La nobiltà delle donne Book 3

by Ludovico Domenichi
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Title: La nobiltà delle donne
Author: Domenichi, Lodovico (1515–1564)
Date of publication: 1552
Edition transcribed: (Venice: Gabriel Giolito di Ferrari, 1552)
Source of edition: Google Books. < https://books.google.ca/books/about/La_nobilt%C3%A0_delle_donne.html?id=seRQAAAAcAAJ&redir_esc=y >
Transcribed by: Tanya Ludovico, Marco Piana and Cassandra Marsillo, McGill University 2017.
Transcription conventions: This is a semi-diplomatic edition that seeks to reproduce as many features of the original text as possible. All abbreviations have been resolved, yet no other orthographic rendering has been made. Some notable mistakes have been kept and flagged with a [sic] tag. “V”s and “u”s are as they appear in the original text.
Status: Completed and corrected, version 1.0, March 2017.

 

Produced as part of Equality and superiority in Renaissance and Early Modern pro-woman treatises, a project funded by the Social Sciences and Humanities Research Council of Canada.

 

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TERZO LIBRO

 

Fol. 102r

 

IL TERZO LIBRO

DELLA NOBILTA’ DELLE

DONNE DI M. LODOVICO

DOMENICHI. DOVE RAGIONANO IL

CAVALLIER CICOGNA, IL CONTE

SFORZA MORONE, LA S. VIOLAN

TE BENTIVOGLIA, IL SIGNIO

RE AGOSTO D’ADDA E IL

  1. MVTIO GIVSTINO

POLIT.

 

DICONO i Pithagorici, che la Philosophia non fa marauigliare altrui di cosa alcuna. Or questa uoce hanno sempre alcuni disgratiatamente, et fuor d’ogni proposito in bocca, credendo che col dispregio delle cose terrene, ui sia anchora aggiunto il non lodare, ne honorare chi lo merti. Et di qui pigliando occasione, non è cosa degna di riuerenza, et di honore, ch’essi non la dispregino, et scherniscano a un certo modo. Ben’è uero, che la uera Philosophia leua l’huomo dall’ignoranza, et dal marauigliarsi; che da quella come figliuolo da madre nasce; mostrandoli chiare le cagioni delle cose; ma non

 

Fol. 102v

però li toglie la destrezza dell’ingegno, ne l’amore dell’umanità: percioche noi sappiamo, che quegli, che sono ueramente buoni, et ualorosi, hanno sempre fatto gran conto di honorare le persone degne; et hanno reputato acquistarsi un grande ornamento col mostrarsi cortesi in honorare chi loro n’è paruto degno. Per laqual cosa chi in cio si mostra misero et uillano, rendarsi certo, che questo è un testimonio chiaro, ch’egli è assai pouero della propria gloria: onde nasce quel tanto ardore, et quella sete de gli honori propri suoi. Il buon giudice hauendo a sententiare in una lite, dee udire le parti senza pendere, ne per amore, ne per odio, piu da questa, che da quella. Nondimento nell’udire l’oratore, non gli è uietato ne da legge, ne da giuramento alcuno, ch’egli non gli uolga amoreuolmente l’animo sopra. Et questa fu la principal cagione, per che gli antichi posero a lato alla statoua di Mercurio o simulacri della Gratie, quasi che il parlare habbia molto bisogno della gratia, et del fauore di chi ascolta: ne credeuano che fosse cosi uile Oratore, ne cosi sciocco, et impertinente nel dire, che non meritasse pure qualche poco di fauore da gli ascoltanti: percioche quantunque manchi nel resto, è nondimeno di qualche fauoretto degno, o per l’argomento istesso della oratione, o per la inuentione, o per lo modo del dire, o per gli affetti, che si sogliono nelle parole uedere; non altramente, che le uaghe uiole nate fra sentieri aspri et sassosi. Et se si trouano di quegli, che lodando il uomito, o la febre, ritrouano gratia, et fauore appresso chi gli ode orare; perche non dee una persona degna,

 

Fol. 103r

un Philosopho parlando di cose alte, trouare tanta beniuolenza ne’suoi humani auditori, che ne sia per qual che accasione fatto di qualche poco di gloria degno? massimamente che, come dice Platone, l’amore fa spesso quelle cose lodare, che paiono brutte altrui. Perche hauendo io a riferire quel che fu ragionato il terzo di dal Signor Mutio Giustinopolitano, et dal Signore Agosto d’Adda in lode delle Donne, alla preferenza della Signora Violante et de gli altri Signori; sarò ben certo, che tutti gli huomini buoni et ualorosi honoreranno e in riuerenza hauranno cio che da loro fu riuerito et lodato. Et non dubiterò punto, che l’oratione di due si rari gentilhuomini non habbia la gratia e’l fauore di tutte le persone giudiciose, et amiche del uero. Tanto piu leggendosi nell’essempio di quello ch’essi hebbero a dire, inuentione, modo di dire, et gli effetti, che si sogliono nelle parole uedere. Le quali parti benche ne miei scritti promettere non ui possa; non è però che da quel ch’io n’ho scritto, non si uenga a fare congiettura, qual fosse il ragionamento loro. Dico adunque, ch’essendosi la sera inanzi spezzato quasi nel mezzo il parlare del Signor Mutio, et rimanendo ne gli animi de gli auditori attenti fresca memoria anchora di quel ch’egli hauea detto; ridutti i gentilhuomini propre detti in casa la Signora Violante all’usata Hora, et nel solito luogo; il Signore Cauallier Cicogna fu primo a ragionare in questo modo. CAV. CICOGNA. E non si puo gia negare, che noi huomini naturalmente non siamo molto affettionati alle Donne; poi che hauendo gia per di due piene l’orecchie delle lode loro, il terzo

 

Fol. 103v

giorno anchora piu desiderosi che mai si mostriamo d’udirle. CONTE SFORZA MORONE. Et onde fate uoi, Caualliere, questo argomento? CI. Dallo esserci ritrouati noi qui poco meno che tutti quei medesimi dell’arte sere. VIO. Et Dio sa con che animo. AGOSTO. Parte di noi siamo qui per lodar le Donne, parte per farne beffe. VIO. Mentre che siamo lodate, rida chi uuole: et cosi il Signor Mutio farà principio senza altro principio. MV. Vedete gran fauore che fe Giesu alle Donne, ch’egli risuscitando da morte, a loro prima apparue, che a gli huomini. et chiaro è, che cio fece egli, si come tutte l’altre cose, con giustitia molta : perch’egli uide come dopo la morte sua tutti gli huomini lo rinegarono, et perderonola fede, ch’essiprima haueuano in lui; ma le Donne non mai, anzi sempre stettero constantissime et fedeli. SF. Il medesimo haurebbono fatto, quando elle hauessero preso alcuna falsa openione. MV. Dunque in tutte le cose piu costanti; et di piu fermo proposito, che gli huomini sono; iquali a ogni minimo soffio di uento girano hor la, come leggierissime foglie. Le donne oltra di queste non si legge mai ch’elle persecutione alcuna facessero alla fede; ne da loro è proceduto errore, ne alcuna heresia circa quella; ma ne gli huomini, oime, come s’è ueduto mille uolte il contario; et hora si uede piu che mai; misera ueramente la condition loro. CHRISTO fu da gli huomini tradito, uenduto, comprato, accusato, condannato alla morte, tormentato, crocifisso, et finalemente uituperosamente morto. Fu dal suo Pietro rinegato, da

 

Fol. 104r

gli altri discepoli abandonato; dalle Donne sole fu sino alla croce et alla sepoltura pianto et accompagnato. et piu si adoperò la moglie sola di Pilato, benche pagana fosse, per saluarlo dalla morte; che non fecero tutti quegli huomini, benche molti fossero, iquali in lui haueuano creduto. Aggiungete a questo, che quasi tutta la schola de Theologi è d’una medesima openione; cio è, che la Chiesa solo rimanesse appresso la Donna, dico Maria uergine: et per tal cosa meritamente il sesso delle Donne è detto religioso sacro et deuoto. VIO. Io ho intesodire anchora, che per questa cagion nella settimana Santa, quando a una a una s’ammorzano quelle XV candele, che si tengono accese dinanzi all’altare, quella ultima che sola si conserua, è la gloriosa madre di Christo, laquale sola in quelle sue tante tribulationi, non perde mai la fede. SF. Ma che direte uoi, ch’Aristotele, cui uoi tanto allegate, dice, che fra tutti gli animali i maschi sono piu forti, piu nobili, et piu prudenti? MV. Et San Paolo dottore assai piu eccelente, ch’Aristotele non fu, a uoi et a lui risponderà, dicendo; che Iddio elesse le cose che sono pazze al mondo, per confondere i saui: et Iddio similmente fece elettione delle cose debili a confondere le forti: et Iddio scelse le cose abiette et sprezzate dal mondo per disfuggere le honorate, et grandi che ui sono. Il piu sublime fra tutti gli altri huomini in tutte le doti et gratie della Natura, fu il primo padre Adamo;  et pure la Donna l’humiliò. Il piu ualoroso delle forze del corpo fu Sansone; et una Donna superò la sua fortezza. Chi piu continente di Loth? Nondimeno la Donna

 

Fol. 104v

lo prouocò al peccato di lussuria, che si commette fra parenti. La Donna turbò la santità di Dauid, che fu si religioso. La Donna ingannò Salamone, tanto sauio. Patientissimo fu Giobbe; a cui il Diauolo di uolontà di Dio tolse tutti i beni, uccise la famiglia et i figliuoli, et lui empiè di piaghe, di marcia, et di dolori in tutto il corpo; non di meno dalla sua prima semplicità et fortezza d’animo non lo puote mai mouere ad ira; et la Donna lo prouocò a sdegno, uincendo in questo il Diauolo, che lo condusse a maledire il di ch’egli era nato. CAV. CI. Per questo mi credo io che nascesse un prouerbio fra la plebe, il quale dice; che le Donne ne sanno una piu che’l Diauolo, MV. Et se pure mi fosse lecito in questo paragone allegar Giesu, di cui cosa non è ne piu forte ne piu sauia, essendo egli la eterna sapientia et possanza d’Iddio; uolle essere uinto da quella Feminuccia Cananea; che dicendole egli; è non è honesto torre il pane a i figliuoli, et darlo a cani, et rispondedogli ella; certo si, Signor mio; et nondimeno i cagnuoli mangiano i minuzzoli, che cadono dalla tauola de i padroni; et Christo uedendo gia che per tale argomento d’humilità non la poteua superare; la benedisse dicendole; sia fatto cio che tu uuoi. Chi fu piu ardente nella fede, che Pietro Principe de gli Apostoli? et pure egli sommo Pastor della Chiesa fu condotto da una Femina a rinegar Christo. CI. Tutte queste cose che uoi hauete detto dianzi, a me pare, che piu tosto elle tendano in biasimo delle Donne; la doue in sua lode hauete creduto dirle. MV. Se all’uno di noi due conuiene perdere bene alcuno, et non ch’altro la uita,

 

Fol. 105r

io amo piu tosto che tu rouini, che io. LV. Et le nostre leggi anchora concedono, ch’alle Donne sia lecito di prouedere a se medesime con danno altrui. MV. Piu oltre, nelle sacre lettere bene spesso è benedetta et lodata la iniquità della Donna, piu che il bene operare dell’huomo. Commendasi Rachele, che con leggiadra astutia ingannò il padre, che cercaua gli idoli. Rebecca è similmente celebrata, che con malitia rubò la beneditione ad Esau, et fecela paruenire in Iacob, et di piu liberò questo dall’ira di quello. Raab meretrice si puo dire, che tradi la patria sua, ingannando coloro che cercauano le spie di Giosue; et questo atto l’è attribuito a giustitia. Iohel usci incontro a Sisara; lo riceue come amico nel suo padiglione, diedegli bere del latte, et poi dormendo lo percosse sul capo con un chiodo, et l’uccise. Et per tale assassinamento è benedetta nella sacra scrittura, laquale di lei dice; Benedetta fra l’altre Donne Iohel, benedetta sia ella nel tabernacolo suo. Leggasi l’historia di Giudith, et uedrete con quante belle parole ella ingannò Oloferne, promettendogli nel nome di Dio condurlo in mezzo di Gierusalem, et darli in mano il popolo di Israele aguisa d’altrettante pecore, che non hanno pastore; et che di cio lo assicuraua ella, perche Iddio glie le hauea riuelato. Et poi che l’hebbe addormentato con si dolci lusinghe, gli percosse il collo, et gli tagliò la testà. Ditemi ui prego, se consiglio piu scelerato, inganno piu crudele, o tradimento piu doppio si puo pensare di questo? Et nondimeno per si degna cagione la scrittura la benedice, la loda et l’essalta al cielo. Non faceua buona opra Caino

 

Fol. 105v

offerendo a Dio primitie et d’ottimi frutti; et pur fu riprouato da lui. Non faceua egli Esau pietoso ufficio, quando ubidiente al padre andaua a caccia a procacciargli da mangiare; in tanto con inganni glie usurpata la propria benedittione, et odiato da Dio? Oza penso far seruigio a Dio; quando rileuò et sostenne l’arca che cadeua; et pur fu percosso et morto dall’ira di Dio. Il Re Saule, all’hora ch’apparecchiaua le uittime grasse de gli Amalechiti per sacrificare a Dio, fu scacciato del regno, et dato in possanza allo spirito maligno. Le figliuole di Loth, lequali carnalmente si congiunsero col padre sono iscusate di si graue peccato; et a lui, benche fosse ubbriaco, non si ammette scusa; et la sua succesione è rifiutata dalla chiesa d’Iddio. CI. Il Signor hauendo risguardo alla semplicità d’animo di quelle fanciulle, lequali pensarono di riparare la generatione humana, credendosi ch’ella fosse perduta, per hauer uisto l’incendio et la ruina di tante città; perdono loro, et scusolle. A Loth non fu perdonato: perche l’huomo fauio non dee darsi in preda al uino, padre de gli scandali, et degli errori. MV. La incestuoso Tamar è scusati, et chiamasi piu giusta, che Guida Patriarca; et merita di estendere la linea del parentato del Saluatore col fraudolento incesto. Hora fateui inanzi, huomini ualorosi et forti, et uoi intelletti scolastici grandi di scientia; et se ui da il core di poterlo fare, con altrettanti essempi sostenete la contraria openione, cio è, che piu accetta sia la maluagita dell’huomo; che non è la giustitia della Donna. Veramente uoi non la potrete disendere se non con allegorie sforzate; doue

 

Fol. 106r

all’hora l’auttorità della Donna andrà di pari con quella dell’huomo. Ma ritorniamo a casa. Con questo cuidentissimo argomento non è dubbio alcuno della suprema eccellenza di cotanto felicissimo sesso; che la dignissima sopra tutte l’altre creature, di cui non fu mai, ne sarà nessuna altra piu degna, fu Donna, dico la santissima Vergine: della quale (dico che’ella ueramente sia concetta fuor di peccato originale) quanto all’humanità Christo non fu maggiore. Anzi dalla sacra scrittura ella è chiamata Petra primaria, et Christo seconda. Vi prouo questo anchora non solamente per la sacra scrittura, a cui cedete per riuerenza, ma per un’altra molto potente ragione di Aristotele. Quel genere è piu nobile dell’altro, ilquale essendo ottimo, e piu nobile dell’ottimo dell’altro genere: nella generatione delle Donne ottima è la Vergine Maria; nelle maschili non ne nacque mai il maggiore di Gio. Battista. Et tutti i catholici sanno di quanto lo auanzi la santissima Vergine, laquale è sopra i chori di tutti gli angeli sublimata. Si potrà similmente fare uno argomento in questo altro modo. Quel genere, il pessimo di cui è peggiore del pessimo, è anco inferiore al detto genere: et gia sappiamo noi, che l’huomo è uitiosissimo et pessimo di tutte le creature, o che egli sia stato Giuda, il quale tradi Christo; di cui Christo disse; meglio era per costrui ch’e non fosse mai nato: o ch’egli habbia da essere qual che Antichristo peggiore di lui, nelquale habiterà tutta la malitia del Diauolo. Leggonsi anchora nella sacra scrittura molti huomini condannati alle penne dell’Inferno; et di nessuna Donna non si ritroua questo.

 

Fol. 106v

A cotal testimoni aggiungesi anchora una certa nobile eccellenza de gli animali bruti; percioche l’Aquila regina et la piu nobile di tutti gli altri uccelli, si troua sempre Femina; et non mai maschio: al contrario il Basilisco uenenosissimo fra tutti gli altri serpenti, non è senon maschio; e impossibile è, ch’egli nascesse femina. CI. Il Leone principe di tutti gli animali, non è egli maschio? M V. All’incontro hanno trouato gli Egittii, che la Phenice unico uccello al mondo, altro non è, che femina. CI. Buon per il mondo anchora, se una sola ci fosse donna. VIO. Ah nimico delle Donne, del genere humano, et di uoi stesso anchora; poi che uorreste uedere la fine del mondo. MV. Puossi copiosamente anchora et con altre ragioni mostrare la eccelenza, la bonta, et la innocentia del sesso feminile: cio è, che’l principio di tutti i mali non dalle Donne, ma da gli huomini è proceduto. Adamo, che fu il primo huomo formato, hebbe ardire di trapassare la legge e’l comandamento di Dio; egli serrò le porte del cielo; et egli finalmente fece soggetto ogniuno al peccato et alla morte: perche tutti in Adamo, non in Eua pecchiamo. Caino primogenito suo, et primo huomo che nacque, apri le porte dell’inferno. Caino fu il primo inuidioso, primo homicida et fratricida, et primo che disperò della misercordia d’Iddio. Lamech fu il primo, che ad uno istesso tempo prese due mogli. Noe fu il primo che s’ubbriaccasse; et Cham suo figliuolo primo che scoperse le uergogne a suo padre; onde da lui n’hebbe la maledittione. Nembroth primo tiranno et primo idolatra, il primo adultero fu l’huomo. CI. Et

 

Fol. 107r

conseguentemente la prima adultera fu Donna. MV. Se l’huomo non fosse stato il primo a sollecitarla, la Donna non sarebbe andata a pregarlo; et cosi colui che cagione del peccato, uiene a essere primo che lo commette. Il primo, che commise l’incesto, fu l’huomo. Che piu? gli huomini furano i primi che fecero patti et conuentioni con demoni, et trouarono l’arti profane. I figliuoli maschi di Iacob primi uenderono il loro fratello. Pharaone Egittio fu il primo, che uccise i fanciulli. Gli huomini furono i primi, ch’usarono il uitio contra natura: testimoni ne sono Sodoma et Gomora, et l’altre città. Che per i peccati da gli huomini furono ruinate dall’ira, anzi dalla giustitia di Dio. Leggesi anchora, che gli huomini, merce della loro sfrenata l’ussuria, hanno pigliato non pur due et tre, ma infinite mogli, adulterato et fornicato con molte. Di molte mogli et di piu concubine furono mariti Lamech, Abraham, Iacob, Esau, Ioseph, Mose, Sansone, Helcana, Saule, Dauid, Salomone, Assuer, Roboam, Abia, Caleph, Assuero et infiniti altri: et tutti questi, oltra le concubine, hebbero infinite mogli: ne contenti di quelle, per isfogare la lussuria loro, entrarono anchora alle serue. Ne in uerun luogo si ritroua, che Donna alcuna, eccetto che Bathsaba sola, non si sia contentata d’un marito solo. Ne anchora ne trouerete nessuna, c’habbia hauuto due mariti, hauendo hauuto figliuoli del primo marito. Percioche molto piu continenti, che gli huomini sono: lequali essendo sterili spesso si rimasero d’usare il coito; et di piu hanno concesso a i mariti un’altra moglie; si come Sara, Rachele, et molte altre

 

Fol. 107v

sterilli, lequali concessero ai mariti, che usassero con le fanti loro, per suscitare discendenti. Ma ditemi, ui prego, quale è stato quello huomo, anchor che uecchio, freddo, e impotente all’ufficio del matrimonio, c’habbia usato tanta pieta et clementia uerso la moglie, et uoluto in suo luogo sostituire alcuno, che nel fecondo uentre di quella spargesse fertil seme? CI. Leggesi pure che Solone et Licurgo gia fecero leggi in questa materia, cio è, che se alcuno gia uecchio, et male atto al negotio del generare, hauesse Donna giouane per moglie, ella hauesse potuto eleggersi qualch’uno et giouane come lei et amico, et di forza et di costumi nobile, che con lei si pigliasse piacere, supplendo io cio a i difetti del marito, et a bisogni della moglie: purche il parto che di tal congiungimento nascesse fosse estimato legittimo del marito, non bastando, ne concetto d’adulterio. MV. Bene è uero, che queste leggi furono fatte, ma non osseruate, non che di cio fosse cagione la durezza de gli huomini, ma l’honestà delle Donne, che non uolsero usarle. CI. Sciocche Donne, se pur questo è uero; ch’io difficilmente il credo. MV. Infinito è anchora il numero delle ualorose Donne, lequali et con rara pudicitia, et con amore maritale anchora superarono di gran lunga tutti gli huomini: come fu Abigial moglie di Nabal, Artemisia di Mausolo, Argia di Polinice Thebano, Giulia di Pompeo, Portia di Bruto, Cornelia di Gracco, Messalina di Sulpito. CI. Perche non ricordate anchora Messalina di Claudio Imperatore? MV. Alcesta di Admeto, Hissicratea di Mithridate Re di Ponto, Didone ch’edificò Carthagine; Lucretia di

 

Fol. 108r

Collatino, et Sulpitia di Lentulo. Sono altre innumerabili; la fede, uirginità, et pudicitia delle quali non si puote rompere ne uiolare giamai, se non per morte: i cui essempi per loro istessi mi si parano inanzi. Atalanta Calidonia, Camilla Volsca, Iphigenia Greca, Cassandra Troiana et Crise. I questa schiera uengono le donzelle Lacedemonie, le Spartane, le Milesie, le Thebane, et altre senza numero celebrate nelle historie de gli Hebrei, de Greci, et de Barbari; lequali prezzarono piu la honestà che i regni, et finalmente piu che la propria uita. VIO. Voi mi parete proprio un prete, che racconti le feste a suoi popolani. Questa, Signor Mutio, non è la promessa, che mi faceste hier sera di douermi raccontare gli essempli et le historie delle Donne illustri. Hora si, ch’io dirò, che uoi faggite fatica: et similmente che poco sete amico di Donne. Ben fareste de i fatti in seruitio loro, poi che rifiutate di metterui parole per lodarle. Per mia fe, ch’io mi dorrò  di uoi, et meco insieme tutte queste gentildonne, ch’erano cosi cortesemente uenute ad ascoltarui e honorarui, udendo la promessa che per uoi s’era fatta et so che hora rincrescerà loro hauer lasciato le feste et le danze, per udir recitar il calendario. MV. Io dubitaua, Signora, di non uenirui a noia: et pareuami assai toccar semplicemente i nomi. Hora ch’io son certo di douer piacere et a uoi, et a queste altre nobilissime Donne, racconterò piu particolarmente i ualorosi fatti loro. Et se questi signori non mi uorranno udire, si come quegli c’hanno ueduto et letto le historie io mi deurò contentare d’hauere la udienza delle donne. CI. Io per me sono

 

Fol. 108v

per ascoltarui come si dice, fino a guerra finita: accio ch’io possa anch’io imparare qualche miracolo da intratenere la plebe. MV. Se noi uerremo ricercare gli essempi di pietà: fra gli altri si farà inanzi Claudia sacerdotessa Vestale uerso il padre, et quella giouanettà plebea uerso la madre. CI. A questi uostri tanti et si lodeuoli essempli di pietà et d’amore ui posso opporre gli infelici matrimonii di Sansone di Giasone, di Deiphebo, di Agamennone, et altre simili tragedie. Et quelle Donne antiche, dellequali uoi fate tanta stima per altro ricordate non sono, se non per uno stimolo d’infiammare l’altre all’honore et alla uirtu. Egli non fu uero, che Camilla, Penthesilea, ne Giudith, ne alcune altre famose hauessero gran ualore nell’arme; ne anchora che Sapho o Corrinna componessero mai leggiadri uersi. Et cotali prodezze di Donne a me sempre paruti sono sogni di romanzi somiglianti alle fole di Tristano et d’Isotta, et a molte altre fauole, di cui alcuni libri sono pieni. Ne credo che noi similmente siate in si manifesto errore, che uoi ui pensiate queste cose esser uere. Lequali, come gia u’ho detto, sono state inuentioni de gli huomini, per uedere, se con gli essempi finti  almeno, poi che de ueri non se ne ritrouano, poteuano ridurle a lasciare i tanti suoi proprii uitii, et abbracciar la uirtu: ma tutto è sempre stato in uano. Che ne per essempi, ne per minaccie, ne per premii, ne per alcuna altra industria si sono mai potute persuadere a operar bene. MV. Hora si, che uoi hauete molto bene aperto il sacco: ma chi guardera bene a dentro con gli occhi acuti, conuerrà che le pouere mogli

 

Fol. 109r

ingiustamente accusate sono: percioche non è alcun marito buono, che mai si possa lamentare, che la moglie gli sia stata cattiua: che le mogli non sono scelerate se non co i mariti maluagi; i quali benche le habbiano buone, spesso per colpa di loro stessi diuentano pessime. Credete uoi che se le Donne hauessero hauuto auttorità di far le leggi, et di scriuere le historie, ch’elle haurebbono hauuto materia di comporre uolumi della incredibile malitia de gli huomini? Fra iquali infiniti sono homicidiali, ladri, assassini, falsarii, incendiarii, traditori: iquali fino al tempo di Giosue et del Re Dauid con tanto numero s’erano dati a i ladronezzi; che ordinarono i capitani delle loro scelerate masnade, et hoggidi anchora sono in numero infinito: onde auien poi che tutte le prigioni sono ripiene d’huomini; et la giustitia non ha maggior facenda, che fare impiccare gli huomini. All’incontro le Femine hanno ritrouate tutte l’arti liberali, ogni uirtu, et qualunque benificio : et cio specialmente si conosce per li nomi delle uirtu et dell’arti. Scorriamo finalmente ciascuna sorte di uirtu; noi troueremo la Donna in tutte ottenere il primo luogo. Fu Donna quella prima, che a Dio offerse il uoto della uirginità, dico Maria uergine;  laquale per questo meritò esser madre di Dio. CI. Ecco che pur miglior theologo sono io: perche la uergine ringratiando Iddio, disse; percioche egli hebbe risguardo alla humilità della ancilla sua, non disse alla uirginità. Et che questo sia uero, uedete che la santissima  uergine pur uolle hauer marito, benche egli auisato dalle spirito santo, che Iddio l’haueua eletta per habitacolo del figliuol

 

Fol. 109v

suo, la costodisse intatta. Pur si uede, che l’intention sua fu d’hauer marito. VIO. Io ui prego signori, che fauelliate d’altro: perche questa non è materia da noi; et potrebbesi dare scandalo alle persone semplici. MV. Per amor uostro io son contento di lasciarla passare senza risposta. Le Donne prophetesse forono piu spirate di diuino spirito, che gli huomini: et cio si uide nelle Sibille, col testimonio di Lattantio, Eusebio, et Agostino, Maria sorella di Mose et d’Aron fu prophetessa: et hauendo a ruinare il popolo d’Israelle, et trouandosi Gieremia prigione, Olda moglie del Zio materno sopra le forze dell’huomo diuentò prophetessa. Leggiamo le sacre scritture; et troueremo, che la fermezza delle Donne nella fede et nelle altre uirtu è molto piu celebrata, che quella de gli huomini: come si uede in alcune, lequali con tanto honore sono state lodate, c’hanno anco dato nome a i uolumi santi. Quello Abraham, ilquale per la costanza della fede sua fu chiamato nella scrittura giusto, auendo egli creduto a Dio; è però soggetto a Sara moglie sua, essendogli imposto dalla uoce di Dio, che le ubidisse in tutte le cose, che ella gli haurebbe detto. Rebecca similmente hauendo salda fidanza nel Signore, ua a interrogarlo, et riputata degna di risposta ode dirsi: Due nationi del tuo uentre et due popoli si diuideranno. Credette la uedoua Sarettana alle parole di Helia, benche difficile et quasi impossibil cosa le hauesse detto. Zacheria propheta ripreso dall’Angelo dell’incredulità sua diuenne mutolo: et Lisabetta et col corpo pieno et con la uoce prophetezza : et è commendata, perche fedelmente credet

 

Fol. 110r

te; tanto che da Maria uergine meritò udirsi dire; Beata sei tu ueramente, che hai creduto a cio che ti è stato detto da parte del Signore. Anchora Anna profetessa, dopo la riuelatione di Simeone, confessaua Iddio, et di lui ragionaua a tutti quegli che la uoleuano udire, et iquali aspettauano la redentione d’Israele. Et Philippo hebbe quattro figliuole uergini, che prophetauano. Quanto mirabil fu la le fede della Samaritana, con laquale Christo ragionò appresso il pozzo; et satio della credenza di lei lasciaua d’andare a mangiare con discepoli suoi. Aggiungeremo a queste la fede della Cananea, et di quella altra Donna, che patiua flusso di sangue, lequali furono degne di ottener da Christo i desiderii loro. La fede et la confessione di Maria non pareggiò quella di Pietro? Et quanta fosse la costanza et fede della Maddalena, ci è manifesto per li sacri Euangeli; percioche essa, mentre gli huomini scelerati crocifiggono Christo; piange a pie della croce, porta gli onguenti, lo cerca nel sepolcro, et in forma d’hortolano lo riconosce Iddio: corre a trouar gli Apostoli; da loro ha nuoua, ch’egli è risuscitato: essi ne stanno in dubbio; et ella confida. CI. Ditemi, perche non si lasciò egli Christo toccare da Maria Maddalena, et da Thomaso si? Or non uenne egli in questo modo a mostrare, che egli facea piu stima dell’huomo, che della Donna? MV. Signor no: perche a Thomaso si lasciò toccare per assicurarlo nel dubbio ch’egli haueua: a Maria non era di bisogno; perche ella hauea fede et credeua. Che deurò io dire di Priscilla femina santissima? Laquale ammaestrò Apollo huomo apostolico, et nella legge dot-

 

Fol. 110v

tissimo Vescouo di Corintho: ne si tenne a uergogna uno Apostolo imparare da una Donna quelle cose, ch’egli haueua poi a insegnare nella Chiesa. Et piu ui uoglio dire, che quelle santissime Femine che uolsero patire il martirio per la fede di Christo, non sono punto meno de gli huomini. CI. Questo affermate uoi, perche hauete numerato questi et quelli. MV. Non tacero io di quella madre ammirabile, et degna che tutti i buoni la tengano a memoria; laquale puote costantemente alla presenza sua ueder morire i suoi sette figliuoli di crudele tormento; et non pure con animo inuitto quel miserabile spettacolo toleraua di uedere; ma ualorosamente gli confortaua alla morte: et ella in ogni cosa confidano in Dio, dopo i figliuoli, per amore delle leggi del Creatore et della patria fu morta. Hora perche io ho gia detto della maggioranza, prouerò anchora la parità: et dico, che le Femine necessariamente ci nascono; perche senza loro il genere humano non si puo conseruare: et nelle cose ch’altramente non possono essere, non ui è ne merito ne biasmo d’alcuno: come disse Crasso censore nell’oratione contra Domitio suo collega: che nelle cose dategli dalla Natura o dalla Fortuna, facilmente poteua sopportare di esser uinto; ma in quelle che per se stesso l’huomo si puo acqistare, per uerun modo non harebbe patito ch’altri l’hauesse auanzato. Et cio considerando i legislatori meritamente riprendono coloro, che biasmano le Donne; et gli reputano nimici della Natura et di se stessi. Veramente è crudelta grandissima uituperare quelle, dalle quali habbiamo l’essere; quelle che mantengono et accrescono la

 

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somiglianza di noi medesimi; quelle finalmente, senza lequali il uiuer nostro che altro sarebbe, senon una solitudine, una perpetua maninconia, anzi una continoua morte. CI. Voi douete sapere, che le Donne sono uituperate, non per quelle che sono buone, ma per le cattiue. MV. Et cio è contra l’usanza de gli huomini ualorosi; i quali udendo biasmare la patria loro, hanno per molti maluagi che ui sono, grandissimo et conueneuole dispiacere: et pargli nondimeno esser tenuti a difendere in generare l’honore de propri cittadini. Cosi douremmo noi fare: perche quantunque di molte Donne scelerate si ritrouino al mondo, non però è da comportare ch’elle si biasimino tutte : et se cio non uogliamo noi fare per rispetto loro, facciasi almeno per honor nostro; accioche seruendole et amandole noi, si come pur facciamo, non siamo reputati uili e infami, o di poco giudicio almeno, honorando chi non merita. A me pare adunque, che non solo a noi siano pari, ma da molto piu anchora, oltra le gia dette ragioni, perche la generatione è piu desiata da loro; laquale fra tutte l’altre attioni nostre piu s’appressa alle diuine. Conciosia ch’ella somiglia molto al mirabile artificio di Natura: generando di nulla, o di poco piu che nulla, si bello effetto, come è il parto humano: nel quale benche l’uno et l’altro adoperi, pur con assai maggior desiderio ui si mette, et ui s’affatica la Donna. Per questo anchora è la Donna superiore quanto alla generatione; perche ella puo senza l’huomo produrre un parto uiuo (che Mola si chiama) et cio non è concesso ad altra specie d’animali: et benche tal parto sia di breuissima uita,

 

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considerasi però il priuilegio dato loro dalla Natura. CI. Pure ne gli antichi et moderni sacrifici le Femine coprono la testa, et gli huomini portano il capo ignudo: et cio è, perche questi sono puliti et mondi, et degni di stare scoperti ne luoghi diuini; et quelle immonde et brutte, et meritano star chiuse. MV. Questo non è per quello che uoi dite, ma per altra piu conueneuole ragione: accioche la loro uaghissima bellezza stando scoperta non uenisse a destar ne gli huomini qualche lasciuo, et men che honesto pensiero. Et oltre a cio per essere le Donne di maggior priuilegi et gratie ornate, che gli huomini non sono (ilche non sarebbe gran fatto, che generasse in loro alcuna ambitione) non è male che in segno d’humilità et di modestia elle ne uadano col capo coperto. CI. E mi è pur forza anchora dire alcuna cosa, et forse un poco licentiosa alla presenza di queste gentildonne: perche elle si degneranno bene di perdonarmi. Et è, che per la ragione del luogo l’huomo mi par piu degno stando egli nell’atto del generare di sopra, et la Donna di sotto. MV. Poi che uoi m’hauete fatto la uia et prestato ardimento, anzi per meglio dire sforzato a parlare di cose piaceuoli, dirò anch’io qualche cosa degna di perdono et di riso nel cospetto di Donne. et percio ui dico, che chi ben risguarda, uedrà che la Donna ne gli amorosi congiungimenti si sta in piu nobil parte, giacendo con gli occhi uolti in cielo, si come debbono fare gli animali dotati di ragione: et l’huomo si sta, come le bestie fanno, col uolto et con gli occhi a risguardare la terra. Piu oltra ui uoglio dire, che l’huomo si come quello

 

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che si consce indegno di tanto diletto et felicita; ammaestrato in cio dalla Natura; quando ua a prendere gli ultimi termini d’amore, ui ua con riuerenza, et gionocchioni. CI. Mostrasi anchora la indegnità della Donna, perch’ella ne piaceri di Venere è patiente, et l’huomo agente. MV. Ne però questo scema punto della dignità sua, piu di quel che si fanno le diuersità de i colori a gli occhi, le cose adorifere al naso, et gli altri oggetti a suoi sentementi. Perche quantunque l’occhio sia patiente, et le cose odorate lo feriscano, et operino in lui; nondimeno l’occhio et la uirtu uisiua è piu nobile de i colori agenti. Lo strepito e’l suono arriua al sentimento dall’udire, et l’orecchia patisce, che lo riceue; et con tutto cio è piu degna del suono et dello strepito che fa la passione in lei. Il medesimo proua nella Donna; laquale perche patisca in quello atto riceua, non è però da dirsi manco degna. hora perche alcuni argomentano la imperfettione delle Donne dallo essere tolto loro la cura de gli uffici; dico che cio chiaramente non si conosce. Percioche al tempo antico le Donne cosi haueuano la cura de gli uffici ciuili, come gli huomini; et gia le Donne ordinarono di molte leggi. Virgilio chiama la Dea Cerere apportatrice delle leggi; la Sibilla Amalthea; Didone, ch’edificò Carthagine, diede leggi a gli habitatori; Semiramis Regina di Babilonia, fece leggi anch’ella. CI. Et furono santissime le sue leggi; si come quella fu, che indifferentemente le Donne si potessero congiungere co parenti suoi. MV. Et infinite in molti altri luogi. Ma crescendo poi col tempo la malitia et la insolenza de gli

 

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Huomini; et non hauendo eglino risguardo alcuno alle Donne; ma con troppa licenza dicendo alla presenza loro parole ingiuriose et sconcie, il modestissimo Feminil sesso per non udirle, s’elesse di piu tosto non interuenirui. Cosi gli uffici del giudicare si sono poi ne gli huomini continuati. Ma però gli uffici diuini sempre indifferentemente sono stati dall’uno et l’altro sesso essercitati: come si uide anticamente nelle Vergini Vestali, et a di nostri per tanti ministeri di santissime Donne; et per mille altre cerimonie. Ne però gli uffici sono di tanto ualore, che quantunque tutti fossero ne gli huomini, le Donne uenissero perciò a perdere pur delle mille una minima parte dell’eccellenza loro. Non è sempre uero ch’a i piu degni et piu amati si diano gli uffici. Christo diede le chiaui del cielo a Pietro, non al suo diletto Giouanni, non a colei, che hauendo meritato portarlo nel suo uerginal uentre, meritamente è percio da noi chiamata madre di gratia, donatrice di tutti i beni, et cosi eccellentissima sopra tutte l’altre. Vedesi anchora, che la reina non ha ufficio alcuno in corte, benche ella molto piu degna et molto piu amata sia di mille ufficiali che ui sono. Alla mutatione di mente, et alla uarietà d’oppenione, ch’è tanto esclamata contra le pouere Donne, che deurò io rispondere? I saui huomini non però la biasimano tanto, che da essi molto spesso anchora non uenga commendata. Percioche se l’essempio del cielo et del tempo ti mostra, ch’è necessario talhora auenire, che quello che hoggi ci è utile, domani ci apporte danno; bisogna anchora a mutare spesso in meglio et uolonta et consi-

 

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glio, a cio inducendone, non appetito et piacere, ma necessita et ragione; et il uoler sempre star tenace et fermo in un proponimento, è anzi uitio, che uirtu; et si fatti huomini latinamente sono chiamati di dura ceruice; e i Toscani gli domandano capparbi. Senza che questa loro, che chiamano costanza, cosi ne gli errori, come nelle uirtuose attioni è spesse uolte conseruata. CI. Ma come iscuserete uoi le tante brutezze, che sono nelle Donne? MV. I mestrui et l’altre loro purgationi, Signor Caualliere, non ci danno tanto argomento di brutezza, quanto di dilicatezza, et di leggiadria. Perche essendo non men l’huomo che la Donna composto di quattro elementi, et da principio formato di fango, bisogna che partecipi molto di queste lordure terrene; et non hauendo egli, si come ha la Donna, per onde mandarle fuora; che resti anco men pulito et men netto. Ilche assai chiaramente ne mostra la carne dell’huomo; laquale per lauata et fregata che sia, pure stroppicciandola sempre genera terra: che nella Donna non auiene, per le sue purgationi che alla ha ogni mese: lequali non solamente piu pulite et piu dilicate le mantengono, ma da molte infermità le difendono anchora; nellequali gli huomini cadono spesso. Et benche tali purgationi honestamente publicar non si possano, non però meritano d’essere cosi acerbamente prouerbiate ne odiate. Percioche la Natura non ha tutte le comodità dato a gli huomini, che palesemente si possano fare et senza rispetto; anzi ella quelle parti, che aspetto; poco honesto hanno, ha ricoperto et nascoso in noi e’l beneficio loro per questo segretamente usar si deb-

 

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  1. Che biasimo è dunque alla Donna, che ella habbia ogni mese une piu necessaria purgatione, che l’huomo? hauendone cosi l’uno come l’altra tante, che ogni giorno è bisogno adoperarne? Massimamente essendo ella in tante, altre cose piu nobile, et piu degna; et per questa da peggio preseruata, et il resto del tempo et piu netta et piu monda. CI. Hora mi souiene d’un certo argomento, ch’io lessi gia, che Femina sia detta dalla fedità: et credo che cio torni molto a proposito delle tante sporcitie loro, che dianzi raccontammo. MV. Anzi ella è piu tosto detta per lo contrario, quasi non punto feda. Et tal significato si considera anchora in molti uocabili latini. Il bosco si chiama lucus, quasi luogo doue sia poca luce: la guerra si dice bellum, come cosa non bella: similmente la Femina perche non è feda, parmi che cosi habbia nome. Et oltra che la Natura s’ha adoprato molto in farle priue di fedità; elle studiosamente anchora s’ingegnano di comparir pulite; tanto che d’ogni altra cosa piu tosto che di bruttezza, deurebbono esser riprese. Questi son dunque i biasimi, che da nostri nimici sono dati alle Donne; iquali uoi uedete, Signora, quanto ageuuolmente ho potuto risoluere per la debolezza loro, et per la uerità, che milita per noi. VIO. Veramente grandissimo obligo ue ne dobbiamo hauere, et non sole noi, che qui siamo, ma tutte l’altre Donne che al mondo sono. CI. Poi che tutti gli altri argomenti ui pare hauer confutati, non ui scordate il primo et maggior uituperio loro; cio è il fallo di Eua. MV. Grande errore certo fu il suo a mangiare il uietato pomo, et lasciarsi ingannare dal nimico dell’huma-

 

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na generatione; ma però a mio giudicio assai maggiore fu quello di Adamo, che cosi facilmente alla Donna credette, scordandosi si tosto il commandamento di Dio. Et è uerisimile, che’l Diauolo maggiore arte et piu inganno usasse in persuadere alla Donna, che mangiandone si farebbe immortale; che ella poscia non adoprò con l’huomo. Ne la Donna allhora poteua essere cosi prudente come l’huomo, essendo dopo lui formata: et la prudenza per lunga proua pure si suole acquistare: et pero piu di rado ne giouani si troua, essendo ella ordinaria de’uecchi. Vfficio era dunque di Adamo et prima creato et piu uecchio, considerate a che tendeua il mangiare del uietato frutto; et che prendere consiglio dal nimico non era ne utile ne sicuro: et poi che non lo fece, di maggior biasmo è degna la imprudenza di lui, che quella di Eua; e’l peccato dell’huomo fu cagione, che’l figliuolo d’Iddio nella Vergine pigliasse humna carne: ilquale benche ci nascesse huomo et non Donna, non fauori però meno il sesso Feminile: essendo uero che quanto alla specie humana cosi è fatta la Femina alla sembianza di Dio, come il maschio. Ben’è uero, ch’egli’nel nascer suo pronunciò apertamente in fauor delle Donne, benche nol sappia ogniuno. CI. Et che sentenza sia questa cosi abstrusa? MV. Volendo egli assaltare l’humilità, elesse il piu humil sesso, che fu il maschio. Fecesi anchora huomo et non Donna: percioche hauendo l’uno piu che l’altra peccato, fu cacciato del paradiso, et fatto piu uile. Venendo adunque il figliuolo d’Iddio arenderci la gratia, dellaquale erauamo per inganno del Diauolo, et per fragilità huma-

 

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na rimasi priui; fu ragioneuole, che hauendoci l’huomo nel profondo delle miserie, et in eterna dannatione fatto ruinare; cosi egli huomo ci nascesse; et la pena dell’innocente sangue pareggiasse il delitto dell’huomo peccatore. SF. Veramente io non hebbi mai dubbio, che le Donne non rimanessero uincitrici: perche se bene alle sono inferiori di forze, elle hanno però tanti amici, che in ogni lor bisogno et pericolo sono presti a pigliar l’arme et difenderle: et ben ueggio hora come e non gli manca aiuto contra gl’inuidiosi. MV. Questo è, perche i biasimi loro sono assai ageuoli a confutare, per infinite et singolari doti, che non benigna mano la Natura ha conceduto loro. Oltra che cio mi pare legittima iscusatione et conforto di coloro, che si lasciano inducere ad amarle; fra iquali essendo anchora io uno, et no per isciagura, ma per elettione, non ho giamai trouato maggiore alleggiamento alle mie passioni et continui affanni, che’l pensare alla rara bellezza, a i celesti costumi, et alle angeliche parole della Donna mia; con lequali assai lietamente ho passato mille noiosi pensieri causati in me piu da souerchio amore, che da crudeltà di lei. VIO. Grande amore portate a questa uostra Donna, laquale tosto ui farebbe a darui cagione di sospirar per lei, et se amasse di tenerui priuo di speranza, et d’altro che uoi da lei bramiate. MV. Io da lei non desiderai mai cosa che honesta non fosse; ne mi son posto a lodarle tutte, per ottenere particolarmente la gratia et l’amor d’una sola; ma questo ho fatto et per li prieghi uostri, che mi sono commandamenti espressi; et perche cosi richiedeuano i meriti di

 

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uoi et del uostro sesso. Confesso bene, che delle Donne non ho parlato molto, et ho taciuto assai cose, non essendo io tanto ambitioso, che mi presuma di potere con si breue ragionamento abbracciare le infinite eccellenze et uirtu delle Donne: imperoche chi basterebbe ad annouerare le innumerabili lode di esse? dalle quali il nostro essere, la conseruatione del genere humano, ilquale senza loro in poco spatio di tempo uerrebbe a mancare, le famiglie, et le comunanza dipendono? Questa cosa naturalmente considerata da Romolo fondatore di Roma, gli pose in core di capir le Donne Sabine, per conseruare in piedi quello imperio, che tosto sarebbe caduto, se le Donne non erano. Hauendo finalmente i Sabini preso il capitolio, et combattendosi fra loro crudelissimamente in mezzo della piazza, correndo le Donne a mettersi fra l’una et l’altra schiera; cessò la battaglia: onde fra questi popoli ne nacque pace, confederatione, et amista perpetua, che di due ne fece un solo. Di uoler de Romani nelle publiche leggi fu ordinato, che la Donna non macinasse, non facesse cocina; non la moglie al marito, ne il marito alla moglie donasse cosa alcuna: uolendo percio inferire, che tutti i beni eran fra loro comuni. Et di qui nacque quella usanza, che coloro, a cui toccaua introdurre la sposa in casa, le faceuano dire, DOVE TV et IO. Cioè, doue tu sei Signore, io sono Signora; et doue tu sarari padrone, io sarò padrona. Et di piu, sono concedute alle Donne le uesti di porpora co i fregi dorati, il portare adosso, et a gli orecchi ornamenti di gioie, annelli, et collane. Et gli Imperadori, che uennero dopoi, ordi-

 

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narono una legge, che qualhora in luogo alcuno si facesse o legge o statuto, che uietasse il poter portare certe uesti et ornamenti, che cio non s’intendesse fatto per le Donne. CI. Mal per le famiglie te per gli infelici mariti, s’elle fossero essenti dalle costitutioni sopra cio ordinate. MV. Fu loro anco donato il poter succeder nelle heredità; et ne i beni. Similmente fu permesso che i mortorii delle Donne, come quegli delli huomini, fossero con publiche laudi celebrati. VIO. Et chi fu cagione di cosi bella usanza, laquale hoggi è fatte antica? MV. La cagione di questo fu; che douendosi mandare un presente ad Apolline Delphico, per uoto c’haueua fattto Camillo, et non essendo in Roma tanto oro, che bastasse a farlo, le Donne uolontariamentnte conferirono a cio gli ornamenti della propria persona. Et nella guerra che Ciro fece contra Astiage: essendo messe in fuga Persiani da Medi, della correttione delle Donne furono represi, et cosi per uergogna ritornando alla battaglia, ne riportarono honorata uittoria. Onde per si lodeuole atto Ciro ordinò una legge, che douendo i Re di Persia entrare nella città, pagassero a ciascuna Donna una moneta d’oro. Et Alessandro magno essendo due uolte entrato in una città; due uolte fece lor dare la moneta, et alle grauide uolle che si raddoppiasse il dono. Et cosi gli antichi Re di Persia et di Roma, diedero sempre alle Donne infiniti priuilegi d’honore. Ne meno furono honorate da gl’Imperadori: et percio Giustiniano nell’ordinare le leggi ui fece interuenir la moglie, et da lei ne uolle consiglio. Dice altroue la legge; che la moglie meritamente nell’ho-

 

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nore risplende; et che quanto è honorato il marito, tanto è la moglie anchora. Però la moglie dell’Imperadore è chiamata Imperadrice, quella del Re Reina, quella del Duca Duchessa; et chiamasi illustre di qualunque conditione ella sia nata. Dice Vlpiano, che l’Imperadore non è sottoposto alle leggi; ma che quantunque la moglie non sia libera dalle leggi, che nondimeno egli le ha concesso i medesimi priuilegi, che ha la sua Maestà. Et di qui è, che alle Donne illustri è permesso, che siano giudici et arbitre; et ch’elle possano inuestire et essere inuestite del Feudo, et rendere ragione a i uassalli. Vn’altro priuilegio ha la Donna, ch’ella puo hauer serui, come l’huomo, et giudicare anco tra i forastieri. CI. De i serui particolari troppo n’hanno elle, et piu che non conuerrebbe; et cio con non minor uergogna de gli huomini: iquali mostrano bene in questo d’hauere assai poco giudicio. MV. Gli huomini dotati d’ingegno seruono sempre chi ne degno: però rinstringete un poco l’uniuersal uostra. Hanno parimente le Donne potestà di mettere il nome alla famiglia, di maniera che i figliuoli siano denominati dalla madre, et non dal padre. Hanno anco priuilegi infiniti circa le doti espressi qua et la nelle leggi ciuili, et raccolti, si come io intendo, poi in un uolume da un dottor Perugino detto M. Baldo Nouello. È similmente uietato per le leggi, che una Donna di honesta uita et fama non si debba imprigionare; et che’l giudice; che la fara mettere in prigione, sia punito di pena capitale. Et si rinchiuda in un monistero, o sia consegnata a Donne, che la imprigionino:

 

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percioche secondo le leggi, la Donna è a miglior conditione, che l’huomo. Et che questo sia uero, in una medesima qualità di delitto, molto piu graue è stimata la colpa dell’uno, che dell’altra; percio l’huomo colto in adulterio è punito nella testa: alla Donna non si da altro gastigo, senon ch’ella si rinchiude in un monistero. CI. Io ui dirò un’altra ragione, che mosse i facitori delle leggi a ordinar questo: et cio fu, che ueggendosi l’infinito numero delle Donne, che rompeuano la fede a i mariti, n’hebbero per cio compassione, et uollero piu piaceuolmente punirle. Doue che gli huomini, piu aspramente gastigarono, per errar manco di loro. MV. Anzi non u’apponeste; all’huomo ordinarono pena capitale; perche egli è auttore et sollecitatore alle semplici Donne di far quel peccato; che da se non si mouerebbono pure a pensarlo, non che a metterlo in atto. Molti altri priuilegi concessi alle Donne sono raccontati da Azzone nella somma sopra il titolo di Senatusconsulto Velleiano, et dallo Speculatore nel trattato ch’egli fa delle rinuntie. Ma quanto ardito et temerario sono stato io a ragionare di queste cose, lequali sono in tutto lontane dalla profession mia. Perdonatemi, Signori ch’io non m’era accorto d’hauer posto mano nella biada altrui. SF. Anzi hauete uoi da perdonare a noi; che non ue ne ringratiamo, et lodiamo, si come meritate: benche a dirne il uero, uoi ne siate riuscito a grandissimo honore; si come quello, che non hauete bisogno ch’alcuno ui aiuti, uolendo uoi infinitamente da uoi stesso. MV. Ve ne ringratio dunque come io debbo; che non pure iscusiate il mio ardire, ma lodare ancora la mia

 

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ignorantia. Ma ritornando alle Donne, dico, che quegli antichi legislatori, et fondatori di republica, huomini prudentissimi et graui, Licurgo et Platone, conoscendo da i piu riposti secreti della philosophia, che ne per nobilità di animo, ne per ualor di corpo, ne per eccelenza di natura le Donne non cedono a gli huomini, ma in tutte le cose gli aguagliano; constituirono che nella lotta et ne gli altri esercitii elle insieme con gli huomini s’essecitassero, et nell’arte della guerra anchora, nell’adoprar l’arco, nel maneggiar la fromba, nel tirar sassi, nel combattere con armi a piede, et a cauallo, nello accamparsi, nel disporre uno assedio, nel ordinar le schiere, nel guidare l’essercito, et breuemente che tutte le arti che gli huomini essercitauano, fossero parimente essercitate dalle Donne. Scriuono gli antichi auttori degni di fede, che in Getulia, in Battri, in Galatia, soleua essere un costume, che gli huomini si dessero alla dilicatezza, et che le Donne lauorassero la terra, edificassero, traficassero, caualcassero, combatessero, et facessero tante altre cose, c’hoggidi gli huomini fanno. Appo i Cantabri, hoggi di regno di Nauarra, i maschi dauano la dote alle Femine; le sorelle haueuano cura di dar moglie a i fratelli; et le figliuole erano instituite heredi. In Scithia, in Thracia, et nella Gallia, gli uffici erano comuni alle Donne, et a gli huomini; et nelle loro piu graui deliberationi della guerra, et della pace s’introduceuano le Donne. VIO. O felice secol ch’era quello: perche non fummo noi a quel tempo? MV. Ma contra la diuina giustitia, et contra gli ordini della natura, rimanendo superiore la insolenza

 

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et tirannia de gli huomini; la auttorità et libertà delle Donne è loro dalle ingiuste leggi usurpata,

dall’uso impedita, et dall’educatione del tutto ammorzata: percioche tosto che la Femina è nata da i primi anni è sepolta nell’ocio della casa; et quasi ch’ella non sia uenuta al mondo per altro, a nessuno altro negotio imparare è posta , se non all’ago et al filo. Poche sono quelle auenturate, a cui sia concesso il potere dare opera a gli studi et alle lettere. Quando ella è giunta poi all’età del matrimonio, è consegnata nella seruitu et nella gelosia del marito; o quel che è assai peggio, rinchiusa nella perpetua prigione d’un monistero di monache. Tutti gli uffici publici le sono per le leggi uietati. Ella, benche si prudentissima, non puo auocare in giudicio. SF. Io mi ricordo hauere udito dire, che in Padoua pochi anni sono, fu una Femina, se ben mi ricorda de nome chiamata la Seuerina, laquale auocaua dinanzi a i tribunali, et difendeua le cause e i clienti; et era tolerata: laquale parmi hauere inteso che fosse poi amazzata. MV. Vedete, che pure la inuidia de gli huomini non puo sofferire la grandezza et la reputatione delle Donne. Oltra di questo nel giudicare, ne gli arbitrati, nell’adottione, nella intercessione, nella procura, nella tutela, nella cura, nelle cause criminali et testamenti non è admessa: similmente l’è tolto il poter predicar la parola di Dio. Et cio dirittamente è contra la scrittura, nellaquale lo Spirito santo promise loro dicendo per bocca di Ioele, et le uostre figliuole hauranno spirito di prophetia. In questo modo anchora al tempo de gli Apostoli publicamente insegnauano: si come

 

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fece Anna di Simeone, le figliuole di Philippo et Priscilla di Aquila. Ma tanta è stata la iniquità de i nuoui legislatori, iquali per le loro traditioni hanno anticato il precetto di Dio; che hanno hauuto ardimento di dire, le Donne per natural eccellenza et dignità nobilissime, essere di conditione piu uili, che tutti gli huomini. Con queste leggi adunque le Donne ingiurate, come se da gli huomini fossero superate in guerra, sono state costrette arrendersi alla uolontà de i uincitori: non gia perche elle a cio fare siano astrette da alcuna necessità naturale, ne da ragion diuina; ma dalla usanza, anzi corruttela, dalla educatione, dalle sorte, et da una certa tirannica uiolenza, dallaquale difficilmente si possono liberare. CI. Voi tanto accusate gli huomini di tirannia et d’insolenza contra le Donne, che io sono sforzato ritoccare pure anchora quella tanto da noi rimestata memoria di Eua. Or non sapete uoi, che l’auttorità sopra le Femine è legittima et da Dio? Il quale allhora che diede la maledittione ad Eua, le disse; Sarai sotto la possanza dell’huomo; et egli ti signoreggerà. A che tanto dunque riprendere gli huomini, se quell che fanno, ragioneuolmente fanno? MV. Et uoi ch’andate trascorrendo per la scrittura sacra, ui deuete ricordare d’hauer letto, che Christo tose uia la maledittione. CI. Poi che mi fate theologo, et io ui ritorno a dire il medesimo per le parole di Pietro, colquale s’adherisce Paolo, quando dice; Donne, siate sottoposte a i mariti uostri; et ricordateui di star chete in chiesa. MV. Se uoi conoscerete bene i uaris modi, e i diuersi affetti della scrittura; facilmente uedrete, che

 

Fol. 118v

queste uostre ragioni non fanno contrasto alcuno se non leggiermente et nella superficie: perchioche nella chiesa de fedeli è questo ordine, che gli huomini nel gouerno siano preferiti alle Donne, si come nella proffessione gli Hebrei furono preposti a i Greci: nondimeno Iddio non è partiale ne accettatore di persone; perche in Christo non ci è differenza di sesso; ma la nuoua creatura: anzi agli homini per la durezza del lor core è lecito alcuna cosa contre le Donne, si come a gli Hebrei gia fu concesso il diuortio, per la infirmità loro: iquali percio non detraggono punto alla eccellenza delle Donne: anzi mancando et errando gli huomini, elleno a onta di essi hanno l’auttorità del giudicare: et la Reina di Saba ha da giudicare quei di Gerusalemme. Coloro dunque, che giustificati per fede, sono figliuoli di Abraham, cioè figliuoli di promissione; soggiacciono alla Donna; et sono obligati et suggetti al comandamento d’Iddio, ilquale disse ad Abraham; Ascolta le parole di Sara, et fa di ubidirla in tutte queste cose, ch’ella ti commanda. Hora riducendo le infinite parole in una, e mi pare hauermi dimostrato la nobiltà delle Donne, dal nome, dall’ordine, dal luogo, dalla materia, et dalla dignità della Donna sopra l’huomo; dapoi dalla religione, dalla natura, dalle leggi humane, et ance confusamente da molte auttorità ragioni et essempi. Nondimeno io son certissimo di non hauer detto tanto, che non mi sia rimaso anchora molto piu da dire. Percioche io non mi misi da principio a cio mosso da ambitione, o dalla lode di me stesso, ma da la uerità, et da prieghi di queste uolorose Donne: accioche tacendo non

fossi

 

Fol. 119r

riputano con empio silentio leuare al sesso loro si meritate, lodi et uoler sotterrare il talento datomi à serbare. Però se alcuno altro piu di me curioso et piu diligente trouerà qualche ragione da me tralasciata, laquale egli stime necessaria à confermare questa mia openione, non mi riputerò ripreso da lui, ma piu tosto aiutato, inquanto co’l suo ingegno aiuterà questa lodeuole impresa.VIO. Io ui dirò il uero, che à uoler compartire debitamente fatiche et gli honori, mi parebbe honesto, che alcuno altre entrasse in uostro luogo, fin che uoi ui foste riposato: perche ben mi ricorda della promessa uostra, che non credeste percio ch’ella ci fosse uscita di mente. Et perche il Signore Agosto in tanto spatio di tempo non ha mai ragionato, ansi è sempre stato ad udire, ragione è, ch’egli entri à parte de i disagi che uolentieri sopportano gli huomini nobili in seruigio delle Donne. AGOSTO. Sallo Iddio quanto hoggi mi recaua à uentura questa contentezza, ch’io mi prendeua inascoltando questi huomini dotti ragionare in lode delle Donne: et non posso credere che’l Signor Mutio et gli altri Signori c’hanno parlato prima, habbiano lasciato cosa, che piu si possa dire in si bella materia. Però che debbo io dire ultimo; ch’a fatica haurei saputo che ragionare s’io fossi stato primo? Scusatemi dunque, Signora, et non uogliate con l’amaritudine delle inettie mie disconciarui lo stomaco, che hauete raddolcito con la eloquentia di cosi rari huomini. Et siami lecito hora parer discortese, mancando d’ubidire à commandamenti uostri, per saluezza dell’honor mio. MV. Come potete uoi

 

Fol. 119v

maggiormente coneruar l’honor uostro, che co’l mostrarui seruitore et affettionato di Donne? Ilqual titolo quando macchiato ò leuato ui fose, che pregio ò ualore sarebbe piu da essere estimato in uoi, se senza esso tutte le altre uirtu son nulla? Vbidite adunque, Signore Agosto uolentieri; anzi non sostenete mai d’essere commandato, doue potete seruire con tanta loda uostra. AGO. Certo la mia disubidenza d’altro non procede, che da sentirmi poco ualere: et però negando quell ch’io non posso prestare, credeua piu tosto di fare conoscere in me una uirtu, ch’è la modestia; che di tirarmi sulle spalle un uitio, ch’è la ingratitudine: nellaquale poi ch’io mi ueggio senza mia colpa si manifestamente incorrere, rifiutando di ragionare in honor delle Donne, eccomi prontissimo à dirne quel poco che è rimasto da dire à questi altri Signori, che inanzi à me cosi altamente et dottamente n’hanno disputato; et spero ch’assai debba scusare la mia ignoranza et la breuità del tempo che ci auanza, et l’esser piene l’orecchie hoggimai di un dolcissimo suono delle parole dette: ilquale farà ch’elle satie et quasi fastidite poco baderanno à quel ch’io son per dire. Et forse gli occhi anchora di tanto mi saranno cortesi, che riceuendo in loro un gratissimo sonno, si come quegli che deono essere presso che stanchi di tanto uegghiare, mi torranno l’occasione d’arrossire, ueggenddomi posto à ragionare in si nobil ridutto. Incominciando dunque dico, che poi che il supremo facitor di tutte le cose l’ottimo et grandissimo Iddio, hebbe con eterna pace diuisi i bei segni del Cielo da gli Elementi, fatto di chiaro, et la

 

Fol. 120r

notte oscura, et quando un breue, et l’altro lungo, distribuito la stagione e’l seggio à i uenti, et poi c’hebbe creato il uerno et la state; fece gli animali, et compartilli, che parte habitassero la terra et l’acqua, et alcuni altri l’aria e’l fuoco. Perche ueggendo cosi raro et mirabil magistero, et natogli nuouo pensiero d’Amore oltra l’opre et gloriose et belle, fece l’huomo à sembianza sua, et gli consegnò l’imperio sopra di tutte queste cose basse; et gli spirò anima uiuente et tale, ch’egli hauesse à superare d’eccellenza tutti gli altri animali. Ilquale huomo con l’acutezza dell’intelletto che gli donò Iddio per farlo et superiore et differente dalle bestie, trouò il fuoco, si diede à coltiuar la terra, et poi à ingombarsi tutto d’alte uoglie, et di sublimi pensieri. La onde ueggendo Iddio tanta uirtu ne gli huomini, tirar gli uolse con la mente su al Cielo, et per dargli piu certa speranza della salute loro, che riempisse l’anime d’honorato zelo, mandò finalmente uoi Donne à ornar la terra; lequali non si tosto da noi uedute foste, che tutti i primi humani desiderii ricopriste d’un uelo, et dimostrate à noi una ageuole et aperta strada, laquale à i nemici d’Amore et d’honore suole apparer cosi erta et chiusa. Con esso uoi, Donne mie care, scese in un medesimo tempo da Cielo lodatissima schiera di uirtu celesti; et cio furono honestà, dolcezza, mansuetudine, timor d’infamia, desiderio di gloria, et speranza di mercede. Voi foste quelle, che comminciaste à far l’anime beate; che, se si crede al uero, inanzi alla uenuta uostra non erano mai piu tali state. Et cosi d’uno in altro

 

Fol. 120v

Secolpo [sic.] passando, scala ci sete di salire à Dio, si come ognun di noi c’habbia occhi et lume d’intelletto si uede; come prouano tutto di tutti gli huomini, et meglio prouerebbe, che fosse fatto degno di poter mirare negli occhi della Donna mia. Esce da begli occhi uostri, ò bellissime Donne, un dolce raggio, che in noi di uoi cria dolcissimo disio: et è quello desiderio chiamato Amore. Questo è quel raggio gentile, c’ha per costume di aprirsi una strada per gli occhi nostri, et quindi passarsene al core. Di qui spesso auiene, che una anima infiammata dolcemente si consuma, senza hauer punto men del suo ualore. Ella gioisce in se medesima, et rimane inuaghita di sua nobil conditione: et cosi da questa sua uaghezza uiene à generarsi in noi il pensiero. Cosi,

dolcissime Donne, ne date uoi, la uostra granmercè, prima l’amore, et dapoi il pensiero. Or chi ne

potrebbe mai fare per alcun tempo altro piu gentile ne piu caro dono? Di questi due l’uno è, che

risueglia i nostri cori; l’altro gli mostra et fa conoscere il uero: et questi insieme hanno l’albergo loro ne uaghissimi occhi uostri. Et qual è di noi, che questi due non habbia, de i quali u’ho ragionato, che meriti chiamarsi sauio ne altero? Difficilmente puo sapere quel ch’è da rifiutare ò da desiderare, chi non ha pensiero ne amore. Ah quante uolte uedete uoi, Donne honorate, huomo sauio et gentile caminar solo, il quale ha tuttauia seco dolce et leggiadra compagnia; et questi sono i suoi soauissimi pensieri, ch’alteramente lo leuano a uolo, et lo guidiamo in parte la, doue egli et se medesimo et la sua bassezza si scorda. Questo è un supremo et sommo

 

Fol. 121r

sommo gioire; questo non è tema ne dolore, che uisibilmente lo disuie. Conciosia che

l’anima lasciatasi andare in preda a suoi pensieri, anzi a suoi piaceri, abandona il suo proprio uelo, ch’è il corpo, et uienne ad habitare in uoi. Cose grandi u’ho detto, o Donne, ma molto maggiori sono quelle, ch’io u’ho da dire; et tali ch’io dubito non elle ui paiono menzogna: et cio parrebbe senza dubbio a quelle di uoi, che non sentono spirare aura d’Amore. Ma gia non hauro io rispetto ne uergogna a ragionare fra uoi, rendendomi certo, che ciascuna di cosi nobil refrigerio pasca la mente sua. Dico adunque che l’anima nostra allhor, che piu bisogna fidato soccorso d’alta et nobil fiamma ardente, abandona il cuore: et questo incredibil pare, non pure nuouo miracolo a chi per usanza mai non s’innamora, che huomo in si quel punto non rimanga priuo della uita. Ma colui, che ha cio prouato, ben è certo; che nel partir di lei, ella lascia i pensieri dentro alreggimento et gouerno della uita: però non si marauiglia punto, se rimanuiuo, et se tuttauia mantiene l’usato suo ualore. Onde spesse uolte ueggendo noi huomo smarrito et pallido in uolto, lo mostriamo a dito; il cui sangue abandonanno le parti esteriori, s’è ritirato al soccorso interno et alla salute del core; la doue si siede Amore; ilquale cogli occhi uostri, o Donne, uede, essendo per se cieco. Quiui ha suo albergo cosi alto signore, et quiui signoreggia egli, non che come Tiranno l’aggraue, o lo priui di uita; ma per serbare saldo et di lui degno

ricetto; perche il cor timido prenda conforto, et finalmente piacer prenda d’alta sua possanza, bastando egli et

 

Fol. 121v

solo et senza alcun sospetto ad accogliere ualoroso, altero, et forte signore. Et di qui è, che’l uolto piglia nuouo colore, a chi il suo uigore et manda allo scampo del core. Et cosi, Donne mie, uiuete alcuna uolta fra noi senza anima hauere; et è cio mercè de bei pensieri, dito di quegli honorati pensieri, iquali a noi son dolce salma, et gloria eterna a uostri leggiadrissimi lumi. Ma chi sarà colui, che all’honorata et santa bellezza del cielo pur con l’animo arriue? Non ch’egli basti a ragionare a parole, come ella insieme con esso uoi, la uostra, et di Dio mercede, si sia degnata uenire ad habitar fra noi? Ma io, merce di Dio, et uostra, bellissime Donne, ardirò pur di dire, che ne uenne quanta bellezza hauea il cielo. Et ben uide il supremo fattore, ch’a uoi ne fedono, come ella senza uoi lassu non poteua stare: et la uenuta sua quagiù puo render testimonio, ch’ella deuea restar nel suo bel regno: et pure scese ella nel mondo in compagnia de gli altri Dei, mouendo drieto al suo bene, che ei tutto ritroua con essouoi. Et se pure tra loro è bellezza, ella non dee giamai pareggiar questa uostra; pioche di uoi uiene a innamorarsi nel mondo, chi sprezzar non deurebbe cosa alcuna mortale. Et ben si uede egli quanto u’honora come sua cosa, et se tien cura di uoi; che la bella Giunone sposa et sorella sua ha per uoi, Donne, l’anima piena d’eterna gelosia. CI. Signor Agosto, io do uanto a uoi di quanti hanno fin hor lodato le Donne; poi che ueggendo, che non c’era uerità per loro, sete ricorso alle fauole et a poeti; et cosi si uuol sempre fare doue Femine sono, cioè raccontar loro delle marauiglie et de miracoli; non

 

Fol. 122r

come questi altri lor difensori hanno fatto; c’hanno con mille funi d’argomenti tirato a forza la philosophia et la sacra scrittura al proposito di prouar la maggioranza delle Donne: la doue a mio parere hanno mostrato piu amarle, che conoscerle. Ilche di uoi non auerrà, Signor Agosto: perche noi hauremo fatto un buon presupposito, cioè, di douere udire da uoi fauole; et darenui quella fede che elle meritano appunto: et le Donne ne piu ne meno ui saranno tenute: perche a loro basta essere adulate. AGO. Voi douete sapere, che i philosophi, et massimamente Platone, hanno sempre trattato cose alte et profondi misteri sotto coperta di fauole et di finitioni; et cio hanno fatto non estimando degno ogniuno di arriuare alla cognitione de i secreti della philosophia. Perche se anchora io il medesimo faccio hoggi con esso uoi, non ui dee parer nuouo: atteso che non è lecito a tutti intendere i riposti misteri delle cose diuine. Et cosi io uo mescolando alcune fauole nel mio dire per dilettare, et per trattenerui. Dico adunque, che non è gran marauiglia, se la bellezza puo fare il piacer suo et de gli huomini et de gli Dei: perche quale è quella cosa creata, che appressandosi a lei, non diuenga come le stelle minori intorno al Sole? Soli gli intelletti sublimi, et gli spiriti gentili possono tra noi ragionar del ualor suo; iquali posti a lato a si gradito et pretioso dono, sono alla conditione del solfo et dell’esca, auicinatisi et a un gran fuoco. Infinita è la schiera delle uirtu, Donne singolari: ne giamai si trouò al mondo c’huomo, o Donna le possedesse tutte. Anzi per cosa mirabile s’addita chi ha l’animo

 

Fol. 122v

segnato pur da una o da due di cosi gran numero. Et questa è di maniera, che non si troua cosa, laquale possa piacer senza lei. Vna uirtu, benche scompagnata dall’altre suol piacere; che hauersi cara; ma che cosa fu mai che senza bellezza piacesse? Volete uoi uedere, o Donne, il ualore e’l pregio, di che Dio ha questa sua diletta tanto ornato? Tutti gli altri beni, et siano pure et necessari et soaui, tosto che in poter nostro son giunti, incontanente il desiderio ne riman satio: Di questa tutto il contrario auiene; che quanto altri n’ha maggior parte, piu gliene cresce la brama et l’ardore, non altramente che per tempestosa pioggia si cresca impetuoso fiume. Perche l’anima nostra ingorda poi ch’ella ha goduto al mondo la uaghezza del uostro bello, ua di nuouo cercando d’un altro bello; et no’l ritrouando in terra, salisce in Cielo sperando di ritrouarlo quiui.

  1. Se la bellezza delle Donne fosse degna di questo nome, et non piu tosto ombra et fumo, l’anima nostra godendo di quella, s’appogherebbe in lei, ne bramerebbe piu oltra:

Si come eterna uita è ueder Dio;

Ne piu si brama, ne bramar piu lice.

Ma per essere ella cosa di poco ualore, troppo piu che non merita, la celebrate uoi. Et perdonatemi, che uoi u’ingegnate di fare, come si dice in prouerbio, di un pruno un melorancio. AGO. Non è colpa della bellezza Donnesca, ma difetto dell’intelletto nostro, ilquale non arriua tanto alto: si come non puo l’huomo in pietra uiua, o in dura cera, imprimere segno alcuno: Et cio non procede da mancamento del figlio agente; ma

 

Fol. 123r

dalla indispositione della materia. Et cosi se la uirtu attiua non opera, incolpisi la patiente, che non puo, ne uuole. Ditemi un poco, quale è piu dolce giogo, qual seruitu piu soaue, di quel che rara bellezza mette all’anime nostre? A tutti gli huomini incresce, et suo parere strano ritrouarsi uinto di ricchezze, di ragione, et di forze: et questa sola non apporta dispiacere et non aggraua chi da lei riman uinto; anzi fassi ella acutissimo sprone alla gloria et allo honore; et oltra cio fa ella piu ubidienti et piu lieti gli animali alteri, che il possedere et l’oro et le gioie di tutto l’oriente. Hora sento io chiamarmi, nobilissime Donne, dall’anima mia in parte la, doue io uo

molto et pensoso et allegro: pensoso, et meritamente pensoso perche il soggetto, di ch’io intendo ragionare, richiede maggiore eloquenza, et piu ornamento di parole, ch’io non basto a prestarui: allegro, perche pure hora comincio auedermi come parte in parte uo raccogliendo bellissimo frutto de miei sparsi pensieri: dapoi ch’io mi apparecchio a ragionare in quella prima et uera luce, laquale siede padrona dell’anima mia. Ma chi è quel che cosi pauroso mi rendo? chi è poi, che mi presta ardire? et onde è; che l’ardimento mio finalmente scaccia tanta paura? Donne mie, tutto questo ch’io dico, è in potere del mio sauio et ualoroso Signore; ilquale è piu bello et piu marauiglioso d’assai, che l’opre di natura non sono. Egli è quello che mi scorge per strada dritta et espedita, ond’io possa rendere la gloria et la felicità mia saldissima et secura: et mi fa tale, che mentre io fauello di lui, io mi sento solleuare in parte, doue io posso schernire il uento et

 

Fol. 123v

la nebbia d’ogni indegnità humana. Non ci diede giamai purpurea Aurora al piu sereno cielo esperienza maggiore di lieto et riposato giorno, quanta certezza di bene Iddio ne diede in quella felicissima hora ch’egli adornò et beatificò il uiuer nostro con la preferenza sua. Egli è tale, o Donne, che perpetua et lieta primauera, laquale infiora il mondo, a lui sempre è dintorno. Et le Gratie et le Virtu tutte raccolte in bella schiera fanno a proua cantando le glorie et gli honori suoi. Non è alcuno che possa seruire a Dio con pura fede, chi non è puro et fedel seruo di costui a cui oltra il supremo ualore: oltra la rara eccellenza che natura gli ha dato, insieme con le piu benigne et piu cortesi stelle, lequali tutte s’unirono alla grandezza et perfettion sua; fece dono anchora di tanta et si nuoua bellezza; che chiunque la uede et subito non l’adora, ben si puo dir c’habbia core seluaggio, et piu che pietra duro. Questa è la padrona d’Amore; et uoi, Donne, ue lo sapete chiaro; che con le uostre mani l’hauete collocata nel suo bellissimo uolto. Me se mi fusse pure tanto di gratia concesso, ch’io potessi alzarmi si con le parole mie, ch’elle fossero degne di raccontar le sue lode, et di quella Donna gentile, per laquale io ueduto c’hebbi lo splendore che mi nodrisce et consuma incontanente arsi; forse (e’l mio sperare non è in uano) uedrei il mondo tutto amico et grato al mio ragionamento: e i dolcissimi nomi in questi due, d’Amor dico et della Donna mia, ueduti in altra parte, porgerebbero alle parole mie nuoua et non piu conosciuta

dolcezza. Gia non è quello il fuoco, onde l’anima si consuma; benche percio ch’io’l dico a tutte l’hore,

 

Fol. 124r

la gente se lo tien per fermo. Cuoprasi intanto la uera et celeste schiera de pensieri, iquali la mente conserua per suo bene. Conciosia che l’anima sopra le spalle sue sente altro piu bello et piu honorato peso. Et s’io nodrisco il mio core d’un dolcissimo lume, altri si pasca poi di quel c’ho ragionato. Et cosi uada: ma gia non piaccia a Dio, che di me goda quella fiera et crudele, che del penar mio se n’andaua gloriosa et superba: anzi pentita pianga alla uituperi suoi, e’l uelo di quello inganno, che le haueua coperti occhi si, ch’ella non conosceua chi fosse. Io’l diro pure, dunque uoglio io folle, che cosi leggiadra et ualorosa compagnia, come è questa, m’oda ragionar di lei? Donne quantunque le mie parole assai chiare ui siano, haurà nondimeno la fiamma mia un’altro uelo. A uoi Donne mi rendo prigione, et dico, che di uoi sole nasce la uera bellezza, non altramente che frutto uien da seme: et uoi poscia si come a uoi piace, a questo et quel la donate: et a uoi nondimeno ne ritorna il tutto. Voi nella nostra piu fresca et piu tenera età prendete a coltiuarci come terreno asciuto che siamo: et si come l’opra et la fatica è uostra, cosi anco tutto quel pregio et honore, ch’ogni animo gentile per uoi deuote adopra, è uostro. Non sia si ardito ne temerario alcuno, che cosi bel dono da uoi non riconosca: perch’egli n’andrà punito; si come molti altri ingrati et nell’antica et nell’età moderna n’hanno pagato la pena. Et però io, affine di non esser conosciuto per tale, riconosco da uoi cio ch’io sono; et confesso anchora di menar per uoi la uita dolce et serena. Senza che di piu uoglio dire, et temo che il mio dire appresso di uoi

 

Fol. 124v

mancherà di fede, ch’io non posso, merce uostra, morire: perche qualunque s’è colui, che ne suoi primi anni ui fa dono del core, quegli giamai non proua morte. CI. Hora u’ho bene inuidia, Signore Agosto, che uoi habbiate a restar sempre in uita dopo noi: et m’incresce ch’anch’io questo non sapessi allhora ch’io era piu giouane; ch’anch’io con esso uoi sarei fuora di questa paura comune di morire. Ma questa è cosa di troppo alta importanza: ne la deureste insegnar cosi in publico. AGO. Anzi s’io potessi sforzarei ogniuno a impararla: et pesami molto in seruitio uostro, che uoi non l’imparaste da fanciullo, che so che l’hareste messa ad essecutione; et u’haurebbe giouato. Ma di cio non si uol ragionar piu chiaro, acciò che ogniuno non partecipi de i mesterii d’Amore. Ma quale altra cosa giamai puote essere piu gentile o piu bella, che la bellezza istessa? Questa è quella sola, et altri non ha tanta possanza, ch’ogni cosa che se le auicina, rende a se medesima simile. Però un’anima pellegrina, benche in corpo uile sia imprigionata, mostra di fuori testimonio di quella altra uirtu, c’ha dentro a se scolpita; et cio è con l’essere sempre piu uaga et bramosa delle cose belle et leggiadre, lequali di maggior possanza sono sopra di noi, che le stelle. Non ha tanto potere la forza, l’ingegno, l’arte, ne le parole, che bastino a priuare una cosa bella di bellezza. Chi è colui, che possa spogliare il Solle della sua luce, benche scriua, fauelle, o gli adopri contra? E sciocco è ueramente chiunque falsamente si presume di poter fare senza bellezza cosa alcuna eterna ne bella. Perche chi s’ingegna di torre o di dar

 

Fol. 125r

bellezza pensa di fare anchora il giorno oscuro, et la notte chiara, caldo il uerno, et fredda la state. CI. Questo c’hora egli ha detto, è tutto contra di uoi, Donne; lequali con ogni studio et industria uostra in altro non u’ingegnate mai se non in metter bellezza la, doue ella non è: et cio quanto in darno sia, fate lui dichiarare al Signore Agosto. VIO. Le Donne non sono tante sciocche, ch’elle si credano di poter far bello quel che non fu giamai: ma ben s’ingegnano di far parere a uoi altri priui di giudicio quel che non è in uero: et cio riesce loro piu che spesso: perche ne rimanete ingannati dall’apparenza. CI. Hora si che non habbiano piu bisogna di proue, ne di testimoni; poi che le Donne da loro stesse confessano di non hauer bellezza, ma di farla parere. Toltoui dunque questo, che altro piu rimane in uoi degno d’honore o di lode? Perche sicuramente ui potete riporre, et dare ordine che si ragioni d’altro. VIO. Io non u’ho confessato che la bellezza non sia nelle Donne; ma ben u’ho detto, che quelle poche che belle non sono, s’ingegnano di parere con industria; et cio uiene loro ageuolmente fatto, et creduto da uoi per il poco giudicio, che di bellezza et dell’altre cose hauete. CI. Eccoui che la Signora Violante si adira, si come quella che si conosce non hauer ragione; onde ella mette mano alle ingiurie et alle uillanie, chiamando gli huomini, indifferentemente tutti et in tutte le cose poco giuditiosi: ilche quanto sia lontane dal uero, io non uoglio ch’altri che lei, quando haura dato luogo all ira, lo riproui: che ben confesserà il contrario. Ma io per me scuso lei et tutte l’altre insieme: perche io

 

Fol. 125v

mi conosco hauere il torto io, et d’hauerle dato giustissima cagione d’adirarsi meco, hauendole detto, che le Donne non hanno bellezza essendo certo che maggiore ingiuria non si puo far loro, perche, come disse l’Ariosto:

A donna non si fa maggior dispetto,

Che quando brutta o uecchia le uien detto.

VIO. Io non mi sento cosi mal temperata, che io m’adiri per ogni picciola cosa: ma conosco ben uoi, quando non hauete che rispondere al uero, uoltarui a i prouerbii et alle burle. Ma di gratia non interrompiamo piu il Signor Agosto. AGO. Egli auiene di rado, che una risposta  uirtu si possa appalesare a chi almeno in parte non ha conoscenza di lei: ma questa suprema et eccellentissima, laquale, insieme con esso uoi uenne et habita al mondo, comparte del suo raro ualore in tutti i petti. Sono le forze sue manifeste et palesi ad ogniuno, senza che altri s’affatichi a riuoltare l’antiche carte: pero che ogni anima, quantunque rinchiusa in bassa et oscura prigione, da se stessa raffigura il bello ueduto su in Cielo. Ma che piu mi accade, o bellissime Donne, rogionarui di tutto ciò, che costei sa fare ne gli animi nostri? Veramente chiunque s’affatica dirne a parole, o celebrarla con purgati inchiostri, uiene a lasciare a dietro il piu e’l meglio. Ella nasce di uoi; et in uoi perpetuamente alberga; ella d’altro non si nodrisce, che del uago et dolce lume de i uaghi et dolcissimi occhi uostri. Ben lo conosco io, ben ue ne posso far fede io, che’l prouo et sento: et ancho è tra uoi, chi chiaramente uede si come io sono cenere et ombra; et con tutto cio non sel’crede, o s’infinge. Io sono ombra et

 

Fol. 126r

cenere; et una è del dignissimo numero uostro la cagione di quella dolce fiamma, ond’io tutto ardo et mi consumo. Ben so che io sarò creduto da chi hora non mi presta fede; et allhora uorrà poi darmi aiuto, ch’ogni aiuto et soccorso sarà tardo e inuano. Hora sarebbe tempo d’aiutare il core, mente ch’egli è possente a soffrir gli affani suoi; et assai cibo et nutrimento gli sarebbe un solo et pietose sguardo: Che se si uorrà indugiare ch’egli sia giunto al passo estremo de gli ultimi suoi giorni, non sarà poi ne sguardo ne ragionamento che basti a ritornarlo in uita. Io so ben io, Donne, che io non uaneggio; et sallo parimente chi delle sue leggiadrissime luci m’è troppo, et contra ogni ragione auara. Ah troppo crudeltà, ella pur uuole che amando ardendo et pregando io mi muoia, senza ch’io sia mai degno d’udire la sua angelica uoce, laqual m’è cosi dolce et cara. Forse che quando questa mia afflitta anima sara uscita del suo albergo, ella l’udrà parlare, sospirare, et piangere: et io uerrò ad hauere quel contento dopo morte, c’ho tanto disiderato in uita. Ma oime, che inuaghito a ragionar de gli affani miei, non m’auedeua cieco, come io di tanto interuallo era uscito del sentiero. Troppo è lunga l’historia del dolor mio. Ritornate hoggimai, o pensier miei uaghi et allegri, et ricoprite il mio male col uelo di dolci inganni. Et tu santa et celeste bellezza, che tuttol mondo tieni pieno ogn’hora di nuoui desiderii, et uoto d’affani, fà ti prego, che io posto in oblio il mio giusto et souerchio martire, quanto desio ho di ragionare in tua lode, tanto di memoria mi sia concesso anchora. CI. Habbiateui cura, Signore

 

Fol. 126v

Agosto, che non ci siate rubato da alcuna estasi, mentre u’alzate in spirito: si che non hauessimo poi d’aspettarui o di richiamarui, che ueniste a finire il rimanente. MV. Questo non sarebbe il primo miracolo d’Amore: et ben lo crede chi prouato ha talhora, che possano le sue forze. AGO. Nella uostra piu fresca et piu fiorita etade, laquale suole essere albergo et ricetto fido de i piu bei desiri; Quando Amore suole hauere in noi piu forza: scende questa diuinità, di ch’io parlo, questa cosa gradita di cielo in terra in uoi Donne; le quali lietamente accogliendola di uoi medesime le apparecchiate honorato nido: con quella anchora si diparte da uoi, lasciando al suo partire nel mondo fama perpetua et lodeuole grido; c’hora di questa hor di quella si suol poi con dolce rimembranza dire; questa Donna a suoi giorni ueramente fu bella et leggiadra: ilche dee pure essere di piacere et contento grandissima cagione a chi di uoi ui pensa alcuna uolta, mentre è in uita. Donne mie, se la bellezza fosse eterna in uoi, egli securamente non uorrebbe mai che prouaste morte: ma perche egli ui ua mutando d’una in altra etate, percio non glie il morir uostro graue ne noioso. Hanno per incommutabil legge di natura tutte le cose create ad hauer fine, et a cambiar uoglia, pelo, sorte, et bellezza. Però dalla morte d’uno, nasce uno altro: et di questo uariare et ritornare in cerchio, molto si diletta il fattor di tutte le cose. È la età giouane et fiorita alla bellezza non altramente che felice et fertil terreno a pianta morbida et gentile. Et però s’io di lei troppo ui ragiono, iscusimi la grandezza et nobiltà sua, la quale

 

Fol. 127r

m’accresce animo, et uuol pure ch’io tuttauia di lei ui fauelle. Per costei morta è ogni paura: per costei uiue la speranza. Questa è uera beatrice d’ogni spirito gentile; la quale ha seco sempre infinite sue alte et serene uaghezze: onde Amore, sola merce di costei, in ogni anima, ou’egli dorme, ne mostra tuttauia nuouo ualore. Questa è quella, che ne porge matura senno, che ci orna di alta uirtu: et per gratia di lei caldo è sempre ogni nostro operare. Sanno raccontare i uecchi quel ch’essi gia fecero ne gli anni loro piu uerdi; et col rimembrar suo uanno acquistandosi ogn’hora maggior fede. Furono i giouani quegli, che diedero lume et splendore a tutto quello c’hoggidi si legge, si uede, et s’ascolta. Et questa bella giouenile et sempre uerde età tanto piace a Dio; che ei di continuouo e in perpetua pace la tien seco in cielo. CI. Et chi è quello si sciocco, a cui la giouanezza et la bellezza non piaccia? Fino al romitello del Boccaccio alleuato sulla cima di Monte Asinaio piacquero le Donne belle et giouani: et a me piacciono anchora sommamente. Perche se le tante lode che uoi date alla beltà et alle Donne, s’intende solo per quelle che giouani sono, io per me securamente sono con esso uoi. Conciosia che quantunque tutte le Donne siano cosi dette, perche apportano danno, io nondimeno mi contento che le giouani mi giouino, et arrechino diletto. Distinguete dunque animosamente fra le fanciulle et le uecchie: et se uolete piacere all’une, si come elle son certo che piacciono a uoi, non le mettete con l’altre insieme. Perche l’una parte non u’haurà obligo d’esser lodata in generale: et dall’altra non sperate

 

Fol. 127v

ne curate d’hauere benificio ne piacere. VIO. L’intention del Signore Agosto, si come io credo, e d’honorarle tutte, anzi di driui il uero: et non accade ch’egli altramente distingua: perche la bellezza sta con le uecchie anchora; et ella merita lode in ogni luogo, doue che si ritroua. CI. Voi hauete tolto a difendere la parte delle uecchie, benche uoi non siate, quasi che foste: et spiacemi che non lasciate ch’elle si procaccino difensore; che forse non cosi ageuolmente lo ritrouerebbono. Et son certo, che questi Signori, iquali tanto elegantemente hanno hoggi et questi altri giorni disputato in fauor delle Donne, non ci haurebbono aperto bocca, se s’hauessero creduto fauorir le uecchie: come ne anco io haurei detto lor contra parole alcuna, se m’hauessi pensato, che le parole mie fossero state intese contra le giouani. Et cosi fin’hora, Donne, protesto, et mi dichiaro di non hauere hauuto si scelerata intentione. Perch’io piu tosto uorrei hauere nimico uno essercito bene armato, che una Donna sola, et bella et giouane. MV. Troppo hauete indugiato a chiarir l’animo uostro: percioche tutte, queste signore s’hanno gia concetto una mala openione di uoi et di consorti uostri ne gli animi loro: et indubitatamente ui reputano per lo capitali nimici. Et so ben ciò, ch’io mi dico. Bisognaua leuarsi piu per tempo; et fare come questi signori hanno fatto: iquali son certo, che per piacere ciascuno a una sola, l’hanno honorate tutte. Ne hanno uoluto biasimare le attempate, perche le fanciulle siano tenute a corrergli dietro. Nondimeno usate uoi le uostre ragioni: ch’io per me non ho piacere alcuno del

 

Fol. 128r

mal uostro: anzi come ad amico et seruitore ch’io ui sono, rincrescerebbemi d’ogni minimo danno, che perciò ne sentiste. MV. Io uo pure allegare anch’io quattro parole, in iscusatione et difesa del Signor Caualiere. Vuole una legge, che le parole s’habbiano a interpretare secondo l’intentione di chi le proferisce. Da poi che dunque egli si dichiara, et protesta qual fosse l’animo suo, perche non se gli ha egli da ammettere si legittima scusa? CI. Et questo uostro buono ufficio non passerà con ingratitudine: continuate pure a difendere l’innocentia mia. VIO. Meglio sia che il Signore Agosto continui il ragionamento suo: perche al dare della sentenza, uedrem poi, se meritate d’esser assolto ò condannato. CI. Sarebbe pur bene intendere et ascoltar prima le mie ragioni. MV. L’ufficio è molto bene informato: ne ui si mancherà di giustitia. AGO. Hora s’egli non è uero, che l’incomparabile benignità di Dio in uano habbia dato a gli huomini uirtu, forza, et ardire: anzi egli con infinita prouidenza gli ha collocati a noi, accioche stia lontana da noi la paura di tutti i mali: et per questa cagione quei primi anni et migliori, che senza paragone alcuno rendono piano et soaue ogni duro et faticoso operare; soli et meritamente si possono lodare, et senza mescolarui alcuna menzogna; si come quegli che danno tutto a un tempo uirtu, forza, et ardire. Come sarebbono intese le qualita del cielo, la uarietà delle stagioni, i uiaggi delle stelle erranti, et gli effetti delle stelle fisse, senza quegli che possono et durare et faticarsi nell’opre? Chi basterebbe a soffrire nell’honorate imprese et in

 

Fol. 128v

casa et fuori caldo, freddo, fame, sete, martiri, et sono? Et doue s’accenderebbono l’altre et uiuaci fiamme del santo Amore, ch’è padrone et signore di tutti gli animi gentili? Ma d’altra parte, che ueggiam noi fiorire ne gli ultimi anni di questa humana et misera uita, se non timore, sospetto, auaritia, odio, inuidia, otio, infirmità, et mille altri continui affanni? Gli huomini et le Donne, et quanto uede et riscalda il Sole, mentre che costei dura in loro non prouano alcuna noia. Et ueramente è d’assai piu beato chi giouane si lamenta et si duole, che non è qualunque uecchio piu felice, o fanciullo che si uiue in continua gioia. Ben è misero colui, che non potendo uuole, et se medesimo in dolci et perpetui desiderii consuma et affanna: et senza dubbio alcuno par che questo dolore egualmente tutti ci affliga et tormenti non meno nella prima età, che nell’estrema. Non è alcuna cosi graue miseria, o Donne, in questo mondo, la quale si possa pareggiare al non essere uenuto in questa uita. In tanto che Santo Agostino hebbe a dire; che molto meglio è l’essere condannato alle pene dell’Inferno, che non esser mai nato. SF. Io non conoscere, che dolore o qual pena possa prouare chi non ha essere: et certo buoni argomenti ci haurebbono mistiero a farmi credere questo. Nondimeno di tanta auttorità sono le parole di quel Santissimo huomo, ch’io stringo le spalle, et m’arrendo. AGO. Similmente l’ultimo de i terribili et delle cose amare del mondo, è il partirsi da lei; tanto è forte et aspra la separatione dell’anima del corpo. S.F. Pure è openione di molti, et del Petrarcha, il qual dice;

 

Fol. 129r

La morte è fin d’una prigione oscura

A gli animi gentili; a gli altri è noia,

C’hanno posto nel fango ogni lor cura;

Che il morire sia il passare da questa a miglior uita: il che mi gioua di credere anchora per quel che ne tiene la Chiesa de fedeli; la quale dice, che cio è un sonno et un riposo nel Signore Iddio. AGO. Dritta et buona è ueramente l’openion uostra, Signore Sforza: ma non si ragiona in quanto all’anima; la quale poi ch’ella se n’è partita, non uorrebbe per nulla mai piu ritornare nel corpo. Ma cio dico io rispetto alla priuatione dell’essere, la quale sente il corpo, et stranissima gli pare: come ben disse il medesimo da uoi allegato Poeta in persona della sua Madonna Laura:

Negar, disse, non posso, che l’affanno,

Cha ua inanzi al morir, non doglia forte;

Ma piu la tema de l’eterno danno.

Hora ritornando ui dico, che questa età gradita, ci ch’io ui ragiono, è lontana molto dal non essere: et le morti paiono in lei piu che nell’altre et piu rare et piu nuoue. Quegli dalla prima età sono a gran pena nati; et morir certo tronca et raffrena i piu longhi corsi. Spera di continuo la prima et piu uerde età, si come all’incontro in perpetuo timore sta l’estrema uecchiezza. L’una di queste due, cio è la prima, corre uerso costei, et quanto piu poco col buon uoler s’aita, per aggiungerla. L’altra, ch’è la uecchiezza, benche gia stanca sia, pur la fugge a gran passi, si come tutte quelle cose fanno, che scendono et uanno uerso il chino. Quella che la segue s’affretta, et pare, che tuttauia dubiti

 

Fol. 129v

et stia in timore di non poterla asseguire; prima che morte il uiuer suo anzi tempo interrompa. All’altra ch’è gia posta in declinatione, alto dolore et continuo l’anima tormenta, ueggendo che l’ingordo tempo il sangue e’l uigor le fugge et consuma. Et intenta a serbare oro, misera et cieca si da a credere di serbare et prolungare anni: tanta è la dolcezza, ch’ella uede nel passato, et tale è l’amaritudine ch’ella si sente soprastare al capo, di douer perdere l’essere. Piace ad ogni età questa ueramente giouanezza: ma ella è sola di se medesima uaga; si come quella c’ha sempre in sua compagnia il fonte di tutte le cose amabili et gradite; et non pur questo, ma di continuo porta con esso lei la gloria e’l desiderio de gli huomini et de gli Dei: di maniera, che non pure le presenti, ma le passate gratie anchora, hanno tutte da lei preso il ualore; come ben puo uedere chi uorrà minutamente cosiderare con l’ingegno.

Tutte le cose, di che’l mondo è adorno.

Questa bella et leggiadra età disutilmente spesa all’altre età porta penitenza della sua follia, dispiacere et uergogna. Ma riuolgete l’ordine, quando elle intende, come deurebbe sempre fare, ad opre honorate o di mano o d’ingegno, leua alla uecchiezza la memoria noiosa d’ogni cosa uile. Et s’a lei oltra le tante doti et priuilegi ch’ella apporta seco, uien conceduto anchora da Dio largo dono di amata bellezza, ben si puo ueramente dire allhora, che tutto quello che le stelle e’l cielo possono tra noi fare, tutto sia in lei concordemente accolto et unito. Ond’ella di tante eccellenze ripiena, non ha doue piu poter dar loco a gratie nuoue in se stessa.

 

Fol. 130r

Chi potrebbe imaginar mai col pensiero, non che raccontare a parole, quanta et come nuoue dolcezza si proua al core, tosto che l’occhio è inuitato dalla uaghezza a mirar cosa bella? Et non pur questa felicità, c’hora io ui dico, si conosce in noi soli, c’huomini et dotati di ragione siamo, ma in ciascuno altro animale dalla natura creato. Et pero, Donne, non è da marauigliarsi punto, se al mondo non si ritroua spirito alcuno, il quale non sia uago dalla bellezza. Ben’è dunque ragione, che uoi in molto pregio habbiate l’auenturoso et felice tempo, il quale in uoi fondamento et radice del bello, in noi è cagione et origine del bene. Molti si ritrouano in questo mondo, i quali se sapessero usare le loro alte et diuine auenture, meritamente si potrebbono chiamar beati. Ma uane et disutili quelle ricchezze sono, le quali stanno chiuse sotterra, et non è chi pur le conosca. Et bene in questo proposito parlò il Bembo uolto a ragionare a Donne, si come io a uoi sono;

Giouinezza et beltà, che non s’adopra

Ual quando gemma, che s’asconda et copra.

O come è rara la gioia, et come infinito et continuo il danno di questo uiuere humano ueloce et fugace. Camina un giorno appresso l’altro; et noi ciechi non ci aueggiamo, come con esso loro se ne uola la gloria nostra. Non puo uedere occhio mortale, perch’egli acutissimo ueggia, et fiso miri, l’erba perdere del suo colore, ne morirsi: et molto meno s’auede, che la bellezza insieme co bei desiderii sparisca; ne punto meglio conosce il corso della fiorita età, che ce gli serba in seno. Ma in un subito ecco il uerno sopragiunto all’herbe, et noi…

 

Fol. 130v

entrati ne i martiri et ne i sospetti di quella età, che non è meno acerba et amara di morte. Doue poi che da noi s’è dileguato il bene, si conosce per aperta proua, che finalmente si uede quello, ch’ogn’hora a poco a poco uien meno. Cosi quello che ad hora ad hora si uiene a perdere, tutto raccolto insieme ne tormenta, et afflige: et è ben ragione, che quel cieco et reo, che nel suo miglior tempo è scorso uaneggiando fuor del diritto sentiero, acerbamente se ne mora poi d’estremo dolore, con un tardo rauuedere et pentirsi, ch’egli ha scritto ne gli occhi. A che fine sta di continuo riuolgendo il suo desiderio, colui che non adopra la uoglia e’l potere, allhora ch’egli è dotato et pieno di ualore? L’anima che dal supremo fattore felicissima scendendo, ueste quagiu belle et altiere membra, amica et grata a Dio gli rende continuamente gratia et mercede, con opre sante et d’ogni uiltà nemiche. Et egli poi compiacendosi nella fattura sua, la contempla et la uagheggia, et insieme incredibile allegrezza ne prende, d’hauer sotto le stelle tanta et si rara gloria. Et è ben dritto, che quale di noi ha portato da lui gratia et dono maggiore, gli sia anchora et piu grato, et piu riconosca il benificio a lui fatto. Et non è dubbio alcuno, che Donna giouane, ualorosa, et bella, ha da Dio tutto quello ch’a domandare sia possibile. Per amor di lei s’arde: per sua cagione si pensa: et per piacerle si parla, si scriue, et in dolci et amorose note si canta. Et spesse uolte una seruitu lunga, e un bello amore di uno spirito gentile, d’udirla o di uederla solo dolcemente s’appaga et contenta. Ne dee giamai parerci poco quel bene, ilquale da cosi alta et…

 

Fol. 131r

nobil cosa diriua. Voi dunque, ualorose Donne, sete quelle che deuete rendere et piu spesse et maggiori gratie al Re del Cielo, per lo esser uoi dal suo bel Regno discese, affine che la sembianza sua in uoi riuerentemente s’adori et contempli. Da uoi, et non altronde, procede ogni salute nostra; et ben uel sapete; che fino in Cielo haueste il pegno delle menti nostre, ilqual pegno ui fu dato da Dio: percioche mal uolentieri cosi lunghi da lui et dal suo regno partiuate, per uenire ad habitar quagiuso. Eraui, o Donne, il partire, da cosi dolce luogo troppo aspro et amaro a patire, da quel dolce luogo, la doue ogni sauio intelletto col pensiero aspira: ma prendendo uoi in mano il gouerno della uita nostra, uolentieri scendeste per leuarne timore, pianto, et affanno. Et di qui uien poi, ch’ogni anima affannata et sbigottita, tanto di bene sente, quanto per uostra cagione sospira. Conciosia che la suprema prouidenza di Dio ui mandò aprouar caldo et freddo, accioche uoi foste il medesimo qua giù nel mondo quel ch’egli è la su in Cielo. Questo rispetto sol nacquetò l’infinito dispiacer uostro, et fece che allegramente ue ne ueniste ad habitar con esso noi. Questo medesimo fu principio et cagione d’ogni gloria nostra; poi che allhora diuentammo cosa degna di uoi. Nel cui ragionamento chiaramente si uede, si come Iddio ne ha arricchito de pensieri suoi, facendone ragionare in modo, che il ragionar di uoi et delle grandezze uostre piu ch’ogni altra cosa piace et diletta la gente. Se la natura dunque per hauer fatto uoi n’è diuenuta per cio altera; et se tutto quello che per uoi si uede, per uoi…

 

Fol. 131v

anco diuien bello et gentile: s’ogni bene; s’ogni felicita qui per uoi si spera et s’aspetta; s’a uoi sole, o Donne, siamo tenuti domandar mercede; et finalmente dapoi che si uede una humile et deuota preghiera ottener da Dio cio che per noi lecitamente si domanda;\ non sopportate, ch’ai nostri ardenti et continui prieghi in uoi si ritroue giamai sorda uera a pieta et cortesia. SF. Piacemi molto uedere, che’l Signore Agosto non uoglia spendere le sue parole indarno, si come questi altri Signori hanno fatto; i quali hauendo detto tanto questi giorni in honor delle Donne, non hanno mai saputo aprir bocca a domandargliene la mercede; forse aspettando che da loro uenga la cortesia. Ma io per me credo, ch’essi potranno lungo tempo aspettarne il meritato guiderdone, cosi poco giudicio mescolato non molta ingratitudine si trouò sempre in esse, et hoggi piu che mai si ritroua. MV. Noi allo incontro siamo tanto certi della gratitudine et pietà delle nostre Donne in particolare, e di tutte in genere; che noi ci fa bisogno usar prieghi per hauerne mercede. Et si suol dire, ch’assai domanda chi ben serue et tace. Senza che noi non desideriamo cosa da loro, che a noi debba esser uergogna il chiederla, ne ad esse il concederla. SF. Questi uostri amori philosophici, et da monache son tanto pieni di rispetto; che a me nel uero sodisfanno assai poco: et le piu uolte uoi amanti modesti solete amare in maniera le uostre Donne, che non che altri, ma elle istesse non se n’aueggono. Et cosi si danno a credere, che uoi di nulla habbiate bisogno, ueggendoui cosi rispettosi a domandare. MV. Chi è troppo ardito ama poco: et

 

Fol. 132r

ordinariamente il timore di offendere la cosa amata; sempre accompagna l’amore. S.F. Non merita nome di uitio l’esser poco discreto per troppo amar la sua Donna; et forse è la maggior uirtu, ch’amante possa hauere: percioche gli arditi, (uoi forse gli chiamereste sfacciati et baldanzosi) usando la prontezza loro meglio et piu facilmente recano a fine i proprii desiderii; che i discreti non fanno: i quali in aspettando l’occasione d’una hora, ueramente consumano i mesi et gli anni. MV. Se non ch’io temo non la nostra disputa si prolungasse troppo, et uenissesi perciò a interrompere il ragionamento del Signore Agosto, io haurei molte cose, che, risponderui incontra: ma io uoglio anzi perdere con uoi, che per uolere superarui, acquistarmi nome di poco discreto. SF. Et forse che questa materia non è in tutto fuor di proposito, et non dispiacerebbe alle Donne che se ne ragionasse, per trattaruisi molto dell’interesse loro. VIO. Per noi fa piu che si continui il cominciato ragionamento; che tutto è in nostro honore. SF. Aspettate, che mi pare di indouinare, che il Signor Agosto disegni farui una lunga predica sopra l’opra della misericordia, facendo congiettura dal thema, ch’egli si ha proposto. Però ascoltatelo. AGO. Appunto uoi ui sete apposto. Sputate dunque. O quanto spiace a Dio; et è ben ragione; che quello che lui piega, non pieghi anzi maggiormente faccia indurate uoi. I nostri deuoti et ardenti prieghi hanno potere di diriuare da lui uno amoroso fonte della sua incomprensibile pietà, la quale non niega nulla. Et pur si uede, che’l suo maggior desiderio è piu tosto di far gratia, che d’aspettar

 

Fol. 132v

preghi. Sallo ogniuno che in questa presente et in tutte l’altre età passate, dopo il fallire ha ritrouato in lui pietà et misericordia. Veramente se non fosse pietà, che altro sarebbe questo mondo, se non una oscura spelunca senza Amore? Che potremmo noi sperar di bene da chi adoriamo, dopo questo mortale et per noi mal preso errore? Troppo è misero e infelice quello huomo, o Donne, che prega et piange, et parte porta inuidia a chi giouane e inanzi suo tempo esce di questa uita. Or quale altra piu dura et piu dispietata sorte si puo prouare, che cercando della pietà andare per essa alla morte, che te la sumministri? Tanta soauita et dolcezza porta seco il pensiero et l’intention buona di uolere usare cortesia, Donne honeste, quanto è d’altra parte aspro et noioso l’essere in duolo, e’l ritrouarsi oppresso sotto empia salma di molte cose amare. Sente ogni anima pietosa prestarsi ale, inalzarsi a uolo, et appressarsi a quel supremo fattore, che di nulla creò tutte le cose; allhora che ella tanta  uirtu  et ualore conosce in se stessa; che per opera sua altri prenda salute, et riceua uita. Gran contentezza ueramente ha nell’animo suo chiunque si uede poter far beneficio altrui; et tanto è maggiore il diletto, quanto il bisogno n’è piu grande; Et di che altro manchiamo piu noi, che della gratia et della bellezza uostra? laquale essendo in noi si come in uero fonte, per negarla altrui non cresce, de per darla scema. Anzi s’io ui dicessi, che quanto piu larga copia ne fate, ella maggior diuenga, forse non direi menzogna. Or s’ella è dunque in uoi, et s’ella manca a noi, perche non siete uoi ricche et perfette,

 

Fol. 133r

come allo’ncontro siamo noi miseri et mendici? certo non si chiamara mai beato ne abondate, chi patisce necessità di quel ch’altri ha douitia. SF. Et gli huomini anchora abondano di quello che le Donne hanno caristia: et udite come. VIO. Se non fosse che uoi forse u’usurpareste troppo aridre, et per auentura alcuna di quelle cose direste, che uoi farebbono reputare troppo licentioso per hauerla detta, et noi poco honeste, per hauerla ascoltato; io ui darei licentia che ci dichiareste cotesto come. Ma non ui è lecito passar piu oltra. Lasciate dunque seguitare il Signor Agosto. AGO. Ma uoulgete un poco l’ordine tutto in contrario di quel ch’oi ui diceua. Quella Donna mena tutti infelici suoi giorni, et di se stessa in ira, laquale crudelmente drizza il pensiero a gli altri danni: et oltra cio di quello istesso affetto arma il cor suo, ond’ella è piena; percioche non è uero, che giamai si uenga a far bianco col nero. Et cosi conturba se stessa, et si rasserena, fatta serua dell’intention sua secondo ch’ella è hor benigna hor crudele. Conciosia che la prima dolcezza, et il primo affanno, è di chi pensa dar mercede, o fare oltraggio. Da una parte si uede l’humiltà di colui, che prega; d’altra parte la superbia di chi ascolta il prego: et s’egli è spirito et leggiadro et gentile, c’habbia  uirtu  raccolta in se stesso, egli non ha punto minor uaghezza di dare, che l’altro s’habbia desiderio di chiedere. Et l’anima saggia usata a lodeuoli opere, seco la porta sempre, et la doue ella è uolta col pensiero. Doue non passa il tempo; doue eternamente sono luce, allegrezza, et salute, et con le parole del Bembo

 

Fol. 133v

Oue non corre il di uerso la sera:

Ne le notti sen uan contra’l matino:

Doue il caso non po molto ne poco:

Di tema gelo mai, di desir foco

Gli animi non raffreda et non riscalda:

Ne tormenta dolor, ne uersa inganno.

O tre et quattro uolte beata colei, che finalmente et con uerita puo dire fra se stessa; io fui che molti anni tenni uiuo un senza core: io gli fece parer dolce ogni tormento, et ogni pena, nella età sua piu bella et piu fiorita: per mia cagione non prouò egli giamai non sdegno, non ira: per mia cagione fu libero egli da quel freddo timore, che cosi spesso mena i miseri amanti a in felice morte: et sempre quel medesimo ch’all’uno fu caro, all’altro dilettò et piacque: et fu ben dritto; perche io tutta sua, et egli nacque tutto mio. SF. Quale sarà questa Donna, et noi la loderemo? dice la scrittura. ueramente per quel ch’io mi credo, hoggi ne trouerem noi poche, lequali possano con ragion dir questo. MV. Ah non dite cosi; che uoi troppo ingiuriate tutte le Donne, et uoi le tassate di crudeltà, ch’elle non meritano gia questa accusa. SF. Nell’uno di due difetti bisogna ch’elle incorrano; s’elle sono honeste, nel uitio della crudeltà; ch’a uoi anco è per quel ch’io posso uedere, tanto in odio: s’elle sono pietose et cortesi; nel peccato della lussuria: et è cio, perche non hauendo elle giudicio, conuien che s’appigliono sempre a gli estremi, iquali sono uitiosi; et lascino stare la uirtu, laquale è posta in mezzo. MV. Bisognerà con esso uoi, Signore Sforza, ritornar da capo, et sostenerui con altre

 

Fol. 134r

ragioni se le gia dette non bastano, che le Donne non peccano in giuditio ne in elettione; et ch’elle sanno molto ben distinguere tra il uitio et la uirtu. Ma facciasi cio con licenza del Signore Agosto. VIO. Deh non di gratia, non per l’amor di Dio: che gia habbiamo noi per conuinto et condannato il Signore Sforza, et gli altri auersari nostri, senza che si dia loro luogo a nuoue difese, anzi a nuoue accuse et calonnie contra le Donne. SF. Signora, qui non potete uoi sostenere la persona di due, cioè, di giudice et di parte: et questi Signori c’hanno parlato in fauor uostro, non pero son giudici: basta ben che siano auocati et difensori: et quando questa lite s’hauesse a diffinire qui, allegherei sospetti non pure i giudici, ma il luogo anchora,come quel che non è securo. Et ogni uolta che mi fosse fatto ingiuria, haurei douer poter ricchiamarmi.

  1. Aspettate che il quarto nostro auocato finisca d’allegare; et poi fauelleremo. AGO. Poco danno sono io per fare con le mie parole alla ragion sua; se pure egli si partende d’hauerla: ma dubito bene non egli uenga condannato per quel che si eloquentemente il Signor Grasso il Signor Lucio et uoi Signor Mutio n’hauete ragionato. Hora tornando al mio proposito : quelle dolci parole, lequali escono di bocca alle pietose Donne, son quelle che portando soaue inuidia intorno al cor de gli infelice amanti, leuano lor l’anima di corpo. Queste sono cagione, di fargli fare mille dolci et tremanti sospiri, et amicheuolmente giorno et notte languire. O pieta bella, o cortesia santa, o costumi celesti, bene è questo mondo per uoi d’ogni gratia et felicita ornato. Tanta possanza

 

Fol. 134v

ha un solo pietoso sguardo, et di tanto ualore è un soaue riso; che stando i corpi in terra, l’anime se ne uanno in paradiso. SF. Anco lo spirto di Frate Alberto da Imola fu portato dall’Agnolo Gabrielo in paradiso, mentre che’l uitioso corpo si godeua nelle braccia di Madonna Lisabetta. Certo che le Donne sono di grandissimo potere: et uoglio piu tosto credere, che ella facesse questo per uirtu de gli abbracciamenti soaui pieni d’ogni dolcezza, che per l’Agnolo benedetto. Et uoi troppo ui allargate, Signor Agosto, a dire che un  guardo o un riso possa tanto: ch’assai ui dee parere se questo effetto fanno gli amorsi baci, o gli ultimi diletti di Venere. VIO. Pur ui gioua di tornare alle burle, et agli scherni delle pouere Donne: Ma che sia? non uscirà la festa, che tutti n’haurete il debito gastigo. SF. Perdonate, Signora, questo ardire alla licenza militare: laquale  non deurebbe però essere meno priuilegiata della licenza poetica. AGOSTO. Nasce allhora una tanta allegrezza, che nascosamente uccide il corpo; si fattamente, che altro bene, et maggiore, che la uita non è, lo mantiene in luce. In tanto l’anima abandona le membra: et non è uita, poi quella che gli conserui; anzi é ualore et uirtu di due begli et fidati lumi: iquali questa gratia hanno in loro, che diriua da Dio: et è tale questa uirtu; ch’ella mette in grado altissimo et immortale, colui ch’ama, presso al suo fattore, con gli altri spiriti eletti. Egli non si dee dire, che colui uiua, ilquale beato siede in Cielo uicino al suo fattore Iddio: ma bene è piu degno assai che uita quello eterno zelo, quella diuina charità, che tra noi si

 

Fol. 135r

domanda mercede di Dio. Colui si dice uiuere, ilquale sopportando caldo et freddo, molte cose tocca, gusta, odora, ascolta, et uede. Et uno spirito gentile riuolto a contemplare l’incomprensibil grandezza d’Iddio, et da tutti altri pensieri lontano, poi che egli ha se medesimo et sua basseza obliato, si chiama piu che uiuo. Questa, o Donne cortesi, è la uirtu de begli occhi uostri, allhora che uera pietà si raccoglie in loro; allhora che gli uiene disio di compartire fra noi quella diuinità, c’hanno dal Cielo recata. Questi hanno poter di fare chiari et allegri i giorni nostri, iquali  per altro sarebbono et oscuri et dolenti; et uoi fanno anchora ricche d’honorate spoglie. Questi nella età nuoua et uerde spogliano la durezza, et l’orgoglio di ogni poter suo: et finalmente, la merce uostra, Donne cortesi, noi diuentiamo uaghi et arditi d’opre leggiadre et belle: la doue senza uoi neghitosi et uili meneremmo la uita nostra indarno. Si come spesse uolte, anzi sempre, benigna cortesia, raddoppia, come ogni huom puo uedere, uostra bellezza in uoi; cosi rara beltà, che’n Donna si ritroui, spegne et atterra nemica et discortese crudeltà. Ah quanto è dal dritto sentiero  lontana quella semplice Donna, per non dirle altro peggior nome, laquale per portar seco intiero  il pregio d’honestà, si rimane d’essere liberale et pietosa: et superbetta et uanagloriosa di se stella; quasi che questa uirtu fosse propia fortezza del cor suo, et non piutosto gratioso dono d’Iddio; seco pensando dice; or dica pure chi uuol dire; ch’io uoglio anzi la morte d’attrui, per potermi gloriare in Cielo d’essere uissuta honesta;

 

Fol. 135v

che non quanta fama di cortesia di me potesse dopo la morte mia rimanere al mondo. Credete a me, Donne, uoi sete in grandissimo errore, altramente credendo di quel ch’io ui diuiso. L’infiammato desiderio di ueder morto altrui, non merita di chiamarsi honestà, ma cruda et ostinata uoglia. Voi non sete state mandate qui fra noi da Dio, affine che n’habbiate a dare affanno et tormento; ma si ben per far uiue, et risuscitate à bella uita le speranze morte; s’auuiene che una anima gentile tutta si rimetta et done a uoi, tutta s’acqueti in uoi, et tutta si console in uoi. Credete uoi però, che a Dio piacer debba il uederla qui di continuo in stato penoso et rio? O Immortale et glorioso Bembo, quanto conosceste uoi sempre uiuendo la uera uia della uirtu: et quanto amaste uoi ogn’hora di insegnarla altrui, et massimamente a Donne belle et gentili. Dice egli fra l’altre in una sua bellissima stanza;

Non ui mandò qua giu l’eterna cura;

A fin che senz’amor tra noi uiueste:

Ne ui die si piaceuole figura;

Perche in tormento altrui la possedeste.

S’una uera humiltà, se amoroso ardente fuoco, s’honeste uoglie, et leggiadri costumi di spirito uirtuoso et gentile: se a uoi sole seruire, et desiderio di piacere senza curar punto la lode e’l biasmo della turba uolgare, che nulla uede; se continuo seguir l’orme uostre in tutti i luoghi, come Artophilace l’Orse; il celebrare gli honori uostri hore a parole, hor con purgati inchiostri, sono le cagioni, che uoi ci date si lunghi affanni et si dolorosa uita, Che pena duraranno aspettar da uoi gli

 

Fol. 136r

auersari et nimici uostri? SF. Essi in cambio de i uituperii et stratii che gli fanno riporteranno la gratia et l’amor loro; perche esse sono alla conditione di contadini, come dice il prouerbio uolgare che chi gli unge, gli punge. Et cosi chi serue: et adora le Donne, da loro uiene ingratissimamente tormentato et afflitto: et allo’ncontro chi le stratia et uitupera, ne riporta beniuolenza et amore. VIO. Eccoci alle ingiurie capitali. Or poteui uoi dirci maggiore ingiuria, che paragonarci a i contadini? Certo io non so che mi ritenga c’hor hora insieme con queste gentildonne, lequali io ueggio tutte di malo animo contra uoi, non mi leui a darui quel gastigo, che merita la discortesia uostra. SF. Io non ho però detto si gran cosa, ne lontano dal uero, ch’io per cio ne sia degna della disgratia uostra. Or non è egli piu che uero, che le Donne, che sono pregate, sempre negano di compiacere chi le prega: et quelle che non sono pregate, pregano altrui? MV. Io non homai conosciuti questi, che siano dalle Donne pregati: ma bene ho udito  ragionar di molti, iquali accortosi d’hauer tentato indarno, et consumato il tempo sciocamente, ricorrono a questa nobil uendetta: et uantansi d’hauere hauuto abondanza di quello, che solo s’hanno imaginato col pensiero: et per loro che il dir male, et far trouarti, accioche per lo uulgo di qualche nobil Donna si leuino fauole et uituperii, sia una specie di creanza di corte. Ma questi tali, che di qualche Donna nobil uillanamente si danno uanto, o uero, o falso, meritano grandissimo gastigo: ilquale se talhora uien loro dato, non si puo dire, quanto meriti lode, chi fa

 

Fol. 136v

tale ufficio. AGO. Hora se gli huomini nobili, iquali si uantano d’hauere hauuto dalle Donne ogni piacer loro, ne meritano pena grande; che si deurebbe fare ad acuni affamati et affumati pedanti et capellani, iquali per hauer tocco i panni delle nobilissime et Illustrissime Donne, fuor di ogni proposito si uanno gloriando, ch’elle sono lor corse dietro a panni alzati, che sono ite a trouargli alla camera e in letto; ch’esse non poteuano uiuere senza loro, et mille altre dishonesta?

VIO. Altro gastigo non darei loro, che non dar loro nulla; perche essi si come ben son degni, morissero agli spedali. MV. Se non ch’io uoglio riprendere i uitii, et non le persone, io ui nominerei alcuni; sciagurati  plebei, iquali seruendo Donne illustrissime per capellani, et pedanti, non se hanno uergognato uantarsi d’auere hauuto cosa che non haurebbono ardimento di pur pensarla, per la rara honestà di quelle Donne. Ma basta che Iddio giusto gastigatore di tutti i peccati, ben gli punisce secondo il merito, mandadogli uagabondi et mendici per il mondo a patir ogni miseria et disagio. VIO. Per amor di Dio non parlate piu di questo. MV. Perdonatemi Signora, ch’io uoglio pure soggiungere quattro parole in questa materia. Se costoro dicono il falso, quale è maggior uitio, che spogliar con inganni et contra ogni ragione una ualorosa Donna di quello honore, ch’essa meritamente ha piu caro che la uita? et massimamente facendole cosi  graue oltraggio, non per altra cagione, se non per quella, che la deurebbe fare dignissima d’ogni lode. Se anco dicono il uero, qual supplicio non sarebbe poco a chi

 

Fol. 137r

è cosi perfido, che per guiderdone renda si crudele in gratitudine a una pietosa Donna, laquale uinta da false lusinghe, da finte lagrime, da continui prieghi, da lamenti, da offerte, da promesse, et da mille altre insidie et inganni s’ha lasciato indurre ad amar troppo, et poi senza riseruo s’è data incautamente in preda a cosi maligno spirito? AGO. Questi scelerati tradimenti iquali molte uolte da gli huomini sono usati uerso le Donne, son cagion poi, ch’elle compassione alcuna de i ueri et uirtuosi amanti non hanno. Ma il peccato d’alcuni, non dee esser punito sopra tutti. Voi potete pure, o Donne, spesse uolte udire questi miseri et trauagliati amanti lagnarsi, et me insieme con esso loro: uoi gli uedete ogn’hora andare inutilmente perdendo i passi , et caminando a morte far dolorosissimi pianti: uoi gli uedete anchora stare non altramente che si sta colui, ilquale afflitto et doglioso si uede ogni suo bene leuar dinanzi; quando, affine di tor pace a chi u’adora, fate con lo splendore de gli occhi uostri beato et felice tale, che non cura ne conosce l’alta sua uentura. SF. Et questo è quel medesimo ch’io diceua dianzi, quando le ripresi di poco giudicio, et di souerchio orgoglio. AGO. Tutto il mondo, o bellissime Donne, u’ha in pregio, et honora; et a ciascuna di uoi è dato per destino un’huomo, che per lei uiua, et per lei proui la morte. Ogni anima bella et gentile s’innamora chi per elettione, chi per ualore, qual per gratia, et alcuna per sorte. Et s’è chi di uoi, o Donne, ami piu d’una a un medesimo tempo, non sa ueramente, come alta impresa honora: et l’ingordo pensiero, che troppo uolue, resta uinto, come

 

Fol. 137v

l’occhio ch’ardisce mirar fiso il sole. Deh chi è di noi, o ualorose  Donne, che col suo intero ualore, si presuma interamente poter dire le uere lode d’una sola di uoi.  Perdonimi questi Signori, c’hanno prima di me uoluto ragionare in honor di tutte: bench’io non credo, che intention lor fosse uolerne dire il tutto; anchora che lingua humana ne piu meglio potesse dire di quello che essi hanno detto. Nondimeno il soggetto è tale, ch’assai meglio è tacer, che dirne poco. Chi è poi che si uanti poter dire, com’egli teme et spera; com’egli mille uolte il di muore, et altrettante si ritorna in uita? come la uaga et altera luce di due begli occhi, al cor porta fiamma, et a gli occhi  suoi lume et splendore? Chi puo dire come il ghiaccio e’l fuoco d’una Donna sola sono in un medesimo luogo uiui et forti? Non è huomo alcuno, o Donne gentili , che benche spesso habbia comodità di uedere una di uoi, ch’alla partita non faccia un fonte di pianto: ne anco si ritroua ueruno che per udirui infinite uolte et dappresso, acqueti ne perda il desiderio di piu sempre ascoltarui. Chi è che possa tanta parte di se stesso a una Donna fare, benche tutto se le doni, che non sia poco o nulla posto con quel fio, ch’a lei si deue? Or se cio è uero; che senza dubbio è uerissimo, chi è fra tutti gli  huomini ch’al mondo sono, anchor che molto uoglia, ch’ardisca di far degno dono di se medesimo a piu d’una Donna. SF. Et questi amanti d’hoggi tanto di se presumono, c’hanno ardimento d’offerirsi et di uoler seruire a quante Donne pur una uolta fauellano. MV. Cieca prosontione, et temeraria arroganza; come se un solo bastasse a seruirne una, quanto si conuiene. SF.

 

Fol. 138r

Non ch’io creda cio d’un solo; ma io porto ferma openione che ne molti, benche ualorosi et prodi della persona, basterebbono al seruitio intero di una di uoi. VIO. Ah mala lingua. SF. Et pure io parlo in honor uostro. MV. Mal si confa quel riso con l’ultime parole uostre. AGO. Ora benche poco et debil dono sia quello, che uno fa di se medesimo, non però è da sprezzare: che chi da tutto quel ch’egli ha in suo potere, non è da dire, che dia poco: et merita d’esser  riconosciuto et guiderdonato, quasi che molto donasse. Chi si dispone d’amar guerra per pace, et per gioir dolce pianto aspro et amaro. Et questa è la cagione, Donne mie, perche a Dio diletta, che la seruitu d’uno huomo a uoi sia cara et soaue: conciosia ch’egli uede un’anima uolta a cosi bel seruitio; che ei la prende ad amare, o legata o sciolta ch’ella si sia. Et è uolere della bontà sua, che ella qui da uoi riceua  premio et mercede, si come ogni bella opra, ogni uirtuosa attione è da lui guiderdonata su in Cielo. Et la uera pietà, di ch’egli u’ha fatto largo dono, è il ristorare di chi fedelmente adopra per uoi. Questa pietà è quella che non pur ne gli occhi,ma ne i uostri cori di continuo alberga: et non ui paia strano, ch’ella ha seco in compagnia honestà uera et santa. Et cosi bene conuengono et son d’accordo insieme, senza hauer lite alcuna giamai; che l’una uerso l’altra dice; o mio caro et fidato sostegno, sempre sia lieto et felice Amore nel regno nostro comune. SF. Deh non ci contate di questi miracoli, iquali tolgono ogni fede alle parole uostre. Che troppo ben sappiamo, come ogni Donna, ch’ama d’essere honesta, non puo chiamarsi

 

Fol. 138v

pietosa; et cosi perpetua lite hanno queste due insieme; che impossibile è, che doue l’una è, l’altra ui possa stare. AGO. Voi sete di gusto si corrotto, che non sapete discernere tra la uera pietà, et la lussuria: che ben ueggo io, si come uoi ui credete, che Donna non possa chiamarsi pietosa, laquale non sodisfaccia tutti i desiderii, anchor che poco honesti dell’huomo: Ma uoi u’ingannate. Percioche ben puo Donna in un medesimo tempo esser honesta et pietosa, quando ella habbia però discreto et uirtuoso amante. SF. Se uoi tanto temperato et ualoroso sete c’habbiate caro, che la Donna uostra usi con essouoi tutti i termini dell’honestà, io per me mi ui do per uinto; et parmi risolutissimamente ch’altramente amiate la uostra ch’io non amo la Donna mia: et forse quello che io dalla mia desidero, uoi dalla uostra non prendereste: ma io sono huomo, non Dio. AGO. Io qual uiuo, tale amo; et il mio amore, che uoi stimate diuino, è cosa humana, come sono io et la Donna mia: e’l corpo et l’anima di lei sono cose tali, ch’io non so qual piu m’ami. SF. Io l’uno et l’altro egualmente amo et ho caro: ne questa uorrei io possedere senza quello. Et se a uoi piacerebbe, che la uostra u’usasse pietà di spirito; a me sarebbe piu grata cortesia di corpo. Talche s’io non possedessi questo, poco prezzerei quella: et possedendo il corpo, sarei certo dell’animo. MV. Dunque coloro ch’ottengono per forza i desiderii loro, hanno anco in potere l’animo? Cessi Iddio ch’io u’ammetta mai questo. SF. Io non dico che cio uolessi io hauere con forza: ma ben ui torno a dire, che se di consentimento suo ella mi concedesse poter fare il piacer mio dalla uita; ch’io

 

Fol. 139r

non harei dubbio alcuno di possedere l’animo anchora. AGO. Sia dunque uostro il corpo, quanto ui piace, poi che si carnalmente amate: et ameresti pacifico possesso dell’animo uirtuoso della mia Donna, il quale molto piu stimo che tutte le gioie del mondo. Ma io ui uoglio dire hora cosa, che forse piu nuoua et maggior miracolo u’ha da parere: et questo è; che quando quel che deurebbe esser d’un solo a molti è concesso, allhora uiene interrotto il nome d’honestà, et ogni casto pensiero. Questo atto crudele et iniquo gli animi nostri infiamma d’ira et di sdegno; et turba et uolge sottosopra tutta la contentezza et la tranquillità dell’amoroso stato. Questo fa l’huomo hauere in odio la uita, et uago di morire, per terminare gli affanni suoi. Questo conduce l’huomo a lamentarsi con Dio, et dolersi d’esser mai nato al mondo: et finalmente lo fa abhorrire ogni altra gratia et dono di lui; poi che uiuendo anchora si ritroua spogliato d’ogni aspettata et meritata mercede. SF. O quanti hoggidi miseri amadori si ritrouano a questa miseria condotti, di uedere fatto di molti quel ch’esser deurebbe d’un non solo: anzi Donna non è, che piu tosto non uolesse hauer uno occhio solo, che contentarsi d’uno amante solo: reputandosi a gran gloria l’esser uagheggiate, ma che dico io uagheggiate? possedute da molti. Ilche le fa in minor pregio hauere. VIO. Non ui lasciate uscir di mano nessuna occasione di dir male, per minima ch’ella sia: che in ogni modo siamo chiari di uostra conditione. AGO. Spessissime uolte auuiene, o Donne, ch’uno amante fedele a gran torto per cagion uostra sopporta gran pena. Ohime che hog-

 

Fol. 139r

giamai ben conosco io perfettione lunga proua esser uero tutto quel ch’io  ui dico: et non pure io questo so, ma sallo anchora alcuna di uoi,che piu uolte se n’è accorta. Sallo parimente chi per usanza antica m’ha ueduto andar piangendo ogni mia pace perduta. Ne pero ardisco contarui per cagione di cui cio mi sia auenuto, et tuttauia m’hauenga. percioche io temo da chi ha poter di farlo, d’assai peggio. Assai m’è l’esser certo, che lo sa chi mi fa questo cosi graue et continuo oltraggio, et chi non contenta di cio, se ne prende giuoco: questa è cagione che io sospirando per paura taccio. Ma che è cio che impedisce, che hoggimai questa anima afflitta non si suiluppi dalle tormentate membra, lasciando d’eterno giaccio il core? Or come è egli possibile che cio non oda, et udendo non si moua a pietà, chi prima a cosi fero et penoso laccio la strinse? O stelle congiurate a farmi guerra et oltraggio, quando sarà egli mai tempo ch’io me ne possa dolere in questo mondo, o lamentarmi su in cielo? Hora mentre ch’io sono da questi pensieri occupato, sorge un d’essi, et cosi fra me stesso odo, che ragionando mi dice; hor taci sciocco, et riman di  dolersi piu; che tu sai bene, come tutto è in uano; et come sospirando per cosi bella cagione ogni doglia amorosa ti deue essere non men dolce che cara. Risguarda misero, ogni uolta che piu ti senti affligere in que begli occhi la, doue s’impara si come l’anima d’ogni affanno si spoglia. Or come non odi tu quella uoce chiara, soaue, angelica, et diuina; laquale pur dee bastare a farti porre in oblio ogni aspra et fera uoglia? Queste parole mi uengono dette da uno amico pensiero, che in uita

 

Fol. 140r

mi mantiene ilqual pensiero dal uostro et mio sole mi discende nel core. Ma de gli oltraggi et delle ingiurie, cha noi poueri amanti cosi spesso facciamo ad Amore, chiamandolo hora empio et hor crudele, cagione siete uoi donne: et del peccato, che in cio per noi si commette tutta la colpa e’l difetto è uostro. Per uoi si fa egli talhora altero et superbo; et per uoi similmente alcuna uolta diuenta benigno et cortese; percioche egli forza prende et uigore dal poter uostro, che del suo è molto maggiore. Non son sue l’opre sue: et che questo sia uero; testimonio n’è, che l’ardore, ilquale da lui uiene in noi, non è tutto eguale: conciosia che di tal ue n’ha, che altrui mette in felicissima gioia, et di quello che tormenta et conduce l’amante all’hore estreme si come piu piace a quella Donna, per cui s’arde et sospira. Se’l gouerno di noi intieramente fosse suo, si ch’altri non u’hauesse parte, il dolore non sarebbe tra noi di potere alcuno: percioche ogni pensiero, si come suona il nome, cosi di lui in ogni anima nascerebbe dolce et soaue.  Ma perche egli è suggetto di uoi, et ubidir gli conuiene insieme con esso noi all’imperio uostro: egli auuien  poi, ch’una anima innamorata, nella maniera ch’a uoi piu di uederla aggrada, hora ha cagione di lietamente uiuere, et hora di dolorosamente ricorrere a morte. Per uoi s’ama et si spera: per uoi si dispera et si teme, et per meglio dire, si riuerisce et s’adora, secondo ch’al ualor de uostri dolcissimi occhi, il quale passa in noi, meglio piace. Noi habbiamo di molte uolte ueduto a un bello et pietoso uolger d’occhi ritornare huomo priuo di spirto a dolcissima uita. Spesso si suol uedere anchora

 

Fol. 140v

uno sguardo crudele et disdegnoso hauer tanta possanza, ch’un fedel seruo d’Amore spoglia della uita et d’ogni diletto. Et infinite uolte similmente s’è trouato: quando altri è nella maggior contentezza et riposo d’animo et di core, uenirgli incontanente non pure ogni dolcezza et diletto, ma se medesimo a noia: et questo cagiona in lui solo il ricordarsi, senza ch’altra pruoua ne faccia, de gli accidenti amorosi, che nel cor suo sono diuersi et nuoui, si come a uoi diletta. Ben è misero et sfortunato colui sopra tutti gli altri huomini, et non pure amanti, cui fortuna od Amore ha fatto seruo di Donna micidiale et crudele. Grande infelicita ueramente è l’esser costretto a forza dar titolo di leggiadro et di santo, et s’altro ue n’è di maggior honore, a quegli occhi dispietati e feroci, doue egli manifestamente uede la morte sua. Et è incomparabil miseria della sua fedel seruitu ritrarre guiderdone di continui pianti et sospiri, et finalmente per ultima mercede una disperata uita. Questo infelice ha sempre a uostra cagione et piu caro et piu dolce ogni poco di bene, che per uoi gli uiene, che’l molto male non gli suol parere amaro et noioso. Tutto quel ch’io u’ho detto, è il premio d’un misero amante, et giunto a seruire Donna crudele: ma ben è mille uolte piu beato colui, che in amoroso diletto fedelmente serue a Donna et pietosa et cortese. Questi d’un dolce pensiero ne genera un altro uie piu dolce et piu grato: et non sa per pruoua c’habbia fatta, che cosa sia noia ne tormento di questo mondo. Et ben si puo dire col uero, che in lui tanto et maggior ben sia, quanto è di male et di affanni in uno

 

Fol. 141r

altro, che per angoscia et per dolor si muoia. Dogliasi dunque et a gran ragione si tormenti l’anima nel partire che far le conuiene dal corpo: perche ella non puo gia hauere speranza alcuna di deuersi, quando che sia, ritrouare a migliore et piu felice uita. SF. Questi uostri auenturosi amanti, Signore Agosto, debbono piu tosto essere Epicurei, che Platonici; poi che non tengono che dopo questa uita transitoria et fugace, l’anima nostra passi a un’altra stabile et eterna. Certo ch’Amore et le Donne gli hanno amaestrati assai bene; et di cio gli hanno ad essere infinitamente tenuti. AGO. E non è però uero, che questi fortunati amanti non credano l’immortalità dell’anima, si come gli altri fanno: ma io u’ho detto, per farui conoscere la suprema et incomprensibile felicità, ch’essi prouano anchor uiuendo; ch’eglieno stanno in dubbio partendo l’anima del corpo, ch’ella debba passare a piu felice uita: tanta è grande la gioia loro. SF. Questo è poco minor peccato: perche hauendo essi openione, che la felicità del cielo non auanzi, ma sia inferiore de i uani diletti del mondo; io per me non so uedere, che spirito buono sia in loro; hauendosi perduto affatto nelle delitie et uanità del corpo. Ponga loro dunque Iddio mano in capo a saluezza dell’anime, le quali sono da essi assai poco stimate et hauute care. AGO. Riputate uoi bestemmia contra Dio il dire, cosi grande è il diletto, ch’io prouo nel mirar Donna bella et gentile, et di piu conoscermi d’hauer la gratia sua; ch’io sto in dubbio, se partendo di questo mondo ho da sentire altrettanta nel fruire della uisione d’Iddio? SF. Certo si, ch’io la chiamo bestemmia,

 

Fol. 141v

et ben grande: et quei uostri philosophi antichi, i quali non conosceuano et non haueuano lume di Dio, non haurebbono tanto impiamente parlato. Ricordami d’hauer letto in certo luogo di Cicerone; come egli pensando alle cose superne et celesti, sprezzaua queste di qua giu come caduche et uane. Et altroue dice; Che puo parer di grande nelle cose humane a colui, ilquale ha contezza dell’eternità et felicità dell’altra uita? Fa d’hauer sempre l’occhio alle cose celesti, se tu uuoi poco stimare le cose humane. Et mille altre sentenze sue tutte pie et religiose ui potrei allegare a confusione de gli amanti uostri: ma io non uo parer dotto, che nel uero non sono. Or se gli infideli et pagani, i quali cognitione alcuna non hanno della uerità Christiana, cosi ben sentono della uita eterna, che deuremmo noi per la  uirtu et per li meriti della passion di Christo fatti heredi del Cielo? Veramente ch’io piu tosto non uorrei esser innamorato et ben felicemente goder dell’amor mio; se tal felicità mi deuesse fare scordare di Dio et dell’anima mia in tutto et per tutto. AGO. Io non u’ho detto che gli amanti bene auenturati in amore pongan da parte Iddio; et non credano di douer morendo cambiar questa a un’altra uita migliore: anzi son di parere, che se essi prouano qua giu felicità incomparabile, che insieme con l’innamorato Petrarcha debbano dire;

Se fu beato, chi la uide in terra;

Hor che fia dunque a riuederla in cielo?

Volendo inferire, se beatitudine fu goderla in terra, che a riuederla poi in cielo sarà di beatitudine infinita.

 

Fol. 142r

Perche ritornando dico, che se fra mille durezze et mille affanni, un sol guardo amoreuole et pietoso è di tanta possanza, ch’ei basta a dar pace; et s’egli fa scordare tutti i martiri, c’huomo possa prouare, rendendo al core tutto quel che piace et diletta; quale altra cosa del mondo è, che meglio possa appagare il desiderio nostro? Che ritrouarsi securi di non hauere a prouar giamai quel che piu ne spiace? Quale altra maggior contentezza si puo prouare al mondo, che sempre uedersi apparir inanzi Donna honesta et leggiadra, in guisa d’amorosa stella? O coppia tre et quattro uolte felice, a cui gentil fuoco dolcemente arde l’anima, et dolcissimamente la mantiene in uita; si che senza cangiar mai ne desiderio ne tenore innamorata et contenta a gli ultimi anni peruiene. Ella senza passar col pensiero piu inanzi, tutta s’acqueta in se stessa: et ha per cosa uile, quando altri fa elettione d’altro stato, poi follemente sen’priua. Costei tanto concordemente è unita, che ne anco per forza di segni si diuide giamai, fin che ne giunge colei, che egualmente tutti ci miete od acerbi o maturi. Questa partendo seco pacificamente i suoi pensieri, uiue una uita piena ueramente di diuina dolcezza. Poi quando uien la notte apportatrice di riposo a tutti gli animali, ella ritroua molto piu chiara et piu serena del giorno. Et non pure è felice uegghiando, ma allhora quando il corpo si giace è dato in preda al sonno, l’anima desta ricorre alla contemplatione di quel bene, di ch’ella è tutta piena: et essendo ella et pura et senza macchia alcuna, si come anco è su in cielo, ua formando imagini alte et belle. hora questa copia felice, quando ella abandona

 

Fol. 142v

i corpi morti in terra, si sta aspettando Dio: il quale ueduto ch’egli ha il suo stile, et conosciuto il desiderio, le manda incontra a far la scorta bella schiera de gli angeli suoi: e in un medesimo tempo le si mostra et pietoso et allegro, per dare guiderdone et mercede a chi gli porta mercede. Allhora l’anime beate piene di gratia le fanno cerchio intorno con infiniti sdegni [sic] d’humiltà et di riuerenza. Tale allegrezza mostra Iddio con gli suoi spiriti eletti, perche altro non è, che piu piacer gli possa, quanto è il felice ritorno d’una di uoi bellissime Donne, insieme con un di noi alla patria celeste. Questo è il uero guadagno, et ornato d’inestimabil gloria, accrescere sempre il numero de gli eletti suoi. Et quello infelice, che nel mondo non è stato superato da uoi, se ne parte tutto pieno di uergogna et di scorno: perche il perdere con essouoi è una spetie di uittoria, per la quale acquistiamo il regno del cielo. Et è priuo di poter uedere Dio in cielo, chi non l’ha ueduto et amato in uoi stesse, quando fu qui uiuo nel mondo. Et s’alcuno è di noi, che infiniti ce ne sono, ilquale seruendo a Donna ingratia et crudele se ne uenga a morte, et ritorna al suo fattore anima sciolta afflitta et sola; troua finalmente riposo in cielo, che mai non spera; perche la durezza uostra d’ogni speranza lo spoglia. Et la Donna, che è stata quanto bella, tanto orgoliosa et superba, senza prouar giamai ne gioia ne martire, se ne ua sempre uolando per l’aere puro, in dubbio di suo stato; et uolando uede in giro hor l’Austro, hor l’Orse. SF. Non è questa la uia, Signore Agosto, da spauentar le Donne, et da farle pietose et a gli

 

Fol. 143r

amorosi desiderii arrendeuoli: meglio di uoi l’intese quel ualent’huomo di M. Giouan Boccaccio. nella nouella di Nastagio de gli Honesti, et della giouane Rauignana, quando la spauentò con quella horribil uisione del caualliere innamorato, ilquale suenaua la fanciulla ignuda, et dauala a diuorare a i cani. Non ui pare egli, che questo fosse bel modo da far ricouerar le giouani Donne per paura nelle braccia de suoi cari amanti? Et anco l’Ariosto con la nouella di Lidia et dell’altre Donne ingrate et crudeli gastigate col fumo, si sforzò, d’impaurirle. Ma uoi troppo pietoso le lusingate in modo, che se non minacciate loro d’altra maniera, elle si rimaranno tuttauia superbe, ingrate et crudeli si come hora sono: et poco ui giouerà l’hauer messo in cielo questa lor dipinta bellezza: perche elle gloriandosi di quella, come di cosa celeste, non uorran comparire se non a lume di torchi, et a suon di campane: tanto che meglio era per noi huomini, che uoi haueste trouato alcuna di quelle spauentose inuentioni, che trouano i frati in pergamo di spiedi, di padelle, et di caldaie: pero che in questo modo, possibile era che l’haueste rammorbidite un poco, et per bella paura indotto a fare di quella cose, doue il Prete di Varlungo indusse la Belcolore, quando la minacciò di mettere in bocca di Lucifero. VIO. Voi sarete sempre sulle nouelle et sul dir male. Parue egli forse, che’l Signore Agosto sia huomo da ritrouar nouelle et fintioni, et da dir le bugie, massimamente alle Donne, c’hanno in lui tanta fede? Non piaccia a Dio, che l’habbiamo per poeta: che anzi l’hauremmo in odio ch’altramente. MV. E in che uanno offeso

 

Fol. 143v

Signora, giamai i Poeti, che loro habbiate cagione di uoler male? Or non sono i Poeti quegli huomini, che piu che tutti gli altri hanno lodato uoi, et tutte le Donne insieme? Non merita la cortesia loro tanta ingratitudine: et quando cio forse, bench’io non sia Poeta, mi ribellerei anch’io da uoi, et farei lega col Signore Sforza et con gli altri auersarii uostri. SF. La Signora Violante, et tutte l’altre Donne di giudicio, si come quelle che si dilettano d’ascoltare anzi il uero a suo danno, che la menzogna che le lodasse; hanno una  uirtu  degna di riuerenza, ch’elle uogliono male a gli adulatori. Onde hauendo conosciuto per tali i Poeti, non è senza ragione, che esse gli habbiano in odio. MV. Anzi per questo appunto, che Poeti sono, meriterebbono ch’ogni Donna quantunque bella et gentile, gli douesse amare. SF. Ciascun difenda la parte sua. VIO. Gia non ho io detto, che i Poeti siano da noi odiati; ma si bene che se’l Signore Agosto ci hauesse detto delle fauole, ci haurebbe dato cagione d’adirarci seco. MV. Or sia come si uuole; pur che le Donne non habbiano a noia i poeti; ch’in cio peccherebbono elle di poco giudicio, et patirebbono imperfettione; uenendo a mancare di quelle lode et di quei debiti honori, che soli gli huomini letterati et uirtuosi possono loro dare. Et certo io non credo, ch’altro rispetto infino al di d’hoggi l’habbia fatto prezzar poco, et piu tosto biasmare, che l’hauere elleno alcuna uolta mostratesi discortesi a gli scrittori. Ma eccoci a uoi Signore Agosto. AGO. Se l’intention mia fosse stata di mescolare in questo mio basso ragionamento fintioni et bugie, altra strada harei

 

Fol. 144r

tenuto: ma ciò non disegnai io da principio uoler fare. Perche ragionandoui io in comendatione delle Donne, secondo l’openione de Platonici, non era mio ufficio uscendo del dogma loro, uagare per il campi della poesia. Dico adunque, che non uuole Iddio affanar cosa a lui tanto cara, ne ch’ella proui alcun supplicio ne pena: et anco per rendere a ciascuno secondo l’opre sue, non uuole ch’ella stia seco a parte della beatitudine eterna, in pena della uita ch’ella fece parer altrui cosi piena d’amaritudine. Ma da poi ch’egli ha in lei spenta di pari l’allegrezza e’l dolore, la rende con eterno oblio di nessuna cosa auara, et di nulla schiua; et fa che la terra, il cielo, il caldo, e’l freddo non le paiono nulla. Cosi per la pietà ch’egli ha grandissima a cosi bella fattura, Iddio non puo sofferire di uederla piangere in dolore et affanno: Et anco per la somma giustitia, ch’è in lui, non comporta ch’ella partecipi della beatitudine di uita eterna. Veramente, Donna mie care, contra ogni uoglia mia son disceso a ragionar con essouoi de tormenti et delle pene uostre: ma per farui conoscere, c’ha poco caro il suo bene, et manco ama se stessa qualunque s’è di uoi che s’arma il core di acerbo sdegno, pieno di compassione et di santo amore ch’io ui porto, di cio mi son posto a fauellar con uoi, per farui auertite del pericolo; al quale la uostra souerchia crudeltà ui conduce. Et del mio troppo ardimento humilmente ui domando perdono. Hora io ui ritorno a dire, che a i fortunati amanti è di grandissimo dolor cagione, il uedere, ch’una coppia felice si porta dal Mondo; ritrouandosi priui di cosi cara et soaue compagnia, fin che

 

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tornino a riuedersi in cielo. Et si fatto è il dolore, che sentono del suo morire; che ne uanno lungo tempo da poi con gli occhi molli, et col uiso chino. Piangono di cio le amoreuoli et pietose Donne; et ne piange similmente con esso loro Amore il dolore et danno comune. Ne cosa gentil si rimane al mondo, che per questa cagione non senta inestimabile affanno. Et non pure i felici et fortunati amanti piangono la costor morte, ma i trauagliati anchora se ne attristano fuor di modo; iquali della partita loro prouano incredibil danno: percioche nel colmo delle miserie et de gli affanni loro soleuano addurre l’essempio di quella pietosa alle loro Donne crudeli; affine ch’elle imitando i santi et cortesi costumi, uenissero a far dolce il loro empio et amaro uolere. Ne ritrouano al mondo poi luogo alcuno di conforto; hauendo tolto loro ogni bene Fortuna et morte. I leggiadri testori d’amorose rime empino le lor carte d’honorati lamenti, i quali riscaldando poi mille et piu gelati cori, in quegli risuegliano ingegno, et portano l’arte; come ben di se stesso ragionando indouinò l’amoroso Petrarca?

E i uostri honori in mie rime diffusi

Ne potriano infiammar forse anchor mille.

Di qui ne uiene a uoi perpetua fama et honore, i cui semi non possono essere adhuggiati da Saturno o da Marte. Ben sa tutto il mondo, o ualorosa schiera, senza ch’io ue ne parli altramente, quanto sia il poter di uersi. MV. In questo modo ui saranno tenuti i poeti, poi che lodate la profession loro, et fauoreggiate la uirtu  appresso le Donne. Benche elle senza altra raccomandatione

 

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che di nuouo si gli faccia, gli hanno infin dal tempo antico raccomandati et cari. CI. Dianzi non diceua cosi la Signora Violante: che mostrò hauergli a noia. MV. In uero ch’ella motteggiaua seco; et uolle dare un poco di pasto al Signore Sforza: come si uide poi, quando ella dichiaro l’intention sua. AGO. Infiniti altri et piu chiari et piu honorati stili hanno di cio degnamente fatto et testimonio et fede: et uoi ancho, gratiose Donne, bene hauete piu uolte ueduto, quel che, la merce uostra, di noi e in noi sa fare Amore; ilquale tutti gli altri pensieri fa parere oscuri et negletti, eccetto i suoi: a iquali da stanza honorata et leggiadra. Percioche chiunque o ragiona o scriue di lui et di suo ualore, par che s’acquisti in questo mondo un’honore da non paragonare con alcuno altro. Viuono anchora hoggidi piu che mai, et uiuranno tuttauia le Donne antiche cantate da i uersi et dalle rime di questo et di quel poeta, le Corinne, le Lesbie, et le Cinthie; et delle nostre Beatrice, Laura, et Fiammetta: et prima il Sole dalle stelle minori piglierà la sua luce, che mai uenga per tempo alcuno a mancare la bella et prima gloria loro. Ha la fama, che posson dare gli inchiostri, tale et si salda radice; che giamai non si suelle; anzi et piu bella et piu uiua ogn’hora alza la sua cima al Cielo: et quanta guerra et contrasto le fanno fare inuidioso et contrari uenti, fa sempre piu le sue forze alte, manifeste, et felici. Per questo rispetto solo ho piu da dolermi io, che di tutti gli altri tormenti ch’io sopporto in amore; ch’io non nacqui poeta; et perciò non posso alla mia Donna et nimica far quello honore che

 

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merita la sua diuinità, et ch’io uorrei potere. Pur mi consola che la bellezza sua non passerà senza lode degli spiriti gentili, da iquali alta et perpetuamente ella sia ricordata: et doue ella hoggi si sia, so pure ch’io ragiono a lei, et ch’ella m’ascolta: perche di cio ch’io dico, securamente la fo certa. Ne perch’ella a tutti gli honesti preghi miei sia fatta sorda, tema perciò biasmo di superba et crudele: perche si com’io sempre mi sono ingegnato di portar uelato il mio ardore, e’l tormento, che percio senza misura n’ho patito; cosi mi sforzerò di fare che’l suo spietato orgoglio stia nascosto alle genti: accioche i secoli a uenire non habbiano cagione a dire ragionando di lei; Costei fu Donna fra tutte l’altre ingrate ingratissima et fiera. Gia conosco io, honorate Donne, che la forza et la lena di piu ragionare, incomincia a mancarmi: ma non gia che’l desiderio mio di cio piu che mai non diuenti maggiore, et tale; che di gran lunga uince il poco mio sapere. Ma perch’io ueggo gia serrarmisi quel fonte, per lo quale passai a innaffiare cosi lieti campi; ne per tutto cio distinguo quel ch’è rimaso secco dal molle, assai piu sciocco ritrouo il mio sapere, che non è la uolontà sauia. Et ben m’accorgo (di che parte ho uergogna mista con dolore) che non pure io, che nulla so, ma molti altri, che molto sanno, non basterebbono a ragionare interamente di uoi. Et pur mi rallegro, ueggendo che chiunque sa pareggiare la propria uoglia col ualore, riesce ad honor di tutte sue fatiche. Et chi potrebbe far mai, che nell’anima s’accogliesse pure alcuna minima lode di uoi, che non ui fosse nemica? Assai meglio dunque è tacere; che, come

 

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disse Salustio di Carthagine, far senza alcun pro testimonio alla gente di poco sapere et di souerchio ardimento. Ma pure uagliami questo almeno a ottenere da uoi, se non mercè, perdono: che uoi medesime a douer fauellare di uoi mi prestate ardire; ilquale da me stesso mai non sarei stato ardito a pigliarmi; conoscendomi in tutte le cose poco, ma molto meno in questa impresa ualere. Ma s’egli auien poi, che’l troppo splendore abbarbagli la uista del buon uoler, ilquale pur deurebbe gradirsi; non è però che’l nome uostro perda punto della gratia sua: che per nuouo liquore non uiene anco a crescere il mare. Voi foste quelle che mi pregaste, anzi pregando imperiosamente mi commandaste: et io che uostro sono, ch’altro deuea, se non ubidirui? Apersi dunque la bocca affine, di piacerui: et se cio non è riuscito, uedete chi piu di noi ha ragione di lamentarsi; o uoi che m’imponeste cosa assai piu impossibile che male ageuole a condursi a fine; o io, che senza altro pensare mi riuolsi all’ubidirui. Et s’io pure, Donne belle, alcuna cosa ho detto, che da uoi se non in tutto, almeno sia in parte lodata; ringratiatene l’alta et nobil fiamma mia, laquale essendo singolarissima tutto m’allontana dal uulgo; et mi produce ogn’hora nuoui et honorati desiderii; iquali m’incresce bene di non poter cosi bene spiegarli a parole, come gli ho chiusi nel core. Questa è quella, che mi fa arriuare in parte, la doue non aggiunge altrui passo; tanto altamente mi diletta et in un medesimo tempo mi punge. Questa è cosi pregiata et gentile, che pur con un cenno solo, puo darmi guerra et pace; et fa di morte ritornarmi uiuo. Et

 

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di lei similmente sono quegli occhi begli et leggiadri iquali d’infinito et diuino splendore mi colmarono il di, che primo fui fatto degno d’amarla. Sono medesimamente sue quelle angeliche parole, dalle quali esce il ualore e’l senno, che inuita et sprona l’anime a bellissime opre. Ma che piu difondermi nell’ampiezza dell’eccellenze sue? fanno le gratie et le  uirtu sue assai maggiori et piu honorati effetti in terra, che non fa il Sole in Cielo. Chiunque uede questa ben nata mia, et subito ueduta ardentemente et ualorosamente non l’ama, ben si puo dire di lui, ch’egli nimico sia d’honestà et di bellezza. Et chi a costei saggia et uirtuosa, non ua per  uirtu et senno, non ha punto riuolto, come si debbe hauere l’animo al regno del Cielo. A lei d’ogni intorno sempre dolcemente spirar s’ode una dolce et santa aura uitale, ch’apporta allegrezza et salute. Et chi pure è fatto degno di poterla uedere, se ne muor beato: percioche Iddio è per lei sola senza sdegno. O suggetto immortale et ampio; quanto piu spiego l’ali de miei pensieri arditi, piu mi sento accrescere desiderio et uaghezza di uolere al cielo: et pur, oime m’accorgo folle ch’io sono; che troppo licentiosamente uagando, trapasso la misura e’l segno d’ogni deuere. Tempo era ch’io deuessi tacere, Donne mie pregiate, quando mi conobbi indegno a far parole di cosi nobil materia, si come sete uoi. Ma io temerario nol feci; credendomi di pur ben fare; et uolli anchora ragionare di quella Donna diuina, laquale honora il mondo, rallegra Amore, et fa pregiare natura e’l Cielo. Qui faccio fine dunque; et prego uoi, Donne elette, se’l prego

 

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mio non è del tutto indegno di mercede; che dapoi ch’io pur u’adoro et inchino, come ogniun puo uedere; che facciate anchora in quanto è il poter uostro di fare, ch’io troui similmente in quel core, doue è infinito ualore, et poca fede, uiua per me pietà. Et se quiui come in suo proprio et conueniente albergo, risiede il fiore d’honestà et di perfettione, facciasi anchora che le mercede cosi nuoua gloria pareggi. Vostra è l’anima mia, uostra è l’arte, et uostre le parole sono; et dentro in me non è piu cosa alcuna di mio: perche se io per uostra cagione mi muoio, come la colpa, cosi anco sarà il danno uostro. SF. Bene habbia il Signore Agosto, che almeno dopo molte parole ha saputo perorare in fauor suo: egli si pare ueramente, ch’egli habbia inparato questa arte da religiosi, iquali tutti i salmi finiscono in gloria: et cosi egli, poi che ha molto bene lodato la bellezza et le Donne, s’è finalmente sforzato di raccomandare il bisogno suo. Perche ue lo raccomando anco io, bench’io di poca auttorità mi conosca essere con esso uoi. VIO. Non che habbiate auttorità di raccomandarci altrui, assai sarà che uoi siate in gratia nostra: di che ne dubito molto; tali sono i costumi uostri. SF. Ben so io, come per altro anchora mi uolete male: ma non mutate con esso meco l’usanza di tutte l’altre Donne; laquale è di uoler piu bene, a chi mostra lor manco amore. MV. Che habbiammo noi piu bisogna di testimoni, s’egli medesimo s’ha condannato con le sue parole? SF. Io non ho però detto che io porti loro odio; che non haueste, come cattiuo loico fatto alcuna falsa consequenza in mio danno. Altro è dire di non mostrar

 

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loro amore; altro uolergli male. Io sono uno di quegli amanti accorti et modesti, ch’io ho udito tanto lodar da uoi, et da gli altri huomini saui. Perche quantunque infinito amore io porti alla Donna mia, io però non glie’l mostro, per non diuentar fauola del uolgo: sapendo che questi amori manifesti hanno per lo piu se non doloroso almeno uituperoso fine. Ma le Donne, le quali tutte per l’ordinario hanno caro d’esser uagheggiate et corteggiate in tutti i luoghi; anchora che siano certe di rimanerne alcuna uolta ingannate; prezzano non dimeno questi publici segni, et gli stimano procedere d’amore: et chiamano cio seruitù: uoi dotti la chiamereste officiosità o uero obsequio. Nondimeno quegli huomini, che stimano l’honore delle Donne loro, si come ben conuiene a caualieri et persone nobili non sogliono usare simili cerimonie Spagniuole: et fanno loro seruitù d’altro che di uagheggiamenti, et di frascherie. Io non dico che gli Spagniuoli non siano benissimo creati, et proprio nati a seruir Donne; ma intendo d’alcuni ciuettini, i quali si credono hauer comprato le donne per ischiaue per passeggiar loro dinanzi col ginetto, maneggiarlo una uolta, et dargli una carriera. Pero tornando a proposito, io che non son tale, poco però uengo conosciuto o prezzato da quelle Donne, che non hanno giudicio in amore: perche dell’altre certissimo sono ch’elle m’amino di core; essendo legge d’Amore, che chi ama sia amato. VIO. Se fosse uero che uoi amaste, essendo per tanto altre buone parti amabilissimo, ingiuria ui farebbe ogni donna, laquale non ui prezzasse: ma io credo che quantunque habbiate tutte l’altre conditioni, che nondimeno

 

Fol. 148r

manchiate nella principale, e in quella che piu importa, cioè, nell’amar di core: et che molte ne uccelliate; et con tutte burliate: et che non ui piaccia nessuna. SF. Altro fauore aspettaua io Signora et quasi che mi pareua meritarlo. AGO. Si se il fare ingiuria alle Donne, degno è di cortesia. SF. Io non ho lor fatto ingiuria, per dire il uero; ma si bene uoi, che lodandole sopra ogni merito, hauete uoluto adulargli: il che s’elle lo conoscessero, ue ne uorrebbon male, et: starebbeui bene. Pure io ue ne assicuro: anzi di piu ui dico, che elle ue n’hauranno obligo, tenendosi celebrate da uoi, si come quelle, che non hanno giudicio per discernere tra il uero et l’apparente. VIO. Voi non aprite bocca, se non in biasmo delle Donne: et pero fia bene, che imponendoui silentio sotto pena, mi uolga insieme con queste altre Donne ad ascoltare il Signor Mutio; che per le uostre ciancie non mi è però uscita di mente la promessa, ch’egli m’ha fatto di uolerci raccontare molti essempi di Donne illustri. MV. Per istasera sia buono diferire il mio ragionamento: conciosia che hauendo ad esser lungo anzi che no, et essendo gia l’hora tarda, et uoi presso che fastiditi d’udire, non potrei dir si poco, che non ui fosse noia. VIO. Et cosi si compiaccia al Signor Mutio.

 

IL FINE DEL TERZO LIBRO.