La nobiltà et l’eccellenza delle donne: co’ diffetti, et mancamenti de gli huomini (1601) Part 2

by Lucrezia Marinella

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Title: La nobiltà et l’eccellenza delle donne: co’ diffetti, et mancamenti de gli huomini. Discorso di Lucretia Marinella, In due parti diviso
Author: Lucrezia, Marinella (1571–1653)
Date of publication: 1600
Edition transcribed: (Venice: Giovanni Battista Ciotti, 1601)
Source of edition: Gale Centage Learning, Nineteenth Century Collections Online
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Transcribed by: Marco Piana, Martina Orlandi, Lara Harwood-Ventura, Tanya Ludovico, Cassandra Marsillo, and Stefania Gaudrault Valente, McGill University, 2017.
Transcription conventions: “Intervocalic v” transcribed as “u”, as per the original. We decided, however, to normalize all initial “v” as “v”, since they were sometimes v, sometimes u, no real logic or coherence in the original. Marginal notes have been included as comments only viewable in the .doc file, not viewable in the .txt file.
Status: Completed, version 1.0, September 2017.

Produced as part of Equality and superiority in Renaissance and Early Modern pro-woman treatises, a project funded by the Social Sciences and Humanities Research Council of Canada.

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Risposta alle leggierissime, et vane ragione addotte da gli huomini in lor fauore. Cap. VII.

A me pare d’hauere apertamente mostrato, che le donne sono molto più nobili, et più eccellente de’ maschi. Hora resta, che io risponda alle false obiettioni de nostri calunniatori, le quali sono di due maniere: percioche alcune sono fondate su le ragioni apparenti, et l’altre sopra la semplice auttorità, et opinione loro: cominciando dalla loro auttorità, dico, ch’io non son tenuta à rispondere cosa alcuna à quelle: percioche, se io affermassi, che non si trouasse l’Elemento dell’aere, non sarei obligata rispondere alle autorità d’Aristotile, ouero d’altri Scrittori, che dicessero, che egli si ritrouasse. Ma non voglio però far torto ad huomini di tanta fama, negando le lor sentenze, che cosa troppo ingiusta giudicherebbono certi ostinatelli questo: dico adunque, che varie furono le cagioni, che spinsero, et sforzarono alcuni huomini sapienti, et dotti à biasimar’, et vituperar le donne, fra le quali è lo sdegno, l’amor di se stessi, l’inuidia, et la scusa del poco ingegno loro. Onde si potrebbe dire, che quando Aristotile, ò alcuno altro biasmò le donne, che ò sdegno, ò inuidia, ò troppo amor di lor medesimi ne fosse cagione, che lo sdegno sia origine di far dire cose sconcie contra le donne, è cosa chiara ad ogn’uno; percioche desiderando alcuno di adempire le sue sfrenate voglie, et non potendo per la temperantia, et continentia di quelle, subito si sdegna, et adira: et adirato dice tutti quei mali, che son possibili à ritrouarsi, si come di cosa odiosa, et pessima. [Cause, che hanno omssi molti à biasmar le donne] Il medesimo si può dire dell’inuidioso, che non guarda mai con occhio dritto alcuno, ch’egli di lode meriteuole conosca; onde vedendo l’huomo, che la donna è più nobile, e di virtù, e di beltà di lui, et però anco da lui, come veramente debbe, honorata, et amata, si rode, et si consuma per inuidia, et non potendosi in altro modo sfogare, corre con la pungente, et mordace lingua à’ vituperii, et à’ biasmi tutti simulati, et falsi; il medesimo accadde per lo troppo amore, che à lor medesimi portano gli huomini, giudicandosi d’intelletto, et d’ingegno nobilissimo, et di natura superiori alle donne; arroganza troppo grande, et superbia troppo

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altiera, et gonfia; ma se con la sottigliezza dell’ingegno considerassero le loro imperfettioni, ò come se ne starebbono humili, et bassi; ma forsi un giorno le vederanno, che Dio lo voglia. Tutte adunque queste cagioni indussero il buono Aristotile à biasmare le donne, fra le quali la principale, io credo, che fosse l’inuidia, che egli à loro portaua; percioche quando consideraua, che tre anni, come scriue Diogene Laertio, era stato innamorato di una donna concubina di Hermia, il quale conoscendo il grande, e pazzo amor di lui, gliele concedette à moglie, onde egli d’allegrezza insuperbito fece sacrificii in honore della sua nouella donna, et dea, come si faceua in quei tempi à, Cerere, Eleusina, et ad Hermia, che à lui la diede sacrificò similmente. Considerando dico tutte questo cose degne, et memorabili inuidiò la moglie, et inuidiando il suo stato, et vedendo non poter aggiungerli, non essendo da alcuno adorato, come Dio, si voltò à vituperar le donne anchor ch’egli conoscesse, che fossero di ogni lode degne; overo si potrebbe dire, che si come huomo di poco ingegno (perdonateci Aristotelici, che leggiero, et sciocco anco lo chiamò Timone) attribuendo le cagioni del suo lungo errore alla donna di Hermia, et non al suo intelletto poco sano uscisse à dire sconcie parole per coprire l’error commesso, et poco honorate in biasimo del sesso feminile, cosa irragioneuole. [Errore di Arist.] Si potrebbe anco aggiungere à queste due l’amor di se stesso; percioche giundicando di essere un miracolo della natura, et del mondo reputaua ogni altra persona indegna dell’amor suo usciua di sè stesso, et però come si ricordaua di essere stato sotto posto alle donne, et fra se medesimo vergognandosi, cercaua di coprire il suo fallo, con dirne male: che sdegno etiandio contra alcuna lo inducesse ad ingiurare il donnesco sesso, è cosa necessaria à credere; percioche era amante, et amante sfrenato come habbiamo di sopra mostrato, et queste furono le cagioni, che indussero il pouero Aristotile à dire, che le donne sono più mendaci, et cianciatrici de gli huomini; più inuidiose, et mal dicenti, et non s’auuedeua, che mentre diceua, che esse sono maldicenti, entraua anch’egli nel numero de tali, et nel libro 9. dell’Istoria de gli animali, et in altri luoghi dice, ch’elle sono materiali, imperfette, deboli, mancheuoli, et di poco animo, delle quali cose habbiamo parlato nel terzo ragionamento. Potrebbe anco esser di leggiero, che si hauesse ingannato intorno alla natura, et all’essenza della donna, forse troppo graue soma à

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gli homeri suoi, non hauendo considerato maturamente la nobiltà, et l’eccellenza di lei: si come anco si vede, che molti hanno creduto, che la terra si muoui, et che il Cielo stia fermo, altri che ci sieno infiniti mondi, et alcun’altri un solo: alcuno che la mosca sia più nobile del Cielo, et cosi ogn’uno difende la sua opinione, con molte ragioni, et ostinatamente, et queste sono le risposte, che si danno à coloro, che vituperano il femenil sesso. Sono stati poi alcuni altri troppo linguacciuti, et mordaci contro le donne, et ritrouandone alcuna non troppo buona hanno detto, che tutte sono maluaggie, et pessime; error grande di volere per una particolare biasimarle tutte in uniuersale; ben’è vero, che auuedutisi poi han lodate le buone. Et una sola risposta è conuenientissima à’ Filosofi morali, et à’ Poeti; percioche quando biasimano le donne, biasimano le pessime, come Hesiodo, che dice non si poter trouar peggio della maluaggia moglie; et poi Theognide afferma non si poter trouar cosa piu cara della buona moglie. Et Plauto: In mala uxore, atque inimico si quid sumatur, sumptus est. Oue si conosce, che tutte queste sentenze hanno la risposta con loro, già che cosi parlano honoratamente delle buone, et vituperano le cattiue; cosi anco parlaua il Satiro, mentre biasimaua le donne, le cui parole sono nel primo atto del Pastor Fido.

O femenil perfidia, à te si rechi

               La cagion pur d’ogni amorosa infamia;

               Da te sola deriua, e non da lui,

               Quant’ha di crudo, e di maluagio amore.

Et però dopo mostra le male simulationi della donna, dicendo:

Qual cosa hai tu, che non sia tutta finta?

               S’apri la bocca menti, se sospiri,

               Son mentiti i sospir, se moui gli occhi,

               E simulato il guardo, in somma ogni atto, etc.

Ma nell’atto secondo rauuedutosi dell’errore di hauer parlato in uniuersale, si emenda, et vitupera solo le maluagie, et ree, come Corisca, dicendo;

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Maledetta Corisca, e quasi dissi

               Quante femine ha il mondo,

Nelle quali parole si vede, che non vuol biasimar tutte le donne, dicendo, quasi dissi: ma nelle ultime dimostra, che solo delle pessime ragiona, dicendo.

 

Hor le si darà il fuoco, ou’io vorrei

               Veder quante son femine maluagie

               In un incendio solo, arse, e distrutte.

Non si vede, che solamente delle cattiue egli parla? Et ancor che il Petrarca dica.

Femina è cosa mobil per natura.

Et Iacopo Sannazaro nell’Arcadia cosi ragioni della donne, introducendo un misero innamorato, che dice.

               Ne l’onde solca, e ne l’arena semina,

               E’l vago vento spera in rete accogliere,

               Chi sua speranza fonda in cor di femina.

Non pero parlano delle buone, come si vede nel Trionfo della Castità del Petrarca; oue egli ne loda tante, per la lor costanza. O che diremo, che il Sannazaro parlaua come per passione, et per isdegno. E in questo medesimo modo parlò il Casa nelle stanze fatte contra le donne, hauendo la sua amata donna volto l’animo verso altro amante. Onde egli adirato, non discernendo il vero dal falso le biasima tutte, che questo di ciò fosse cagione lo dimostra, dicendo.

Che s’io potessi le parole, e’l viso,

               Farui, e i costumi, e le maniere espresse,

               Di quel che in luogon mio per suo Narciso,

               La saggia donna, che fu mia, s’elesse,

               Non so, se più la merauiglia, ò’l riso,

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O la pietà, ne nostri cor potesse,

               Anzi sò, che n’hauresti ira, e cordoglio,

               Che di tant’util perdita mi doglio.

O come il pouerello si lasciò spingere dallo sdegno à dir male di tutte, et fingeua di non si muouere per questo: ma non troua alcuno, che à lui lo creda; dicendo nel principio delle stanze.

Nè crediate però, che’l dolor mio,

               E’l pianto sia, perche lasciato m’habbia,

               Anzi mi dolgo, e piango il tempo, ch’io

               Fui seruo altrui ne l’amorosa gabbia:

               Già fù grande l’ardor, grande il desio,

               Hor’è maggior lo sdegno, e più la rabbia;

               Già ne cantai, et hor perder mi duole

               In soggetto si vil queste parole;

Ma quel di ch’io m’affligo, e mi tormento

               E, che mi dà la fede, et vuol, ch’io creda

               Giurando ella, che m’ami, e in un momento

               La veggio darsi ad un strano in preda,

               Quanto possa la fede, e’l giuramento

               In donna quindi ogn’huomo stimi, e creda,

               Che farà in acquistar perle, oro, et ostro,

               Se così l’usa in farsi serua à un mostro?

E par che anco Vaffrino, grandissimo spione, et delle frodi albergo, biasimi le donne, come si legge nel canto 19. del Goffredo, mentre che Erminia li racconta di volere scoprir le congiure, le cui parole sono.

Cosi li parla intanto, ei mira, e tace.

               Pensa a l’essempio de la falsa Armida,

               Femina è cosa garrula, e loquace,

               Vuole, e disuuole, è folle huom, che se’n fida.

Nè consideraua l’ingannatore, che egli usaua ogni arte per ingannar lo essercito Pagano, et voleua poi riprendere la falsità d’Armida, se falsità si può chiamare il tentare ogni modo per

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vincere il nimico, si come fece Armida. Onde ne anco realmente io chiamarei Vaffrino vero ingannatore: ma il pouerello auuedutosi poi del suo errore, conoscendo, che sono anco copiosissime le donne buone, et veraci, rispose ad Erminia, che la menerebbe, oue ella desideraua. Ecco mutabilità dell’huomo scaltrito. Horsù voglio che queste varie opinioni di vari Poeti bastino, et similmente le risposte. Concludendo, che fra le donne, maggior’è il numero delle buone senza comparatione, che delle cattiue; et che gli huomini precipitosi in far le sentenze, mossi da sdegno, o da altra cosa, che hanno verso alcuna particolare, le biasimano tutte; come fece il buon Rodomonte, che sdegnato per la sentenza di Doralice, fuor di ragione con la mordace lingua vituperò tutto il sesso femenile: ma che parlasse, come huomo adirato, et sciocco, lo dimostra l’Ariosto nel canto 29. dicendo.

 

               Ma che parlo, come ignorante, e sciocco

                        Ve lo dimostra chiara esperienza:

                        Gia contra tutte trasse fuor lo stocco

                        De l’ira senza farvi differenza.

                        Poi d’Isabella un guardo si lo toccò,

                        Che subito li fa mutar sentenza:

                        Già in cambio di quell’altra la desia,

                        L’ha vista à pena, e non sà ancor, chi sia.

Che di questo Marte stabilissimo nelle sue maldicenze, vi pare che egli stia fermo? conobbe l’Ariosto essere il numero delle buone grandissimo à paragon delle cattiue, et maluagie, et che lo sdegno trasporta gli huomini à dir male delle donne, certo fuori d’ogni ragione: che il numero sia maggiore, lo dimostra con queste parole.

Con queste, e molte altre infinite appresso

                        Querele il Re di Sarza se ne giua,

                        Hor ragionando in un parlar sommesso,

                        Quando in un suon, che di lontan s’udiua,

                        In onta, e in biasmo del femineo sesso,

                        E certo da ragio si dispartiua,

                        Che per una, ò per due, che troui ree,

                        Che cento buone sien creder si dee.

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E poco dopo.

Ma mia fortuna vuol, che s’una ria,

               Ne sia tra cento, io di lei preda sia.

Che vi pare dell’Ariosto? vi pare, ch’egli lasciando lo sdegno dica il vero? io per me credo che cosi sia; ma egli non si contentò di questo, cioè, che fra cento donne ce ne sia una cattiua, che ne anco questo consentì, dando la colpa allo sdegno, et all’ira, ch’egli biasimasse quella. et però dice nel canto 30 nelle ultime rime della prima stanza.

Lasso, mi dolgo, e affliggo in van di quanto

               Dissi per ira al fin dell’altro Canto.

Poi lodò le buone soggiungendo.

               Ben spero donne in vostra cortesia

               Hauer da voi perdon, poi ch’io ve’l chieggio,

               Voi scuserete, che per frenesia

               Vinto da l’aspra passion vaneggio;

               Date la colpa à la nemica mia,

               Che mi fa star, ch’io non potria star peggio,

               E mi fa dir quel, di ch’io son poi gramo,

               Sallo Dio, s’ella ha torto, e sà s’io l’amo.

Si può parlar piu chiaramente in lode delle donne? Tacciano adunque alcuni, che non leggono se non una stanza, et subito dicono, che l’Ariosto dice male di loro; cosa ridiculosa. che più si può dire? poiche i nostri nimici sono al lor dispetto amici? Fu mosso anco da sdegno Angelo Ingegnieri à biasimar le donne nel libro di Amore di Ouidio, da lui ridotto in ottaua rima, et che sdegno lo mouesse appare dicendo:

Voi, c’hor d’acerbe ingiurie hor d’aspri scorni

               Danno sentir lunga stagion mi feste,

               Per lo cui sdegno i miei piu chiari giorni

               Spesso cangiarsi in notti atre, e funeste

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Donna crudele, perch’io non ritorni

               Al foco indegno, ond’il cor vano ardeste,

               E perch’io segua pur la bella impresa,

               Siate ogn’hor piu ver me di rabbia accesa

Guardate se’ era spinto dalla ira, poi ch’egli desideraua sempre ch’ella ver lui più s’incrudelisse per hauer cagion da vituperar le donne: ma poi auuedutosi dell’errore, che commesso hauea biasimandole, domandò lor perdono in un capitolo in terza rima, in questo modo.

Cortesi donne, il bel giudicio vostro,

               Se pur ritiene il natural suo lume.

               Non può dannar il mio quì speso inchiostro,

Che del mio stile à torto si presume,

               Ch’unqua si volga a procurarui oltraggio

               Poi che d’ogn’hor lodarui hebbi costume;

Anzi vedrà, chi ben ne fara il saggio,

               Riuolto pur à la vostra salute,

               Senza punto de gli huomini vantaggio.

Non perch’una, et un’altra mi rifiute,

               Non che mi sprezzi ben tutto lo stuolo,

               Verra giamai, che di pensier mi mute.

 

Et anco il Passi crudelissimo nostro nimico dice, che fù sdegno, che l’indusse à biasimarle, dicendo nella lettera à’ Lettori. [Il Passi biasma le Donne per isdegno.] Nondimeno non son cosi arrogante, nè meno cosi acerbo, et crudele nimico del sesso feminile, ch’io possa derogare all’auttorità di tanti eccellenti scrittori, che hanno celebrato fino al Cielo le virtù, i gesti gloriosi di famose, et honorate donne, i nomi delle quali viuono, et viuerano mentre il Sole darà luce al mondo: Ma solo sdegno m’indusse di quelle, che amando poco il suo honore sono state cagioni d’innumerabili mali. Che dite Lettori; vi pare, ch’egli sia vinto? et pur di sopra parlò in generale del suo primo capo, dicendo: Nulla mulier bona. et cosi mentre tarttò de nomi. E cosa basimeuole il saltar dal particolare all’universale; et però staua meglio l’inscrittione del libro in questo modo. I difetti delle donne maluagie; ma di ciò fù sdegno cagione verso la donna amata, et non l’utilità commune. Et che questo sia vero lo dice il Morigi nel suo Sonetto,

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nelle sei ultime rime.

Ma Gioseffo, che prò (benche conforto

               Di vendetta vi dia) s’al fin non rende

               Quel che bramaste, e ch’ottener deureste?

Iniquo amor, meglio era, pur ch’accorto

               Fessi da prima lui, che si moleste

               Cure mai non hauria; come hora imprende.

Non si conosce apertamente, quale sdegno, ch’egli hauea contra alcuna, lo habbia mosso. Si certo, o se li perdoni adunque; perche si emenderà del commesso fallo, et conoscerà la nobiltà delle Donne. queste sono le risposte, che si danno à persone, che sono della ragione capaci: percioche alle opinioni de gli huomini volgari, et ignoranti, non accadde faticarsi à rispondere, i quali senza fondamento, et ragione parlano ostinatamente. Onde l’Ariosto prega le Donne à non dare orecchia à l’ignorante volgo, mentre racconta la fauola narrata dall’hoste, dicendo nel Canto viggesimo ottauo.

Donne, e voi che le donne hauete in pregio,

               Per Dio non date à questa Istoria orecchia

               A questa, che l’hostier dire in dispregio,

               E in vostra infamia, e biasmo s’apparecchia;

               Benche, ne macchia vi può dar, ne fregio

               Lingua si vile, e sia l’usanza vecchia,

               Che’l volgare ignorante ogn’un riprenda,

               E parli più di quel, che meno intenda.

Et nel Canto 29. dice, che faceua meglio hauer taciuto, dicendo.

Io farò sì con penna, e con inchiostro,

               Ch’ogn’un vedrà, che gli era utile, e buono

               Hauer taciuto, e mordersi anco poi

               Prima la lingua, che dir mal di voi.

Ho per cortesia, non per obligo date varie risposte alle auttorità d’alcun ostinatelli: et ho mostrato, che molti scrittori sono, che à prima vista sono giudicati maledicenti, et biasimatori delle

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donne, che ne dicono grandissimo bene. Oltre à ciò hauete da sapere, et pregoui à custodire questo nella memoria, che quasi tutte le maluagie operationi, che furono, e sono, ò saranno fatte dalle Donne hebbero, hanno, od hauranno il lor principio dalla pessima natura di molti huomini, et questo accade in due modi. Il primo è, che gli Scelerati, e cattiui essempi di molti corrompono ogni purissima et candidissima creatura. il secondo è che con le persuasioni, con le ostinationi, con le insolenze, con le infintioni, et con le promesse inducono le pietose donne talhora à commettere fatti crudeli, et empi, ouero dishonesti, et lasciui. che l’huomo sia cagione di tutti i mali di lasciuie, et che da pochissime Donne ciò dipenda, il dimostra apertamente una storia antica, intitolata di Aurelio, e d’Isabella, nella quale si disputa alla presenza del Rè di Scotia chi prestò più cagione di peccare l’huomo alla donna, ò la donna all’huomo. Et si conclude, che l’huomo sia l’origine di tutti i mali, che deriuano dalle donne. Resta, ch’io risponda alle ragioni leggierissime d’alcuni. et à la principale. Dicono alcuni huomini di poca leuatura, che Elena fù la ruina di Troia, cosa in tutto falsa. Fra costoro ci è quel buon compagno del Caporali, che lo dice, mosso forsi più dalla opinione commune, che dalla propria, essendo egli huomo nelle suo compositioni veridico, i cui versi sono.

Queste tante bellezze ogn’hor congiunte

               Con lo scandalo stanno, Elena quella

               Onde uscir già tante amorose punte,

Fù con le sue bellezze cosi fella

               A Troia, a Grecia, a tutto il mondo, ch’anco

               Da ciascuno Hoggidì se ne fauella.

Et dicono, che le Sabine quasi furono la ruina di Roma, cosa da mouer le risa ad un’ huomo morto. Ditemi di gratia, chi fu primo, che s’inamorasse, Paride di Elena, ò Elena di Paride? Senza dubbio Paride di Elena, come si può vedere nella Epistola, che à lei mandò, come narra Ouidio, che tradotta in volgare da Remigio Fiorentino, cosi suona.

Questa ti scriue, ò de l’eterno Gioue

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               E di Leda gentil pregiata figlia

               Il peregrin Troian, ch’ardendo aita

               Sola da te dolce suo bene attende:

Et più sotto mostra, come fece per venire in Grecia, lunga, e difficile via.

Ne promessa mi t’habbia in van la bella

               Madre d’Amor là nella valle Idea

               Per mia consorte, ond io si lunga via

               E cosi lunghi, e perigliosi errori

               Tra Sirti, e scogli, e tra procelle ho preso

               Perch’io le vele, e le Troiane antenne

               Di Grecia torni à le Beate arene.

Et poi la persuade à partirsi seco biasimando le brutte fattezze, et i costumi del marito; et tanto si affaticò, et tanto fece, che vinta dall’importunità di questo amante, se ne andò seco. Adunque Paride fù la ruina di Troia, poi ch’egli stesso dice, che passò tanti trauagli, et fece cosi lunga via per lei sola: et conoscete un poco, come era leggiero; poiche rifiutò la sapienza offerta à lui da Minerua, et la richezza promessa da Giunone: et non solamente era leggiero, ma lasciuo, et sfrenato. Onde Laodamia scriuendo à Protesilao mostra, che Paride fù la ruina di Troia, come dice il medesimo autore nelle sue Epistole in questo in questo modo;

O mal Pastore, ò mal Troiano amante,

               La cui beltade al tuo bel Regno arreca

               Gli ultimi stridi, almen consenta Dio,

               Che tanto vil tu sia guerriero, e tanto

               Pigro nemico, e difensor di Troia

               Quanto empio fosti habitatore strano

               Al maggior Greco, il cui cortese affetto

               Li nocque tanto, e li turbò sua pace.

Cosi anco intrauenne delle Donne Sabine; percioche le Donne non rubbarono i Romani; Ma ben i Romani rubbarono violentemente le Sabine, hauendo però i buoni huomini bandita un festa,

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accioche vi fossero menate, et poi insolentemente pigliarle, come racconta Tito Liuio. Che ui pare galant’huomini di questa iniqua, et scelerata fraude? Dio buono, che ragioni si possono trouar più sciocche, et sconcie di queste? [Opinione d’Aristotile.] Alcuni altri dicono, come fù il buono Aristotile, che le Donne sono men calde de gli huomini, et però sono più imperfette, et meno nobili di loro: ò che ragione indissolubile, et onnipotente. Non considerò, credo io allhora Aristotile con maturità d’ingegno l’operationi del calore, et quello, ch’importi l’esser più caldo, et men caldo, et quanti effetti buoni, et rei da questo deriuano; percioche s’egli hauesse ben pensato quante pessime operationi produce il calore, che eccede quello della donna, non haurebbe detto una minima parola. Ma se ne andò alla cieca il cattiuello, et però comise mille errori. Non è dubbio alcuno, come scriue Plutarco, che il calore è instrumento dell’anima; ma può esser buono, et ancho poco atto alle sue operationi, ricercandosi  in esso una certa mediocrità fra il poco, et il molto: percioche il poco, et mancheuole, come ne’ vecchi è impotentissimo  alle operationi. Il molto, et eccedente rende quelle precipitose, et sfrenate. adunque ogni calore  non è buono, et atto a seruire alle operationi dell’anima, come  dice Marsilio Ficino. Ma bene in un certo grado, et proportione conueniente, come quello della donna. Onde non uale la ragione d’Aristo. sono i maschi più caldi delle Donne, adunque sono più nobili. oltre che si vede che i giouini non sono riputati più nobili de gli huomini, che sono nell’età uirile, et pur sono piu caldi. et quante Donne poi sono più calde di natura de gli huomini? Onde ne meno si concederebbe di tutte le Donne la sentenza d’Aristotile esser vera: percioche si ritrouano molte prouincie, non dirò ville, ò castella, oue le Donne sono piu calde di natura, che non sono gli huomini di un’altra prouincia, come quelle di Spagna, et di Africa sono più calde de gli huomini, che habitano il freddo Settentrione, et l’Alamagna: et quanti credemo noi, che fossero, et sieno più caldi di natura di Aristo. et di Platone, adunque più nobili nelle operationi dell’anima? questo non già. Diremo adunque in questo modo, che la Donna è men calda  dell’huomo, et però più nobile; et che se alcuno huomo fà cose eccellentemente, che questo auiene, perche si accosta alla natura et temperatura della Donna, essendo  in lui calore  placido, et non eccedente, et però l’età uirile essendo intepidito

 

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il feruore di quello calore, ch’era nella giouinile, et accostatosi  alla natura feminile opera più saggiamente, et più maturamente. Non mancano alcuni altri tra i quali è pur Aristotile, che dicono, che gli huomini sono più robusti, forti, et per concluderla migliori da portar la soma, et i pesi delle Donne. Notate bella maggioranza. A questi io rispondo, che le Donne essercitate nelle fatiche, trapassano, anzi vincono gli huomini; ò veramente, che questa robustezza nelle creature gentili, et dilicate non ha luogo; et che sia’l vero non possono i Regi, i Principi, et le persone grandi far fatiche da fachino, ne credo che Aristotile, che chiama le donne languide, et simili alla mano sinistra, fosse forte, come sono gli huomini rustici, et molte donne. Adunque era men nobile de gli huomini rozzi, et di molte donne. et cosi i fabri sarebbono più nobili de’Regi, et delle persone scientiate, et dotte. Cosa fuor di ragione, percioche se cosi fosse, si potrebbe dire, che i soldati Romani, i quali sforzarono tante volte i prudentissimi Senatori ad eleggere Imperatore, secondo la lor volontà, fossero più nobili, et eccellenti de’ Senatori; Cosa falsissima [.] Ma questo accadea; perche la forza era nelle armi, et non nella ragione, et nel giusto. et però disse quello galant’huomo: Vis erat in armis: Et per questo interuiene, che un fratello homicida, et robusto occupi il Regno, et il Ducato all’altro fratello, che è delicato, et gentile; et per l’istessa cagione il sesso donnesco, il quale è più delicato del sesso virile, et anco men robusto, per non essere assuefatto alle fatiche, vien tiranneggiato, et calpestrato da gli insolenti et da gli ingiusti huomini; ma se le Donne, come io spero, si sueglieranno dal lungo sonno, dal qual sono oppresse, diuerranno mansueti, et humili questi ingrati, et superbi.

Sarebbono senza dubbio tutte le risposte realissime da me in questo caso date alle autorità, et alle ragioni dè Poeti, dè Sacri Dottori, de Filosofi narate, et di Aristotile (non dirò gia dal Passi, che con semplici essempi, et di numero pochi se ne procede) buonissime per rispondere ad ogn’uno, che hauesse in qualche modo biasimato il sesso feminile: nondimeno son sforzata, accioche si lieui ogni cagione di dubitare, di rispondere particolarmente à molti, ciò è al Boccaccio, che fece il Laberinto d’Amore: ad Ercole Tasso, che compose con Esclamatione contro l’ammogliarsi, à Mons. Arrigo di Namur, che mandò in luce nell’anno 1428 la

 

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Maluagità delle Donne; allo Speroni, che intitolando un suo Dialogo la Dignità, ò la Nobiltà delle donne. Le biasmò. cosa che similmente fece Torquato Tasso nel libretto della virtù feminile et Donnesca. prima adunque addurro la loro opinione, poi la rifiuterò.

 

Opinione di Ercole Tasso, et di Monsignor Arrigo di Namur narrata, & rifiutata.

 

FECE Ercole Tasso un discorso, ouero esclamatione contra l’ammogliarsi (cosa che Monsignor Arrigo di Namur, gia molti anni, quasi con le stesse ragioni, in luce pose) ilquale addusse in suo fauore molte autorità di Filosofi, et d’huomini reputati saui. come fù Thalesthene, et di Antisthene Ateniese, i quali biasimauano à fatto il prender moglie, et di Sofarione, che giudicaua, che fosse cosa rea il prender moglie: ma però in tutto non la prohibì. di Metello Numidico Censore, et di Catone, il qual diceua, se il mondo potesse star senza moglie, noi non staremo senza Dii tra di noi. Seguitò Diogine Cirico, Thalete Milesio, similmente Menandro, Arrio, Esiodo, et Achille, Tatio Alessandrino. oltre à ciò narra, che gli Essei Filosofi Ebrei questo tale atto di matrimonio abborriuano. queste sono le autorità, ch’egli adduce, poi se ne passa alle ragioni. una parte delle quali è tutta della indignità, e della maluagità del sesso feminile, et l’altra del male, che da quelle à mariti ne segue. Le ragioni sono in tutto noue, la prima è. L’huomo. è come atto, e forma, e tiene ragione del meglio: adunque la Donna tiene la parte del peggio. La seconda. vili sono tutte quelle cose, che dentro di se non hanno il fin loro: ma son fatte in gratia altrui: tale è la Donna, che fù per l’huomo creata. La terza ragione è il suo essere, la Donna esser non ha, se non in quanto le è donato dalla costa dell’huomo: onde cader senza alcun dubbio sotto l’infame consideratione di tal non ente. La quarta è questa. Ogni cosa, che nasce contra lo intento della natura causalmente è vitio, ò mostro; la Donna è tale: adunque la Donna è un mostro. La quinta

 

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è. Nasce la Donna per difetto della natura dell’operante, si come i mostri per difetto, ò per soprabondanza della materai: adunque nasce per accidente. La sesta vorrebbe ogni Donna esser Huomo, come ogni sformato bello, et ogni laico dotto. La settima è. La donna è particolar influenza della Luna. L’ottaua. sono di habitudine fredda, et humida, questo appare dalla mollitia delle carni loro, & dall’ampiezza delle mamelle. La nona, et ultima. Escludono le leggi le donne da’ magistrati. Hora raccontate le predette ragioni egli discende à raccontare quai dani le mogli apportino a’ mariti, dicendo. Qual donna si marita, che non voglia intorno i piu superbi vestimenti, che si trouino? Qual nouella sposa è di due di entrata nella casa del marito, che non voglia ordini nuoui? non biasimi li trouati? non maledica il suocero la suocera? non semini discordia tra il marito, e i fratelli? non contenda con le cognate? non garrisca con le Fanti? non villaneggi i serui? non distrugga la facultà, che deurebbe conseruare, non rumoreggia continuamente col marito, et all ultimo non lo aueleni? In conclusione non può operar l’Huomo cosa, che piaccia alla Donna, e che continuamente non gli porta dinanzi le commodità delle sue vicine, e cosi d’una seccaggine all’altra trapassando conchiude, che tu non sei di lei degno, e spetialmente s’ella dosse ò più ricca, ò più nobile, ò piu giouane di te. il medesimo interuiene se di bellezza esquisita ornata fosse, ouero scaltrita, e letterata, et perche la Donna non è moderata nelle sue operationi, ne segue ch’ella sia ò auara, ò prodiga. et non credere, fice, di fuggir cosi fatti incontri, se bene la pigliassi brutta, ò pouera, ò ignobile, ouero sciocca, percioche à tutti i modi ne porterai mille croci, et spetialmente se hauerà madre; percioche ella sempre intorno ti sara, ne mai finir[a] di garrire, ne di dolersi con queste, ò similmenti parole. La mia figliuola è molto disfatta, io non so, donde cio si proceda, tu non la dei amare. egli non si dourebbe far cosi, io me la conuerrò rimenare à casa. Aggiunge di più, dicendo. S’egli vuole una cosa, e tu ne fai un’altra. se dice di si, e tu di di nò, se maledisse, e tu bestemmi. & in somma non lo lasciar vincere, che io stesso ho ciò sperimentato. non credere per trouarla buona di possedere percio una quieta pace, percioche di buona diuenta rea: aggiunge à questa ragione molte autorità della scrittura, et di Huomini santi. All’autorità di alcuni huomini letterati saui, ch’egli adduce, varie risposte noi possiamo

 

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dare. Prima, che hauendo essi tutti l’animo volto alle speculationi fuggiuano le donne, come faceuano etiandio tutti i carichi di casa, et de gouerni, ritirandosi nelle solitudini, come fecero i Filosofi Egitii, et questo per poter vie meglio Filosofare. Ouero noi diremo, che hauessero una falsa, et strana opinione contra le leggi diuine, et contra il commune parere. ouero che erano vili di animo, et timidi, non conoscendosi atti à seruire una cosi nobile creatura, come è la Donna. ouer, che lo sdegno, et la loro natural maladicenza, ò la Inuidia gli inducessere à biasmarle. ouero, che in diuersi tempi, et in diuerse opportunità & cagioni hora le lodassero hora le biasimassero, si come Catone. che più lodaua uno huomo, che si portasse verso la moglie, che colui, che ottimamente reggeua la republica, et però egli ne prese due, non satio della prima, et ultimamente io dico che, se d’alcuni pochi di quei grandi letterati è stato biasimato il matrimoni et le Donne, ci sono stati de gli altri, che lo hanno lodato, si come Teofrasto, che pohibì la communanza delle Donne, et lodò l’ammogliarsi, cosa che fece etiandio Aristotile, et Pittaco, & quanti saui hanno hauuto moglie? infiniti come Pitagora, Socrate, Crate, Solon, et, per concluderla, credo che tutto il mondo si legghi col dolce legame del matrimonio. andate considerando tutte le parti sottoposte alle santissime leggi di Christo, tutte quelle che adorano il falso Maometto, et il mondo nuouo. che vedrete chiaramtnte che il matrimonio è conseruato, cosa, che non sarebbe s’egli fosse nociuo, et dannoso. Hora mi discendo io alle solutioni delle sue ragioni. alla prima io nego, che l’huomo tenga la ragione del meglio, et che sia come forma. alla seconda, io dico che il proprio fine della Donna non è di esser fatta in gratia dell’huomo, ma d’intendere, e di gouernare, di generare, et di adornare il mondo. alla terza ragione si nefa, che la Donna non habbia il proprio essere datole da Dio, et dalla natura, concedendo però che la costa dell’huomo le fosse Materia, si come fù il fango all’huomo. alla quarta io concedo, che quelle cose, che nascono contra lo intento della natura sieno mostri, e vitio, ma ben nego, che le Donne à tal modo nascano: prima percioche i nostri rade volte si veggono, et poi sono dalla natura generati: onde per lo contrario veggiamo più Donne, che Huomini nascere. laonde io direi, che gli Huomini sieno mostri, generando sempre la natura maggior copia del megliore, et minor quantità del piggiore. oltre à cio tanto

 

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è inteso dalla natura la generatione della femina, quanto quella del maschio, se ella uuole eternare la spetie de gli Huomini, ricercandosi alla generatione la Femina, et il maschio. Alla quinta si insegna, che la Donna nasca per difetto della natura dell’operante. Alla settima si dice, che è falso, che ogni Donna desideri d’essere huomo, et se lo desiderasse ciò farebbe ella per sotrahere il collo dalla tirannesca signoria del maschio, et per farui meglio conoscer le sue rare uirtù, che stanno celate tra le parete. delle case. Alla settima passando. si nega, che la Donna sia sotto l’influenza della Luna; percioche da gli Astrologhi è posta sotto l’influenza di Venere, argomenta ciò la beltà, et i vezzosi costumi loro. Alla ottaua. io rispondo, che la Donna è di habitudine calda, et humida, come vuole il più saggio medico. et questo argomenta il color bianco, e vermiglio de delicati uolti, et la mollicie, e la morbidezza delle carni, lequali non sono tali per lo freddo, et per l’humido soprabondante, che lasse sarebbono, et non delicate, e morbide. All’ultima io rispondo, che gli Huomini fanno le leggi, et però come tiranni iscludono da magistrati le Donne. ma non già perche conoscano che à reggere elleno non sieno buone, & ottime. Ma perche egli, narrate che egli ha le predette ragioni, se ne trapassa à raccontare quei mali, che le ree Donne possano portare a’ mariti, liquali à giudicio mio ò non sono veri, ò di poco momento, presupponendo egli molte cose per vere, che pero’ tali non sono. percioche di rado si truoua scritto nelle storie, che le Donne habbiano huomo alcuno ucciso, ne vi si legge che elle habbiano desiderata la morte del lor padre per hereditare le facultà, come han fatto i crudeli maschi, et s’elle sono di natura piaceuoli e quiete, che d’ognuno vien confessato, come cagioniano tanto discordie nelle case. se alcuna di loro si lameuta dello’ndiscreto e del poco sauio marito, non commette però alcuno errore; percio che molti sono, che nell’hostiere, in disonestà, in giuochi, et in altre uanità consumano tutto l’hauere. Onde le cattiuelle, bene spesso digiunano le uigilie non comandate, ma questo sarebbe poco, se eglino pieni di uino, od’infuriati per la perdita de denari per la perdita de denari o per lo’ntelletto offuscato da vapori dal vino generati, non bastonassero le loro honeste, e prudenti Donne. quanti hanno giucato la dote della moglie, et delle Sorelle? ditelo voi, che mantenete il contrario? par, ch’egli si merauigli quando la Donna si

 

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lamenta del marito; percioche ella sia più giouane, più ricca, più nobile, più sauia, et più di lui fornita di bellezze diuine. che merauiglia è questa senza ragione? Deh ditemi si conuiene egli vna gentildonna ad vn fachino? vna douitiosa de’beni della fortuna ad un mendico? una Donna discreta, e prudente ad un Zotico, et ignorante? una leggiadra, et uezzosa giouane ad un Orco, ad nn Satiro, et ad un’Huomo tutto sgangherato? et una Donna giouane ad un uecchio identato con gli occhi, et col naso gociolante? non già certo; percioche sempre conoscerebbe che non ci fosse una equalità, à proportione (parlo) tra il marito, e tra la mogliere d’età, di grado, et d’ogni altra cosa raccontata, et quanto alla beltà, et defformità della Donna, sopra laquale egli fa tanto schiamazzo, dico secondo l’opinione di Pittaco, che fù uno de sette saui delle Grecia, che se la prenderai bella non ti farà pena, se brutta non sara commune. Ma ce, il ualente Ercole Tasso non potè finire la esclamatione, che la verità non gli leuasse il uelo delle tenebre da gli occhi della mente: onde pentito cosi disse. Vero è, che sotto à questa forma feminile, et à questi panni discendono tal uolta tra noi, alcune nature sopra humane, et angeliche; non solo lontane da ogni difetto raccontato; ma di tanta perfettione, et eccellenza, e di tanta bontà, e ualore, che altretanta consolatione presente, e futura apportino à chi degnan se in mogli. et percioche è poca diferenza fra l’opinione di

Mons.

Arrigo & quella di Hercole

Tasso, non mi affaticherò punto in rispondergli.

 

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Opinione dello Sperone raccontata & distrutta.

 

PEN SO’ lo Sperone in un suo Dialogo intitolato. La Dignità, ò la Nobiltà delle Donne, nel quale i ragionanti son Michel Barozzi. et Daniel Barbaro, et si sforza di prouare che le Donne sieno nate per seruire l’huomo, et che naturalmente à ciò sieno dalla natura generate, come quelle, che sono imperfette, e impotenti, e che ciò sia il uero osseruate quello, ch’egli dice nel suo Dialogo, facendo raccontare l’opinione della Signora Obiza ad uno interlocutore (bella fintione) per dimostrar, che le Donne stesse fanno la sentenza, le “ cui parole sono. Queste le auuiene per esser moglie, cioè serua “ del suo marito, al cui uolere essa moglie contra al proprio piace “ re è di piacere obligata. et poi soggiunge, Tal’è l’huomo alla don “ na, quale è la ragione à i sentimenti. Queste cose dic’egli secondo la sua opinione, et poi narra la sentenza della Sig. Obiza. la qual “ è. Che la Donna, non è Donna senza la seruitù del marito; per “ cioche è natural sua conditione di seruire. per distruggere questa opinione, nego, che la Donna sia serua al marito, se però noi vorremo star ne’ principii Aristotelici. percioche compagna egli in ogni luoco la chiama, et non solamente compagna, ma compagna hauuta in riuerenza dal marito, ch’ella sia tal si legge nel lib. dell’Economica al cap.3. Societas enim est maxime secundum naturam mari, & Feminae. Che ui pare egli non sice già serua per natura: ma si compagna per natura; soggiunge. Apparent enim his magis natura auxilia, dilectiones, & cooperationes. delle quali parole chiaramente si comprende una soccietà con amore, et operationi scambieuoli: oltre à questo nel secondo libro al secondo capitolo non dice egli manifestamente, che l’huomo, cioè il marito, dee portare honore alla moglie? con queste propie parole Prudentem igno rare non debet qui

 

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honores conuentiant uxori. queste cose medesime egli racconta nel primo libro della cura famigliare. che l’huomo debbe la donna honorae, et con riuerenza amare, lo mostrò etiandio, adduncendo le parole d’Homero manifestando in un medesimo tempo, che la Donan deue honorar l’huomo, con l’essempio di Helena, e di Ulisse. le parole dette da Helena à Priamo sono.

 

O metuende mihi semper, semperque; tremende

Chare socer.

 

Le parole di Ulisse à Nausica donna sono.

 

Te mulier ualde equi dem admiror, et metuo.

 

Et poi soggiunge. Censet autem Homerus uirum, et uxorem sic se inuincem debere habare: nam nemo deteriorem se admiratur, ac ueretur. Onde Aristotile conclude con Homero che debba essere una sincera compagnia, et una unanime concordia accompagnata da una cera riuerenza tra marito, e moglie. cosa che non si uede tra serui, e padroni; oltre a questo pose lo stesso l’amicitia tra la moglie et il marito nel settimo libro delle morali al quinto capitolo: ma non gia tra il padrone, et il seruo. aggiungiamo che nel primo libro della Politica al capitolo ottauo egli mostra chiaramente che spetie di preminenza habbia il marito sopra la moglie, et che maniera d’imperio, ponendo due ordini, d’imperio, uno ciuile, et l’aliro regio, hauendo iscluso fuori quello del Signore, e del seruo, le cui parole sono. Quoniamo uero tres erant partes rei domesticae, una dominica, de qua supra diximus, alia paterna, et alaia coniugalis: nam preaest filiis & vxori tanquam liberis quidem ambosus, sed non eodem modo imperii, vxori quidem ciuilter, filiis autem regie. Con le quali parole conclude, che l’huomo habbia nella Donna un’imperio ciuile, et nel figliuolo regio. lo’mperio ciuile è quello di coloro, che hora comandano, et hora à loro è comandato, cosi lo descriue Aristo. nel medesimo capitolo con queste parole. In ciuilibus igitur principatibus plerunque commutatur is, qui praeest, is qui subest. nam equales esse uolunt. Che più manifesta pruoua, et ragioni più palesi d’Arist. si possono desiderare. però si può chiaramente conoscere, che

 

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la opinione dello Sperone manca de quei fondamenti, che sono ueri, e reali. Forsi ch’egli si è accostato à questo parere, mosso dalla insolenza tirannesca di molti Huomini, i quali si fanno seruire non solo dalla moglie; ma dalla madre, e dalle sorelle con tanta ubbidienza, e con tanto timore, che con minore seruono le fanti uili, et le Schiaue i lor Signori, et padroni.

Parere di Torquato Tasso addotto et rifiutato.

 

Crede Torquato Tasso in un suo discorso intitolato della uirtù feminile et donnesca, seguendo l’opinione di Tucidide, et di Aristotile, che le Donne sieno à comparatione de gli Huomini imperfette, et deboli, simili à punto alla mano sinistra, et però ad esse non conuenirsi la fortezza, ne meno essere à loro di honor la fama, che di uulghi le loro operationi, desiderando la pudicitia la retiratezza; non nega però piu di sotto, che la fortezza non sia uirtù feminile; ma non l’assoluta fortezza, ma si ben quella, che è chiamata fortezza ubbidiente. onde conclude che molti atti, che sono atti di fortezza nelle Donne, non sarebbono atti di fortezza ne gli Huomini: poi fa una distinzione delle uirtù, una spetie delle quali, che all’intelletto s’appartiene nega alla Donna conuenire, similmente afferma la prudenza non esser sua virtù, perche nella donna non dee esser se non tanta quanta basti per ubbidire alla prudenza dell’Huomo, cosa, che racconta etiandio Aristotile, si come anchora egli disse della fortezza donnesca. Narrate ch’egli ha queste cose, se ne passa à raccontare della donnesca virtù, fingendo una sua nouella inuentione, la qual’è, che gran differenza sia tra la virtù feminile, e quella che donnesca egli chiama, onde finge, che il nome di Donna si conuenga solamente alle Reine, alle Prencipesse, et à quelle, che gli chiama Donne heroiche, alle quali non vuole, che si conuenga piu la pudicitia di quella, ch’ella si conuenga al Caualliere, le cui parole sono. piu non si conuiene alla Donna Heroica la modestia, e pudicitia di quello, che si conuenga al Caualliere; perche quelle virtù di coloro son proprie, di cui l’altre maggiori non possono esser proprie, ne puo esser detta infame

 

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quantunque come alcun’atto d’impudicitia. et à queste si conuiene l’esser destra, e sinistra.

 

Queste sono tutte le cose essentiali, che racconta Torquato Tasso nel suo discorso, alle quali io rispondo, che s’egli haueua quella opinione, che hebbe Tucidide, et Aristotile, la doueua sostentare con alcun fondamento, buono, et reale, et distruggere quella verissima risposta, che diede Platone della mano, mostrando non esserci alcuna differentia tra la destra, e la sinistra essercitata, come si vede in molti. Oue poi egli soggiunge, che alle Donne non si conuiene la fortezza, spinto dall’autorità d’Aristotile, dico che non accettiamo la opinione d’Arist. per vera; percioche habbiamo prodotti mille essempi di Donne fortissime, non già Reine nel nostro libro. Et non già di fortezza ubbidiente (cosa da serua) ma di fortezza signoreggiante; percioche ne la fortezza, come la diffinisce Aristotile una costanzia d’animo contra quelle cose, che spauentano per fine di cosa honesta, et lodeuole, il qual però consiste in varie cose, come ho dimostrato. chi negera, che molte Donne non sieno state adornate di simil virtù? lequali però non furono da alcuno huomo stimolate, come potrete vedere ne gli infiniti essempi posti nel capo delle donne forti, liquali atti di fortezza sarebbono stati ne gli huomini marauigliosi: ma se ne trouarebbonole [sic!] migliaia s’elle praticassero, e si essercitassero ne i publici maneggi, come fanno, i maschili quanto alla distintione delle virtù fatta da lui, parte delse [delle] quali, che speculatiue sono nega alle Donne conuenire; io non admetto questa sua suppositione, anzi essendo le donne della medesima spetie de gli huomini, et hauendo una stessa anima, et le stesse potenze, come tutti i peripateci affermano, la qual cosa conobbe etiandio Senofonte nella sua Economica, oue egli dice. Virum fecit audaciorem muliere, memoriam verò, et intelligentiam dedit fratrem. Direi che tanto si conuiene la speculatione alla Donna, quanto all’Huomo: ma l’Huomo non lascia, che la Donna à tali contemplationi attenda, temendo ragioneuolmente la superiorità di lei, nego similmente che la prudenza donnesca sia semplicemente ubbediente à quella del marito; percioche colui vien da Aristotile reputato prudente che intorno alle cose venture sà consigliare, et elegere quello, ch’è meglio: ma chi negerà che non sieno state molte donne ne gouerni militari, et pacifici prudentissime? leggasi il capo delle donne prudenti? Et

 

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chi negherà, che la Donna non dimostri una somma prudenza nel gouerno di casa? niuno à giudicio mio. ilqual gouerno à lei sola pur s’appartiene, et non al marito, come nell’Economica si legge. Oltre à questo, se colui è ornato di principal prudenza, che gouerna, et impera seguiterebbe che tutti i sudditi sarrebbono prudenti di prudenza ubbediente, et sarrebbono secondo questa opinione tali à rispetto del Prencipe, quali sono le donne à rispetto del marito? grande inconuenienza; percioche il sommo della prudenza non si misura dal signoreggiare: ma dall’operare con maturità d’ingegno preuedendo, et procedendo. afferma il medesimo adducendo autorità di Tucidide, che la fama della Donna non deue uscire dalla propria casa. et io mossa dal parere di Gorgia Leontino, et di Plutarco dico che il grido dell’operationi donnesche, parlo in materia di scientie, et d’attioni virtuose, deue risonare non solo nella propria Città: ma in diuerse, et varie prouincie, et però Plutarco nel libro della dignità delle donne lasciò scritte queste parole. Io stimo eccellente, et ragioneuole legge quella de Romani, laquale consente, che si possino lodare con orationi publicamente fatte le donne buone da parenti loro in quel modo, che si lodano gli huomini, ilqual costume noi habbiamo imitato, quando poco fa dopo la morte della eccellente Donna Leonida habbiamo con lunghissimo ragionamento lodate le sue operationi, aggiungiamo à tutte queste cose, che Euripide pur huomo letterato, et singulare lasciò scritto che il lodar le virtù

delle Donne è cosa da huomo sauio. intorno à quella sua

nuoua distintione di femina, e di donna, nuoua dico,

percioche il Boccaccio, il Petrarca, et altri

hanno dato il nome di donne à qualunque

creatura di questo sesso. non mi

voglio faticare à

distruggerla,

et à vituperarla.

 

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Opinione del Boccaccio, qui addotta et distrutta.

 

Vituperò il Boccaccio etiandio il donnesco sesso piu tosto con parole sconcie, piene di inuidia, et di veleno, che di vere ragioni, ouero apparente: et percio molte cose egli suppone, che haurebbono bisogno di realissime pruoue. suppone adunque, che la Donna sia animale imperfetto appassionato da mille passioni spiaceuoli, et abbomineuoli à ricordarsene, non che à ragionarne. Che le donne conoscano d’esser nate serue et usando l’humiltà, et l’ubbedienza impetrano da mariti mille maniere di vestementi, et di ornamenti, et poi la signoria d’occupar s’ingegnano: onde sono come fameliche lupe venute ad occupar i patrimoni, e le ricchezze di mariti: Son, seguita dicendo, timide nelle cose, che possono apportar giouamento al marito: ma fortissimi animali in quelle cose, ch’elle vogliono dishonestamente adoperare. Che tutti i pensieri delle femine, tutto lo studio, tutte le opere à niuna altra cosa tirano se non à rubbare, à signoreggiare, ad ingannare gli huomini: da questo le femine malitiose, et gli indouini sono da lor visitate, et chiamate. che le Donne hanno meno d’humanità, che non hanno le Tigri, i Leoni, et i Serpenti: onde subitamente, quando adirate sono, corrono al fuoco, al veleno, et al ferro, et allhora sarebbe caro à ciascuna tutto il mondo, il Cielo, Dio, et ciò chi è di sopra, e di sotto uniuersalmente potere confondere, et guastare. oltre à cio sono auarissime con ogni maniera di genti e di persone; ma prodighe ne lisci, ne belletti: sono tutte mobili, vogliono, et disuogliono una medesima cosa ben mille volte in una hora. sono generalmente tutte presontuose, et à se medesime fanno credere, che ogni cosa à lor si conuegna, et che d’ogni honore, e d’ogni grandezza sien degne. Sono ritrose, et inubbedienti; percioche fanno le cose loro imposte quando à lor piace, anzi lo inritrosire è tanto lor proprio, che una pouera ardisce di sdegnarsi col piu ricco huomo del mondo. Fanno professione di scienza, e di dottrina; percioche una mattina sola, che vadino à messa sanno come si riuolga il firmamento, quante stelle sieno in Cielo: come il mare vadi et ritorni, sanno cio, che ci fa in India,

 

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et in Spagua [Spagna], et cio che fecero non mai Troiani, Greci, e Romani, in conclusione non si fa cosa nella Citta che non ne sappino render conto. sono ostinate, percioche s’esse diranno di hauer veduto un Ansio volare, bisognera, che lor si conceda il tutto, se non le nimicitie mortali, le insidie, e gli Odii saranno di presente in campo. dopo che il mondo fù fatto infra tanta moltitudine del femineo sesso sone state diece donne solamente solennissime, et sauie trouate. sono tutte queste uniuersalmente golose, et voraci. aggiunge à tutte queste cose, che sono vane, Inuidiose, Sdegnose, et Laide, percioche se fossero vedute quando escono la mattina dal letto col viso verde, e giallo, mal tinto di colore di un fumo di pantano, et broccute, quali sono gli uccelli che mudano, e tutte cascanti stomacherebbono i riguardanti, specialmente se fossero vedute couare il fuoco su le calcagna con l’occhiata liuida, et tossire, e sputar farfallon: et sentissero col naso il fetore, et il lezzo caprino, ilquale spira da tutta la persona, quando da caldo, ò da fatica-è incitato. conclude in somma, che le donne sieno l’origine, et la primiera cagione di tutti quei vitii, che al mondo si ritrouano. [Lab. 37.] et soggiunge felici gli huomini se queste mai nate non fossero; anchor ch’esse credano con la lor prosuntione, che senza loro gli huomini nessuna cosa uagliano, ne viuer possano, et però sono noiose, et imperiose nel farsi seruire. Diremo adunque per distruggere la di costui falsa opinione, incominciando dal principio suo, che le Donne non sono animali imperfetti, ne meno appassionati da mille passioni, se non da quelle, che la perversa natura de maschi lor fanno tutto giorno sentire, et procurare. Non intende la Donna di esser nata serua; percioche colui, che nasce naturalmente seruo, non aspira alla signoria. ma se ne viue nella seruitù natia. Onde si può dire, che aspirando, si come egli dice al dominio, non serua ma signora sia nata, si come mostra il nome, che porta seco di Donna. io non uedo che le discrete, e benigne donne occupino i patrimoni de mariti; percioche portano seco nel uenire à perfettionar l’huomo tanta dote, che non solamente à se stesse fanno le spese conuenienti, ma anchora à mariti. et quanti ce ne sono, che per mezzo delle doti ritornano à propri honori, e se ne vanno caminando fra gli altri gonfi di superbia, che marcirebbono nelle prigioni dishonoratamente? oltre à cio non trouerete mai che la Donna dissipi la facultà dell’huomo, come il marito quello della

 

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moglie: onde sono molte Donne, che non sono state in tutta la lor vita padrone di un danaio, gl’indouini hanno poco da loro, e che sia il vero, sono sempre mendici. Sono di natura piaceuoli, et misericordiose, et però lontani da loro se ne stanno i tradimenti, i ueleni, gli homicidi, e simili cose. che sieno tali ben ce lo dimostra Aristotile quantunque lor nimico, dicendo nel lib. 9 della storia de gli Animali. sunt foeminae moribus molliores mites sunt .n. celerius et magis misericordes sunt. non si puo secondo il mio parere chiamar le femine auare et cio per diuerse ragioni prima percioche l’huomo usurpa in giusa [guisa] tutto l’hauere ch’elle non possono disporre di alcuna cosa, anchor che minima; secondariamente è tanto l’amore, che portano al marito, et à figliuoli, che non ardiscono di consumare, ò di lasciare andare à male punto del patrimonio, et però à giusa di formiche, à cui è data per dote la prudenza con ansietà di moglie, e di madre continuamente accumulano. Et però disse Aristotile cio conoscendo nel lib. della cura famigliare. et foemina conseruat ea: non si troua la più ferma stabilità della sua certissimamente: cio si discopre in alleuare, in nutrire, et in ammaestrare gli impatienti maschi con tanta patienza, ch’è cosa di stupore: aggiungiamo, che è proprio dono del donnesco sesso la diligenza, la qual ricerca una ferma stabilità. dimostrò questo Aristotile dicendo nell’Economica al cap. 3. Mulier ad sedulitatem optima, et vir deterior. si dimostrano prontissime, et ubbidientissime ad un minimo cenno del padre, della madre, de fratelli, de mariti, cosa che non è negli huomini, essendo essi di natura più aspri, et più rozzi. Crede egli di biasmar le Donne dicendo. che se si trasferiscono ad una messa sappiano raccontare infinite cose tanto appartenenti al gouerno dello stato, quanto alla sottilità delle scientie, et io sicurissimamente penso, che queste cose argomentino sottigliezza d’intelletto, et profondità di memoria, e Dio volesse, che egli, ch’era stato à gli studi, e che faceua il gran maestro, hauesse saputo in quattro anni darne cosi minuto conto, come fa ogni minima Donniciuola in un quarto di hora. Infinito numero di questo sesso si è ritrouato, e si ritroua, che è stato dotato di nobilissime scienze. si come ho dimostrato con infiniti essempi. Le chiama oltre à cio Voraci, Ingorde, e Golose, cosa che ripugna alla continua sperienza, che si veggono parche nel cibo e moderatissime: attribusce à loro innumerabili vitii, come l’Inuidia, lo sdegno, la Maledicenza

 

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et altri simiglianti, suppositione in tutto falsa; percioche sono uniuersalmente di più gentili, et ragioneuoli costumi, che non sono i maschi, come si legge nell’Ethica, et come egli medesimo dice nelle nouelle sue, non possono gli huomini viuer senza le donne, si come esse senza i maschi hanno retto, e gouernato non solo le cittadi, ma le prouincie intiere, questo fu fatto dalle Amazzoni. Ultimamente spinto dall’ira forsi ardisce di affermare, ch’elle sono Defformi, è [sic!] Brutte sporse, et fetenti. cosa strauagantissima, essendo la beltà proprio dono data à lei dalla natura, e da Dio, et però Xenofonte nella sua Economica lasciò scritte queste parole Deus uxorem pulcriorem condidit. cosa che già habbiamo dimostrato ne nostri primi capitoli, non è la più gran mondezza, e politezza in questo nostro mondo di quella, che si mira nelle Donne, essendo elle schife delle lordure, che fanno brutto il gratioso de’ corpi loro, et di tutte quelle cose, che spirano puzzolente odore, ma gli huomini, come creature piu rozze, et nate per seruire, meno adorni, et bene spesso lordi, et sporchi si uedono, come si potrebbe dire di alcuni, che hanno intorno al mostaccio, et intorno al collo piu untume, e soccidume, che non hanno le caldaie de cuochi, et spirano odori si spiaceuoli, che è di necessità alle circostanti Donne di turarsi il naso non nego però, che non si ritroui qualche donna poco monda, et che fuor di se mandi poco grato odore, si come era la donna amata dal cattiuello, che per l’età piegante alla vecchia haueua gli occhi priui di viuace splendore, era trauagliata da perpetua tosse, e da molti altri difetti propri dell’età senile. Femina in uero degna di lui. compose il Boccacio (che Dio habbia compassione all’anima sua) questo libro del Laberinto, come egli medesimo racconta, mosso da sdegno, e da una acerbissima aflittione, che lo indusse fino à desiderar la morte: le cui parole sono. [“]Et in tanta afflittione trascorsi hora della mia bestialità dolendomi, hora della crudeltà trascurata di colei, laqual piu assai, che la mia propria vita amaua, ch’io cominciai à chiamar la morte. [”] oltre à questo fu molto beffato da colei, che punto non l’amaua: onde egli spesso si duole, e si lamenta, ch’essendo letterato e pieno di dottrina fosse cosi schernito, e dileggiato. haueua torto à dolersi il pouerello, à dolersi che la vedoua da lui amata non l’amasse; percioche elle non era tenuta ad amarlo, come egli stesso dice nel principio del suo libro; non dicendo egli à lei, ragione, addotta da esso.