La nobiltà et eccellenze delle donne: et i diffetti, e mancamenti de gli huomini (1600) Partie 2

par Lucrezia Marinella

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Titre: La nobiltà et l’eccellenza delle donne, co’ diffetti et mancamenti de gli huomini
Auteur: Marinella, Lucrezia (1571-1653)
Date de publication: 1600
Édition transcrite: (Venice: Giovanni Battista Ciotti, 1600)
Source de l’édition: Google Books
<https://books.google.ca/books/about/La_nobilt%C3%A0_delle_donne.html?id=seRQAAAAcAAJ&redir_esc=y>
Transcription par: Marco Piana, Cassandra Marsillo et Tanya Ludovico, université McGill.
Principes généraux de transcription: n/a.
Statut: Complétée, pas encore corrigée, version 0, 2016.

 

 

Ce travail fait partie du projet L’égalité et la supériorité dans les traités féministes de la Renaissance et de l’époque moderne, un projet financé par le Conseil de recherches en sciences humaines du Canada.

 

LE TEXTE COMMMENCE APRÈS CETTE LIGNE

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Delle donne forti, & intrepide.
Cap. III.
E’ LA fortezza una costanza di animo, che si oppone à tutte quelle cose, che sogliono apportare lo spauento di morte per fine di honore, ò di uirtù. cosi la descrisse Speusippo dicendo. est fortitudo animi costatia [constantia] adversus ea, quae terrere solent uirtutis gratia. Questa diffinitione diede anchora Arist. nel lib. 3. dell’Ethica al cap.6 non teme adunque il forte le cose terribili, & horribili, che ritrouar si possino, come è la morte; ma però non la desidera, dellaqual niuna cosa è al mondo più spauenteuole. Mors enim maximè omnium terribilis est rerum. Come nel medesimo luogo si legge. hauendo però sempre per proprio fine l’honore. Onde disse Aristo. Quae Mors in pulcherrinis rebus contingit, cuiusmodi sunt, quae in bello oppetuntur in maximo silicet & pulcherimo periculo, his consentiunt etiam honores, qui & à ciuitatibus, & à regibus instituti sunt. Elegge adunque di morire il forte; percioché la cosa ha fine honoreuole, & non facendo questo in uergogna, & in biasmo li risultarebbe. Onde soggiunge. Et ea de causa, uia honestum est eligit, & sustinet; uel quia id non facere turpe est. magis enim timet turpitudinem uir fortis, quam mortem. Et però si può con ragione dire, che l’huomo forte non può essere misero come dice Seneca.

 

Quemcunque fortem uideris, miserum neges.
Ma ueniamo à gli essempi di quelle donne, che disprezzando la propria uita hanno operato cose grandi, & marauigliose con non poca inuidia de gli huomini & non poca uergogna loro, & come dice Aristotile hanno eletto di mettersi ad ogni, pericolo; percioche il fine era honesto, & buono. saranno le prime fra le altre honorate donne quelle di Curzola essempio recente, & nuouo, le quali disprezzando la propria uita si opposero alla formidabile armata di Selim Imperatore de Turchi, che uoleua prendere Curzola. queste essendosi uestite tutte di ferro con gli elmi in testa, con picche dando fuoco alle artegliarie, & inuitando quelle, che uenute non erano al combattere con suon di Tamburi, & di trombe, fecero si che Vluzali Capitan de Turchi lasciò con poco suo honore la tentata impresa. che dite di queste fortissime, & intrepide donne, che ad onta del Capitano, de soldati, & de gli huomini, iquali come fuggiti, saluorno la patria? A queste gloriose donne, non cede Martia Bronchia, che armatasi con le armi del marito, ilquale pien di paura se ne era fuggito, combattendo alle mura di Pisa, & passando tra nemici tanto potè, che liberò la patria. Onde il popolo liberato le fece una statua in segno di honore. poneremo anchora
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fra questa intrepida Schiera di ben nate donne la Madre d’Ircano, la quale essendo stata presa da’nemici, & tormentata alla presenza dell’figliuolo da Tolomeo; accioche Ircano leuasse l’assedio, essa benche fosse vecchia, sopportaua i tormenti, & con voce altissima pregaua il figliuolo à combattere, & non lasciar l’impresa, segno veramente di un animo forte. Non lasciaremo sotto silentio la madre di Cleomene Re de’ Spartani, la quale essendo data à Tolomeo per ostaggio, mostrando di volere mantener la fede con lui, cioè di non far pace co i nemici senza il suo consenso, & perche hauea inteso la Madre di Cleomene, che i nemici li offeriuano la pace con honorate conditioni, gli scrisse, che à patto veruno non volesse perdere quella pace per saluare il corpo di una vecchia, essendo quella pace honesta, & vtile alla patria sua, non si può dire, che costei non fosse di vno inuitto, & forte animo, che per la salute della sua patria sprezzaua la propria vita. Grandi, & merauigliose furno le opere delle donne Argiue sotto la scorta di Telessilide contra Cleomene Re di Sparta, hauendo costui fatto morire vna gran quantità d’Argiui, andò con l’essercito sopra Argo per pigliar la Città, ma le donne hauendo deliberato di diffenderla, fatta lor capo Telessilide si appresentorno con le armi sopra le mura, della quale cose molto si merauigliò l’inimico; il quale hauendo dato piu uolte l’assalto in uano con gran perdita de’suoi, fù finalmente constretto à ritornare in dietro. le istesse donne cacciorno fuori Demarato Re, il quale hauea occupata vna parte di Argo chiamata Pamphilia, cosi fù per le donne conseruata la Città d’Argo nella sua libertà, basti di queste lequali offrendo la propria vita saluorno la patria, percioche lungamento ne trattarò nel capo dell’amor delle donne verso la patria, & veniamo à gli essempi di quelle ualorose donne, le quali per fuggir la seruitù de’ nemici si sono uolontariamente uccise, percioche non facendo in modo tale sarebbe stato à loro graue infamia come dice Aristotile. Quia id non facere turpe est; magis enim timet turpitudinem uir fortis, quam mortem. La prima sarà Monima Milesia moglie di Mitridate, la quale hauendo intesa la perdita della guerra, & la fuga di Mitridate suo marito, elesse di vccidersi, & leuandosi la corona della fronte se la cinse al collo, & s’impiccò: ma quel capestro non potendo per la sua debolezza sostenere la grauezza del corpo, si ruppe, & ella disse ò maledetto Diadema in cosi tristo offitio non mi hai ancho seruita, & sputouui sopra disprezzandolo, & sùbito chiamò Bacchide eunucho, & si fece ammazzare, come dice Plutarco: morte veramente generosa, & questo, che fù atto di fortezza, lo pone il Passi nel suo libro per atto di disperatione, la qual cosa non dice Plutarco, ne credo che da niuno per tale sia stato stimato, sapendosi che Magis timet turpitudinem uir fortis, quàm mortem. Et questa era la seruitù, & la potenza regia, che le soprastaua. Rossona, & Statira sorelle del sudetto Mitridate pigliorno il ueneno, & lodorno sommamente il fratello, che le hauea fatte auisate del pericolo, & cosi morirno per fuggir la seruitù del nemico.
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Non merita silenzio Zenobia Regina d’Armenia, la quale fuggendo col marito gl’ Armeni, & non potendo soffrir il tranaglio [travaglio] del correre, perche era grauida, pregò saldamente il marito Radamasio, che l’amazase per non restar captiua, ilquale dopò molte lagrime le diede col ferro nella gola, & getola nel fiume Arasse. Et Cleopatra figliuola di Ptolomeo Pitone Re dell’Egitto molto più temè la vergogna, che non amò la vita; che essendo certa di essere menata in trionfo da Cesare Augusto, & essendole tolta ogni commodità di potersi uccidere, fece portarsi de’ fichi con molte foglie, fra le quali era un Aspide, tolto i fichi, porse lietamente per fuggir l’imperio altrui il suo candidissimo petto à i morsi uenenosi del freddo Aspide, & cosi in poche hore finì la uita, & priuò di una grandissima allegrezza Cesare Augusto, che credeua di condurla seco à Roma in trionfo. Vn chiarissimo essempio di fortezza fù la moglie di Stratone principe di Sidonia, il quale essendo assediato, & uicino ad essere preso da’ nemici, essa non potendo sofferir tanta uergogna, & indegnità lo ammazzò, & con l’istesso ferro passò à se stessa il petto albergo di eterno ualore. Mi souiene etiandio della nobilissima donna nominata Dugna, la quale per fuggir la seruitù, & non uenir nelle mani de’soldati di Attila Re degl’Vnni, si annegò. Ma considerate un poco la generosa fortezza delle donne Phocesi, le quali si contentauano di morire arse nel fuoco, se Diaphano perdeua l’essercito; & haueuano apparecchiate le legna per non andare nelle mani dello inemico. ne uoglio lasciare l’essempio illustre della moglie di Phanto. Tolomeo dopò che hebbe fatto scorticare il corpo morto di Cleomene suo nemico, uolse che fossero fatte morire Cretesiclea madre di Cleomene, & i figliuoli, & insieme la moglie di Phanto, la quale era donna bellissima, & di animo forte, & ualorsos. costei hauea seguito il marito nell’esilio sopportando la fortuna nemica, & le fatiche, mentre gli altri ueniuano menate alla morte, e confortaua con dolcissime, & amoreuoli parole la madre di Cleomene, la qual lietamente andaua alla morte per fuggir la seruitù; ma come furno giunti al luogo oue sogliono far morire i malfattori, prima uccisero dinanzi à gl’occhi delle ardite donne i miseri bambini figliuoli di Cleomene, dopò i fanciulli, Cretesiclea fecero morire, & mentre moriua, la moglie di Phanto le acconciaua i panni intorno, sempre confortandola: rimase sola la moglie di Phanto, & essendo di petto forte, & intrepido senza trar sospiro, ò lagrima si accomodaua, come uoleua morire, ne comportò la castissima donna, che alcuno se le accostasse, fuorche colui, che la douea uccidere, & fece una morte degna di una tanta donna non senza stupore, & merauiglia del crudel Tiranno. Non merita silentio la moglie di Asdrubale, che hauendo inteso la graue perdita del marito, & per timor di seruitù si gettò in uno ardentissimo fuoco con tre fanciullini. Ma che dirò io di Sophonisba figliuola di Asdrubale, & moglie di Siface, la quale hauendo inteso che il marito era preso, & il campo rotto, determinò piu tosto uolere morire libera, che uiuere in seruitù, come il Trissino nella sua tragedia la fa dire.
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Sarà, ch’io lasci la regale stanza,
E lo natiuo mio dolce terreno;
E ch’io trapassi il mare,
E mi conuenga stare
In seruitù sotto il superbo freno,
Di gente aspra, e proterua,
Nemica natural del mio paese.
Non fien di me, non sien tai cose intese;
Piu tosto uo morir, che uiuer serua.
Notate queste bellissime parole, che dice poco piu sotto, degne senza dubbio di un animo generoso, & forte.
La vita nostra è come vn bel thesoro,
Che spender non si deue in cosa vile
Ne risparmiar nell’honorate imprese,
Perche vna bella, & gloriosa morte
Illustra tutta la passata vita.
E come la ualorosa donna hebbe ueduto Masinissa, Re de Massusi li andò incontra, & la gratia, che à lui domandò, fù, che non la lasciasse andare in seruitù de’ Romani dicendo.
E se ciascuna via pur ui fia chiusa
Da tormi da l’arbitrio di costoro,
Toglietemi dal cor col darmi morte.
Questa per gratia estrema ui domando.
Et quando Masinissa le mandò il ueneno non hauendola potuto diffendere, l’accettò uolentieri, & lo prese senza pianto, ò sospiro, & senza mutarsi di colore, come l’istesso Autore fa dire à una serua.
Oue senza tardar prese il ueneno,
E tutto lo beuè sicuramente
Infino al fondo del lucente uaso.
Ma quel che piu mi par merauiglioso,
E, ch’ella fece tutte queste cose
Senza gettarne lagrima, ò sospiro;
E senza pur mutarsi di colore.
Donna certamente degna di ogni lode, & finalmente se ne morì inuitta, & gloriosa. Ma che dirò di Sofronia, la quale mentre il soldano Aladino uoleua abbrusciare, & uccidere i miseri Christiani, pensò di volere con la sua morte diffendere l’altrui uita come dice il Tasso nel lib.2 stan. 17.
A lei, ch’è generosa, quanto è honesta,
Venne in pensier come saluar costoro.
Moue fortezza il gran pensier; l’arresta
Poi la vergogna, e’l virginal decoro;
Vince fortezza: anzi s’accorda, e face
S’è uergognosa, e la uergogna audace.
[Page 52]
E il Tasso quasi merauigliandosi di tanta fortezza dice, mentre s’era appresentata al Tiranno Aladino, & hauea scoperta se medesima inuolatrice della imagine.
Cosi al publico fato il capo altero
Offerse, e’l uolse in se stessa raccorre:
Magnanima menzogna, hor quand’è il uero
Si bello, che si possa à te preporre?
E quando ella uide il misero Olindo uenire ad offerirsi egli alle medesime pene per slegare lei disse.
Non son io adunque senza te possente
A sostener ciò, che d’un huom può l’ira?
Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede
Di bastrar solo, e compagnia non chiede.
E Clorinda sopragiungendo, & uedendo costoro, se fa loro uicina, & li mira, & uede Olindo gemere, & tacere Sofronia.
Cedon le turbe, e i duo legati insieme
Ella si ferma à riguardar da presso;
Mira, che l’una tace, e l’altro geme:
E piu vigor mostr’il men forte sesso.
Ma se mostraua piu uigor, non era men forte, ma piu forte come si puo conoscere per tanti essempi scritti da gli Historici, & da Poeti. Non uoglio che resti à dietro Polissena figliuola del Re Priamo fortissima nelle miserie, & nella morte, la quale essendo anchora fanciulla fù condotta alla tomba di Achille, & ricordandosi della sua stirpe regia uolentieri si lasciò uccidere piu tosto, che gir serua de gli argiui, & la sua morte, & il modo di morire lo descriue Ouidio nel lib.13. dicendo.
Fortis, & infelix, & plus quàm foemina virgo
Ducitur tumulum: diroque fit ostia busto.
Qua memor ipsa sui, postquàm crudelibus aris
Admota est: sensitque sibi fera sacra parari,
Vtque Neoptolemum stantem, ferrumque tenentem,
Vtque suo vidit fingentem lumina vultu,
Vtere iandudum generoso sanguine, dixit.
Nulla mora est: aut tu iugulo, vel pectore telum
Conde meo; iugulumque simul pectusque retexit,
Scilicet haud ulli seruire Polyxena vellem
Haud per tale sacrum numen placabitis ullum.
Mors tantum vellem matrem mea fallere posset;
Mater obest; minuitque necis mihi gaudia: quamuis
Non me a mors illi, verum sua vita gemenda est.
Vos modo, ne stigios adeam non libera manes,
Este procul; si iusta peto tactuque viriles
Virgineo remouete manus, acceptior illi.
[Page 53]
Quisquis is est, quem cede mea placare paratis,
Liber erit sanguis, si quos tamen ultima nostri
Verba mouent oris, Priami uos filia regis
Nunc captiua rogat, genetrici corpus inemptum
Reddite, ne ue auro redimat ius triste sepulchri,
Sed lachrimis. tunc cum poterat redimebat, & auro.
Dixerat: at polpulus lachrimas, quas illa tenebat,
Non tenet, ipse etiam flens, inuictusque sacerdos
Prebìta coniecto rupit praecordia ferro.
Illa super terram defecto poplite labens,
Pertulit intrepidos ad fata nouissima vultus;
Tunc quoque cura fuit partes uelare tegendas:
Cum caderet; castique decus seruare pudoris.

Che ui pare di questa fortissima donzella degna ueramente di eterna lode? & di tante altre ch’io tralascio; ma che diremo noi della fortezza di tante tantissime vergini, le quali per conseruarsi nella fede di Christo, & fuggir le bruttezze de’peccati esposero la uita à mille tormenti, & acerbi stratii, & narrando Lucillo Martinenghi la fortezza di una vergina nel suo libro di Santa Margherita Pelagia dice.
Con le ginocchia ripiegate à terra
Altra star uede, e starui ancor pendente
Il manigoldo, che la spada afferra,
E alzata e cala il colpo à lei fendente,
Tremante ha’l braccio, e suolto, ei che non erra
Ne’l suo ferir, & ella Il core ardente
Tien fermo, e igniudo il collo, e differisca
Per tema il ferro, incolpa, e non ferisca.

Che ui pare di tanta intrepidità, & fortezza? ditemi di gratia à chi non porgerà merauiglia il generoso animo di quella gran donna, la di cui soprana fortezza scriue fra moltre altre opere simili fatte da altre grand donne, Luigi tansillo non suo libro delle lagrime di San Pietro, hauendo prima raccontato la fortezza di Felicita, che con sette giliuoli si espose corragiosamente al martirio; di un’altra, che parimente sette ne hauea, che fù mossa quasi da inuidia, per la gloria di quella, cosi dice.
Quasi di tanta gloria inuidiosa
Ecco altra donna, ch’altrettanti figli
Non pur sotto il martir uede gioiosa,
Ma par ch’ella gli inanimi, e consigli
A morte desiar cruda, e penosa:
I giouinetti non ancor vermigli
Del sangue lor.
[Page 54]
Io stupisco, ne mi ricordo di hauer letto mai di huomini, cosi intrepidi, & forti. Ma non uoglio lasciare sotto silentio la mia Colomba Vergine santissima, & sprezzatrice di pene, di fortezza essempio raro, à cui essendo mandato da Aureliano i ministri per prenderla, la ritrouaro, che porgeua à Dio preghi, & pianti: ne si smarrì punto, benche il suo castissimo petto fosse presago di futuro tormento, & di morte come io medesima dico nella uita di lei in questo modo.
Come lor vede il pianto affrena, e sorge
Certo, e presago l’intrepido petto
Di futuro martir; ne gia si scorge
Di viltà segno nel regale aspetto:
Ma di proprio uolere à quelli porge
Bianche man piu che neue ò auorio eletto
Ond’aspra fune ambe l’unisce, e stringe
Che di brutto liuore il candor tinge.
Et nel 4. canto quando vdì la sentenza del Tiranno, che la condannò à morte, hebbe tanto gaudio, & allegrezza, che impossibile è à dirlo, & vdite.
Al fero annuncio, al formidabil detto,
A questo crudo, e moribondo auiso
Non già si scosse il generoso petto,
Ne scolorossi il colorito uiso;
E men turbossi il suo sereno aspetto,
Ne il cor ch’unqua da Dio non fù diuiso:
Ma lieta, e in voce lieta, come suola
Christo lodò con tacite parole.

Qual è colui, che udendo l’annuncio di morte non si impallidisca, & tremi? ma queste ualorose donne haueano allegrezza, & giubilo, come quelle che non temeano la morte. Io di simili ne potrei addurre infiniti essempi, ma bastino queste. Ma pure io son sforzata di scriuere questo altro essempio narrato da Plutarco delle donne de’Cimbri, le quali hauendo intesa la perdita, & fuga de’ Cimbri si uestirno di bruno, & salirno sopra carri, & si accamporno poco lontano dal campo, & secondo che i Cimbri fuggiuano i Romani, esse li amazzauano, & alcune di loro strangolorno i mariti, i padri, & i fratelli; altre i bambini con le proprie mani, & lor gettauano sotto i piedi alle bestie, & sotto le rote delle carette, & poi il ferro riuolgeuano in se stesse, & si uccideuano per fuggir la seruitù de Romani: dicesi, che una donna essendosi attaccata alla cima di un timone si legò con un capestro i figliuoli à i suoi taloni, & cosi finì la uita. Hauendo Filippo Re di Macedonnia fatti morire molti huomini nobili uolse dipoi per sicurtà sua imprigionare i figliuoli di coloro, che hauea ingiustamente fatti morire. Poco inanzi hauea fatto uccidere un chiamato Herodiano capo de Tessali, & ancho duo suoi generi. Onde le figliuole restorno senza
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Padre, & vedoue. Vna era chiamata Teossena, l’altra Arco. Teossena fù richiesta da molti per moglie; ma sempre ricusò. Ma Arco si maritò, & generò molti figliuoli, & poi morì. Teossena prese per marito Poride già di Arco sua sorella, il quale era Padre de’ figliuoli; perche era tanto l’amore, che à lor portaua, che uoleua, che s’alleuassero per le sue mani, & come s’ella medesimo li hauesse partoriti, li nutriua, et ammaestraua con somma diligenza, ancor ella ne hauea generato uno, & era di poca età, quando vscì il bando di Filippo do uolere incarcerare tutti i figliuoli, che erano parenti di coloro, che erano stati per suo commandamento amazzati. Teossena, che donna di grand’animo era, come intese questo per l’amore, che a lor portaua, non uoleua à niun modo, ch’andassero à stare in seruitù con Filippo; Onde determinò d’vcciderli. Ma Peride hauendo in abominatione si fatta crudeltà, disse di condurli salui in Atene ad alcuni suoi amici, & mentre che la notte sotto il silentio della notturna ombra acchetaua i trauagliati cuori, montaro in una naue tutti i figliuoli, Teossena, & Poride. Ma perche la portuna seguita quasi sempre gli huomini, in tutta notte per grandissima fatica, che si fosse mai fatta, non potè la naue andare innanzi hauendo il vento contrario, et il Sole lasciando il materno seno, portaua la luce a’ mortali, quando la guardia del porto del re si accorse che fuggiuano, & però mandorno molti armati dietro alla naue con comandamento, che tornare non douessero senza quella. Poride attendeua à sollecitare i marinari, & pregaua gli Iddii, che loro porgessero aiuto: in questo mezo la magnanima donna conoscendo, che fuggire non si poteua, mise dauanti à gli occhi de’fanciulli un uaso pieno di ueneno, & vn pugnale ignudo, & disse loro; figliuoli miei carissimi, queste sono le uie della uostra libertà, & queste due cose sono le uie della morte: eleggete qual più ui piace per fuggir la seruitù, & la superbia Reale. Horsù, voi che siete giouini, pigliate il ferro, & uoi che pargoletti siete, pigliate il veneno, se à voi piace morte piu lenta. I nemici erano uicini, & ella alcuni col ueneno, alcuni altri col ferro hauea affrettati al morire, & poi mezzi uiui li gettò in mare: et ella abbracciando il marito fido compagno ne gli affanni si gettò loro dietro, e cosi fuggì la seruitù questa donna, degna veramente d’eterna memoria. Né merita silentio quell’atto magnanimo, & Heroico di una gran gentildonna Cipriotta. Doppo che da’ crudi Turchi presa fù Nicosia Città nobile, et illustre dell’Isola di Cipri, caricorno sopra tre navigli le più nobili spoglie, & pretiose cose di quella misera Città: fra questi vasselli vi era un galeone, nel quale furo poste le piu nobili schiaue, & le mandorno dritto à Costantinopoli al gran Signore. questa donna Cipriotta sdegnando la seruitù de’ Barbari, accese il fuoco nella monitione, & in poco di tempo tutte le donne, & tutti gli huomini morirno, da pochi infuora, che nuotando si saluorno, atto certo degno d’eterna lode, e mentre girerà il Cielo rimbomberà la fama del tuo petto, nemico di tirannica seruitù. Onde per questa opera ragioneuolmente deuono à te nell’altra vita essere obligate
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tutte quelle altre gentildonne, che abhorriuano cosi crudele, & barbara seruitù. essendosi seruate Christiane, & caste.
Delle Donne prudenti, & nel consigliare perite.
Cap. IIII.
Fra tutte le uirtu dell’anima, par che resplendi piu nobile appresso ogn’uno la prudenza, essendo quella per mezzo della quale l’huomo determina, & consiglia quel, ch’egli può operare intorno per il piu à cose difficili, & importanti, eleggendo il meglio: & però disse Aristotile nel lib. 6. dell’Etica al cap. 6. Prudentis est bene consulere, & in angendo versatur & nel 7. à cap .3. che egli habbia per fine di ritrouare il bene, lo dimostra, dicendo. Prudentis non est sponte agere, quae sunt praua. Et nel lib.6.c.9 Quaerunt sibi quo bonum, idque agendum esse extimant. Et veramente nel determinare, se si habbi ad operare, ò non operare intorno à qualche difficile auuenimento, ò accidente, si scuopre la sottigliezza, & viuacità d’ingegno: che non sempre consiste la prudenza nell’operare; ma anco in non uoler operar; considerando il prudente che li apporta più vtile, ò honore il non operare, che l’operare; ma ueniamo à gli essempi. Prudentissima fù Artemisia regina della Caria, che con molte naui era andata in aiuto di Xerse, & lo consigliaua con viuacissime ragioni à non combattere con disperati, ma tirare la cosa in lungo, mancando il uiuere à nemici, ricordandoli sempre, che questo non diceua per paura, ma per utile, & honore di Xerse; hauendo combattuto altre uolte nelle guerre nauali, non uolse Xerse pigliare il consiglio della Regina, et attaccò la battaglia, et fù perdente, come racconta Trogo. Ma che diremo noi della prudenza di giovanna fanciulla Lotoringia? che nella guerra operò con tanta prudenza, che recuperò molti luoghi al re Carlo, & à persuasione della medesima passo in Remi à torui la corona del Regno, come dice il Tarcagnota. Semiramis fù saggia, & prdudente, però Nino conoscendo la sua uirtù mai non facea cosa senza il suo consiglio. Et Ciro con Asaspia faceua il simile conoscendola tale in mille opere sue, & mentre si seruì de’ suoi consigli, tutte le cose li succedettero bene, et felicemente. Giulio Cesare racconta, che i Galli non faceuano determination’ alcuna senza l’interuenimento delle donne, et anco sin’hora, conoscendole piu di loro prudenti, si lasciano gouernare. Augusto si consigliaua con la moglie, de i cui saggi, & maturi consigli si seruì nelle cose importantissime del regno, & anco lasciò una sua certa seuerità rusticale, & si rese tutto mansueto, & clemente. Et Porcia non fù ella prudentissima? non fù prudente, saggia, & eloquente Cornelia
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madre de’ Gracchi? Giustiniano Imperatore sempre si consigliaua delle cose importanti del suo Impero con la fida consorte, per i cui saggi consigli sempre hebbero le cose felicissimo successo. Onde Aurelio Vittore dice nella uita di Giuliano Imperatore. Faeminarum praecepta iuuan maritos. Onde essendo i Tedeschi ammoniti da questa sentenza mai prendeano l’armi, come dice Cornelio Tacito, se non col consiglio delle lor donne; sapendo di quanta virtù elle siano piene; & da questo si può conoscere, che la donna sia l’honore, & la gloria del sesso maschile. Ma doue resta Pompea Plotina? che augumentò con la sua prudenza la gloria di Traiano. Come dice Paolo diacono nel lib. 13. I Lacedemoni sapienti prendeuano i consigli dalle lor moglie, & non operauano cosa alcuna, se à loro non la communicauano. Et gli Ateniesi conoscendo la prudenza delle donne uoleuano, che in tutte le facende, & partiti, che si pigliauano in Senato, elle dassero i loro suffragi, come ottimi Senatori. Onde Artisto. nella Politica nel libro 2. cap.7. parlando di loro disse. Multa in Lacedaemoniorum principatu à mulieribus administrabantur. Socrate benche fosse gran filosofo confessa hauere imparato molte cose da Diotima donna di sapienza, & prudenza. Plutarco scrittore illustre fa mentione nel libro delle donne, che gli antichi Francesi, poscia che con Annibale si furno accordati, & pacificati, fecero un decreto, che conteneua, che se alcuno Cartaginese riceueua qualche ingiuria, ò ingiustitia da uno di loro, le donne Galliche douessero esser giudici in cotal causa. Placida operò cosi bene col suo sano consiglio, che fece, che Ataulfo Re de’ Goti non rouinò, come destinato haueua con Barbarico furore, & superbe minaccie, la gran Città di Roma, anzi la restaurò. oltre questi essempi si può conoscere la prudenza della donna in queste cose. ella non rubba, come fanno gli huomini, ne auuenena. Et questo auiene per la sua prudenza. prudentissima fù ancora Caterina Madre del Re di Francia nel consigliare, & il Sauio Salomone considerando la sapienza della donna disse. Mulier sapiens aedificat domum suam. Loda l’Ario. Ginerua Malatesta di gran prudenza, & di lei dice nel can.46.

S’à quella etade ella in Arimino era
Quando superbo de la Gallia doma
Cesar fù in dubbio, s’oltre à la riuiera
Douea passando inimicarsi Roma
Crederò, che spiegata ogni bandiera
Escarca da Trofei la riccha soma,
Tolto hauria leggi, e patti à uoglia d’essa
Ne forse mai la libertade oppressa.

Mostrò etiandio grandissima prudenza Madama la Reggente nella Città di Bruselles, che acchettò gli animi di coloro, che si solleuorno, hauendo fatto un grosso numero di soldati, à quali nondimeno con una regal clemenza Perdonò. Non tralasciarò di dire la somma prudenza di Periaconconaù, alla quale essendo morto il fratello Ismaele,
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tenne la sua morte ascosa; e fattasi venire in palazzo sette de’ principali del regno con animo, & prudenza inestimabile egli essortò a deporre gli odii, che erono fra loro per conseruatione dell’imperio Persiano, ilquale se mai hauea hauuto bisogno de snoi [suoi] Sultani vniti, mostrò, che alhora ne hauea grand bisogno; perche morto era Ismaele, & Cudabende, alquale di ragione perueniua il regno, era lontano. Onde portaua pericolo, che diuolgatasi la morte del Re, & essi durando nelle loro inimicitie, il Regno andasse in ruina. Onde essi Sultani sarebbono sforzati per le loro discordie a viuere sogetti a loro nemici Turchi, & Tartari. Onde per la prudenza di questa gran donna obliorno le inimicitie loro, & insieme con lei acchetorno le cose discordi del regno. Questo dice Mambrino Rosco nelle Istorie del mondo. doue lascio io Elisabet Regina d’Inghilterra, che con la sua prudenza ha superato, & supera infinite difficultà, ha ella scoperte infinite congiure de popoli suoi, Mille tradimenti di Principi esterni, & con maturità d’ingegno liberatasi. si ha difesa da grandissime armate, che dich’io diffesa? anzi superate, & vinte, & con vna somma prudenza per tanti & tanti anni ha retto, & regge i Regni a lei soggetti. Ma doue rimane Semiramis, laquale essendo mandata a torre da suo marito Menone, non si tosto giunse nel campo essendo ella prudentissima, che mostrò, come si potesse pigliare la rocca de’ nemici, & cosi per il suo consiglio la prese. Onde Nino Re de gli Assirii molto si merauigliò del suo ingegno, come dice il Tarcagnota. Et Tanaquil con la sua prudenza fù cagione, che Seruio Tullo fù accettato Re dopo la morte di Tarquinio. Ma si scuopre la prudenzza tutto il giorno non dirò di alcuna Regina, ò Signora, ma d’ogni vil donnaciuola nel gouerno delle case, & delle famiglie, conseruando elle la robba, & le facultà da maschi acquistate, & distribuendola secondo i bisogni, & i tempi con sommo antiuedere: & infelici gli huomini, & in particolar quelli della Francia, & della Alemagna se le donne lor non gouernassero le facultà; percioche in breuissimo tempo diuenirebbono poueri, & mendichi. Ma si lasciano gouernare, percioche conoscono la lor prudenza, & i Francesi non maneggiano si può dire vno danaio, se non lo addimandano alla moglie. Tralascio di raccontare, che ne’ medesimi paesi le donne attendono a traffichi con tanta diligenza, che non cedono al primo mercante di tutta Italia; segno di grandissima prudenza.

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Delle donne giuste, & leali. Cap. V.
Chiamò Speusippo la giustitia vn habito, ò virtù dell’anima, che distribuisce, & da a ciascuno quel, che è necessario secondo la dignità, & il merito di colui, a chi è dato. & la manifesta dicendo. iustitia est habitus vnicuique pro dignitate distribuens, & cosi anco la descrisse Aristotile, et Cicerone. et senza dubbio se il giusto opera cose giuste, come si legge nel .2. dell’Ethica al capitolo quarto, è cosa necessaria che egli dia a ciascnno [ciascuno] il suo, sia facoltà. ò honore, ò altro. & però la giustitia tiene il principato fra tutte le altre virtù morali; essendo ella piu vtile della temperanza, & della fortezza, come si legge nel terzo dell’Ethica al capitolo terzo, & considerando la sua eccellenza Aristotile disse. iustitia est magis mirabilis Hespero, & Lucifero. Giusta era Isabella di Aragona. & giusta come dice Vergilio fù Didone come si legge nel libro primo dell’Eneide.
Iura dabat, legesque viris, operumque laborem
Partibus aequabat iustis.
Et questi versi latini tradutti in volgar da Annibal Caro cosi suonano
E mentre con dolcezza editti & leggi
Porge alle genti; & con egual compenso
L’opre distribuisce, e le fatiche;
Giustissima fù Talantia donna Spartana; perche essendo venuti a Sparta alcuni fuoriusciti Chii a lamentarsi a gli Ephori di Pedareto lor gouernatore, come hebbe questo inteso Talantia, che Madre del gouernatore era, fece venire a se quelli Chii, & diligentemente vdita la querela loro, & conoscendo che a torto non si lamentauano, scrisse una lettera al figliuolo diquesto tenore. Di due cose risolueti di farne vna, ò di gouernare Chio con giustitia, ò restare costi perpetuamente, ne mai ritornare a casa; & sepur vuoi ritornare a Sparta, sappi certo che poco viuerai. Da questo si può conoscere, quanto le donne siano amatrici della giustitia, & dell’honesto gia che sprezzano i figliuoli, che amano tanto accioche il giusto non resti negletto.
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Delle donne Magnifiche, & cortesi. Cap. VI.

 

E La magnificenza vna virtù dell’anima, che versa intorno a cose, & attioni, che ricercano grandissima spesa per fine di honore. & apunto cosi la descriue Aristotile nel quarto dell’Ethica. Ne si domanda magnifico colui, che in cose picciole, ò mediocri secondo la sua dignità spende, ma piu tosto liberale, & ideo magnificentia in sumptuosas actiones diffunditur. Deuono però spendere i magnifici in cose publiche, come palagi, Tempi, Sacrifitii, Duomi, aiuti communi, giuochi, & simili cose. Deuesi sempre hauer riguardo alla grandezza di colui, che spende, & ancho alla cosa intorno alla quale spende. Si conuengono queste spese specialmente a coloro, che hanno operato qualche cosa di notabile; ouero che da suoi maggiori sia stata fatta. & similmente a nobili, & illustri; perche chi molto spende intorno a cosa di poco momento, non magnifico, ma sioccho si chiamarebbe. Grande, & marauigliosa veramente fù la magnificenza di Semiramis Regina de gli assirii, che dopo la morte del marito edificò la gran Città di Babilonia appresso l’Eufrate, di figura quadrata, che giraua più di trentasette miglia. le sue mura erono larghe cinquanta cubiti, & alte più di ducento, come Erodoto racconta. Fù la muraglia di questa Città di mattoni, & haueua ducento e cinquanta torri. Ne mattoni crudi erano impresse varie imagini di fiere, & ciascuna era del suo colore, in modo che il circuito faceua vna bellissima vista di caccia. et in luogo di calcina fece adoperar bitume, che molto in quelle parte ne era. Fù fatta con incredibile celerità, lauorandoui piu di trecento mila huomini, et in men di un’anno fù finita. Nel mezo di questa città edificò Semiramis vno altissimo, & magnifico Tempio, nella cui sommità andauano gli Astrologhi Caldei ad osseruare l’orto et l’occaso delle stelle. Qui anco drizzò vn Obelisco di cento e cinquanta piedi che fece ne’ monti d’Armenia incidere. Molte altre nobili città oltre questa edificò tra il Tigre, et l’Eufrate: fece vn bellissimo, et ben ornato giardino nella Media, et poco lungi fece intagliare la sua imagine in vn monte lungo duo miglia, con cento donzelle intorno, che con lieto et amoreuole sembiante l’appresentauano. Costei adeguò i monti altissimi al piano verso la Persia; et altroue fece eguali le disuguali valli facendoui fare di passo, in passo argini, che furono poi detti gli argini di Semiramis. Eresse nella città di Echbatana vn palazzo con vno acqueduto, che per condurlo bisognò tagliare la cima del monte Oronte. Ma basti di questo a mostrare quanto fosse questa Illustrissima Regina magnifica, et splendidissima. racconta il Tarcagnota tutto questo, et altri scrittori. Maginfica anchora fù la Regina Nitocre, laquale cinque anni doppo Semiramis resse gli Assiri, et fece un lago, oue l’acque de l’Eufrate si
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mandauano, laquale cosa era bellissima fra le altre cose illustri da costei fatte. Magnifica fù Artemisia, che doppo che le fù morto il caro marito Mausoleo, li fece vn sepolcro, ilquale fù vna delle sette merauiglie del mondo. Costei nel farlo adunò insieme quattrocento famosi, & eccellenti scultori, & lo fece fare di marmo finissimo. Dal lato di tramontana & di mezzo giorno, era piu lungo che ne gli altri dui. Il circuito di questa grand’opra giraua quattrocento, & vndici passi. Era alto venticinque cubiti. Da l’Oriente il Scopa, da l’Occidente Leocare, dalla tramontana Briarce, & Timoteo dal mezo giorno adoperano l’ingegno in lauori bellissimi. Vn’altro illustre Scultore vi fece nella cima vna caretta tirata da quattro caualli di marmo. Onde quando fù finita questa stupenda opera. Era alta cento, & quaranta piedi. Laertio dice che Anassagora vide questo merauiglioso sepolcro, & che lo chiamò pretioso sepolcro, & vn simulacro delle ricchezze: & questo Mausoleo, a cui fece questo sepolcro la fida Artemisia, fù Re di Caria. Di animo generoso & magnifico fù la Regina Elisa, che poi per il suo valore fù chiamata Didone. Costei, come è già nota, fuggendo l’ira, & l crudeltà del fratello, nauigò in Africa. mentre nauigaua, rapì come dice il Tarcagnota ottanta fanciulle Cipriane. Oltre queste fanciulle venne volontariamente vn sacerdote con la moglie, & con i figliuoli ad imbarcarsi, & partirsi con lei. giunta in Africa comprò il terreno da edificar la Città. Laquale nominò Birsa, & poi chiamorno Cartagine. Che in lingua Punica suona città noua. questa città fù magnifica & ornata di collonne & di altre commodità come dice Virgilio nel primo libro dell’Eneide facendo mirare le sue grandezze che allhora si faceuano ad Enea & ad Achate.
Iamque ascendebant collem qui plurimus vrbi
Imminet, aduersasque aspectat desuper arces,
Miratur molem aeneas magalia quodam,
Miratur portas, strepitumque, & strata viarum,
Instant ardentes Tyrij, pars ducere muros,
Molirique arcem, & manibus subuoluere saxa,
Pars optare locum tecto, & concludere sulco.
Iura magistratusque legunt, sanctumque senatum.
Hic effodiunt alii portus: hic alta theatri
fundamenta locant alii, immanesque columnas
Rupibus excidunt, scenis decora alta futuris.
Iquali versi tradutti in ottaua rima da Alessandro Guarnelli tali sono
Quindi la mole enea, ch’altera sorge,
Oue gia fur pouere case, e ville,
Le ricche porte, e le gran strade scorge,
E i Tirii intenti a l’opra a mille a mille.
Lo strepito, e’l rumor stupor li porge,
Che maggior sente che, di trombe o squille.
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Bramosi i Tirii di veder perfetta
La lor Città s’affanan lieti in fretta
Questi d’ergere al Ciel le salde mura.
E con le proprie man suolgere i sassi,
Quei di fortificar le rocche han cura
Qual ne i lochi eminenti, e qual ne’ bassi.
Altri le fosse caua, altri misura,
Altri il suo proprio albergo elegge, e fassi.
Forman le leggi, e formano il Senato,
E’l tribunale, e’l foro, e’l magistrato.
Magnifica, & splendida fù Cleopatra Regina d’Egitto, la quale sempre operò cose grandi, ne mai donò si poco, che’l suo dono non facesse largamente tutte le spese à quello, à cui donaua fino alla morte. ma che diremo di quel Nauiglio, che ella fece per andare da Antonio? ilquale l’hauea mandata à chiamare, che si appresentasse in giudicio; perche haueua dato aiuto à Cassio. Questo hauea la poppa tutta d’oro, i remi di purissimo argento, & le uele di rosseggiante porpora: i remi si moueuano à suon di flauti, di cethere, & di pifferi, & le cene, che fece ad Antonio, fur tanto magnifiche, che indarno egli si sforzò di superarle. Onde l’Ariosto parlando della mensa d’Alcina, la fa maggior di quella di Cleopatra come cosa quasi imposibile, che fù la piu sontuosa, che al mondo fatta si fosse, dicendo.
O qual mai tanto celebre, e famosa
Di Cleopatra al uincitor latino
Et altroue mostra ch’ella era splendida dicendo.
O la Regina splendida del Nilo.
Io non voglio piu spender tempo in raccontar della magnificenza delle donne, poiche quasi tutte sono d’animo cortese, magnifico, & liberale. in queste di sopra narrate era una uera, & grandissima splendidezza; in queste che seguitaranno liberalità, & cortesia. Narra Tito Liuio, che quelli, soldati Romani, i quali fuggirno à Cannusio, essendo stati da cannusini riscettati dentro le mura, una donna detta Dusa nobile di stirpe, & ricca de’ beni della fortuna lor souenne del uiuere, & loro in casa trattene, e diede lor vestimenti, & anco denari in honesta quantità, per la qual cosa il senato le fece grandissimi honori, che furno premio della sua cortesia. Cortese etiandio fù quella donna di Hiericho, la quale nascose i soldati Hebrei à i suoi proprii Cittadini. Ne senza animo cortese, & liberale apparecchiò la vecchiarella à Saul cena copiosa, anchor che da lui alcun premio non aspettasse. Le cortesi matrone Romane non portorno elle i proprii ornamenti d’oro alla camera del commune per satisfare al voto fatto da Romani?
per la qual liberalità fù conceduto alle donne questo honore, che andando a i giuochi, & à sacrifitii usassero le carette chiamate pilenti, & gli altri giorni ò festiui, ò non festiui i carpenti: & cosi i Romani di quell’oro fecero una tazza, & la mandorno ad Appoline. liberalissima era la Regina Dido
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uerso ogn’uno ma uerso i Troiani si può sentir la piu gran cortesia di quella, che si legge di lei nel primo libro dell’Eneide di Virgilio, & udite con che amoreuoli, e care parole consola i miseri, & da tutto quasi il mondo rifiutati Troiani, e sono queste, & dette furno da lei con uiso sereno.
Tum breuiter Dido vultu demissa profatur:
Soluite corde metum Teucri, secludite curas,
Res dura, & regni nouitas me talia cogunt
Moliri, & late fines custode tueri.
Et par che si scusi, se à loro fù fatta alcuna villania da Tirii, dicendo che la nouità del regno la sforzaua à far guardare i suoi confini, & dapoi dice.
Seu uos Hesperiam magnam Saturniaque; arua
Siue Ericis fines, regemque; optatis acestem,
Auxilio tutos dimittam, opibusque; iuuabo,
Vultis & his mecum pariter considere regnis?
Vrberm, quam statuo, uestra est, subducite naues.
Tros, Tiriusque; mihi nullo discrimine agetur.
Dio buono si può sentire la maggior liberalità di questa, ma udite che soggiunge.
Atque utinam rex ipse noto compulsus eodem
Afforet Aenea, equidem per littora certos
Dimittam, & Lybiae lustrare extrema iubebo,
Si quibus eiectus siluis, aut vrbibus errat.

Questa fù una liberalità, & cortesia grandissima, & questo non si può dire, ch’ella il facesse per amore di Enea; perche anchora non l’hauea ueduto, & per non esser lunga non uoglio raccontar i sacrifitii, ch’ella fece, i doni che mandò à i compagni d’Enea, & i sontuosi conuiti. dice il Passi nel suo libro, che Enea donò à Didone una veste, & che ella ne donò a lui una altra dopò come racconta Virgilio: forse vuol dire, ch’ella non fu la prima ad usare cortesia, & percio auara la uoglia chiamare: perche se non uolesse dire cosi, non l’harebbe posta con quelle sue donne auare, per dire come egli dice, ma non so appresso del Passi chi fosse prima a dire.
Auxilio tutos dimittam, opibusque; iuuabo.
Vultis, & his mecum pariter considere regnis?
Vrbem quam statuto, vestra est, subducite naues.
Et oltre tante cortesi proferte, ch’ella fece delle ricchezze, & della città condusse ancho quel sbandito d’Enea in regia tecta. & queste liberali proferte, & opere erano altro, che dare una ueste rapita, come dice Vergilio. Iliacis ruinis. Ma lasciamo da parte per hora questa cosa, che se’l Passi leggerà, & considerarà la cortesia di Didone, so che non discorderà dal commun parere. Ma doue rimane Olimpia tanto amoreuole, &
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liberale verso lo scortese, & infedel Bireno? conoscetelo da quelle parole, che l’Ariosto la fa dire ad Orlando.
Per lui quei pochi ben, che son restati
Ch’eran del viuer mio soli sostegno
Per trarlo di prigione ho dissipati
Ne mi resta hora in che piu far disegno
Se non d’andarmi io stessa in mano a porre
Di sì crudel nemico, e lui disciorre.
Et grande senza dubbio fù la cortesia di Arianna verso Teseo, ilquale era per essere diuorato dal Minotauro, & ella con amoreuole consiglio lo tolse, si può dire, di mano alla morte. Insegnandoli di vscire dell’intricato laberinto col filo. Anchor che da lui ne riportasse non degno pretio di tanta cortesia, & però la fa dire l’Anguillara nell’ottauo libro delle Metamorphosi di Ouidio, mostrando la sua cortesia, & la ingratitudine di lui in questo modo.
Quand’io Theseo col filo, e co’l consiglio
Tolsi alla Patria tua si dura legge,
Giurasti per lo tuo mortal periglio
Su’l libro pio, che su l’altrar si legge,
Che mentre non prendea dal corpo efiglio
Lo spirto, che’l mortal ne guida, è regge,
Sempre io la tua sarei vera consorte,
Ne a te mi potria torre altro, che morte.

Cortese etiandio fù Medea verso Giasone. Perche venuto egli per conquistare il vello d’oro, & essendo veduto da Medea figliuola del re Feta hebbe pietà di lui, sapendo che in quella impresa morebbe, s’ella con la sua virtù non lo soccorea. Però essendo incantratrice li diede aiuto; facendo che venissero mansueti, & piaceuoli quei terribili tori, che soffiauano fuoco, & haueuano i piedi di ottone, & le nari adamantine, come dice Ouidio con tai parole nel libro settimo.
Ecce adamanteis Vulcanum naribus efflant
Geripedes tauri: tactaeque vaporibus herbae
Ardent:
Et vn poco più sotto dice di loro, che erano diuenuti mansueti, & piaceuoli.
Pendulaque audaci mulcet palearia dextra:
Supposistosque iugo pondus graue cogit aratri
Ducere: & insuetum ferro proscindere campum.
E’ per la medesima virtù di lei vinse coloro, che nacquero de’denti viperini, & il vigilante Dragone guardiano del vello d’oro, & ella da lui altro, che ingratitudine non hebbe, come quello, ch’era di natura scortese, & volubile: i quali versi furno tradutti dall’Anguillara
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Compar di ferro intanto il piede’, e’l corno
Contra d’Esone il coragioso figlio.
La fiamma de’duo tori empia, e superba
Abbrucia l’aria, e strugge i fiori, e l’herba.
Et più sotto dice.
Verso il forte Giason veloci vanno,
E danno ogn’hor per via piu forza al corso,
Ma giunti appresso a lui fermi si stanno,
Che’l canto di Medea lor pone il morso.
Visto ei che non gli posson più far danno.
Lor palpa dolce la giogaia, e’l dorso,
E tanto ardito hor li combatte, hor prega,
Ch’a lodioso giogo al fin li lega.
Con lo stimulo i torri instiga, e preme,
E col vomere acuto apre la terra.

Delle donne nell’arte militare, & nel guerreggiare illustri, & famose. Cap VII.

Anchor che molti sappino, che vi sono state, & sono molte donne nell’arte militare, & nel combattere illustri, & famose, nientedimeno non ho voluto mancare di darne vari essempi, accioche alcuni, che tali state ve ne sieno, creder possino, & conoscendo la verità osseruino, & ammirino i loro gesti, & imprese grandi, & lodeuoli. Nelqual essercitio, come nel reggere gli esserciti, u’è bisogno di gran prudenza, di animosità, di stabilità di mente, di liberalità. Delle quali virtù sono state adorne le bellicose donne, che hanno retto esserciti, più forsi, che non sono stati molti Capitani, & senza queste virtù difficilmente potrebbe alcuno guidar esserciti, combattere, & spesso vincere l’inimico. Et però ne gli esserciti piu risplende la potenza, & il gouerno Regio nel comandar, nell’essere vbbedito, & nel antiuedere, che non fa nelle Città al tempo della quiete, & pur ui sonos tate molte donne che hanno condotto esserciti numerosi, & vinti i superbi, & trionfanti regi. Ma ueniamo a gli essempi. La prima, che venirà a far di se bella, & merauigliosa mostra, sarà Semiramis Regina de gli Assirii, laquale molte volte in battaglia combattendo, & reggendo soldati fù vincitrice, et nelle guerre, che mosse a Scaurobate Re dell’Indie mostrò gran valore, & prudenza. Hauendo mossa questa, raccolse da tutte le prouincie soggette quanti huomini atti a maneggiar armi si trouauano. Onde in poco tempo fece vno incredibile essercito di vn milione, & trecento milla fanti, e di ducento milla caualli. & quando vide, che l’inimico era superiore ne gli
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Elephanti. Fece secretamente di molti cuoi di vacche fare molti simulacri d’Elephanti, & dentro a quei finti animali faceua mettere vn Camello. Fece venirsi di Fenicia, di Cipro, & da altri suoi luoghi maritimi duo mila vasselli di mare, i quali in India sopra carri tirati da Camelli fece portare, & con animo coraggioso come solita era, & con prudenza venne a battaglia con Scaurobate, & hora fù perdente, hora vincente, ma sempre mostrò valore, prudenza, & ardire, & vna uolta questa eroicha donna intese, che Babilonia s’era ribellata, & quando questo intese si acconciaua il capo, e haueua i capelli in mano, & non ne hauea piu che una parte intrecciata, & tosto corse ne mai si uolse l’altra parte de capelli intrecciare, finche non rihebbe la Città. Però dice il Petrarca di lei.
Poi vidde la magnanima reina
Ch’una treccia riuolta, e l’altra sparsa
Corse alla Babilonica Ruina.

Ma doue lasciamo Amalasunta Regina d’Italia figliuola di Teodorigo & moglie d’Eutarico Visigoto? fù costei prode, & saggia nelle cose della guerra: scacciò i Burgundii, & gli Alemani, i quali noiauano la Liguria. Et doue riman Zenobia Regina de Palmireni, che dopo la morte del suo marito Odenato non solamente resse l’imperio giustamente, e prudentemente, ma nelle guerre vinse molte volte, & mostrò gran valore? Ne uoglio che questo mio ragionamento resti priuo di questa pretiosa gioia, ciò è di Giouanna Loteringia, della quale il Re Carlo si merauigliò vedendo tanto valore, & animo in età tenera. Costei combattendo co i nemici del re appresso Blesia ne tagliò tre millia a pezzi, & per costei recuperò Soissons, & molte terre. Ne di minor grido era Vittorina Armigera fortissima, & intrepida nelle battaglie, prudente & giusta nel gouernare esserciti; della cui prodezza si merauigliauano i piu gran Capitani, che fossero al mondo, & però la chiamauano Madre de gli esserciti, & ella fù cagione, che il figliuolo, & il nepote prendessero l’imperio, & lo diede anco a Tetrico. Valorosa, quanto imaginar si può, fù Thomiri Reina de gli Scithi, laqual con grand’essercito mando vn suo vnico figliuolo contra il crudo Ciro, ma Ciro vccise il figliuolo, & insieme l’essercito. Onde questa gloriosa regina di nuovo fece un’essercito, & andò contra Ciro, & l’assaltò, & vccise più di ducento, & venti mila Persi; vinse, & vccise Ciro, & dipoi li fece tagliare la testa, & la mise in un uaso pieno di sangue, & disse hai hauuto sete di sangue, beui hora, che dentro vi sei immerso. Bellicosa, & saggia fù nelle guerre & nel reggere gli esserciti Valasca Regina de Boemi, laqual hauendo un animo generoso, e grande sdegnò, che huomo al mondo commandar le potesse. hauendo adunque fatto una congiura con altre donne di scacciar gli huomini da l’imperio, & ucciderli; si ragunorno molte donne
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insieme, et hauendo fatto lor guida, et conduttrice Valasca, si come quella che più perita delle altre nelle cose belliche era, mossero guerra con sommo valore, et prudenza, et vccisero tutti gli huomini, et cosi molti, et molti anni vissero a similitudine delle amazzoni. Voglio ancho che aggiunga decoro a questo mio libro Buona moglie di Brunoro Parmense, laquale fù cosi illustre nelle cose della guerra, che ricuperò il castello Patione nel contado di Brescia a’ Signori Venitiani. Mi souiene etiandio di Orsina moglie di Guido Torello Parmigiano non meno delle altre degna di eterna fama: hebbe l’origine sua da i Visconti Duchi di Milano: costei era bella, animosa, humana nell’opere, et nelle parole. visse con ottimo nome appresso il marito, et sudditi suoi, ma fra molte cose, che fece degne di chiarissima fama, una sola scriuerò; percioche io amo la breuità. Essendo nata una guerra fra i Signori Venitiani, et Philippo Duca di Milano, uenne su per il Pò l’armata Venitiana fino a Bresciello castello del marito della ualorosa Orsina; lo prese, et mise le guardie. Poi pose l’assedio a un altro castello su la riua del fiume. Sendo giunta di ciò la nouella ad Orsina, laquale dieci miglia lontana era, subito con ualore piu che di generoso Capitano ragunò in fretta piu gente, che puote sudditi, et altri, et ella armatasi montò a cauallo, et andò a liberare il castello da l’assedio, et affrontata l’armata Venitiana la fracassò, et ruuinò tutta in poco tempo. In quel combattimento morirno più di cinquecento Schiauoni, et molti ella ne vccise di sua mano; volendo vendicare la morte d’alcuni suoi amici. Cosi leuò l’assedio, & racquistò Brisciello. Onde di ciò giunta la nuoua al duca Philippo, & al marito, fecero infiniti fuochi in segno d’allegrezza. Che ui pare, non fù questa vna donna valorosa? certo sì: ne credo, che si possi altrimenti dire. Antonia doue riman ella? figlia di Orsina, & di Torello Parmigiano? percioche essendosi solleuate le parti in Parma, & ribellatesi al Duca Francesco Sforza; partita da i suoi Castelli Antonia con molti huomini armati acchetò i tumulti, & recuperolla al Duca. Certo degna etiandio di eterna memoria è Margherita figliuola di Vuoldomaro Re di Suetia, laquale andò contra Alberto Duca di Monopoli, lo uinse, & lo fece prigione, & poi per maggior sua gloria lo menò in trionfo. Non voglio che resti a dietro Telesilide donna Argiua valorosa nell’armi. Priua essendo rimasa Argo di huomini, fece uno essercito di donne, & vinse Cleomene Re de’ Spartani, con somma fortezza, & prudenza. Et Pacecca figliuola del conte di Trendiglia essendole stato fatto morire Giouanni Padiglia suo marito dal Gran Contestabile di Spagna Don Igneo Velasco, & da Enrico Ammiraglio; perche hauea solleuati i popoli, alzò le bandiere, & solleuando i popoli in vendetta del marito, mantenne la guerra lungo tempo. Camilla fù si valorosa, che combattè in fauor di turno contro Enea, & resse essercito, come dice Virgilio nell’Eneide.
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Hos super aduenit Volsca de gente Camilla
Agmen agens aequitum, et florentes aere cateruas
Bellatrix.
Ne restarà a dietro Cleopatra Regina d’Egitto figliuola di Dionisio Aulete, laqual prese l’armi con Antonio contra Augusto essendo coraggiosa, et intrepida. Che diremo delle Amazzoni? la cui virtù sdegnò di essere imperata da gli huomini? queste furno donne di Scithia gagliarde, et forti, et più tosto superiori, che inferiori nelle armi a gli huomini. Ciro assaltandole con tutto lo essercito de Persi, restò vinto, et fù sospeso in croce. Et sotto una Regina bellicosa occuporno molti luoghi vicini; et doppo costei rimase una figliuola, che fù creduta di Marte per il sopra human valore. Costei aggrandì l’Imperio, et faceua cucire, et tessere agli huomini. Quando a loro nasceuano figliuoli maschi li stropiauano, ma le fanciulle attendeuano con ogni studio a maneggiar armi, et si stesero infino al Tanai, et vissero molti anni libere. Una delle lor Regine fù Hippolita, laquale prese l’armi contra Theseo, et Pantasilea, che fù creduta figliuola di Marte, venne in aiuto di Ettore con molte Amazzoni, e benche fosse morto Ettore quando giunse non rimase però di mostrar segni merauigliosi del suo valore, come dice Homero nell’Illiade, et ancho Vergilio dice di lei tai parole.
Ducit Amazzonidum Lunatis agmina peltis
Panthasilea furens, mediisque in millibus ardet.
Aurea subnectens exertae cingula mammae
Bellatrix; audetque viris concurrere virgo.
Nicandra fù Illustrissima etiandio nell’armi, venne in fauor di Bellisario contra goti, et di lei dice il Trissino nella sua Italia liberata
Con lui venia la vergine Nicandra
Sauia, gentile, e di bellezza immensa.
Questa non fece mai riccami, ò tele,
Ma fù nutrita fra caualli, et armi,
E tanto è destra, e si feroce, e forte,
Che non è alcun barone in quel paese,
Che ardisca aspettar lei con l’armi in mano.
Onde per far di se proua maggiore
Era venuta a la famosa corte
Con sei milla disposti, e buon guerrieri.
Clorinda nelle guerre non fù ella animosa, e feroce? Et per che tale era, Aladino le diede L’imperio sopra i suoi guerrieri, come si vede nel libro secondo del Goffredo del Tasso
Hor che s’è la tua spada a me congiunta;
D’ogni timor m’affidi, e mi console
Non s’essercito grande unito insieme
Fosse in mio scampo, haurei piu certa speme,
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Già, già mi par, ch’è giunger qui Goffredo
Oltre’l deuer indugi; hor tu dimandi,
Ch’inpieghi te: sol di te degne credo
L’imprese malegeuoli, e le grandi;
Soura à i nostri guerrieri a te concedo
Lo scettro: e legge sia quel, che comandi.
Et faceua benissimo l’ufficio di conduttrice d’esserciti, & di valorosa guerriera, come veder si puote. Vittoria, come dice Lutio Gonzaga nel fido Amante, fù donna bellicosa, & guidaua essercito come si può conoscere in questa stanza.
Vien poi Vittoria, & la battaglia guida
Cui par che’l Cielo, e ogn’elemento arrida.
Scelse d’Italia ella la gente, & tolse
Quindici milla de’ suoi fanti eletti,
Et sei volte trecento insieme accolse
Caualli, & Cauallier buoni, & perfetti;
Et altrettanti in sella ancor ne volse
Di Grecia con quest’altri vnir ristretti;
Hauendo io scritto di alquante donne, che hanno guerreggiato, et condutto esserciti, voglio metterne alcune poche altre, lequali solamente combattendo si acquistorno etera gloria. La prima delle quali sarà Maria da Pozzuolo ornata di bellicosa virtù, et di somma castità. Costei vestita in habito di homo, et armata era la prima a entrar nelle battaglie, et l’ultima a ritirarsi, come scriue il Petrarca nelle Epistole. Ne uoglio, che rimagna a dietro Triaria moglie di L.Vitellio, questa se ne andò alla guerra, et col suo valore ammazzò molti. Ma ditemi di gratia, a chi non porge merauiglia l’inuitto ardire delle donne Saguntine? Hauendo Annibale determinato di mouer guerra a Romani, prima che giungesse in Italia, pose l’assedio a Sagunto Città di Spagna ricchissima. Onde impauriti i Saguntini vennero a patti di volersi arrendere, et pagarli trecento talenti d’argento, et dargli altretanti ostaggi. Ma quando Annibale leuò l’assedio, essi furno pentiti di hauer promesso tanto, et non volsero attenderli. Annibale entrato in collera ritornò ad assediar la Città, et la diede in preda a soldati, iquali i Saguntini strinsero ad arendersi salue le persone, et vna sola veste per ciascuno. Le donne accorte, essendo certe che il nemico non haurebbe consentito che i Saguntini fossero vsciti armati (et ciò era nelle conuentioni) tutte con animo forte, si nascosero il ferro sotto le gonne. essendo vsciti tutti i Saguntini pose Annibale vna squadra di caualli per guardia a una porta, et a gli altri diede licenza d’entrare nella Città. Ma coloro, che erano posto per guardia vedendo gli altri carichi di preda, furno mossi da inuidia. et da sdegno, et abbandonarono la porta, et si missero a rubbare, in questo le donne messero vn terribil grido date le armi in mano
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a gli huomini, & tutte insieme cosi loro si mossero contra il nemico, & vna di loro tolse la lancia di mano ad vn certo Hannone, & valorosamente lo inuestì per ammazzarlo; ma perche era armato non lo potè ferire. Cosi i Saguntini colti i nemici in disordine, & carichi di preda molti ne vccisero, & molti ne fecero fuggire. Ma non meno valorose furno le donne di Scio. Percioche Philippo figliuolo di Demetrio assediata che hebbe la città di Scio, mandò un superbo bando, accioce i serui si ribellassero; promettendo a tutti i serui di dar lor per moglie qual donna più a lor piacesse, credendo che tutti haurebbono dimandato la moglie del suo padrone. Le donne salirno per questo in tanto sdegno, che tutte insieme, con i serui portorno tante pietre, & altre cose da offesa, & da diffesa, & poi combatterno i padroni, i serui, & anco molte donne fino alla morte, ne si smarirno mai, fin che Philippo vedendo i suoi disegni riuscir vani, non leuò l’assedio. Mario doppo la rotta de’Cimbri fù necessitato a far vn’altro fatto d’arme con le donne, Onde molti soldati di Mario furono vccisi. Oue rimangono le donne di Malta? lequali in compagnia con gli huomini guerreggiando si portonro valorosamente, & fracassorno i Turchi come dice Mambrin Roseo; & con i gridi gli spauentorno. & mentre Mustafà combatteua aspramente Famagosta, le donne della Città con incredibile ardire mescolandosi fra soldati combatterno. Onde Mustafà, che grandissima strage vide de’suoi, disse che gli assediati erono grand’huomini da guerra: & scriue il Bottero che la gente piu guerriera del Principe Monopotapa sono le donne, lequali si gouernano a guisa delle antiche Amazzoni, vagliono assai con gli archi, & mandano i figliuoli maschi a i Padri fuori della Prouincia, & le femine tengono, & le auezzano a trar d’arco, & a far altre cose da guerra. sono animose, habitano verso Occidente non lungi dal Nilo. Delbora Regina de gli Israeliti fù valorosa guerriera, & molte volte difese i suoi popoli dalle insolenze de’ vicini, & accrebbe l’Imperio con supremi honori. Ma che diremo delle donne Lacedemonie? che, come scrive Lattantio, essendo restata la lor Città senza huomini, perche erano andati ad assediar Messene, & i Messenii vscendo della Città di nascosto andorno per saccheggiare i Lacedemoni, armandosi tutte andorno contra i nemici, & non solamente difesero la Città, & il Paese dal sacco, ma i nemici mandorno in rotta, & furno sforzati a ritornarsene. Ma in questo i Lacedemonii, auuedutisi dell’inganno, andorno loro dietro, ne potendo trouarli, trouorno le lor donne armate, & credendole essere i nemici si metteuano in ordinanza per combattere, ma le gagliarde donne si diero loro a conoscere; onde per memoria di questo illustre fatto delle donne posero vn tempio a Venere armata; sopra la quale Ausonio fà vn bello Epigramma. Finge Minerua vedendo Venere armata, che voglia di nuouo venire a contesa con lei sotto etiandio il giudicio di Paris. Ma Venere la schernisce, & la chiama temeraria, hauendo ardire di prouocarla, hora che la vede armata, se da lei fù vinta ignuda, & tale è lo Epigramma tradutto in volgar lingua.
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Vedendo a Sparta Pallade la bella
Venere armata a guisa di guerriera,
Hor, disse, è tempo da terminar quella
Lite, ch’andar ti fa cotanto altera,
E siane pur giudice Pari: & ella
Rispose, ah temeraria, dunque spera
L’animo tuo di vincer’hor me armata,
Che nuda già ti vinsi, e disarmata?
Questo Epigramma benche non cosi a proposito alla cosa: nondimeno l’ho voluto porre per diletto. Marfisa, che era coi forte, oue resta? laquale in mille guerre sempre si mostrò valorosa, & diede altrui merauiglia del suo potere. Come quando andò con Ruggiero contra Maganzesi, ilquale si merauigliaua, & miraua il suo valore, come dice l’Ariosto nel Canto 27. in questa stanza.
Cosi parea di giaccio ogni guerriero
Contra Marfisa, & ella ardente face
E non men di Ruggier gli occhi, a se trasse
Ch’ella di lui l’alto valor mirasse.
E s’ella lui Marte stimato hauea,
Stimata egli l’hauria forsi Bellona
Se per donna cosi la conoscea
Come parea contraria la persona.
Et di grand’anima e possanza fù Bradamante nelle guerre contra saracini, & molto valorosa ne’ duelli, come quando combattè con Ruggiero credendo lo Leone, come finge l’Ariosto dicendo.
Quando di taglio la donzella, quando
Mena di punta, e tutta intenta mira
Oue cacciar tra ferro, e ferro il brando,
Si che si sfoghi, e disacerbi l’ira.
Hor da vn lato, hor da l’altro il va tentando
Quando di qua, quando di là s’aggira.
Et in mille luoghi mostra il valor di costei. & Gildippe non era vna fortissima guerriera? che andò contra Altamoro, che non u’era piu alcuno, che gli volesse andare incontro, perche era troppo fiero, come disse il Tasso nel canto Canto vintesimo:
Non è chi con quel fiero hormai s’affronte:
Ne chi pur lunge d’assalirlo accenne.
Sol riuolse Gildippe in lui la fronte,
Ne da quel dubbio paragon s’astenne.
Nulla Amazone mai su’l Termodonte
O imbracciò scudo, ò maneggiò bipenne
Audace sì, com’ella audace in verso
Al furor và del formidabil Perso.
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Ferillo, oue splendea d’oro, e di smalto
Barbarico Diadema in sù l’elmetto,
E’l ruppe, e’l sparse; e quel superbo, & alto
Suo capo a forza egli è chinar costretto.
Et in altri luoghi mostra il suo valore sempre degno di memoria eterna.

Della sofferenza, & toleranza delle donne. Cap. VIII
Est tolerantia potestas perferendae molestiae honesti gratia. Ciò è la sofferenza, ò constantia, è vna virtù di poter sopportar le cose moleste per fine dell’honore. Cosi dice Speusippo. è la toleranza in vn certo modo vna spetie di fortezza, come si può vedere in Aristotile, oue egli tratta di quelle cinque spetie di fortezza non reali, sotto una delle quali ella si può a giudicio mio porre. Sofferente, & tollerante fù Cornelia figliuola di Scipione Africano, che uinse Annibale, laquale sopportò con somma patienza l’infinite sciagure, che le hauea recate la fortuna; & dopo che i suoi ualorosi figliuoli furno uccisi, raccontaua i gesti, & imprese loro senza lagrima, ò sospiro; ma come hauesse ragionato de’fatti d’huomini antichi, & grandemente godeua a ricordarsi i fatti di Scipione Africano. Questo dice Plutarco quasi merauigliandosi della sua costanza. Però il popolo Romano l’haueua in somma veneratione. Grande fù la tolleranza di Epicarmi, laquale essendo nella congiura contra Nerone, & essendo stata accusata da un certo Proculo, costantemente negò, ne si sarebbe scoperta la congiura, se non fosse stato accusata da altri huomini, i quali essendo menati al tormento confessorno il tutto. Alcuni altri stettero saldi un pezzo senza confessar nulla, pur alla fine sé stessi, & gli altri nominorno. Ma merauigliosa come dice il Tarcangota fù la costantia di Epicarmi, che per gran tormento, che dato le fosse, mai confessò cosa alcuna; anzi essendo per soffrir il giorno seguente noui tormenti, & essendo portata sopra un seggio; perche caminar non potea per gli aspri tormenti hauuti, fattosi un laccio di una fascetta di tela, che si cauò di seno, se’l riuolse al collo, hauendolo prima al legno del seggio legato, & si lasciò andar di peso con tutto il corpo & spinse dal tormentato corpo lo trauagliato spirto. Che ui pare non fù questa una grandissima costanza? Ma doue rimane Isabella d’Aragona? laqual rimasa uedoua del Duca Giouan Galeazzo Sforza fù segno della fortuna, la cui fortezza di mente non fù mai uinta dalle ingiurie dell’auuersa fortuna; fù oppressa inanzi la morte del marito dall’insidie di Ludouico Sforza, & fù da lui spogliata contra ogni ragione dello stato, & poi la
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morte tolse l’auolo suo re Ferdinando di questa uita, della qual cosa hebbe gran dolore. Ma con animo patientissimo soffrì questi acerbi colpi di fortuna. Et il Re Alfonso suo padre uide dal Regno scacciato, & uituperosamente fuoruscito in Sicilia. Ma mentre in questi dolori, & sciagure staua, intese che’l Re Ferigo suo zio era stato spogliato del Rengo per la crudel congiura de’Re stranieri: allhora la sua chiarissima casa fù affatto ruinata da quella gran machina, che la percosse, & in un medesimo tempo hebbe nuoua, che suo figliuolo Francesco era morto in Borgogna alla caccia: essendoli caduto il cauallo sotto, ne mai l’inuitto & costante animo di questa gran donna si perdé, ò smarrì punto; ma con fortezza inusitata tollerò tutte le percosse della nemica fortuna. Questo racconta Mons. Paolo Giouio, & Gian Antonio Volpe mostra la sua gran sofferenza in questi uersi fatti in sua lode.
– ella fù tanto
In odio al Ciel, che vide a un tempo morto
L’auolo di dolore, il Padre, e’l zio
Cacciati fuor del regno, il pio fratello
Spento a l’entrar col pie nel seggio anticho:
Che dirò del carissimo marito
Del regno, e de la vita a torto priuo?
Et de la morte de l’amato figlio?
Chi potrebbe vdir ciò con gli occhi asciutti?
Ella non versò già pianti, ò lamenti
Ma vinse con virtù l’alto dolore.
Et ueramente questo fù un chiarissimo specchio di costanza, & di fermezza d’animo. Costantissima ancho diremo noi esser stata Elena Cantacusina moglie di Dauid Dauignano Imperator di Trapezunda, che si uide morire dinanzi a gli occhi il caro marito, & sei figlioulini & duo menarne a far Turchi, & queste cose tollerò con animo costantissimo, & haueua solamente dolore di quei duo figliuoli, che erono stati fatti Turchi; perche era Christianissima. Sofferenza grande fù quella senza dubbio di Penelope, laquale oltre l’absenza del marito haueua in casa quei scelerati Proci, che consumauano il suo hauere, & molti anni lor sopportò, come dice Homero nell’Odissea. Grande piu di quello, che credere si possi, fù la sofferenza di Psiche in cercar amore. Fù scacciata da Cerere, & da Giunone, & al fin da Venere fu tormentata, & afflitta con commandarle cose difficilissime da mettersi in essecutione, come il portar l’oro da quella horrenda selua cinta dall’onde spumose. Il portar l’urna piena dell’onde stigie tolte nella sommità di vno altissimo monte, & finalmente le commandò, che scendesse all’Inferno come scriue Ercole Udine Segretario dell’Altezza Serenissima di Mantoa nella sua Psiche in questo modo.
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Odi quel, ch’io commando. scendi hor hora
Giù nel’inferno, e la Reina troua,
E dille che d’hauer grato mi fora
Quel suo liquor, che la beltà rinoua.
Et ella superando ogni difficoltà scese all’Inferno, & andò alla presenza della Reina, come si vede in questi versi.
Giunge al fin doue in soglio alto risiede
De l’infernal signor la cara sposa;
Oue a lei riuerente china il piede
E’l suo messaggio spiega vergognosa;
Proserpina le dà cio, ch’ella chiede
In nome della Dea,
E cosi vincendo tutti i preghi, portò il pregiato liquore a Venere, & però Gioue la fece Dea, & fù vera moglie d’Amore. Costantissima fù Leona cortigiana, la quale essendo fatta crudelmente tormentare da Ippia Tiranno d’Atene accioche confessasse quali huomini erano in vna congiura fatta contra lui, piu tosto si lasciò con infiniti flagelli lacerare tutta, & priuare di vita, che nominare alcuno de congiurati. Onde gli Ateniesi per honorarla della sua virtù drizzorno una Leona di bronzo senza lingua, perche si conoscesse la sua taciturnità.
Delle donne del corpo forti, & della delicatezza sprezzatrici. Cap. VIIII.

Rende più l’essercitio il corpo valido, & robusto, che non fa ben spesso l’istessa natura, quando lo produce, & genera; percioche il moto consumando il superfluo, & eccitando il calore fa, che le parti si rendono più agili, & piu robuste, come ben racconta Plutarco. essercitano le donne il corpo, ancor che delicato, in mille essercitii & cosi vigorosamente, & lungamente sopportano le fatiche, come gli huomini fanno, & se noi guardiamo fra le genti plebee, se ne vederà chiarissimo segno; percioche le villanele si adoprano ne gli essercitii rusticali, & in tutte quelle fatiche, che anco gli huomini fanno. Nelle Cittadi quante opere laboriose sono fatte da loro? infinite certo, & veggiamo notte, & giorno con grandissima patienza, & gran faticha, & se alcune si vedono poco atte alle fatiche, questo auiene perche assuefate non sono, come si vedono anco molti huomini, che se si affaticano un’hora, ò due, in caminare, ò in oltro, dicono, che sono lassi, & però vogliono riposare il giorno seguente, & bere l’oua fresche. sono adunque le donne etiandio robuste; cosa merauigliosa, che vn corpo cosi delicato come è quello della donna, sopporti tante e tante fatiche, & diueghi per modo di dire rozzo, & incallito; sprezzando la delicatezza, & morbidezza.
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Ma veniamo a gli essempi. Zenobia sprezzò, come dice il Tarcagnota le delicatezze di questa uita, & spese tutti i suoi primi anni nelle caccie di Leoni, de gli Orsi, di Pardi, & d’altri feroci animali, & si assuefece alle pioggie, al sole, al freddo, al caldo, & a tutti i disagi, che si possono sentire in vna trauagliata, & misera vita. Sprezzò etiandio gli agi Elena Cantauicina, alla quale essendo stati uccisi il marito, & i figliuoli ella con le sue delicate mani cauaua la terra con vna zappa, & andaua sotterrando il marito, & i figliuoli, benche fosse un commandamento di Maumete, che sotto pena della uita alcuno non sepelisse quei corpi. Andaua uestita di cilicio, & non mangiaua carne, & dormiua sotto vn poco di tugurio di paglia. queste erano le delicatezze di questa saggia, et sobria imperatrice. Et Camilla Regina de Volsci non apprezzò punto le delicatezze, et la mollitie di questa uita. Costei nella sua prima età fù inuolta in grossi, & rozzi panni, non fù da morbide nutrici nudrita, ma da Metabo suo Padre fra le selue di ferino latte. fatta poi piu grande non si essercitò nel filare, ò fra lasciue damigelle, ma fra le fere con arco, & saette senza ornamenti, ò lasciuie, come mostra Annibal Caro nell’Eneide di Vergilio da lui tradutta in lingua uolgare.
Ne pria tenne de’pie salde le piante
Che d’arco, di pharetra, & di nodosi
Dardi le mani, e gli homeri grauolle.
Non d’or le chiome, ò di monile il collo
Ne men di lunga, ò di pregiata gonna
La ricouerse, ma di tigre vn cuoio
Le facea veste intorno, & cuffia in capo.
Il fanciullesco suo primo diletto,
E’l primo studio fù lanciar il palo,
E trar d’arco, e di fromba;
Et mostrando ch’ella a feminil lauoro non inchinò la mano. dice Vergilio.
Non illa colo, calathis vemineruae
Femineas assueta manus, sed praelia virgo
Dura pati, cursumque pedum preuertere ventos.
Illa uel intactae segatis per summa volaret
Gramina, nec teneras cursu lesisset aristas:
Vel mare per medium, fluctu suspensa tumenti
Ferret iter, celeres nec angeret aequore plantas.
Ne meno di questa gran donna si affaticò Maria da Pozzuolo, laquale al tempo di Francesco Petrarca, illustre, & gloriosa diuenne come egli nelle sue epistole dice. Costei si astenne dal uino, era parca di cibo, & di parole. Lasciò lunghi da se la lana, i fusi, & gli altri essercitii di simil sorte; godeua sommamente nel trar d’arco, nel lanciar il palo, spesso tutta la notte staua armata, & non dormiua. Ma quando dormir uoleua, appoggiaua il capo
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sopra lo scudo, & sempre conuersava fra caualieri armati, ne niuna cosa tanto hebbe cara, quanto la sua pura verginità, laqual conseruò fino alla morte, & cosi sprezzando ogni culto del corpo, l’anima, & la sua fama di chiari, & incorruttibili fregi rese adorna. Ma che dice il Tasso di Clorinda in questi uersi che tanto si affaticò nelle selue, & nel campo fra caualieri?
Costei gl’ingegni femmenili, e gli vsi
Tutti sprezzò sin da l’età più acerba:
A i lauori d’Aragne, a l’ago, à i fusi
Inchinar non / degnò la man superba;
Fuggì gli habiti molli, e i luoghi chiusi:
Che ne’ campi honestate anco si serba;
Armò d’orgoglio il volto; e si compiacque
Rigido farlo; e pur rigido piacque.
Tenera anchor con pargoletta destra
Strinse, e lentò d’un corridore il morso;
Trattò l’arco, e la spada; & in palestra
Indurò i membri, & allenolli al corso;
Poscia, ò per via montana, ò per siluestra
L’orme seguì di fier leone, e d’orso;
Seguì le fere, e in esse, e frà le seue,
Fera a gli huomini parue; huomo a le belue.
Et Marfisa, da questo si può conoscere, se alle delicatezze, & alla quiete si diede, poi che essendo di diciotto anni prese sette regni, come dice l’Ariosto nel canto trentesimo ottauo.
Che diciotto anni d’uno, ò di duo mesi
Io non passai, che sette Regni presi
Et di lei ragionando nel Canto decimo ottauo dice.
Fece piu volte al gran Signor di Braua
Sudar la fronte, e a quel di Mont’Albano
E’l dì, e la notte armata sempre andaua
Di qua, di là cercando monte, e piano.
Ne stimaua fatica per farsi immortale, come si uede in cento luoghi. Ne delicatezze mi pare, che apprezzasse in questo luogo Erminia, come dice il Tasso.
La fanciulla regal di rozze spoglie
S’ammanta, e cinge il crin ruuido velo.
Et altroue.
Col durissimo acciar preme, & offende
Il delicato collo, e l’aurea chioma.
Et cosi faceuano tutte le Amazoni, lequale sempre armate andauano, & fanciulline si auezzauano a l’arti militari, & alle caccie di animali feroci. Et come scriue Solino, oltre modo indefese, & gagliarde sono le donne de popoli Tribali, che fanno, & trattano tutti i negotii, & sono
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molte di loro ornate di virtù militare; ma gli huomini stando in casa si mantengono molli, et delicati, amano l’otio, et si guardano dalla fatica più che possono.

Dell’amor delle Donne verso i Padri, Mariti, Fratelli, & Figliuoli. Cap. X.

QVello è sincero, & vero amore, che non ha per oggetto il piacere, o l’vtile: anzi per la cosa amata si contenta l’amante, & gode di patir anco vna cruda, & acerba morte, non aspettandone diletto, ò vtilità alcuna. Come sarebbe, se la madre vedendo morire il figliuolo, si contentasse di morire in luogo di lui; percioche in vn tal caso non v’è alcuno, che à ciò la spinga, se non il desiderio di saluar la uita al figliuolo, & causa n’è quello intenso amore, che à lui porta senza fine alcuno o di utilità, o di diletto. a questo modo amano le madri i figliuoli, ancorche da loro amate non fossero, & nell’amarli si rallegrano. Onde dice Aristotile nell’ottauo dell’Etica. Argumento sunt matres, quae amando gaudent reamari non curant, sed satis ipsis uidetur, si liberos suos bene agentes inspiciant, amantque ipsos. Et questo è un uero amare, & un sincero, & perfetto amore, et però disse Propertio:
Verus amor nullum nouit habere modum.
Et di questo amore le donne sono piene, come si vederà ne gli essempi. Essendo l’Imperator Corrado sopra la Città di Vespergia: in modo tale l’assediò, come racconta il Tarcagnota, che gli assediati tentando molte vie d’accordi, non poterno altro ottenere, se non che le donne se ne vscissero della città cariche di quello, che piu à lor piaceua. Ma le pietose, & amoreuoli donne non curandosi ne de l’oro, ne delle altre cose piu pretiose, ciascuna (o verace amore) portorno in spalla, a loro caro, peso, & più pretioso, che le gioie non sono, il marito, o il padre, o il fratello, o il figliuolo. Che vi pare di questo pietoso amore? Artesimia amò con tanto ardore, & fede il suo caro marito Mausoleo, che venendo à morte l’honorò di un sepolcro, il quale è posto fra le sette merauiglie del mondo, & a guisa di sconsolata tortorella piangeua la morte del marito: & benche fosse domandata per moglie da molti Principi grandi, ella però non volse passare alle seconde nozze. Et essendo stato abbrusciato il corpo di Mausoleo, ella sempre lo portaua seco, & raccogliendo il suo pianto, che era abbondeuole, dentro li metteua un poco di quelle amate ceneri, & tanto perseuerò nel tenerle miste con le lagrime sue, che il pianto, la uita, & le ceneri in un medesimo tempo finiro. Né meno fu grande l’amore di Giulia figliuola di Cesare
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verso il gran Pompeo suo marito, che essendole recata la ueste di lui tutta macchiata di sangue, ella tosto ricordandosi delle ciuili discordie, credendo che fosse stato morto da suoi nemici, prese cosi acerbo dolore, che tramortì, & poi morì subito, non senza lagrime di tutta Roma, essendo ella colei, che manteneua amicitia fra Cesare e Pompeo. Ma doue rimane Laodamia figliuola di Acusto Tessalo, che portò al marito Protesilao cosi ardente amore, che egli essendo andato alla guerra Troiana visse in continue lagrime, & dolori, sempre chiamandolo, fin che ultimamente le fù portato il corpo di lui, che fù ucciso da Ettore, & vinta da crudel cordoglio sopra di lui se ne morì. Hiphisicratea, come scriue Valerio Massimo amò con ferma fede, & amore Mitridate suo marito, che per andarli sempre dietro, & esserli compagna, & aiutarlo in mille suoi trauagli si tagliò i capelli, & si armò come soldato seguitandolo ouunque andaua, & à lui fù di molto contento. Cornelia amò ardentemente Pompeo suo consorte, & sempre seguitollo in pace, & in guerra, et dopo che fù vucciso da Tolomeo a tradimento lo pianse, & sempre si lamentò fino alla morte. Ma che dirò io della gran pietà, & amore della moglie di Alessio? il quale essendo vergognosamente stato cacciato in vn monasterio à farsi monaco da Manuelo Comneno, fingendo che Alessio hauesse voluto con incanti torli la vita, ella andò a gettarsi dinanzi a i piedi di Manuelo, che era suo zio, & molto lo pregò, & mostrò con molti giuramenti, che a torto il marito soffriua quella villania, & uergogna, & facea fede con molti testimoni della innocenza sua. Ma il crudo Imperator, anzi tiranno, non guardando se affliggeua l’innocente, o nò; ma volendo fare a suo modo, et come li piaceua, non uolse mouersi punto à misericordia ne per la uerità, che gli mostraua, ne per sue affettuose lagrime, ne per l’habito, in che ella era. Onde la pietosa donna non potendo in modo alcuno soccorrere il marito, passò a miglior vita consumata dal dolore, & dalle lagrime. Questo racconta Niceta Acominato. Porcia portò tanto uero amore al suo sposo, che essendole morto, & per il dolore uolendosi vccidere, & non hauendo cosa alcuna da poter far questo, inghiottì carboni accesi, & cosi finì la sua uita. Ne minor di quel di Porcia fu quello di Fille verso Demofonte suo caro sposo, il quale hauendo tolto licenza dalla moglie d’andare a uedere il suo impero, & ritornar fra un mese, ma ne passorno quattro, che non hebbe nouella di lui. Onde ella dubitando della sua morte, per dolore s’impiccò. Hipermnestra portò un uero, & sincero amore a Lino suo consorte. Hauendo Nerone fatto che Seneca si eleggesse qual morte piu li piaceua, Seneca si hauea eletto di uoler morire col lasciar la uita, & il sangue in un bagno, Pauolina sua moglie mossa da fido amore s’era deliberata di uoler morir seco (benche egli non uolesse) perche, come erano stati compagni in uita, uoleua anco nella morte, che il medesimo fosse, & cosi fù posta con Seneca nel bagno. Ma come questo intese Nerone, subito mandò molte persone à farle fermar il sangue, & ritenerla in uita, &
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essendogliene uscito molto, sempre poi fù pallida, & sempre ritenne in uolto il segno del suo casto amore. Ma doue rimane Tiraria, laquale spinta da maritale amore seguì il marito L.Vitellio nella guerra ciuile, che i Vitelliani fecero contra Vespasiano? Et in quella notte, che il marito vscì di Terracina co’ soldati, ella compagna fidissima lo seguì, & fece opera più che di valoroso caualiere. Durando la legge de Triumuiri, nella quale incorreuano in vna medesima pena co i proscritti quelli, che non li manifestauano, per paura dellaquale molti haueuano tradito i figliuoli, i fratelli, & i padri, Ligario fù vno de’ proscritti, ilquale dalla moglie fù lungo tempo tenuto secreto in Roma, ma vna serua, che haueuano, l’accusò. Venuti i ministri lo guidauano al luogo destinato per farlo morire, ella andaua dietro al marito pregando i ministri che l’uccidessero, dicendo che secondo la legge meritaua la morte, hauendo tenuto in casa il marito proscritto. Ma non u’essendo alcuno, che la volesse ascoltare, tornò a casa, s’astenne di mangiare, & con gran trauaglio fra la fame, & le lagrime finì la sua vita. Mostrò similmente grand’amore verso il marito Arria, percioche essendo nominato nella congiura Scriboniana, fù preso in Schiauonia, & menato a Roma. ella fece ogni sforzo per esser menata con lui, il che hauendo tentato indarno, li andò dietro con vna barchetta fino a Roma, & alla presenza di lui si passò il petto con vn pugnale, & non meno piena d’amore, che forte d’animo si cauò del petto il pugnale, & lo porse al marito accioche ancor egli si vccidesse auanti che andasse nelle mani de’ manegoldi, dicendo per fargli animo, che la ferita non le doleua punto. Ma che vi pare di quelle donne Spartane? allequali essendo stati imprigionati i martiri da Lacedemonii ogni giorno andauano alla prigione, & doppo molti preghi ottennero di fauellare a’ mariti, lequali entrate dentro persuasero i mariti, che si vestissero da donna con le lor vesti, & vscissero di prigione col capo coperto, come andauano esse, & cosi le pietose donne rimasero in prigione, per dar libertà a’ mariti, a soffrir ogni tormento, & gli homini vscendo ingannorno le guardie; & subito presero Taigeta, & cosi i Lacedemonii li diedero poi le lor mogli, & si partirno di Sparta. Grande veramente è la beneuolenza delle donne verso i fratelli, & vdite questo essempio. Haueua il Re Dario condennato a morte Itapherne con i figliuoli, & con tutto il parentado: la moglie d’Itapherne andò al palazzo, & riempì ogni cosa di pianti, & di lamenti. Onde Dario mosso a misericordia, le fece dire, che domandasse qual piu le piaceua di quelli condannati, & essa domandò il fratello, ch’era nel numero de’ dannati. Merauigliossi Dario, ch’ella hauesse preposto al marito & a’ figliuoli il fratello. Ella rispose, che se perdeua questo fratello, non ne era piu per hauere un altro, ma se perdeua i figliuoli, & il marito, poteua hauerne de gli altri, & vn altro marito. Da questo si può conoscere, che uerso mariti, et fratelli sempre le donne sono amoreuoli. Grande, & veramente degno fù l’amore di Hisiphile verso il suo carissimo Padre Thoante. costei essendo
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Regina di Zenno Isola, tutte le donne si consigliorno di vccidere i loro padri, et quella, che ad alcun huomo perdonasse, ammazzare. Ad Hisiphile dolente, & lagrimosa per pietà del vecchio padre Thoante, che già hauea vedute Alcimede portar la testa del padre proprio, si arricciaro i crini. come la fa dir Statio nella sua Thebaide, che fatta in volgar dal Valuasone, così suona.
Il crin mi s’arricciò, tremar le piante
Mi venne in mente il mio padre Thoante.
Et tosto corse al padre, & lo fece fuggire, & poi fingendo di hauerlo vcciso, accomodò un Rogo con il manto, lo scettro, & l’armi del genitore. & hauendo tinto vn coltello nelle ferite, si assise appresso il Rogo; perche se stata fosse scoperta, quelle altre donne, ch’vccisi haueuano i suoi l’haurebbono uccisa. Non fù grande amore verso il padre quello di quelle cinquanta figliuole di Danao, le quali per vbbedire à lui vccisero quei miseri giouini lor sposi? grandissimo fù l’amore, & beniuolenza di Althea verso i fratelli, che furono vccisi dal suo proprio figliuolo, il quale nascendo, si dice, che la Parche tolsero un legno, & lo missero nel fuoco, & dissero; tanto durerà la vita di questo fanciullo, quanto si mantenerà il legno:
Althea, partite le Parche, prese il legno, & con gran custodia lo guardò, essendole da lui morti i fratelli, spinta da fraterno amore lo gettò nel fuoco, come dice Ouidio nel lib.8. per priuarlo di vita.
Me miseram, male vincetis, sed vincite fratres:
Dummodo quae dedero vobis solatia, vosque
Ipsa sequar: dixit: dextraque aversa dementi
Funereum torrem medios coniecit in ignes.
Et cosi vinse l’amor fraterno quello del figliuolo. Ma doue rimane Drusilla, che tanto amò il marito, che con animo forte, & generoso vccise il suo nemico, facendo attosicare il vino, che volse, che il sacerdote porgesse à Tanacro. ma ella prima fece fare l’essequie al morto marito, come dice l’Ariosto nel canto 37.
Tosto, ch’al fin le sante essequie foro,
E fù col tosco il vino benedetto,
Il sacerdote in vna coppa d’oro
Lo versò, come hauea Drusilla detto:
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
Si conuenia, e potea far l’effetto;
Poi diè à lo sposo con viso giocondo
Il nappo, e quel li fe apparire il fondo.
Et cosi fece vendetta del Tiranno. & certo anchor grande era la beneuolenza di Gildippe verso il caro Odoardo, come ben dice il Tasso nel primo libro di lei ragionando.
Ne le scole d’amor, che non s’apprende?
lui si fe costei guerriera ardita
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Va sempre affissa al caro fianco, e pende
Da vn fato solo l’una, e l’altra vita
Colpo ch’ad un sol noccia, vnqua non scende;
Ma indiuiso è il dolor d’ogni ferita:
E spesso è l’ un ferito, e l’altra langue,
E versa l’alma quel, se questa il sangue.
Le donne furno etiandio colme d’amore uerso i figliuoli; percioche alcune morirno d’allegrezza come raconte Tito Liuio dicendo, che dopo che i Romani hebbero, una rotta sopra il lago Trasimeno assai genti stauano alle porte, ma piu donne, che huomini; & aspettauano le nouelle, fra queste ve ne era una, a cui falsamente la morte del figliuolo era stata rapportata, & standosi dolente la souragiunse il figliuolo, & ella subito per souerchia allegrezza caddè morta: & una altra, che hauea già lagrimato per morto il figliuolo, & impensatamente caminando lo incontrò, uinta da un gaudio insetimabile subito spirò. Ne meno si mostrano affabili, & benigne le donne verso mariti Et Argia figliuola di Adrasto Re di Argo sempre chiamaua Polinice da lei quanto imaginar si possi amato sposo, che era stato vcciso da suo Padre nominato Laio; & perche hauea Creaonte vietata la sepoltura ai morti, Argia con la sorella del marito nominata Antigona, senza paura del commandamento, andò di notte, & riconosciuto Polinice, con molte lagrime li diero sepoltura, & il crudel Creonte inteso questofece l’una, & l’altra morire. Ma Deidamia doue resta? laqual fù tanto amoreuole uerso il marito, che poi che fù morto a Troia, visse sempre vedoua, sconsolata, pascendosi solo della memoria di lui. Merauiglioso senza dubbio fù l’amore d’Alceste verso il caro marito Admeto, poi che diede la sua uita in preda a morte per conseruarlo in vita. Essendo vnhuomo chiamato Eraclito, il quale chiedendo a l’oraculo se haueua a uiuere lunto tempo, tosto li rispose, che in pochissimo tempo finirebbe la sua vita, quando egli non ritriuarà alcuno che morire per lui uolesse: egli dolente per la uicina morte, domandò al Padre se per lui morire volesse, alla Madre, a figliuoli, a fratelli; & ogn’uno di loro ricusò il morire per lui. Ma la cortese moglie, come questo intese, volontariamente alla morte si offerse, & saluò la vita al marito. Conoscete etiandio da quello che dice l’Ariosto se grande era l’amore ch’al marito portaua Vittoria Collonna in queste stanze.
Se Laodamia, se la moglier di Bruto;
S’Arria, s’Argia, s’Euadne, & altre molte
Meritar laude per hauer voluto
Morti i mariti esser con lor sepolte,
Quanto honore a Vittoria è più douuto
Che di Lete, e del Rio che noue volte
L’ombre circonda, ha tratto il suo consorte
Mal grado de le Parche, e de la morte?
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Se al fero Achille inuidia de la chiara
Meonia tromba il Macedonica hebbe
Quanto inuitto Francesco di Pescara
Maggior a te, se viuesse hor l’haurebbe?
Che si casta mogliere, e a te si cara
Canti l’eterno honor, ch’a te si debbe
E che per lei si’l nome tuo rimbombe
Che da bramar non hai piu chiare trombe.
Dell’amore delle donne verso la Patria. Cap. XI.

Hanno etiandio le donne anteposto al proprio bene l’honore, & l’amore della Patria; ne in questo hanno portato punto d’inuidia a gli huomini, anzi molte uolte hanno lor preuenuti, ò li hanno superati, ò lor hanno inanimiti, & incittati alle diffese, & alle uittorie; & ueramente, come disse Cicerone ne gli offici, cari sono gli amici, cari i Parenti: ma l’amor della Patria contiene tutte le altre cose. Et on si può se non con uerità affermare il detto di quel filosofo, Nihil est dulcius quam libera Patria fuit, & molte donne esposero il petto inuitto per liberar l’amate mura da l’insolenza de’ nemici. Essendo dunque assediati gli Sparani, haueuano gli huomini determinato di mandar tutte lke donne in Creta, allaqual cosa tutte contraddissero, fra le quali u’era una donna chiamata Archidamia ualorosa, & forte, che prendendo una spada in mano andò in Senato, & riprendendo gli huomini, disse se pensauano, che le donne uolessero uiuere, quando Sparta fosse presa, & ruinata. Onde stupefato il Senato di tanto ardire, rispose che tutto quello a lei piacesse, l’altre facessero. Subito le corraggiose donne andorno, & mandorno a cauar fosse, & a fare altri ripari, & uolsero, che i soldati si riposassero: & molte di loro combattendo fecero loro inuidia. Hauendo gli Efori condannato a morte Agide Spartano con inganno ordito da loro; & essendo menato in una prigione doue si soleuano strangolare coloro, che erono condannati a morire, uenne alla prigione l’auola, & la Madre di Agide, pregando & domandando con gridi, ch’egli potesse dir la sua ragione dinanzi a’ suoi Cittadini; Per questo i nemici d’Agide spauentati, affrettorno allor la morte, temendo che non fosse cauato di prigione la notte da le donne, subito fù strangolato. Ma Anfare, ilquale era una di quelli, che condannorno a morte Agide, uide in terra la madre di lui, che hauea nome Agesistrata, che per lo smiserato dolore non hauea pace, & presela per mano la leuò in piedi, & dissele non temere di Agide; perioche non u’è alcuno, che li usi forza, ne crudeltà alcuna, & se ti piace puoi entrare a uederlo, & ella pregollo che lasciasse anco entrare la made sua, laqual era auola di
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Agide. disse Anfare crudelissimo menala, che non c’è alcuno, che te’l uieti. Le prese per mano, menolle dentro, & fece serrar la porta della prigione, & fece uccidere Archidamia gia dalla uecchiezza consumata, laquale era tenuta in grandissima reputatione, & riuarenza nel saper le cose publiche. Doppo chje fù amazzata costei, disse Anfare ad Ageisstrata, che andasse a uedere il figliuolo, & subito entrò dentro, & uide il figliuolo morto, & la madre, che haueua anchora il laccio al collo: ella dolente, ma forte, ne sorse mostrando il dolore, che premea nell’animo, aiutò a leuare il capestro dal collo alla Madre, & la distese appresso ad Agide, e l’uno, & l’altra con una ueste coperse, & poi gettandosi sopra il figliuolo lagrimando disse. la tua charità uerso la Patria figliuol mio ha ruinato te medesimo, & noi insieme. Ma Anfare, che vdiua queste parole, disse con voce empia. Agesistrata, perche tu persuadeui il tuo figliuolo a far questo, tu hai da morire con lui, & l’animosa Agesistrata acconciandosi il laccio al collo, disse, dolce è la morte pu che gioui alla mia Patria Sparta, & cosi subito fù morta. Amatrice veramente della Patria fù vna Madonna Paola della famiglia de Buti degna d’eterna memoria: perche essendo assediata Pisa laquale era piena d’ogni commodità circa il combattere, & il nutrirsi ma le mancauano solamente persone, che facessero dosse, & i ripari alla Città. Ne poteua il senato per la poca copia d’huomini a questo bisogno prouedere. Ella si appresentò al Senato; & promise di voler saluar la Città con le ceste, se mille Asine simili alle sua dete le fossero, mostrando loro Gineura, & lucretia sue figliuole. Missessi il partito, & fù vinto, et subito fùr ritrouate le ceste, & le pale, & cosi le donne fecero la Città inespugnabile. Racconta il Conte Giouanni Castiglione di una giouine Pisana, laqual valorosamente diffese la patria, nella cui morte fu fatto questo bellissimo Epigramma.
Semianimem in muris mater pisana puellam
Dum fouet, & tenero pectore vulnus hiat:
Nata tibi has, dixit, thedas, atque hos Hymeneos
Haec defensa tuo maenia marte dabunt.
Cui virgo haud alias thedas, aliosue Himeneos
Debuit nec nobis grata reprendere humus.
Hanc ego sola meo seruaui sanguine terram
Haec seruata meos terra tegat cineres.
quod si iterum ad muros accedet Gallicus hostis
Pro patria arma iterum ossa haec cinisque dabunt.
Et questo leggiadro Epigramma fù poi tradotto dal Domenichi in lingua uolgare, & è questo.
Mentre abbracciaua la Pisana Madre
La valorosa, e quasi morta figlia,
Et l’ampia piaga il tener petto apriua
Queste le nozze fien, questo il marito
Disse ella, che tu haurai da queste mura
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Diffese col valor della tua mano.
Cui la donzella; & altre già non uoglio
Pompe, ò marito hauer dal patrio nido,
Sola difesi col mio proprio sangue,
Coprà ei difeso dunque il corpo mio;
Che se mai torneranno à queste mura
I nemici Francesi, vn’altra volta
L’ossa mie prenderan l’armi per lui.
Ne manco grande fù l’amore della madre di Pausania verso la Patria; percioche hauendo Pausania tenuto da Persi contra la Patria, & per questo richiamato nella Città da gli Ephori, & conoscendo che essi ogni cura mettauano per ritenerlo, fuggì nell’Asilo di Pallade. questo luogo era sacro, & molto reuerito; Onde sarebbe stato fatto ingiuria a’ Dei, chi l’hauesse di lì cauato: & perche determinorno gli ephori di chiuderlo dentro, & farlo morire di fame, la Madre di lui corse, & innanzi a tutti portaua la materia di chiudere le porte del tempio, tenendolo per nemico; perche haueua operato contra la Patria. Cruda uerso il figliuolo fù Danatriona Spartana per amor della Patria; perche essendo il figliuolo andato alla guerra, intese che era timido, & vile ne i pericoli, & poi ritornando ella si sua mano l’uccise. & fece ponere questa sentenza sopra il sepolcro; DAMATRIONA fù la Madre, che qui ripose il suo figliuolo: & eprche ella lo vide timido, & indegno della Madre, & di Sparta sua Patria, ella medesima di sua propria mano l’uccise. Et un’altra Madre non meno amorosa verso la Patria vedendo venire il figliuolo, subito li domando in che stato fossero le cose della Patria; & egli rispose, che tutti gli altri erono morti; prese ella vn tegolo, l’auentò di gran furia nella testa al figliuolo dicendo: dunque sei rimaso vivo per portare si dolorosa nouella alla Patria? & egli intanto morì. Guereggiando i Latini con i Romani; i Latini domandorno a’ Romani alcune fanciulle vergini: i Romani non sapendosi in questo risoluere temeuano a prendere una guerra grande, non hauendo alhora troppo gran forza, & temeuano che i Latini fingendo di uolersi apparentar con loro, malitiosamente cercassero di hauere gli Statichi in mano; ma vna fante, che hauea nome Tutola, ò come dicono alcuni Filoti, auisò il Senato, che facessero vestire di pretiose vesti molte serue delle piu belle, & piu uaghe, che fossero a guisa di nouelle spose, & le mandasseo a’ Latini. Del rimanente lasciassero il carico a lei. Accettaro i Senatori il partito, fecero la scelta delle seue, le vestirno, 6 ornorno benissimo, & le mandorno a’ Latini, che poco lontani dalla Città accmpati s’erano: come fù la notte, le serue leuorno le spade a nemici, & a Tutola salendo sopra un fico, gettandosi la uesta su le spalle alzò una fiamma verso Roma, come haueua dato ordine a’ Senatori, i quali affrettando i soldati, presero gli alloggiamenti de’ nemici, & molti ne tagliorno a pezzi, et in premio di questo fù ordinata in Roma una festa, che si chiamaua delle serue,
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Non cadono a queste donne di Smirna; perciche hauendo i Sardiani posto l’assedio alla Città di Smirna, fecero intendere a’ Cittadini, che non so voleuano mai partir dall’assedio fino che non li dauano in mano tutte le lor mogli: onde aspettauano gli Smirnei vna gran vergogna. Ma vna serua li persuase, che mandassero a’ nemici tutte le lor serue vestite con le stesti delle Padrone, & cosi gl’ingannassero: cosi fecero, onde i Sardiani ebri, & stanchi dal beuere, & ridere con le serue, stauano prigli, & lenti: gli Smirnei vscendo li fecero prigioni, et così liberò la Patria da vna grande ingiuria. Essendo messi in fuga i Pesiani da Medi nella guerra di Ciro, le donne inanimandoli li fecero ritornare indietro; & cosi hebbero vittoria. Ma doue rimane la bellissima Regina ester? che per amor della Patria andò contra il decreto a ritrouar Assuero, & doppo hauerli mostrato la verità del inuidioso aman, & hauerlo pregato, liberò la Patria per lei Assuero Re. Grande senza dubbio fù l’amore di Vetturia verso la cara Patria Roma; perche hauendo Martio Coriolano suo figliuolo assediata Roma, & non si volendo placare, ne per ambasciatori, ne per sacerdoti; ella menando seco Volumina moglie di Martio Coriolano con duoi figliuolini, andò nel campo nemico; & vno huomo disse a Martio, ecco qui tua Madre. come egli vdì questo venerabil nome, scese dal tribunale per abbracciar la Madre: fa, disse ella, prima, che mi abbracci, ch’io sappia se son venuta a visitare il figliuolo, ò il nemico: s’io son prigioniera, o serua nel tuo campo, ò Madre: Dunque m’ha riseruato la mia lunga vecchiezza per vederti prima essule, e poi nemico? Hai dunque tu potuto ruinare, & saccheggiare questa terra, che ti ha generato e nutrito? Come non ti cessò ogni odio, quando entrasti dentro questi confini? come quando Roman s’offerse a gli occhi tuoi non ti tornò egli a mente, dentro a quelle mura è la mia casa, li miei Dei fimigliari, la Madre, la donna, & i figliuoli? Adunque, s’io non hauessi partorito, Roma non sarebbe combattuta. & s’io non hauessi hauto figliuoli, mi sarei morta librera nella mia patria libera. Ma horamai io non posso patire cosa alcuna, ò a me piu misera, ò a te più brutta, & vitupereuole. Ma se ben sono infelicissima, non posso cosi durare molto tempo; pensa tut a costoro, i quali se cosi vai seguitando tosto saranno oppressi da morte acerba, o da lungua seruitù. La moglie poi l’abbracciò, & i figliuoli; & cosi si piegò Martio, ilquale tosto ritirando l’essercito, si partì del contado di roma. Questo sono le parole di Tito Liuio; onde si po’ ben dire a ragione, che questa gran donna era degna di Poema chiarissimo, & d’Historia. Nella guerra di Enea con Turno non vi sono le donne che diffendono la Patria? Come dice Vergilio nel libro undecimo in questo modo?
Ipsae de muris summo certamine matres
(Monstrat amor verus Patriae) vt videre Camillam
Taela manu trepide iaciunt, acrobore duro
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Stipitibus ferrum, Isudibusque imitatur obustis
Praecipites, primaeque mori pro moenibus audent.
Et questi uersi fatti in uolgare da Annibal Caro cosi suonano
– In sui i ripari
Ancor le donne, (che le donne anchora
Il vero della Patria amore infiamma)
Come giunte à l’estremo, alhor che morta
Vider Camilla, il femenil timore
Volgono in sicurezza, & sassi, & dardi
Lanciando, & con aguzzi inarsicciati
Pali, il fero imitando; osano anch’elle
Gir le prima a morir morte honorata.
Et il Tasso nel Canto undecimo dice che molte donne diffendeuano Icrusalem in questo modo.
E mirando la Vergine gagliarda:
Vero amor de la Patria, arma le donne.
Correr le vedi, e collocarsi in guarda.
Con chiome sparse, e con succinte gonne;
E lanciar dardi, e non hauer paura
D’esporre il petto per l’amate mura.
Hauendosi Aristodemo fatto Tiranno di Elide, sbandì quasi tutti i Cittadini, ch’erono intorno a ottocento, et tutti insieme se ne andorno a saluarsi in Etolia, & poi fecero pregare il Tiranno, che li piacesse mandar a loro i figliuoli, et le mogli: ma questo non poterno impetrar dal Tiranno. Poi fingendo di essere mitigato, mandò un bando che in certo giorno determinato douessero tutte le mogli de sbanditi con i figliuoli, et con tutto quello, che piaceua loro andare a ritrouare i mariti. tutte credendo, che fosse uero, allegre aspettauano il giorno assignato: uenuto il giorno tute si ritrouorno alla porta della Città, onde haueuano a uscire con le lor cose. Alcune haueuano i piccioli figliuolini in braccio, et i più grandicelli per mano, altre andauano sopra i carri portando in seno i lattanti pegni, et aspettaua l’una l’altra. Reccolte tutte per partirsi, subito fù loro dietro i ministri del Tiranno, che salendo sopra i carri, li uoltorno indietro con grande uccisione de fanciullini; percioche alcuni cadeuano da i carri; ad alcuni altri, che erano su la strada, le ruote delle carette andaua lor sopra, & infrangeuano, et a l’ultimo con molta crudeltà le cacciò in prigione. Questa cosa mosse molto i petti de gli Eliensi. Onde le sacerdotesse di Bacco sacerdotalmente ornate andorno dal Tirranno a pregar per le donne con le cose sacre in mano per mouere piu l’ostinato cuore di lui. Il crudele, comele uide, staua cheto ad ascoltare, ma come udì, che erano uenute a pregar per le donne, subito salì in grandissima rabbia, et commandò, che fussero mandate uia con molte bastonate et pagassero due talenti per una, et cosi fu fatto. In questo messo gli Eliensi, ch’erano riuerati in Etolia
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con quelle poche genti che haueuano potuto mettere insieme, haueuano occupato vna perte del territorio di Elide, vicino alla Città, doue sicuramente poteuano starsi, & far guerra al Tiranno. Ogni giorno fuggiua della Città qualch’uno per non vedere il tiranno. Altri erano da lui sbanditi, tutti costoro si andauano volontariamente ad vnire con coloro, che haueuano occupato il territorio; onde fecero un’essercito grande. Il Tiranno di ciò impaurito andò alla prigione dalle donne, & con gridi, e minaccie comandò loro, che scriuessero a i mariti, & i pregassero, che leuassero l’assedio alla Città, altrimenti egli hauerebbe vccisi i lor tenersi bambini dinanzi a gli occhi, & dopo diuersi, & strani tormenti ancora. Le donne vdendo questo si guardauano in viso l’una con l’altra, mostrando di non temere punto le sue crudeli minaccie. Quando Megistona moglie di Timoleonte, laquale per la nobiltà del marito, & per natio era la prima, alla venuta del Tiranno sdegnò leuarsi in pieti, & il medesimo haueua ordinato, che facessero tutte le altre, rispose al crudel in questo modo, se tu hauessi vn poco di ceruelo, non ci comandaresti, che scriuessimo a i mariti; ma noi stesse come a nostri Signori mandaresti a negotiare in miglior modo, & piu lealmente, che non facesti dianzi, quando c’ingannasti. Ma perche ti troui fuori di speme di poter fuggire dalle lor mani, voresti per il mezo nostro ingannare anch’essi: tu sei in errore, se credi, che di nuouo ci vogliamo lasciare far inganno, & che essi lasciassero l’assedio per liberar da morte i figliuoli, quanto acquisteranno liberando dalle tue mani la Patria loro. Seguiua la corraggiosa Megistona, quando il Tiranno non potendo piu soportare, comandò, che li fosse portato dinanzi il fanciullo di lei per volerlo vccidere dinanzi a gli occhi della madre. I ministri non sapeuano ritrouare fra tanti fanciulli il suo. Essa lo chiamo dicendo vieni figliuolo mio: acciò che sii primo a prouare la crudele asprezza del Tiranno; perche maggiore è il mio dolore a uederti seruo contra la tua dignitàm che morto. Il Turanno vdendo il parlare di lei cosi animoso, con furia messe mano alla spada, & si mosse per andare ad vcciderla; ma vn suo famigliare lo tenne con ragioni efficaci, & con preghi, & si partì di prigione: essendo poi in camera con la moglie, & con gli figliuoli, volando vn’aquila lasciò andare vn gran sasso sopra la parte della casa, che rispondeua alla camera del Tiranno, & leuandosi vn gran strepito, sparì da gli occhi a tutti. Egli pieno di spauento chiamo vno indouino, & li dimandò, che volesse significare questo, & egli rispose confortandolo, che questo era vn segno, che gioue gli voleua gran bene, & lo uoleua aiutare ne’ suoi bisogni. Cosi disse al Tiranno, & in vno altro modo disse a’ Cittadini; percioche quello era segno, che’l Tiranno doueua correre vn gran pericolo; onde essendosi vniti certi huomini che haueuano congiurato contra lui, fra quali era vno chiamato Hellanico, non volsero piu aspettare a ponere la Patria
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in libertà, & uedendo il Tiranno venirsene in piazza senza guardia gridò Hellanico, ò fratelli mostrate hora vn bellissimo spettacolo alla vostra Città; & Chilone uno de’ congiurati messe mano alla spada, & uccise uno, che accompagnaua il Tiranno. Ma esso fuggì nel tempio di Gioue, & fù da coloro, che lo seguitauano morto. La moglie del detto Tiranno s’impicco per la golla come udì la morte di lui: et due figliuole, che u’erano fecero il medesimo inuitando l’una l’altra; perche i Cittadini uoleuano far loro uergogna. Ma megistona ch’era uscita di prigione con le altre donne la difese dicendo, che pazzia è la uostra ò Cittadini? odiate le tiranniche crudeltà, & poi uoi uolete far peggio assai? & per la sua difesa morirno case, & inuiolate le figliuole, & pregorno Megistona, che doppo la lor morte, non le lasciasse in terra dihonestamente giacere, & cosi fù liberata la cara Patria dall’ingiusto Tiranno. Che ui pare per uostra fè ò fratelli dell’animoso petto di Megistona, & di tutte quelle altre donne, ueramente degne d’honorato poema. Grande certamente sempre dfù nel cuore donnesco l’amore della Patria, come oltre tanti essempi si può conoscere nelle donne d’Aquileia; perche essendo assediata Aquilea da Massimino, & mancando le funi per gli archi, le donne sprezzando la bellezza de’ capelli se li tagliorno per amore della Patria: & il simile fecero le Romane, & quelle di Marsilia. Da questi pochi essempi, pochi a comparatione di quelli, che lascio, si può uedere con quanta uehementia, & ardore esposero le magnanime donne il petto per forte scudo alle care, & amate mura, & non solamente offriro uolontariamente la uita alla morte per loro, ma uccisero i gliuoli, a’ quali ognu’uno per se stesso sa quanto amore, portino le pietose madri: & epr dirlo in poche parole si porgliorno del proprio hauere, della bellezza, de figliuoli, & della uita, che pur è cara; sapendosi che la morte est vltimum terribilium per amore della Patria. Grande senza dubbio fù l’amore, che portò alla Patria una donna Spartana, laquale hauendo cinque figliuoli masci, tutti li mandò alla guerra: doppo alquanto tempo uenne un huomo dal campo a Sparta, & ella li domandò, come andauano le cose, egli rispose, che erano morti nelle battaglie tutti cinque i suoi figliuoli, & ella disse, io non ti domando questo, ma come stanno le cose della guerra per utilità commune, egli le disse, uanno bene, & ella rispose, a me poco importa la morte de’ figliuoli, già che la patria resterà honorata, & non suddita.
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Risposta alle leggierissime, & vane ragioni addotte da gli huomini in suo fauore. Cap V.

A ME pare di hauere apertamente mostrato, che le donne sono molto più nobili, & eccellenti de’ maschi. Hora resta, che io rispondi alle false obiettioni de’ nostri calunniatori, le quali sono di due maniere: percioche alcune sono fondate su le ragioni apparenti, & altre sopra la semplice autorità, & opinione loro: & cominciando dalla loro auttorità, dico, ch’io non son tenuta à rispondere cosa alcuna à quelle: percioche, se io affermassi, che non si trouasse l’Elemento dell’aere, non sarei obligatarispondere alle auttorità d’Aristotli, ouero d’altri Scrittori, che affermassero, che egli si ritrouasse. ma non voglio però far torto ad huomini di tanta fama, negando le lor sentenze, che cosa troppo ingiusta giudicarebbono certi ostinatelli questo: dico adunque, che varie furno le cagioni, che spinsero, & sforzorno alcuni huomini sapienti, & dotti à biasmar, & vituperare le donne, fra le quali è lo sdegno, l’amor di se stessi, l’inuidia, & la scusa del poco ingegno loro. Onde si potrebbe dire, che quando Aristotile, ò alcuno altro biasmò le donne, che ò sdegno, ò inuidia, ò troppo amor di lor medesimi ne sia stata la cagione. che lo sdegno sia cagione di far dire cose sconcie contra le donne, è cosa chiara ad ogn’vno; perchioche desiderando alcuno di adempire le sue sfrenate uoglie, & non potendo per la temperanti, & continentia di quelle, subito si sdegna, & adira: & adirato dice tutti quei mali, che son possibili à ritrouarsi, si come di cosa odiosa, & pessima. il medesimo si può dire dell’inuidioso, che non guarda mai con occhio dritto alcuno, ch’egli di lode meriteuole conosca; onde uedendo l’huomo, che la donna è più nobile, e di virtù, e di beltà di lui, & però anco da lùi, come veramente debbe, honorata, & amata, si rode, & sic onsuma per inuidia, & non potendosi in altro modo sfogare, corre con la pungente, & mordace lingua à vituperii, & bisasmi tutti simulati, & falsi; il medesimo accadde per il troppo amore, che à lor medesimi portano gli huomini giudicandosi d’intelletto, & d’ingegno nobilissimo, & di natura superiori alle donne; arroganza troppo grande, & superbia troppo tumida, & gonfia; ma se con la sottogliezza dell’ingegno considerassero le loro inperfettioni, ò come se ne starebbono humili, e bassi; ma forsi vn giorno le vederanno che Dio lo voglia.) Tute adunque queste cagioni indussero il buon Aristotile à biasimar le donne, fra le quali la principale io credo, che fosse l’inuidia, che egli à loro portaua; percioche quando consideraua, che tre anni, come scriue Diogene Laertio, era stato suddito di vna donna concubina di Hermia, il quale conoscendo il grande, e pazzo amor di lui glie la concesse per moglie, et egli d’allegrezza insuperbito fece sacrificii in honore della sua nouella donne, et dea;
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& ad Hermia, che à lui la diede sacrificò in quel modo, che soleuano gli ateniesi sacrificare à Cerere Elcufina: considerando dico tutte queste cose degne, & memorabili inuidiò la moglie, & inuidiando il suo stato, & vedendo non poter aggiungerli, non essendo da alcuno adorato, come Dio, si uoltò à vituperar le donne, anchor ch’egli conoscesse, che fossero di ogni lode degne; ouero si potrebbe dire, che si come huomo di poco ingegno (perdonatemi Aristotelici, che leggiero, e sciocco anco lo chiamo Timone) attribuendo le cagioni del suo lungo errore alla donna di Hermia, & non al suo intelletto poco sano proprompesse per coprire l’error commesso in parole sconcie, & poco honorate in biasmo del sesso feminile, cosa irragioneuole. si potrebbe anco aggiungere à queste due l’amore di se stesso; percioche giudicando di essere vn miracolo della natura, et del mondo, reputaua ogn’altra persona indegna dell’amore suo, & però stupiua, come si ricordaua di essere stato suddito delle donne, & fra se medesmo vergognandosi cercaua di coprire il suo fallo con dirne male: che sdegno etiandio contra alcuna lo inducesse ad ingiuriar il donnesco sesso,è cosa necessaria à credere; perchoche era amante, & amante sfrenato, come habbiamo di sopra mostrato, & questo furno le cagioni, che indussero il pouero Aristotile à dire, che le donne sono più mendaci, & loquaci de gli homini; più inuidiose, & malo dicenti, & non s’auuedeua, che mentre diceua, che esse sono maldicenti, entraua anch’egli nel numero: & nel libro9. dell’istoria de gli animali, & in altri luoghi, che sono materiali, imperfette, deboli, mancheuoli, & di poco animo, delle quali cose habbiamo parlato nel terzo ragionamento. potrebbe anco esser di leggiero, che si hauesse ingannato intorno alla natura, & essensa della donna, forse troppo graue some à gli homeri suoi, non hauendo considerato la nobiltà, & eccellenza di essa, si come anco si uede, che molti hanno creduto, che la terra si muoui, & che il Cielo stia fermo, altri che vi sieno infiniti mondi, & alcun’altri un solo: alcuno che la mosca sia più nobile del Cielo, & cosi ogn’uno diffende la sua opinione con molte ragioni, 6 ostinatamente, & queste sono le risposte, che si danno à queli, che viruperano il femenil sesso. sono stati poi alcuni altri troppo linguacciuti, & mordaci contra le donne, et ritriuandone alcuna non troppo buona hanno detto, che tutte sono maluaggie, et pessime; error grande il uolere per una perticolare biasmarle tutte in vniuersale; ben è vero, che auuedutisi poi han lodate le buone. diremo adunque in questo modo, che quando Salamone, et altri che si trouano nel testamento uecchio, o nuouo, uituperano le donne, parlano delle cattiue, et non delle buone, et però si legge ne’ scritti di Salamon, cioè nell’Ecclesiastico al cap.2. che Mulieris bonae beatus vir. Ancor che in atri luochi egli oltre modo le biasmi; forsi ancor egli mosso da sdegno, disse questo; o stimulato dalle pessime attioni, come ho detto, di qualche donna maluagia, delle quali credo, che parli etiamdio S.antonino, S. Giouanni Chrisostomo, et altri sacri Padri; percioche è impossibile, che questi huomini giusti biasimassero le sacre vergini, et vedoue
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doue per la fede di Christo morte, sopportando atroce, et crudo martiro. La medesima risposta si uede, che è conuenientissima à Filosofi morali, et à Poeti; percioche quanto biasimano le donne, biasimano le pessime, come Hesiodo, che dice non si poter rtouar peggio della mauagia moglie; et po Theognide afferma non si poter trouar cosa piu cara della buona moglie. et Plauto: In mala vxore, atque inimico si quid sumatur, sumptus est. Oue si conosce, che tutte queste sentenze hanno la risposta con loro, già che cosi parlano honoratamente delle buone, et vituperano le cattiue; cosi anco parlaua il Saturo, mentre biasimaua le donne; le cui parole sono nel primo atto del Pastro fido.
O femenil perfidia, à te si rechi
La cagion pur d’ogni amorosa infamia;
Da te sola derua, e non da lui,
Quant’ha di crudo, e di maluagio amore.
Et però doppo mostra le male simulationi della donna, dicendo:
Qual cosa hai tu, che non sia tutta finta?
S’apri la bocca menti, se sospiri
Son mentiti i sospir, se moui gli occhi
E simulato il guardo, in somma ogni atto, & c,
Ma nell’atto secondo rauuedutosi dell’errore di hauer parklato in universale, si emenda, et vitupera solo le mauagie, et ree, come Corisca: dicendo:
Maledetta Corisca, e quasi dissi
Quante femine ha il mondo,
Nelle quali parole si uede, che non vuol biasimar tutte le donne, dicendo, quasi dissi; ma nelle vltime parole dimostra, che solo delle pessime ragiona, dicendo:
Hor le si darà il fuoco, ou’io vorrei
Veder quante son femine maluaggie
In un incendio solo, arse, e distrutte.
Non si vede, che solamente delle cattiue egli parla? Et ancor che il petrarca dica.
Femina è cosa mobil per natura.
Et Iacomo sannazaro nell’Arcadia cosi ragioni delle donne introducendo vn misero innamorato, che dice:
Ne l’onde solca, e ne l’arena semina,
E’l vago vento spera in rete accogliere,
Chi sua speranza fonda in cor di femina.
Non pero parlano delle buone, come si uede nel Trionfo della Castità del Petrarca; ouer egli ne loda tante, epr la lor costanza. O che diremo, che il Sannazaro parlaua come per passione, et per isdegno. E in questo medesimo modo parlò il Casa nelle stanze fatte contra le donne, hauendo la sua amata donna volto l’animo uerso altro amante. Onde egli adirato
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non discernendo il vero dal falso le biasma tutte, che questo di ciò fosse cagione lo dimostra, dicendo:
Che s’io potessi le parole, e’l viso,
Farui, e i costumi, e le maniere espresse,
Di quel che in luogo mio per suo Narciso,
La saggia donne, che fu mia, s’elesse,
Non so, se più la merauiglia, ò’l riso,
O la pietà, ne’nostri cor potesse,
Anzi so, che n’hauresti ira, e cordoglio,
Che di tant’vtil perdita mi doglio.
O come il pouerello si lasciò spingere dallo sdegno à dir male di tutte, & fingeua di non si muouere per questo, ma non troua alcuno, che a lui lo creda; dicendo nel principio delle stanze:
Né crediate però, che’l dolor mio
E’l pianto sia, perche lasciato m’habbia,
Anzi mi dolgo, e piango il tempo, ch’io
Fui seruo altrui nell’amorosa gabbia:
Già fu grande l’ardor, grande il desio,
Hor è maggior lo sdegno, e più la rabbia;
Già ne cantai, & hor perder mi duole
In soggetto si vil queste parole;
Ma quel di ch’io m’affligo, e mi tormento
E, che mi dà la fede, & vuol, ch’io creda.
Giurando ella, che m’ami, in vn momento
La veggio darsi ad vno strano in preda,
Quanto possi la fede, e’l giuramento
In donna quindi ogn’huomo stimi, e creda,
Che farà in acquistar perle, oro, & ostro,
Se così l’vsa in farsi serua à vn mostro.
E par che anco Vaffrino, grandissimo spione, & delle frodi albergo, biasimi le donne, come si legge nel canto 19. del Goffredo, mentre che Erminia li racconta di voler scoprir le congiure, le cui parole sono:
Cosi li parla intanto, ei mira, e tace.
Pensa à l’essempio della falsa Armida,
Femina è cosa garrula, e loquace,
Vuole, e dissuole, è folle hom, che se’n fida
Né consideraua l’ingannatore, che egli vsaua ogni arte per ingannar lo essercito Pagano, & uoleua poi riprendere la falsità d’Armida, se falsità si può chiamare il tentar ogni modo per vincere l’inimico, si come fece Armida; onde ne anco realmente io chiamarei Vaffrino vero ingannatore; ma il pouerello auuedutosi poi del suo errore, conoscendo, che sono ancor copiosissime le donne buone, & veraci; rispose ad Erminia, che la menarebbe ouer ella desideraua. Ecco mutabilità dell’huomo scaltrito. Horsù
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uoglio che queste uarie opinioni di vari Poeti bastino, & similmente le risposte. Concludendo, che fra le donne, maggior è il numero delle buone senza comparatione, che delle cattiue; & che gli huomini precipitosi in far le sentenze, mossi da sdegno, o da altra cosa, che hanno uerso alcuna particolari, le biasimano tutte; come fece il buon Rodomonte, che sdegnato per la sentenza di Coralice, fuor di ragione, con la mordace lingua vituperò tutto il sesso femenile; ma che parlasse, come homo adirato, & sciocco, lo dimostra l’Ariosto nel canto 29. dicendo:
Ma che parlò, come ignorante, e sciocco
Ve lo dimostra chiara esperienza:
Già contra tutte trasse fuor lo stocco
De l’ira senza farui differenza;
Poi a’ Isabella un guardo si la tocco,
Che subito li fa mutar sentenza:
Già in cambio di quell’altra la desia,
L’ha vista a pena, e non sa ancor, chi sia.
Che dite di questo Marte stabilissimo nelle sue maldicenze? vi pare che egli stia fermo? conobbe l’Ariosto essere il numero delle buone grandissimo à paragone delle cattiue, & maluagie, & che lo sdegno trasporta l’huomini à dir male delle donne, certo fuori d’ogni ragione: che il numero sia maggiore, lo dimostra con queste parole.
Con queste, e molte altre infinite appresso
Querele il Re di Sarza se ne giua,
Hor ragionando in vn parlar sommesso,
Quando in vn suon, che di lontan s’vdiua,
In onta, e in biasmo del femineo sesso,
E certo da ragion si dipartiua,
Che per vna, ò per due, che troui ree,
Che cento buone sien creder si dee.
E poco doppo:
Ma e mia Fortuna vuol, che s’vna ria,
Ne sia tra cento, io di lei preda sia.
Che vi pare dell’Ariosto? vi pare, ch’egli lasciando lo sdegno, dica il vero? io per me credo certo, che cosi sia; ma egli non si contentò di questo, cioè, che fra cento donne ve ne sia vna cattiua, che ne anco questo consentì, dando la colpa allo sdegno, & all’ira, ch’egli biasimasse quella, & però dice nel canto 30. nelle ultime rime della prima stanza.
Lasso, mi dolgo, e affliggo in uan di quanto
Dissi per ira al fin dell’altro Canto.
Et poi lodò le buone, & poi soggiunse.
Ben spero donne in vostra cortesia
Hauer da uoi perdon, poi ch’io ve’l chiaggio,
Voi scusarete, che per frenesia
Vinto da l’aspra passion vaneggio;
Date la colpa à la nemica mia,
Che mi fa star, ch’io non potria star peggio,
E mi fa dir quel, di ch’io son poi gramo,
Sallo Dio, s’ella ha torto, e sa s’io l’amo.
Si può parlar più chiaramente in lode alle donne? Tacciano adunque alcuni, che non leggono se non una stanza, & subito dicono, che l’Ariosto dice male di loro; cosa ridiculosa. che più si può dire? poiche i nostri nemici sono al loro dispetto amici? Fu mosso anco da sdegno Angelo Ingegnieri à biasimar le donne nel libro di amore di Ouidio, da lui ridotto in ottaua rima, & che sdegno lo mouesse, fa fede dicendo:
Voi, c’ho d’acerbe ingiurie, hor d’aspri scorni
Danno sentir lunga stagion mi feste,
Per lo cui sdegno i miei più chiari giorni
Spesso cangiarsi in notti atre, e funeste
Donna crudele, perch’io non ritorni
Al foco indegno, ond’il cor vano ardeste,
E perch’io segua pur la bella impresa,
Siate ogn’hor più ver me di rabbia accesa.
Guardate se era spinto dalla cholera, poi ch’egli desideraua sempre ch’ella ver lui più s’incrudelisse per hauer tempo da vituperar le donne; ma poi auuedutosi dell’errore, che commesso hauea biasimandole, domandò lor perdono in vn capitolo in terza rima, in questo modo.
Cortesi donne, il bel giudicio vostro,
Se pur ritiene il natural suo lume,
Non può dannar il mio qui speso inchiostro,
Che del mio utile à torto si presume,
Ch’vnquà si volga à procurarui oltraggio,
Poi che d’ogn’hor lo darui hebbi costume;
Anzi vedrà, chi ben ne farà il saggio,
Riuolto pur à la vostra salute,
Senza punto de gl’huomini uantaggio.
Non perch’vna, & vn’altra mi rifiute,
Non che mi sprezzi ben tutto lo stuolo,
Verrà giamai, che di pensier mi mute.
Et anco il Passi crudelissimo nostro nemico dice, che fù sdegno, che l’indusse à biasimarle, dicendo nella lettera à Lettori. “Nondimeno non son cosi arrogante, né meno cosi acerbo, & crudele inimico del sesso feminile, ch’io possi derofar all’auttorità di tanti eccellenti scrittori, che hanno celebrato fino al Cielo le virtù, i gesti gloriosi de famose, & honorate donne, i nomi delle quali viuono, & viueranno mentre il Sole darà luce al mondo; ma solo sdegno m’indusse in quelle, che amando poco il suo honore sono state cagioni d’innmerabili mali. Che dite Lettori; vi pare, ch’egli
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sia vinto? & pur di sopra parlò in generale nel suo primo capo, dicendo Nulla mulier bona. E cosa biasimeuole il saltar dal particolare all’vniuersale, & però staua meglio l’inscrittione del libro in questo modo. I diffetti delle donne maluaggie; ma di ciò fu sdegno cagione uerso la donna amata, & non l’vtilità commune. Et che questo sia vero lo dice il Morigi nel suo Sonetto, nelle sei ultime rime.
Ma Gioseffo, che pio (benche conforto
Di vendetta vi dia) s’al fin non tende
Quel che bramaste, ch’ottener deureste?
Iniquo amor, meglio era, pur ch’accorto
Fessi da prima lui, che si moleste
Cure mai non hauria; come hora imprende.
Non si conosce apertamente, che sdegno, ch’egli hauea contra alcuna, lo ha mosso? Si certo, o se li perdoni adunque; perche si emenderà del commesso fallo, & conoscerà la nobiltà delle donne: queste sono le rispose, che si danno à persone, che sono della ragione capaci: percioche all’opinioni de gli huomini volgari, & ignoranti, non accadde faticarsi à rispondre, i quali senza fondamento, & ragione parlano ostinatamente. Onde l’Ariosto prega le donne à non dare orecchia a l’ignorante volgo, dicendo nel canto vigesimo ottauo.
Donne, e voi che le donne hauete in pregio,
Per dio non date a questa Istoria orecchia,
A questa, che l’hostier dire in dispregio,
E in vostra infamia, e biasmo s’apparecchia;
Benche, ne macchia vi può dar, ne fregio
Lingua si vile, e si a l’vsanza vecchia,
Che’l volgare ignorante ogn’vn riprenda,
E parli piu di quel, che meno intenda.
Et nel Canto 29. dice, che faceua meglio hauer tacciuto, dicendo:
Io farò sì con penna, e con inchiostro,
Ch’ogn’vn vedrà, che gli era utile, e buono
Hauer taciuto, e mordersi anco poi
Prima la lingua, che dir mal di voi.
Ho per cortesia, non per obligo risposto alle auttorità d’alcuni ostinatelli: & ho msotrato, che molti scrittori sono, che à prima vista sono giudicatamente maledicenti, & biasimatori delle donne, che ne dicono grandissimo bene. Resta, ch’io risponda alle ragioni leggierissime d’alcuni. & la principale, che costoro adducono, è, che Eua fù cagione del peccato di Adamo, & per consequenza della ruina, & miseria nostra. Io rispondo che Eua non indusse Adamo in alcun modo a peccare, ma credo, che più tosto semplicemente li proponesse il magiar del vietato pomo: Et però non si legge nella Bibbia, ch’ella, o con preghi, o con pianto, o con sdegnose parole a ciò lo spingesse; ma più tosto per via di consiglio credo io, ch’ella gli domandasse,
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dasse, se fosse buono il mangiar di quello cosi nobil frutto, poi che si renderebbono oltre modo grandi, & eccellenti, non sapendo però ella, che il mangiarlo fosse peccato, ne meno conoscend, che il serprente, che a lei promise quella grandezza fosse il Viauolo, come par ch’accenni San Tomaso: Onde s’ella non lo conobbe, ne hebbe da Dio commandamento alcuno, che non ne douesse mangiare, perche vorremo noi dire, ch’ella peccasse? supponendo il peccato qualche cognition antecedente. Ma ben peccò Adamo, che transgredì il commandamento di Dio, hauendolo prima fatto auuertito, che non ne douesse mangiare, & che il peccato fosse d’Adamo, lo dimostra chiaramente la pena, & il castigo datoli: Onde ordinò l’antica legge, che i maschi si circoncidessero per l’error commesso. Et però il peccato originale più dipende da l’huomo, che dalla donna, Et anco lo mostrò l’istesso, Dio, il quale disse: Adam, vbi es. Et non chiamò Eua, & lo chiamò per riprenderlo del commesso errore; segno manifesto, che egli fù quello, che commise il peccato, & non la donna: & se ella ne fù cagione, fù per ignoranza, non sapendo di peccare: ma l’huomo peccò per sicura, & certa cognitione. Et se così è, come ueramente è; io non so trouare la cagione, perche gli huomini attribuiscano alla donna il principio d’ogni nostra miseria; s’io non dico, che sieno cieche neottole al lucido Sole della verità: percioche se ad alcuno si douesse attribuire il peccato, perche prima incominciasse, si darebbe tutta la colpa à Lucifero, come quello, che persuase con promissioni grandi, con menzogne, & mentite larue a mangiare il uietato pomo: & poco importa, se la donna, fu persuasa, & non l’huomo; che non fece egli questo credendo, come dicono alcuni: perche ella dosse più facile a crederli del maschio, anzi perche la conobbe più difficile a piegarsi, & più nobile volse prima tentar lei; percioche chi vince il più potente, & ualoroso, non teme punto il minore, & impotente. Però dice San Bernardo, che vedendo, & considerando il Diauolo la mirabile, & singular bellezza della donna, mosso da inuidia, messe ogni sorte di studio per ottennere quel, che desideraua. Onde mi merauiglio, che i miei car fratelli non dicano, che la bellezza di Eua fù cagione d’ogni male. Raggioni troppo leggieri, & lontane dalla verità; ma pur, come quelli, che hanno poco sale in zucca, stanno sempre più in false opinioni rigidi, & pertinaci. Io potrei anco dire supponendo, che hauessero in qualche parte ragione, che se una donna è stata cagion d’errore, è venuta poi la gran Regina del mondo, che ha scancellato in tutto, & per tutto il peccato commesso; Però disse il Petrarca nella Canzon della Vergine.
E fra tutti i terreni altri soggiorni
Sola tu fosti eletta
Vergine benedetta
Che’l pianto d’Eua in allegrezza torni.
Versò certamente Eua infinite lagrime, per l’error commesso dal suo marito Adamo, ancor che in questo luogo si potesse intendere tutta la generatione
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humana. Ma uoglio lasciar il ragionamento della sacra scrittura, & discendere a ragioni piu communi, & a mio giudicio più leggier. Dicono alcuni huomini di poca leuatura, che Elena fù la ruina di Troia, cosa in tutto falsa. Fra tutti costoro ui è quel buon compagni del Caporali, che dice mosso forsi piu dalla opinione commune, che dalla propria, essendo eglio huomo nelle sue compositioni ueridico, i cui uersi sono.
Queste tante bellezze ogn’hor congiunte
Con lo scandolo stanno, Elena quella
Onde vscir gia tante amorose punte,
Fù con le sue bellezze cosi fella
A Troia, a Gecia, a tutto il mondo, ch’anco
Da ciascuno Hoggidì se ne fauella.
Et dicono, che le Sabine quali furno la ruina di roma, cosa da mouer le risa a un huomo morto. Ditemi di gratia, chi fù primo, che s’inamorasse, Paride di elena, ò Elena di Paride? Senza dubbio Paride di Elena, come si può uedere nella epistola, che a lei mandò, come narra Ouidio, che tradotta in uolgare da Remigio Fiorentino, cosi suona.
Questa ti scriue, ò de l’eterno Gioue
E di Leda gentil pregiata figlia
Il peregrin Troian, ch’ardendo aita
Sola da te dolce suo bene attende:
Et più sotto mostra, come fece per uenir in Grecia, lunga e difficile uia.
Ne promessa mi t’habbia in van la bella
Madre d’amor la ne la valle Idea
Per mia consorte, ond’io si lunga uia
E cosi lunghi, e perigliosi errori
Tra Sirti, e scogli, e tra procelle ho preso
Perch’io le vele, e le Troiane antenne
Di Grecia torsi a le Beate arene.
Et poi la persuade a partirsi seco biasmando le brutte fattezze, & costumi del marito; & tanto si affaticò, & tanto fece, che vinta dall’importunità di questo amante, se ne andò seco. Adunque Paride fù la ruina di troia, poi ch’egli stesso dice, che passò tanti trauagli, & fece cosi lunga uia per lei sola: & conoscete un poco, come era leggiero; poi che rifiutò la sapienza offerta a lui da Minerua, & la ricchezza promessa da Giunone: et non solamente era leggiero, ma lasciuo, & sfrenato. Onde Laodamia scriuendo a Protesilao mostra, che Paride fù la ruina di Troia, come dice il medesimo auttore nelle sue Epistole in questo modo;
O mal Pastore, ò mal Troiano amante,
La cui beltade al tuo bel Regno arreca
Gli vltimi stridi, almen consenta Dio
Che tanto vil tu sia guerriero, e tanto
Pigro nemico, e difensor di Troia
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Quanto empio fosti habitatore strano
Al maggior Greco, il cui cortese affetto
Li nocque tanto, e li turbò sua pace.
Cosi anco intrauenne delle donne Sabine; perioche le donne non rubborno i Romani; Ma ben’i Romani rubborno uiolentemente le Sabine hauendo però i buoni huomini bandita una festa accioche ui fossero menate, & poi insolementemente pigliarle, come racconta Tito Liuio. Che ui pare galant’huomini di questa iniqua, & scelerata fraude? Dio buono, che ragioni si possono truar piu sciocche, & sconcie di queste? Alcuni altri dicono, come fù il buono Aristotile, che le donne sono men calde de gli homini, & però sono più imperfette, et meno nobili di loro: ò che ragione indissolubile, & onnipotente. Non considerò, credo io alhora Aristotile con maturità d’ingegno l’operationi del calore, & quello, ch’importi l’esser piu caldo, & men calso, & quanti effetti buoni, & rei da questo deriuano; percioche s’egli hauesse ben pensato quante pessime operationi produce il calore, che eccede quello della donna, non haurebbe detto una minima parola. Ma se ne andò alla ciecha il cattiuello, & però comise mille errori. Non è dubbio alcuno, come scriue Plutarco, che il calore è instrumento dell’anima; ma può esser buono, & ancho poco atto alle sue operationi, recercandosi nel calore una certa mediocrità fra il poco, & il molto: percioche il poco, & mancheuole, come ne’uecchi è impotentissimo alle operationi. Il molto, & eccedente rende quelle precipitose, et sfrenate. addunque ogni calore non è buono, & atto a seruire alle operationi dell’anima, come dice Marsilio Ficino. Ma ben in un certo grado, & proportione coneniente, come quello della donna. Onde non uale la ragione d’Aristotele sono i maschi piu caldi: delle donne, adunque, sono piu nobili: oltre che si uede che i giouini non sono riputati piu nobili de gli huomini, che sono nell’età uirile, & pur sono piu caldi, & quante donne poi sono piu calde di natura de gli huomini? Onde ne meno si concederebbe di tutte le donne la sentenza d’Aristotile esser uera: percioche si ritrouano molte prouincie, non dirò uille, ò castella, oue le donne sono piu calde di natura, che non sono gli huomini di un’altra poruincia, come quelle di Spagna, & di Africa sono piu calde de gli huomini, che habitano il freddo Settentrione, & l’Alemagna: & quanti credemo noi, che fossero, & sieno piu caldi di natura di Aristotele & di Platone, adunque piu nobili nelle operationi dell’anima? Questo non già. Diremo adunque in questo modo, che la donna è men calida dell’huomo, & però più nobile; & che se alcuno huomio fa cose eccellentemente, che questo auiene, perche si accosta alla natura & temperatura della donna essendo in lui calore Placido, & non eccedente, et però l’età uirile essendo intepidito il feruore di quello calore, ch’era nella giouinile, et accostatosi alla natura feminile opera piu saggiamente, et piu maturamente. Non mancano alcuni altri, che dicono, che gli huomini sono piu robusti, dorti, et per concluderla migliori da portar la soma, et i pesi delle donne.
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Notate bella maggioranza; A questi io rispondo, che le donne essercitate alle fatiche, trapassano, anzi vincono gli huomini; ò veramente, che questa robustezza nelle creature gentili, & delicate non ha luogo; & che sia’l vero non possono i Regi, i Principi, & le persone grandi far fatiche da fachino, ne credo che Aristotele, che chiama le donne languide, & simili alla mano sinistra, fosse forte, come sono gli huomini rustici, & molte donne. Adunque era men nobili de gli huomini rozzi, & di molte donne. & cosi i fabri sarebbono più nobili de’Regi, & delle persone scientiate, & dotte. O che cosa da scoppiare dalle risa; & così si potrebbe dire, che i soldati Romani, i quali sforzorno tante uolte i prudentissimi Senatori ad eleggere Imperatore, secondo la lor volontà, fossero più nobili, & eccellenti de’ Senatori: Cosa falsissima; ma questo accadea; perche la forza era nelle armi, & non nella ragione, & nel giusto. & però disse quello galant’huomo: Vis erat in armis: Et per questo interuiene, che un fratello homicida, & robusto occupi il Regno, & il Ducato all’altro fratello, che è delicato, & gentile, & per l’istessa cagione il sesso donnesco, il quale è più delicato del sesso virile, & anco men robusto, per non essere assuefatto alle fatiche, uien tiranneggiato, & conculcato da gli insolenti, & ingiunti huomini; ma se le donne, come io spero, si suegliaranno dal lungo sonno, dal qual sono oppresse, diueniranno mansueti, & humili questi ingrati, & superbi.
Il fine della prima parte.