell’animo, ma la rallegra con le bellezze del corpo. Conchiuderò gli honori di Vincenza con le rarissime qualità di Madonna CANALA moglie di M. Gieronimo Trauerso da Cologna, la quale come fiume, anzi mare di bellezza fa marauigliare quanti hanno giudicio et conoscimento di bellezza Donnesche. VIO. Bellissime certo et honestissime stimo io tutte queste Donne, che uoi ci hauete lodato; ma non ci hauete uoi a ragionare d’alcuna della nostre, che noi conosciamo: accioche non habbiamo cagione d’inuidiare le.

 

Fol. 262v

straniere MV. Ecco Signora, ch’io staua disegnando di uolermi accostare alle uostre contrade; et me ne ueniua testè a FIORENZVOLA, doue io ritrouo la Signora GIVLIA sorella della Signora Faustina, et moglie del Signor Sforza Pallauicino, la quale mostra bene d’uscire del legnaggio Sforzesco, et d’essere stata nella famiglia Pallauicina, le quali illustrarono sempre Italia con l’armi, et con l’opre di magnificenza, come ella honora di presente tutta Lombardia con la celeste sua presenza. FAV. Voi sarete cagione di farmi parer discortese, poi che io non ui so ringratiare quanto meritate dell’honor, che mi fate, et del diletto. che m’apportano le uostre parole. MV. Io non aspetto si alto guiderdone da si bassa fatica: ma uoi in cambio ringratiatene piu tosto Iddio auttore d’ogni consolatione: come lo dee lodare, et ringratiare la Signora LVIGIA PALLAVICINA dignissima consorte del Signora Sforza ualoroso fratel uostro; laquale hebbe tanta copia de i doni del cielo, che infinite altre ne rimasero pouerissime per sempre. Ma prima ch’io esca di queste contrade, non uo lasciarmi adietro la Signora CAMILLA PALLAVICINA moglie del Signor Gieronimo Pallauicino Marchese di Cortemaggiore, la quale ha tante parti degne di uera lode, ch’io non so da quale mi debba dar principio hauendo ella posto in dubbio il mondo, qual piu l’adorni o la liberalita, o la fede, o la religione, o la bontà dell’animo, o la honestà, o la mansuetudine, le quali si trouan tutte in lei in supremo grado. Tempo è hora, ch’io mi u’appressi meglio, perch’io entro in PIACENZA, doue parlerò di Donne

 

Fol. 263r

tanto eccellenti, che l’inuidia non u’ha possanza sopra. Appresentassi per la prima la Signora CATERINA ANGOSCIVOLA, hora moglie del Signor Luigi Gonzaga, laquale con le sue qualità reali auanza tutte le lodi, che le potesse dare lingua humana. Viene un’altra Signora CATERINA sorella del Conte Agostin Lando, et moglie del Conte Gio. Fermo Triulci, per la quale sempre haurà la sua patria onde andarsene altiera et superba, come ella ne ua nobilissimamente humile, et modesta. Euui la Signora LISABETTA sorella del Conte Oldrico Scotto, et moglie del Signor Gio. Luigi Confaloniero: laquale mostra una certa schiettezza, et generosità in tutti i suoi costumi, con cui le cose noiose et aduerse patientissimamente soporta; et ritrouandosi in altezza et felicità non è punto sopra l’humana misura leuata: ne per questo nulla di altero, nulla di uezzoso, o di satieuole adopera; anzi coloro ch’a lei uanno, tutti con accoglienze grate et soaui, et singolare humanità raccoglie. Quiui è anchora la Signora ARMELLINA PAVERA, moglie del Caualier Pauero, la quale è ueramente simile all’animale del suo nome, cioè tutta purità, et uaghezza; ilquale ha si cara la sua bianchezza; che per non macchiarla, si lascia menare a morte. Vedrete poi la Signora CONTESSINA DE NERLI, moglie del Conte Oldrico Scotto, la quale con la humanità, cortesia, et gentilezza, ch’ella ui recò seco da Fiorenza, anzi dalle fascie, anzi dal cielo, s’ha meritamente acquistato la gratia, et beniuolenza di tutta quella città. Euui la Signora POLISSENA figliuola del Conte

 

Fol. 263v

Vguccion Rangone, et moglie del Conte Amuratte Scotto, la cui signoril presenza, le rare uirtu, et le bellezze infinite sono tante, et tali, che ligna [sic] humana non le potrebbe esprimere. La Signora VITRVVIA, moglie del Conte Theodosio Angosciuola, Donna ueramente costumatissima, gentile, humana et come ben conuiene a sauia matrona, nelle cose famigliari diligentissima. La Signora LAVINIA, moglie del Signor Gio. Francesco Sanseuerino, bella quanto si possa dire, ma cortese et honesta piu che si possa pensare, non che esprimere. Ci sono anchora DOMICILLA, et THEODORA figliuole del Conte Lodouico Rangone, fanciulle in uero di molta aspettatione, ambe d’ingegno mirabile dotate: et la prima tutta bella, tutta costumata, per essere stata un tempo sotto la censura della prudentissima Signora Argentina sua zia. Et perche la città di piacenza contra l’openione di coloro, che in cio non hanno giudicio, benche nell’altre cose fossero giudiciosissimi, si puo uantare d’hauer bellissime Donne, ue ne nominerò alcune poche; la quali non ch’una città sola, ma basterebbono a far bella tutta Italia; et queste sono la Signora GIVLIA NICELLA moglie del Marchese Gasparro Malespina: questa ha una maestà, uno andare, una leggiadria, et una uaghezza, da fare mutar proposito a tutti coloro, che piu indurati sono nella falsa credenza, ch’io ui dissi. La Signora BARBARA SANSEVERINA, moglie del Marchese Anibal Maluicino, alla quale non manca cosa alcuna, che desiderar si possa in bella et gentildonna. La Signora BARTOLOMEA sorella del Conte

 

Fol. 264r

Oliuieri Angosciuola, una delle piu belle et leggiadre figure, che si potessero dipingere per arte humana. La Signora Gostanza figliuola del Marchese Vincentio Leccacoruo, et moglie di M. Giorgio Scotto, bellissima, et uirtuosissima anchora: il che è come pretiosa gioia legata in finissimo oro. Euui ancho la Signora Contessa AVRELIA VERDELLA da Crema, ualorosissima madre delle Signore ARTEMISIA et OLINDA SCOTTE, le quali due fanciulle hanno in loro tanta dolcezza, et sono di tante, et si rare uirtu, et bellezza ornate, che impossibile è, che chiunque le guarda, non resti nelle reti d’amore allacciato. L’eloquenza, l’eleuato ingegno, il maturo sapere della lor madre è tale, che sofficiente sarebbe a gouernare non che una città, ma qualsi uoglia gran regno. Ecci la CANDIDA finalmente, le cui sole bellezze del corpo, et dell’anima sono perpetuo oggetto de gli occhi, et dello spirito del molto uirtuoso M. Bartolomeo Gottifredi; il quale con la sua immortal penna ne fa un ritratto, che perauentura non sara manco stabile, et manco dureuole, che se fosse per mano di Apelle, o di Parrasio stato dipinto; circa il quale et quei che uiuono hora, et quei che dopo noi uerranno, si potranno et dilettare, et marauigliare; et forse a quella Donna diuina, se mai arriuerà alle sue mani, tanto sarà piu grato, quanto che ne di mettalli, ne di marmi, ne di colori il uedrà; ma fatto di parole, et di sententie dalle Muse dettate. In LODI nominerò una sola, et so di non fare ingiuria all’altre, per il merito suo singolare; questa è la Signora ISABELLA VISTARINA moglie del Caualier Vistarino, il quale nome è molto

 

Fol. 264v

bello, et molto conuiensi a lei: et ben uolle la sorte, o la diuination paterna, che cosi si chiamasse: percioche Isa nella lingua Greca, (come sa forse alcuno di uoi) suona quanto nella nostra eguale; talche cosi composto altro non dice, ch’egualmente, et in ogni parte bella. Nella qual piena lode tutto quel si contiene, che meglio s’abbraccia con pensiero, che non s’esprimerebbe a parole. Nella real città di PAVIA sempre furono, et tuttauia ci sono eccellentissime Donne: delle quali farò io breue mentione, per non recarui noia, ragionandoui largamente di quel c’hauete inanzi a gli occhi. Euui la bella Signora OTTAVIA BECCARIA tanto lodata, et celebrata da tutte le lingue, et da tutte le penne; che chi non la conosce per fama, et non la riuerisce per debito, o non è al mondo, o è ingrato. Mostrasi in un medesimo tempo la Signora Contessa PAOLA moglie del Conte Lodouico Beccaria; di cui bene è tacere conoscendosi indegno di parlarne; accioche parlandone una uolta, et aueggendosi poi d’hauere hauuto troppo ardire, il pentirsene non fosse tardi, e indarno, et con offesa di molti. Questo non tacerò gia io di lei, ch’ella è ben degna quanto altra c’hoggi uiua, che gli inchiostri famosi l’honorino, et gli spiriti gntili [sic] l’adorino. Io non lascio in silentio la Signora LVCRETIA MARTINENGA, moglie del Conte Alessandro Beccaria, laquale di real cortesia uince ogni altra Donna, che uiua, et splendida, et magnanima anchora. Euui similmente la Signora BIANCA BOTIGELLA, la cui graue, et signorile maestà, accompagnata da una non humana, ma piu tosto diuina bellezza, è tale; che chiunque la

 

Fol. 265r

mira resta qual freddo sasso. Ma non u’è gia piu la diuinissima Contessa Giulia Visconte, dellaquale niuno spirito gentile è, che sempre non si ricordi, et col core la sua perdita, et l’inuidia de cieli non pianga. Di questa uorrei io potere con la debita riuerenza honorare il mio discorso, ma poi che la mia lingua n’è indegna, honorerò almeno il gran nome di questa honoratissima Donna con le lagrime, fin ch’io uenga meno: che se cio mi uenisse del cielo concesso, morte non fu giamai tanto beata, che in uero non uissi mai, se non quel poco tempo ch’io la rimirai; ne piu desidero uiuere, non potendola piu rimirare, et essendomi leuata ogni speranza di ueder cosa, c’ha lei somigli. Ne si marauigli alcuno, ch’io la lodi tanto; percioche la mia lingua è mossa da un candido, et leale core innamorato di quella maestà d’animo, et leggiadria di persona, et santità di costumi. Quanto n’era inuaghita la eccellentissima Madama Margherita d’Austria, quando alloggiaua in Pauia in casa sua, et tuttauia le presentaua di grandissimi doni, degni di sua eccellenza, ma non di quella, a chi gli donaua. Et che dirò della Illustrissima, et prudentissima signora mia la Signora Marchesa del Vasto; laquale non trouando riparo al dolor suo per la morte di quel gentilissimo Principe suo consorte, andò a trastullarsi con lo stare in casa, et alla presenza di quella uera Dea, benche gia inferma? Et anchora ch’ella hauesse d’andare a gli stati suoi, non si uolse partire da una tale amoreuole, anzi innamorata seruitu di questa Donna. Ma nel suo letto, hauendola sempre di sua mano seruita, uolse che nelle sue diuinissime braccia diuinissimamente della

 

Fol. 265v

morisse e cosi cordialissimamente piangendola si parti da poi. Questa Donna gentile, fu anchora di tanto ualore, che mosse l’inuittissimo core, et l’altiero, et dottissimo ingegno del Signor Gio. Pietro Basgapio, sempre inanzi a quel tempo nemico del Feminil sesso, a seruirla, et a scriuer di lei. Ma fin qui sia detto a bastanza. Hora io non uorrei hauer tanto ragionato delle Donne lontane, ch’io non ui dicessi alcuna cosa di quelle, che ci sono presenti in MILANO. Et se ben ci paresse souerchio, per hauerle in casa; ci diletterà però farne memoria: et cio sarà quasi uno honesto uanto. Comincierò dunque col fauor uostro e’l primo luogo per tutti gli honorati rispetti sarà della Signora PRINCIPESSA DI MOLFETTA, moglie del S. Don Ferrante Gonzaga; laquale loderei forse a chi non la conoscesse; ma tutti a uoi, che la conoscete, et conoscendola l’adorate come cosa diuina, troppo gran torto farei: quasi che non sapeste quello, che tutti gli altri huomini sanno. Il secondo grado daremo alla S. Paola Torella, moglie che fu del Conte Pietro Belgioioso, la quale è anchora si bella, che non ha alcuna che l’auanzi, et poche, che la pareggino; benche gli anni habbiano usato seco, delle sue ragioni: Ma tutto questo è niente alla honestà, alle maniere, all’ingegno, et alla continenza sua. Litterata, et non bee uino; e’n somma per uno essempio di pudicitia, et di sincerità non se dee andar piu oltre, ne per santità di uita, et costumi. Nel terzo seggio porremo la Signora CLARA TOLENTINA, moglie del Signor Francesco Tauerna Gran Cancelliero. Questa è bella al paro di ogni altra, di uno ingegno, di una maestà

 

Fol. 266r

di honestà marauigliosa: ne per Donna giouane c’è la piu misurata, ne di si buon gouerno, quanto essa. La Signora Isabella Borromea, che fu moglie del Signor Renato Triuulci, è piu tosto da tenere per cosa sopra humana, quanto sia per giudicio, gouernò, santità, et honestà, che altramente. Ma la deformità della persona, in ch’ella cade fin da fanciulla per infirmità, non lascia comparere la metà del suo ualore. Viensene appresso questa una Dea in habito mortale, regina delle Donne, affabile, splendidissima, di bellissima presenza, et di signorili costumi, et da tutti come cosa principalissima riuerita: ma io non oso nomarla. M. SF. Ditela a me nell’orecchio. MV. Ma uoi mi terreste secreto; il che non si richiede al suo marito. Meglio sia dunque che io la nomini, et mostri. Questa è la Signora VIOLANTE BENTIVOGLIA. VIO. Certo se uoi ne foste nelle forze mie, ch’io mi uendicherei dell’ingiuria, che mi fate. MV. Datemi piu tosto licenza, ch’io dica quel che debbo. VIO. Anzi io ui prego, che ragioniate dell’altre; et se comandar posso, io uel’comando. MV. Poi ch’io sono sforzato a tacer di uoi quel che mi detta il uero, parlero della Signora Lucia Sauli, moglie del Signor Annibal Visconte, la quale è quella, che non ha poi pari al mondo di bellezza, di uolto, et di persona. Questa Signora è di persona tanto ben formata, et di una graue bellezza tanto ornata, con un profilo di naso tale; che si puo dire essere stata fabricata per le mani d’Amore. Diro appresso della Signora LAVRA GONZAGA, moglie del Conte Giouanni Triuulci, chiaro specchio di beltà, et di.

 

Fol. 266v

gentilezza GIO. Deh Signor Mutio se bramate piacermi, non parlate della mia Donna; percioche per quante lodi uoi potete dare, non però piu cara di quel ch’ella mi sia, me la farete mai. Ne ella risapendo d’essere stata da uoi lodata, piu ui stimerà cortese, et eloquente di cio che ui stima hora: che l’uno et l’altro è infinito. Senza che parmi disconueneuole ch’io oda alla mia presenza le lodi di me stesso. MV. Poi che non m’è concesso, ch’io parli hoggi a mio modo, non mi sarà però negato l’accompagnare con la Signora Laura la Signora Camilla Trinchera charissima amica, et non men che sorella alla sopradetta. Et uedete che puo la sorte, non haura l’una di loro qualità alcuna di lode et d’honore, che per il rarissimo, et stretto uincolo d’amicitia, che le unisce insieme, l’altra non stimi suo proprio. Et ben ha in cio giustamente proueduto il cielo, facendo di due corpi uno animo solo; poi che egualmente ambedue haueua illustrato di bellezza pari, et di honestà simile. Et io ho udito dire da un ualoroso gentil’huomo de piu grati et familiari del Signor Don Ferrante, il quale è diligentissimo et honestissimo osseruatore delle bellezze, et delle uirtu  di questa gentildonna; che gia le fu dato il uanto della piu bella Donna di Milano, et da chi? Forse dal qualche sciocco, et priuo di giudicio: dal maggiore et migliore huom del mondo, ch’è l’inuittissimo CARLO Quinto Imperatore. Et che la sentenza di cosi grandissimo Principe sia uera, lo mostra primieramente la sua testa, nella quale le chiome ne troppo folte, ne rare, et la misuratissima qualità della fronte, et il lineamento delle belle ciglia, et

 

Fol. 267r

parimente gli occhi alquanto humidi, con quello di allegro, et digrato, ch’entro ui si uede, mescolato con una certa uenerabil maestà, sono. Et oltre a cio la bella giuntura della morbide braccia alle dilicate mani, et le mani con quelle dita lunghe, et che quasi insensibilmente si assotigliano sino alla sommità loro, da splendidissime onghie raccolte, si ritrouano in lei. Le gote poi, et quella parte, che confina con le chiome, et quella, che circonscriue gli occhi, et il mansueto, et dolcissimo riso, che fa obliare qualunque il mira, et il santissimo pudore, et la grauità dell’andare, et la ueneratione dello stare; il naso poi di mirabil misura, et di conueneuole qualità, et il ben formato mento, et la tenerezza di quelle parti, che da lui si diffondono, quali nelle guancie, et quali sotto a se, et confinano col collo, et il contorno tutto della serena faccia, sono suoi. Ma la soaue, et conueneuolissima bocca, et le dilicatissime labra, anchora lo eguale, et ben proportionato collo, et la grandezza della persona, la quale ne in sconcia lunghezza si estende, ne in pargolezza discende, si danno proprio a lei. Il petto poi, doue fa mistiero temperatissimamente rileuato, et la quadratura delle spalle, et la larghezza loro, un poco ascendendo da gli homeri fino alla posatura del collo, et con quello attissimamente congiunti, si ueggon pure in lei. Io non m’estenderò piu minutamente a racontarui l’altre bellissime parti in lei da ciascuno di uoi, si come è da credere, giudiciosamente osseruate, et conosciute; solo dirò, che queste sue infinite bellezze sono accompagnate da bellissimi modi, ch’infiammeriano ogni gelato core, non che i leggiadrissimi caualieri della natione Spagnuola;

 

Fol. 267v

i quali come gratiosi serui delle Donne, et d’Amore, che nel uero sono, da lei honestissimamente si ueggono graditi, et hauuti cari. Ma io non mi son però tanto fermato in questa sola, benche unica al mondo, ch’io non uoglia anchore passare ad altre singolari: si come è la Signora LIVIA figliuola del Conte Philippo Torniello, et moglie dal Conte Dionigi Borromeo, la quale oltre ch’è bellissima et honestissima sopra modo, scriue eccelentissimamente et uerso et oratione sciolta nella nostra lingua: et è ben ragione, che quelle sue candidissime, et dilicate mani s’affatichino spesso in si lodato essercitio. Madama Claudia Francese, nata nobilissimamente d’una sorella dell’Armiraglio di Francia, et moglie del Signor Gio. Battista d’Arconato, la quale è perfettamente bella, et intieramente ualorosa, et honesta. Tacerò io la S. BARBARA dal FLISCO, moglie del Caualier Visconte; di cui si puo dire col uero, che quanta bellezza, quanta gratia, et leggiadria hoggidi si puo uedere in Donna alcuna, è nulla al par di quella, che si uede in lei? Non merita d’essere lasciata adietro la Signora Francesca Piola, moglie del Signor Gasparro Visconte; percioche la sua rara beltà, et le uirtu  dell’animo son conosciute anchora dalle persone strane, non che qui; doue elle sono adorate. Dirò anchora della Signora TRIVVLTIA, la grandezza dell’animo, et i meriti della quale meglio di me sa ciascuno di uoi; gli tacerò dunque, per non scemargli pregio. Qui è similmente la Signora Hippolita dalla Vela, la quale infino ad hora mossa da nobilissimo spirito, ch’è in lei, ha dato opera alla lingua Thoscana, et Spagnuola

 

Fol. 268u

di, et notte leggendo tutti i libri, ch’ella poteua hauere, et hora in habito et uita uedouile, tutta s’è data a gli studi delle sacre lettere, non per finger santità, ne per rendersi pizzocchera; ma per attendere alla uita della uerita. Et per essere nobilissima, et modesta di continuo si duole esser nata Donna: perche ueggendo chiaro la imperfettione del sesso, non l’escusa punto, anzi lo danna: et doue si può, camina per il uero sentiero della lealtà tanto diuina, quanto humana. Ben m’incresce, che cosi saggio intelletto prenda si graue errore, quanto è credere, che le Donne siano imperfette: ma uo piu tosto ascriuere questo alla humiltà sua. Di costei imita i santi uestigi la Signora NICOLINA, moglie di M. Aran Centurione, gentildonna Genouese, di spirito si sublime et uiuo, che impossibile è asseguirlo con l’imaginatione, non che ragionarne in parole: oltra ch’è bellissima, et degna molto, che per lei si scriua, et parli. Questa Signora Nicolina, o Nizzolina, per dir meglio, et nome piu appropriato a lei: perche si come quegli animaletti, che si chiamano Nizzolini, rodono le scorze de gli alberi, benche siano duri, come di Noci, et Nocciuoli, et altri simili: onde al mio giudicio hanno acquistato il nome; con la sua beltà, et leggiadria, con la uiuacita di due uaghi, et ladri occhi, rode ogni scorza benche prouista, et dura; per rodere, come poi rode anchora, crudelissimamente i cori. Et certo io non mi posso contenere, ch’io non riprenda alquanto la sua irreprensibile, ma ben troppo seuera alterezza; la quale fortificata da lei con fedelissimi pensieri d’honestà, mancata in questo della clementia et della pietà, non degnando conoscere ne gradire

 

Fol. 268v

i suoi ueri serui. Iquali per essere honesti molto et ualorosi, meriterebbon pure d’esser distinti della turba uolgare de i folli amadori: et cosi sauia Donna non deurebbe però sdegnare di essere amata et seruita da chi n’è in qualche parte degno. Doue generalmente peccano tutte le piu belle, et piu saggie; lequali per conseruare il pregio d’honestà inuiolato, tanto son disdegnose, che non discernon punto fra i cortesi et gentili, et fra la torma de gli sciocchi et dishonesti amanti. Dal quale errore prego che elle si guardino per lo innanzi, accioche noi altri possiamo giudiciosamente lodarle di sano giudicio, et d’ottimo accorgimento, senza uenir tassati d’adulatione da i nostri et loro comuni nimici. Ma doue m’ha portato l’affettione e’l debito, si ch’io non m’accorgeua d’hauerui ragionare della Signora DEIANIRA sorella del Principe di Macedonia, et moglie del Signor Gasparro Triuulci, leggiadramente bella, et uirtuosamente honesta; laquale merita ogni qualità di lode, et di comendatione non tanto per la nobiltà della casa, laquale fu sempre illustrissima, et reale, quanto per la grandezza dell’animo suo. Scordauami la Signora CAMILLA Doria, moglie del Conte Sforza Morone, fratello del Cardinale, et figliuolo di quel Signor Gieronimo, ilquale hebbe gia in mano il gouerno di tutto questo stato, e’l maneggio d’Italia, per la prudentissima esperienza ch’egli haueua dell’attioni del mondo. In che ben lo somiglia il magnanimo Conte Sforza. È questa gentildonna, non solamente bella, ma molto piu gentile, piaceuole, et gratiosa: lequali conditioni fanno la sua bellezza di gran lunga maggiore. La Signora Anna

 

Fol. 269r

Morona sorella del Cardinale, et del Conte Sforza gia detti, ualorosissima Donna, et di ottimo giudicio, moglie del Conte Massimiano Stampa Marchese di Soncino. La Signora LEONORA MORONA, BOTTA, et la Signora Amabilia Morona, Galerata, ambidue ueramente ornate di honesta bellezza, et molto gentili et ualorose. La Signora EVFROSINA VISCONTE Pallauicina figliuola dal Caualiere Alfonso Visconte, et della Signora Antonia Gonzaga, moglie del Conte Roberto, gia Signore di Zibello, et di Roccabianca, si ualorosa signora, quanto altra c’hoggi uiua: come bene ha mostrato nell’auersa fortuna del marito, nella quale hauendo perduto lo stato, et le facultà, ha però sempre seruato la maesta, et grandezza del grado, et nobile animo suo. Dilettasi di tutte le uirtu, et di leggere i buoni auttori, et massimamente della lingua Thoscana; nellaquale ha ottimo giudicio: et per dirui il tutto in poche parole, ella è sorella carnale della figliuola delle Gratie dico della dolce, honorata, et felice memoria della honesta uirtuosa, et bella Signora Contessa Giulia Visconte. Farei uergogna anchora a me stesso, tacendo il nome della Signora Emilia Torniella, moglie del Conte Hippolito del Maino, il cui uago, et leggiadro corporal manto è imaginato del suo puro, et diuino intelletto, disegnato dall’unione di tutte le Idee. Mancaua similmente al debito mio, non mentouando la Signora LIVIA SCARAMPA, moglie del Signor Gieronimo Riccio, giouane bella, et gentile; ch’assai si diletta nella lettione delle cose scritte in lingua Thoscana; et ha di cio piu che mediocre giudicio. Ma io uoglio finalmente

 

Fol. 269v

per hora serrare le bellezze di Milano col piu bel uolto del mondo, con un thesoro nascosto in una chiusa, et solitaria ualle; ch’è una bellissima giouane chiamata Gostanza, incostantissima nello amore: laquale ha ben da dolersi molto della fortuna, che non l’habbia fatta nascere sotto real palazzo; et dotata di molte ricchezze; poi che l’haueua fatta uscire di nobil sangue. Che benche ella habbia cento amanti, et tutti di mirabil giudicio, non è però alcuno di si magnanimo core, ch’ardisca disprezzare una poca quantità di beni di fortuna, per abbracciare la piu bella figura, c’hoggi risplenda in terra. Ma ne passerò hora a GENOVA, auanzandomi assai poco uiaggio per finire il mio intento; et nominerouui sei sole gentildonne, che con le loro qualità diuine ornerebbono mille delle piu pouere c’habbia il secol nostro: et queste sono la Signora Gieronima Cattanea, moglie del Signor Gieronimo Centurione, bellissima, prudentissima, et honoratissima. La Signora Maria Spinola, moglie del Signore Agostin Doria, Donna bella, et d’incredibil ualore. La Signora Mina Centuriona, moglie del Signor Gio. Antonio Negrone, gentilissima, et d’animo reale. La Signora Turca Sauli, et Cesarea, uedoua, bellissima, et ornamento della Pudicitia. La Signora Battina de Negroni, candidissima, et uaghissima di corpo, ma molto maggiormente di core. Et la Signora Maria Gentile, moglie del Signore Alberto Centurione, ueramente gentile, bellissima, et ben creata. Non è stata però la natura manco cortese, et larga delle sue gratie alla città di COMO, doue rispetto alla qualità del luogo, che non è grande molto, infinte ui sono Donne

 

Fol. 270r

pregiate et chiare: et fra l’altre u’è la Signor Buona Rusca, bella uirtuosa, et gentile, che non pure si diletta di leggere le compositioni Thoscane, ma in questa lingua anchora compone alcuna cosa da non essere sprezzata per quegli che u’hanno fatto studio. Fauorisce oltra cio meritamente tutti gli huomini uirtuosi; et litterati; et è l’honore di quella città. La Signora Lisabetta Parauicina de Cittadini, bella, et saggia. La Signora Antonia Amadea Muralta con le medesime conditioni. La Signora Caterina Rusca da Lucino, la Signora Rosa Giouia de Turconi, la Signora Isabella Raimondi, et la Signora LIVIA de Vicedomini, Odescalca; in tutte lequali possiamo uedere con gli occhi del corpo, et dell’intelletto la somma bellezza di quel primo bello, et delle diuine Idee. Altro piu non mi resta, anzi ch’esca d’Italia, che raccontarui le bellezze di CASALE in Monferato; dellequali potrei fare un libro intiero, s’io gia non fossi stanco; me ne dirò tre sole a giudicio mio degne d’entrare in luogo delle tre Gratie. La prima è la Signora VIOLANTE DA SAN GIORGIO, laquale certo è bellissima, come ben mostra la giusta, et comune grandezza nella statura, tanto ben proportionata, quanto si possa dire. La fronte per il suo sereno, et giocondo marauigliosa molto. Le ciglia rileuate, diuise, et sopraposte a due occhi tanto benigni, piaceuoli, et pieni di soauità; che rasserenano d’ognintorno l’aere doue si rouolgono. Oltre a cio couiensi molto ben a cosi begli occhi quel naso misurato, che con la gratia, et nouità, ch’egli mostra priua di liberta ciascun che lo mira. Sotto ilquale si uede quella bocca sempre ridente

 

Fol. 270v

ne gli atti suoi, accompagnata da bellissimo mento, et da tante altre fattezze particolari, lequali oltre che danno marauiglia a riguardanti, fanno testimonio a ogniuno, che alla guardia di cosi bel corpo, altro che una anima purissima, et cupidissima d’honore non puo stare. La seconda è la Signore BVONA SOARDA DA SAN GIORGIO, prudentissima, et ualosa matrona, et d’ottimo discorso nelle cose del mondo; laquale sola basterebbe a difendere tutte le Donne contra chi presumesse accusarle d’imperfettione, et di poco giudicio, con le uirtu dell’animo, che la rendono singolare. La terza è la Signora ANNA DEL CARRETTO, Donna ueramente gentile, benissimo creata, humana, modesta, piaceuole, et tutta piena di soauità, et dolcezza: talche non è si maninconico spirito, che udendo le sue angeliche parole accompagnate da cortesi, et diuini modi, tutto non si console, et acqueti. Ecci di piu, chi m’hauea quasi scordato, et uoglione male a me stesso, la Signora CATERINA DEL PERO, donna molto bella, gentile, accostumata, et gioconda; laquale accompagna la maestà del corpo con la modestia de i passi; iquali si muouono con tanto honesta grauità, che l’interne uirtu della anima casta, par che stampino l’orme de suoi piedi. Ha finalmente la città d’HASTI la Signora CATERINA MONTAFIA, uedoua giouane delle belle, et ualorose gentildonne, et magnifiche Signore d’opre, et di sangue illustre, quanto hoggi uegga il mondo. Tali sono le bellezze, et le uirtu delle Donne d’Italia, le quali io u’ho piu tosto accennato, che lodato, non per confermare l’openione mia; laquale

 

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poco ha bisogno d’essempi; ma solo per piacere a chi mi puo comandare. Et ben ui uoglio dire, che solo di quelle poche ho fatto mentione, lequali sono arriuate a mia notitia, o per relatione d’huomini degni di fede, o per testimonio, che me n’hanno fatto gli occhi miei. Doue mi scuserei con l’altre, lequali io ho passato con silentio, quando credessi, che questo mio inconsiderato discorso fosse per uenir mai in publico. Percioche quel che io non ho detto, è stato solo per non sapere piu oltra; et forse altri dopo me uerrà, che piu copiosamente, et con miglior modo suplirà il mio difetto. FAV. Gran memoria certamente è la uostra, hauendoui uoi fatto diligente conserua di tanti, et si diuersi nomi: ilche mi fa marauigliar molto, hauendoci mostrato d’hauerle inanzi a gli occhi. Ma fateci anco un piacere, poi che hauete preso tanto fatica per le Donne d’Italia, per non parer troppo affettionato alle cose uostre, diteci anchora d’alcuna Donna illustre della Francia, et de gli altri paesi. MV. Perche io non posso negarui cosa, che ui piaccia, eccomi pronto a ubidirui: benche la breuita del tempo mi scuserà con uoi, et con queste altri Signori, ne seruero quel ordine, c’ho fatto nelle città d’Italia; ma parlerò solo d’alcune principali: et di queste porrò la prima Madama la Reina di Francia, dico la Serenissima et Christianissima CATERINA DE MEDICI; laquale benche di nobilissimo sangue Italiano sia nata, è pero l’ornamento, lo splendore, et la gloria di quel felicissimo regno: et non pure per il grado che ella tiene è hoggi la prima Donna del mondo, ma per le uirtu sue anchora: lequali sono materia d’historia, e

 

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d’eloquenza assai maggiore della mia. Nell’altro luogo porrei Madama la Reina di Nauarra, se della santità, et prudentia sua non si fosse un’altra uolta diffusamente ragionato. Questa è quella Donna, laquale deurebbe consolare tutte l’altre, et leuar loro un certo uano desiderio di uolere essere huomini, ilquale comunamente regna in esse. Il terzo grado sarà di Madama MARGHERITTA sorella del Christianissimo Re Arrigo, nellaquale sono tutti i beni del corpo, et dell’anima, come in proprio albergo riposti dintorno a i quali non starò discorrendo, per essere eglino a ciascuno di uoi chiaramente manifesti. La quarta sara M. la DVCHESSA DI VALENTINOIS moglie del gran Siniscalco, nellaquale si ritroua destrezza di diuino ingegno, perfettione di giudicio, integrità d’animo, sincerità di uita, generosità di core, et purità di conscientia; et è oltra cio sempre schiua di falsità, di simulationi, et di qualunque cosa indegna di Donna ch’ami Dio, et tema i suoi santi giudicii. Et ben debbe ella fra se stessa tacita mente allegrarsi, et render gratie a Dio; il quale sopra di lei ha piouuto tanti, et si illustri doni che basterebbono a illustrare tutta la Francia: et finalmente l’ha fatto Donna tale, che meriterebbe hauere l’imperio di Europa. Io uolea far qui fine alle Donne, et al mio hoggimai di loro troppo lungo, et noioso ragionamento; ma mi pareua fare ingiuria a una Donna priuata, ma nobile Francesce [sic]: laquale bench’hoggi sia morta, uiue però la memoria sua, et uiurà molti secoli in bocca delle persone illustri. Di costei mi fu dato notitia in Fiorenza da un nobilissimo et letteratissimo giouane detto Messer

 

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Giouanni Nicoti da Nimese in linguadoca; il quale gentile huomo mi contaua miracoli del ualor di lei. Questa gentildonna si chiamaua Madonna Scolastica Bettona; et nacque in un palazzo campestre uicino a Granopoli nel Delfinato di parenti nobili, come è l’uso di Francia, che quasi tutti i gentilhuomini, non habitano nella città, ma nella campagna. Prima fu domandata Claudia, poi per essersi renduta monaca, Scolastica hebbe nome. Costei si come quelle, che ne primi anni suoi grande accorgimento, et senno dimostraua hauere; co suoi gentili et rari costumi mosse un monaco detto Dionigio Faucierio a uoler le lettere Latine insegnare: nelle quali tanto inanzi si fece, che non pure intendendo gli scritti de Latini, ma etiandio componendo, come tutte, l’altre Donne di quello studio uaghe di gran lunga ha auanzato, cosi molti, et non inetti scrittori del medesimo tempo ha pareggiati. Lo stilo suo è puro, et senza neo, et tale, che nelle lettere mandate è stata facile, et nelle omelie efficacissima; quelle gratie in Latino seguitando, che Basilio, cui molto sempre hebbe in honore, nella Greca fauella ha espresse. Mossi innumerabili huomini dotti da questi scritti suoi, di molte miglia, per prouare in presenza cio che le lettere di lei testimoniauan loro, hanno allungata la uia: et da infiniti è stata con lettere salutata, et poscia con la stampa cosi celebrata, come ad ogni peregrino, et gentile ingegno si conueniua. Il Re Francesco dopo hauer molte uolte intesa, et nelle lettere da lei scrittegli, conosciuta la uirtu di lei, piu giorni le dette lettere in seno serbandosi alle gentildonne della sua corte con rinfacciamento mostrolle; et non pure la lodò

 

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ma ritrouandosi sua Maestà in Auignone, mandolla a uisitare. Il Budeo huomo dottissimo con questi medesimi stimoli le sue figliuole incitaua; perche et a costui anch’ella scrisse. La Reina di Nauarra non contenta di quanto le n’era detto, o mostrato, uolle andar da lei, et contanta amoreuolezza si nell’arriuare, et ne ragionamenti, come nel dipartirsi da lei la uide; che deposta la regal pompa, da famigliarissima sorella portossi con essolei. Fu poi creata a Badessa nel suo monistero, ch’è a Tarascone in Prouenza, cagionandole si fatta dignità la uirtu sola: et poi col maneggio del monistero mostrò il giudicio di quegli, che l’haueuan promesso, essere stato et fedelissimo, et sincero. Nel uerso ha seguitato il Saphico, nelle openioni gli Academici; della Philosophia ha la parte de costumi abbracciato: onde di bella ragionatrice appresso tutti ha hauuto il uanto. Et se ha ben composto in Latino, ha di certissimo ella in uolgar Francese ragionato sempre, et benissimo scritto. Mori pochi di sono, come io intendo, et con lei la beltà, il ualore, et la cortesia insieme. Et io sarò contento di finire in lei la lunga diceria ch’io ui ho fatto delle Donne moderne; chiedendo a loro, et a uoi perdono della presontion mia, et di non hauere, come si conuerrebbe, parlato delle lodi sue. VIO. Et io in nome di tutti questi Signori, et mio, non pure ui scuso, et perdono; ma ui lodo, et ringratio anchora d’hauer cosi bene et copiosamente adempiuto la promessa uostra, et l’aspettation di noi: lasciando a parte dell’obligo, ilquale sarà infinito, quelle ualorose Donne, lequali sono state degne d’esser celebrate dalla eloquenza uostra.

IL FINE.